AVVISO
Dopo la prima lezione sono arrivati parecchi esercizi. A tutti è stato risposto individualmente. Qui pubblicheremo soltanto gli esercizi che hanno avuto uno svolgimento più compiuto e la cui lettura può essere utile a tutti. Pubblicare tutti gli esercizi ricevuti avrebbe reso confusa la lettura. E’ normale che al principio alcuni esercizi siano fuori tema o svolti troppo in fretta, però vi raccomando di mandare i vostri scritti solo quando siete ragionevolmente certi che “funzionino”. Prendetevi il tempo necessario, riscriveteli più volte senza accontentarvi della prima idea, esplorate direzioni diverse e scegliete infine quella che vi convince di più. Curate con scrupolo la forma e correggete i refusi. Precisate bene la situazione. Non scrivete dialoghi indiretti e vaghi, ma battute vere e proprie, non usate formule generiche del tipo “che adesso sarebbe troppo lungo descrivere” o “eccetera”. Insomma, non inviate semplici appunti, ma svolgimenti completi. A volte vi chiederò delle revisioni, non solo per correggere i difetti più evidenti, ma perché la revisione è parte integrante del lavoro dello sceneggiatore e bisogna prenderci l’abitudine. E’ anzi bene preoccuparsene per primi e migliorare il proprio testo prima ancora che siano altri a chiedercelo. Lo sceneggiatore usa molte meno parole del romanziere, perché la lettura deve risultare semplice, chiara e non sollevare equivoci. Il testo di una sceneggiatura, serve anche da indicazione per la messa in scena, per i reparti, per gli attori. Tutto questo lo si imparerà un po’ per volta, però cominciate a figurarvi mentalmente la situazione che volete raccontare, proiettatevela in testa, cercate di vederla. Disponete gli elementi in ordine, non tutti insieme, ma nell’ordine in cui vanno visti.
E’ bene riassumere in poche righe cosa intendete raccontare, e stilare un breve profilo del protagonista, prima di scrivere la scena di presentazione, che altrimenti diventa impossibile da valutare.
E ora passiamo agli esercizi di questo mese.

* DUE ESERCIZI DI PAOLO MADDONNI

Premessa - Non sono un cinefilo e i miei film al cinema sono casuali e negli ultimi anni molto orientati all'infanzia, per via dei miei due figli. Proprio con loro ho visto di recente in DVD "Billy Elliot" di Stephen Daldry del 2001. A scuola di mio figlio Silvano Vento, 2° elementare, alcuni bambini si erano rifiutati di realizzare alcune semplici coreografie per la recita di fine anno, perché il ballo "è da femmine". Mi sono ricordato del film di cui avevo sentito parlare e lo abbiamo visto assieme. A parte il contenuto emotivo del film, mi sono soffermato sull'inizio, che mi è sembrato calzante per questo secondo esercizio. Del resto il film si intitola con il nome del protagonista, per cui è difficile sbagliare. Allora i titoli di testa si sviluppano sul primo piano del ragazzo che salta sul letto al ritmo della musica che fa girare su un LP (la prima immagine è proprio della mano che posiziona il braccetto del giradischi). Di seguito il ragazzo lo vediamo in una cucina molto disordinata che prepara alla meglio un vassoio con la colazione. La situazione è allegra, il ragazzo sembra pieno di vita, gioca con le cose appese e il tostapane. Apre una porta scorrevole con il vassoio in mano: si vede un letto vuoto e il ragazzo di gran furia corre fuori per il quartiere, evidentemente di classe operaia. In un prato trova chi stava cercando, la vecchia nonna svampita e trascurata. Billy con molta tenerezza le dice semplicemente: "Le tue uova, nonna. Sono Billy, vieni". Sull'uscita di scena dei due, si distinguono sullo sfondo dei poliziotti in tenuta antisommossa, pronti a intervenire contro i minatori in sciopero.

Mi è sembrata una buona e rapida presentazione del protagonista e del contesto della situazione in cui si muove. Certo i buoni sentimenti si toccano subito, l'assenza della mamma, il grigiore dell'ambiente sociale, nonna, padre e fratello con caratteristiche marcate, tutto fa già immaginare o ben sperare nel lieto fine a cui il protagonista ci porterà passando comunque attraverso prove difficili e rapporti personali particolari (la maestra di danza, l'amico omosessuale).

