Qualcuno mi ha chiesto: secondo te quali sono, al di là dell’ovvio, le differenze tra il grande cinema e il cinema povero, quello tuo, insomma dei videomaker? Ho risposto più o meno così.

Considerando i film che popolano le sale (che ovviamente piacciono ai produttori ), si può dire che il grande cinema mira allo spettacolo, agli effetti visivi e sonori, mentre il cinema povero, che non può permettersi rifacimenti storici, ricostruzioni scenografiche, imprese stupefacenti, avventure mirabolanti, si dà da fare con le idee, le immagini, la ricerca stilistica. Fatte salve le eccezioni dell’uno e dell’altro cinema, e considerando non tanto i risultati quanto soprattutto le intenzioni degli autori, la prima differenza sta nelle idee, nella storia. Dunque nel soggetto. Di più non posso e non voglio dire, perché io sono nelle condizioni di fare il cinema povero, e non di scegliere quale dei due cinema fare.  Potrei essere di parte. Mi interessa invece parlare del cinema povero, di come arricchirlo. E comincio dalla…pagina bianca, cioè per l’appunto dalle idee, dalla storia da raccontare.

Le idee nascono dalla realtà. Guardiamoci intorno, osserviamo, ascoltiamo. Leggiamo. La lettura è una  modalità di osservazione della realtà. Si legge per comprendere gli altri. Il germe dell’idea viene posto sia dalla realtà concreta offerta dalla vita e dall’ambiente che ci circonda, sia dalla realtà rarefatta e mediata proposta dalla lettura. Scegliamo le idee che ci toccano e coltiviamole. Lasciamo che queste idee percorrano in lungo e in largo il cervello alla ricerca di altre idee con cui creare associazioni illuminanti. Senza accorgercene ci ritroveremo il nucleo di una storia. A questo punto indirizziamo il pensiero a creare un’idea più complessa, ossia la  storia, fino a quando saremo pronti a sviluppare e a precisare scrivendo.

E’ importante che il nucleo sia emotivo. Deve toccarci. Ci sarà più facile veicolare un’emozione se questa stessa emozione è prima di tutto nostra. L’arte esprime idee su onde di emozioni.

Il mio primo film, che in seguito ho tradotto in romanzo perché la storia narrata era stata molto apprezzata, è nato da un fatto, che mi toccava da vicino: il progetto di costruzione di un’autostrada che avrebbe stracciato una piana di vigneti, avrebbe sfiorato o tagliato in due la campagna dove da bambino, ragazzo e adulto mi sono sempre rifugiato per fantasticare prima e fare l’amore poi. La possibilità che un tale evento si realizzasse mi sconvolgeva. E non c’era nulla da fare! Quando ho cominciato a rassegnarmi, l’idea di questi immensi vigneti sventrati ha cominciato ad andarsene in giro per la testa finché non si è imbattuta in un’altra idea forte, preesistente. Una fantasia ricorrente. Ho sempre immaginato la presenza nei vigneti di esseri particolari, che chiamavo gli uomini delle vigne. Questi esseri rappresentavano i bisogni autentici dell’umanità. L’esigenza di comunicare, di contatto intenso, soprattutto fisico, quindi anche erotico… Cosa sarebbe successo a questi esseri se il loro territorio, e quindi la loro esistenza fosse stata compromessa da un’autostrada? A poco a poco ho elaborato una trama e poi mi sono messo a scrivere la sceneggiatura.

La pagina bianca ci blocca perché è lì a giudicare qualunque cosa noi stiamo per scrivere. Si rifiuta, non la vuole. Scriviamo due parole e accartocciamo il foglio, via!

Dobbiamo invece pensare l’opposto. La pagina non ci giudica, anzi ci invita a non avere paura, tanto possiamo riscrivere, non ci impegniamo con nessuno, non fa nella se sbagliamo, se dobbiamo riscrivere venti volte. Chi ci insegue? Ecco una differenza tra il grande cinema e il cinema povero.

Quanta tensione, ansia, disturbante per il soggettista, al quale un produttore ha dato il compito di scrivere una storia su una certa idea o ( peggio ) per una star! Lo paga bene, ma gli ha dato pure delle scadenze. Invece chi scrive per se stesso, per una sua idea, senza essere pagato…( ahimè! ) e senza scadenze, non deve preoccuparsi.

Dico questo perché ho conosciuto tanti giovani scrittori che avevano l’angoscia della pagina bianca e del come riempirla. Certo dobbiamo metterci al computer solo dopo aver elaborato in qualche modo l’ idea.  Quando comincio a scrivere un soggetto, io ho già in testa la storia. E di fronte alla pagina nuda, “rompo il bianco” ( simile a “rompere il ghiaccio” ) scrivendo, senza preoccuparmi di come sto scrivendo né di cosa. Se non mi piace ricomincio.

Qualcuno pigro  potrebbe dire, ma se bisogna scrivere quando la storia è già in testa che bisogno c’è di scrivere? E’ sufficiente prendere appunti. Chi fa una domanda del genere e conclude che basta prendere appunti, è persona che non ha mai scritto una storia in vita sua. Perché scrivere una storia è la migliore occasione per precisarla, svilupparla, aggiustarla, migliorarla…cambiarla.

Chi vuole sperimentare, e pure esercitarsi, faccia questa prova. Ottimo allenamento per la fantasia. Mettetevi al computer SENZA IL TIMORE  DELLA PAGINA BIANCA. Cominciate a scrivere cose strampalate e andate avanti. Se va male  - e le prime volte andrà male - non salvate il file, se va bene scoprirete il piacere nella testa.  Il piacere di andare a ruota libera e di far vivere la pagina con personaggi e vicende nati sulle righe.

 

Fare cinema

di Maurizio Mazzotta
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