ESERCIZIO 1 – presentazione del protagonista a ingresso ritardato

Un soggiorno ammobiliato senza gusto particolare. Ambiente poco illuminato, forse una mansarda. Atmosfera di generale trascuratezza e disordine. Un divano consunto, un televisore. In bella vista una cornice con una grande fotografia di una vistosa ragazza bionda in posa provocante. Una scaletta conduce ad un soppalco non visibile. Si vedono la porta d'ingresso, quella della cucina e quella di un'altra camera.

PIO (trentenne, piccolo e longilineo), steso sul divano letto, senza scarpe ma in camicia e cravatta. Fuma lentamente una sigaretta. Si é appena risvegliato dalla "siesta", canticchia.
Improvviso rumore di passi dal piano soppalcato.

PIO - Leo! Gran ciccione, prima o poi verrai giù senza passare per le scale! Mi sono addormentato anche oggi: in questo buco alle tre di pomeriggio sembra di essere in piena notte... Leo! Avanti, sono le tre, si riparte!

Da sopra cessano i rumori, Pio si alza e si sistema i vestiti, infila le scarpe.

PIO - Prima o poi dobbiamo farglielo capire a Pellizzari che l'orario spezzato non va più di moda... chiusura dalle 13,00 alle 16,00 e poi avanti fino alle 20,00. E a noi ci frega tutta la giornata! Leo, cos'hai? Fai il gioco del silenzio? Anch'io ogni tanto ci provavo da ragazzino. Cercavo di battere il record di tempo in silenzio dal momento in cui mi svegliavo. Uscire di casa senza dire una parola ai miei, era facile. Con i compagni di scuola dovevo lottare di più. Il record personale l'ho stabilito una mattina che mi interrogò la professoressa di filosofia: una stupenda scena muta fino alle nove e mezza!

Un forte ansimare dietro la porta di ingresso, e il rumore di qualcuno che cerca di infilare una chiave nella serratura. Pio spegne la sigaretta e si alza brandendo una scarpa.
Si spalanca la porta ed entra LEO (qualche anno più di Pio, grande e pesante) sudato e paonazzo, trascinando una pesante valigia.

PIO - Leo!?

Leo crolla a terra svenuto. Pio si scuote e si precipita a sollevare l'amico e a trascinarlo verso il divano. Con fatica raggiungono il divano dove rimangono per un istante sdraiati e avvinghiati.

PIO - Leo, ma sei matto...la pressione...non...non devi fare sforzi, lo sai...che poi li fai fare pure a me...

LEO -...uff...odio... le scale...

PIO - Pensavo fossi in casa, di sopra. Mi era sembrato di sentire dei passi e dei rumori. Ho parlato dieci minuti da solo come un imbecille... ma dove eri? E questa valigia?

LEO - In effetti non eri solo...(Esita, poi d'un fiato ad alta voce)... è-arrivata-all'improvviso-mia-cugina-dal-paese-deve-dare-un-esame-all'università -domani-e-per-stasera-la-ospito-io-qui-ti-dispiace-no-vero-sei-un-amico-lo-so.

PIO – Come?

LEO – Prima, mentre dormivi, sono sceso a prendere una boccata d'aria e l'ho incontrata sotto casa. Per non svegliarti ho accompagnato prima lei su di sopra e poi sono risceso a prendere la valigia.

PIO - La cugina di campagna? In due anni che abitiamo insieme non me ne avevi mai parlato...

LEO - Non la vedo praticamente mai, di solito va da una zia che però oggi è dovuta correre al capezzale di un altro parente...insomma...si chiama... Ada ... Ma non dobbiamo andare? Pellizzari ci taglia la testa se arriviamo tardi (si alza e fa per uscire).

PIO - E Ada?

LEO - Rimane qui, si riposa...studia. La vediamo stasera. Dai, andiamo!

(Spinge Pio verso al porta ed escono). La sera dopo. Leo e pio fuori della porta di casa.

PIO - ...ma perché non vuoi venire? Ci facciamo svelti due uova, se proprio hai fame!

LEO - No...no.. non mi sento tanto bene, preferisco cucinarmi qualcosa con calma. Poi più tardi faccio una telefonata ai miei...mi va di stare tranquillo.

Entrano in casa, soggiorno.

PIO - Ma dai, che lo so che ti sta antipatico Alvaro. Certo ci va pesante quando ti prende in giro, ma ti assicuro che è il suo modo di farti partecipare alla compagnia! Poi una volta tanto potresti anche giocare!

LEO - Ma voi giocate a poker tutti seri come dei professionisti. (Mentre parla, di nascosto a Pio, estrae un foglietto dalla tasca e lo mette sul televisore)…a me se viene un tris mi sudano le mani e mi cadono le carte! Un'altra sera ci vengo, te lo prometto… Ada! Ci sei?... Ah guarda, un messaggio. "Scusatemi ancora una volta ma resto di sopra a studiare: domani ho la seconda parte dell'esame e non mi sento affatto sicura. Buonanotte, Ada".

PIO - Senti, ma esiste davvero questa cugina? Fino ad adesso ho visto solo messaggi: ieri sera era già andata a letto, stamattina è uscita all'alba, oggi a pranzo recuperava lo stress dell'esame e stasera studia di nuovo!

LEO - Ma scusa con l'esame...

PIO - Vorrei almeno presentarmi, farmi vedere, dirle in bocca al lupo o che ne so...vado su un attimo solo a salutarla

(Va verso la scala).

LEO - (gridando) No!!

PIO - Ma sei matto? Perché urli così? E poi perché no? Quanto sei nervoso... Io mi sono fatto due ipotesi sulla cugina Ada, entrambe che partono dal fatto che non sia per niente tua cugina. La prima è che sia la figlia segreta di Marilyn Monroe e che tu sia geloso di me -giustamente eh, eh, eh-.

LEO - Eh, eh, eh! Ma se stanotte ho dormito sul divano...

PIO - La seconda è che al contrario sia la sorella del mostro di Lochness e che quindi tu ti vergogni a farmela vedere. Sinceramente preferisco la prima!

Pio sale di corsa alcuni scalini.

LEO - (gridando) La seconda!

PIO - Lochness vero? Lo temevo, conoscendoti...

LEO - Come sarebbe?

PIO - Dai, non t'offendere... però la potrò salutare lo stesso, no? Non sono così debole di stomaco!

LEO - NO, per piacere. Ti prego, la cosa è più seria di quanto tu non pensi. Ada è… è… una mia amica… ecco, un mia carissima amica… di infanzia, siamo andati a scuola insieme, pensa. Alle medie, ecco alle medie. Beh, il suo problema è il naso... anormale... vistoso... deforme... orrendo! A scuola la chiamavano… "cavatappi". Proprio così! Crescendo purtroppo la situazione non è migliorata, anzi... praticamente Ada ha cominciato ad uscire di casa solo in inverno con una grande sciarpa sulla faccia. Ora ha preso il coraggio di venire in città per consultare uno specialista di chirurgia plastica. I primi esami sono andati bene, domani si sa l´esito dell’ultima analisi e se tutto è a posto nel pomeriggio potrebbe già entrare in clinica. Mi ha chiesto di non farle conoscere gente nuova fin quando non avrà un nuovo aspetto... però capisco che tu ci rimanga male, adesso la chiamo e...

PIO - No, no per carità, non la disturbare... la sua scelta è comprensibilissima... e poi sto andando, anzi Alvaro e gli altri mi staranno già aspettando. Penso che … farò tardi. Ciao!

Pio esce di gran fretta.

LEO - Ciao, Pio.

Leo va in cucina, torna asciugandosi le mani con uno strofinaccio, va verso il televisore, trova il telecomando e sta per usarlo quando sente dei passi sul soppalco e alza lo sguardo e sorride.

LEO - Ada!

VOCE DI ADA - Ho una lettera per te.

LEO - Cos´è una raccomandata? Allora sarà l´assicurazione, devo pagare la rata e...

VOCE DI ADA - No, ti ho scritto io.

LEO - Ah, sì? E come mai? Da ragazzino ero appassionato di lettere. Ero amico di penna di dodici ragazze di tutto il mondo. Non ne ho mai incontrata nessuna. Una abitava all’isola Mauritius, quella dove ci si va in viaggio di nozze...A un certo punto mi mandò una cartolina da Israele, dove era emigrata con suo fratello...chissà che fine ha fatto...

VOCE DI ADA - Caro Leonida,...

LEO - Capirai, solo all'anagrafe sono "Leonida"!

ADA - ...ti scrivo per confessarti che la storia che ti ho raccontato ieri non è vera, o meglio deve essere corretta. Ti ringrazio immensamente per avermi accolto in casa tua, nonostante mi avessi conosciuta per caso solo qualche minuto prima. Lavoravo in un albergo, questo è vero, dove restavo anche a dormire. Non è vero però che me ne sia andata perché il padrone mi aveva messo le mani addosso...Toh, leggi tu!

Una mano spunta dal soppalco porgendo un foglio, Leo lo prende e legge.

LEO - "...in realtà ha scoperto, non so come, che sono un transessuale e mi ha cacciata per difendere il buon nome dell'albergo. Sono scappata dal paese dieci anni fa. Per i miei sono come morta. Ho battuto il marciapiede per tanto tempo, poi, finalmente, sei mesi fa mi sono potuta operare. Ora sono una donna, sola. Mi sembrava giusto dirtelo, prima di andarmene. Ada".

ADA donna senza età precisa, capelli scuri e lunghi, lineamenti anonimi e regolari (naso compreso) scende dalle scale, si avvicina a Leo.

ADA - Guardami, fammi vedere che faccia fai.

LEO - Sei...sola...

ADA - Scusami, faccio fatica a liberarmi del passato. Te ne ho parlato perché ho ancora la necessità di affermare questo mio passaggio. Mi sento come rigenerata, liberata... Che bella sensazione finire gli aggettivi in "A" invece che in "O"! Lo facevo anche prima ma inconsciamente mi sembrava una forzatura e.... ma avrei fatto meglio ad andarmene senza dirti niente!

Prende la lettera, l’accartoccia con rabbia. Leo si riprende dalla sorpresa, è subito allegro.

LEO - No... hai fatto benissimo, anzi... vieni in cucina, hai fame? Ho scongelato la polenta, e adesso faccio una frittata. Ti va di preparare un'insalata? Ih, che curioso! Mangiamo tutte cose che finiscono in "A"!

Ridono entrambi.

Ada continuerà, in una lunga serie di dialoghi sempre a due, ora con l’uno ora con l’altro dei personaggi maschili, a raccontare con molto realismo e partecipazione versioni completamente differenti ma sempre drammatiche della propria vita e dei motivi che l’hanno portata ad essere sola e bisognosa di rifugio. Telefonate e messaggi dall’esterno infittiscono il mistero. I due uomini sono fortemente intrigati e, ognuno a proprio modo, si innamorano di Ada sconcertati da una donna che distrugge tutti i loro punti di riferimento sul mondo femminile. Mantengono però una diffidenza vicina alla paura che li porta a frugare assieme tra le sue cose, senza per altro trovare nulla di chiarificatore. Scoperti sul fatto da Ada, si ritrovano di nuovo soli, con la loro vita tranquilla e sicura ma con l’impressione di aver perso l’occasione di volare più in alto.

ESERCIZIO 2 – come si presenta il/la protagonista

La storia è quella di un intellettuale in un paese africano appena uscito da una feroce guerra interna, ai giorni nostri. Si fanno i conti con il passato, il presente e il futuro.

1° versione
Tharcisse posa i fogli con il notiziario sul tavolo e va a sedersi sul divano, che era vecchio già prima della guerra, si toglie gli occhiali e si stropiccia gli occhi affaticati. Cinquant’anni portati bene, dicono tutti, ma, come dicono tutti, agli africani non sai mai che età dare. Riapre gli occhi e si guarda attorno.

Tharcisse - Bosco!
Bosco - Sì?
Tharcisse - Domani mattina, puoi provare per piacere a sistemare un po' questa stanza? Per comperare un divano nuovo è ancora presto, ma almeno un'atmosfera più pulita in questa radio potremmo cercare di crearla, no?
Bosco – Direttore, io ci provo, ma è la stagione secca, c'è sempre polvere in giro!
Tharcisse - Riprovaci Bosco. Con la stagione delle piogge ci sarà sempre fango, in giro!

2° versione
Tharcisse rilegge i fogli del suo notiziario. Le sue mani nere di africano posano lentamente i fogli, e su questi gli occhiali. Le mani stropicciano gli occhi. La stanchezza e il dolore passano in un lampo, le mani riprendono fogli e occhiali. Tharcisse entra deciso in sala radio.

Esercizi di Paolo Maddonni, volontario di Legambiente

Commento di Gianfranco Manfredi

Non ho molto da eccepire sui tuoi esercizi perché la valutazione non può prescindere da quello che intendi raccontare. Questo non è comunque un rilievo secondario, perché le presentazioni grosso modo possono essere di due tipi: c’è chi intende la presentazione come prologo a sé. E’ l’uso più tipicamente cinematografico. Un esempio possono essere le presentazioni che Sergio Leone fa dei protagonisti dei suoi western ( per esempio Il buono, il brutto e il cattivo, o C’era una volta il West). Queste presentazioni sono dei brevi film nel film. Hanno un inizio e una conclusione. Gli esempi de Il Laureato o di Io la conoscevo bene sono anch’essi dello stesso tipo: la scena o le scene in cui si presenta il/la protagonista hanno qui una loro circolarità. Vedi come viene usato l’acquario ne Il laureato (insieme apertura e chiusura dell’interno casalingo e dilatazione di quanto lasciato intuire all’inizio dall’espressione persa e quasi “autistica” del protagonista). Vedi l’apertura del film di Pietrangeli con la Sandrelli distesa sulla spiaggia e poi, dopo una breve corsa, di nuovo distesa nel negozio. Struttura circolare,chiusa in sé. Un perfetto ritratto. Questa è personalmente la forma che preferisco. La presentazione del protagonista è un film nel film, un prologo in qualche modo autonomo. A dirla in termini musicali, una ouverture.
C’è un altro uso, più corrente nel cinema italiano di questi anni, in cui la presentazione del protagonista non è una scena distinta, ma sono, per così dire, le prime righe di una narrazione, il puro starter. In questa forma, la prima scena non è una scena conchiusa , è legata al seguito, da sola dice poco. Questa forma , secondo me, è molto meno espressiva. Può adattarsi a racconti in cui il protagonista è colui che ci conduce nella storia,non è né il centro, né la vera guida della storia. Il vero protagonista è, in questo caso la storia, della quale il protagonista è o tende ad essere mera funzione. Nel tuo primo esercizio, i dialoghi (interessanti e ben scritti) sono piuttosto lunghi per una sceneggiatura cinematografica . Dialoghi lunghi non sono in assoluto sconsigliabili, ma presentano una controindicazione: una certa stasi che contrasta con il movimento e la rapida scansione ritmica, propri del cosiddetto cinema/cinema. La presentazione di Ada (i discorsi su di lei, la sua mano che sbuca dalla letto, lei che infine appare) è suggestiva. Tuttavia la scena mantiene un che di non concluso, resta racconto allo stato fluido. Ciò è ancor più evidente nel secondo esercizio. Qui i due diversi sviluppi ti pongono di fronte a un bivio. Non hai ancora scelto quale direzione prendere, ma questa scelta è fondamentale per chiarirci il protagonista. Nel primo caso, Tharcisse reagisce alla sua melanconica stanchezza, buttando la sua frustrazione all’esterno ( il suo collega che non ha pulito, l’ambiente sempre in disordine); nella seconda, invece, non si lamenta di nulla e di nessuno, si riscuote e con passo deciso comincia la sua giornata di lavoro. E’ evidente che si tratta di due sottolineature opposte. Quale corrisponde meglio al carattere di Tharcisse? E’ un capo naturale che cerca di dare compiti agli altri e trova all’esterno, nella pratica, la soluzione ai propri dubbi, oppure è un individuo che è abituato a reagire da solo, a fare anzitutto i conti con se stesso? Il modo in cui hai descritto la situazione “la stanchezza e il dolore passano in un lampo” potrebbe suggerire anche un terzo risvolto psicologico: il protagonista tende a mettere sotto il tappeto i propri problemi, a reagire con un “fare” piuttosto cieco. Insomma la non chiarezza della presentazione iniziale, riflette il fatto che non hai ancora scelto quale tipo di protagonista vuoi raccontare. Ecco perché in genere io consiglio e preferisco una presentazione “chiusa”, a tutto tondo, perché non lascia equivoci sulla natura del protagonista, sulla sua psicologia. L’altra soluzione per uno sceneggiatore è sempre molto rischiosa: presumiamo che poi tutto si chiarirà nel corso della storia, ma riusciremo a farlo, se non ce lo siamo chiarito prima noi? Oppure la storia ci prenderà la mano e il protagonista sarà solo funzionale a quello che vogliamo fargli fare, smarrendo così la credibilità psicologica?

* ESERCIZIO DI LUCA DE GASPARI

IL CONIGLIO AZZURRO

IL PERSONAGGIO- Luca Tresi é l’uomo del momento, famosissimo per le sue performance televisive, venerato da tutti come un Dio e da tutti considerato come un uomo arrivato. Lui, da parte sua, si sente davvero un divo, è arrogante e presuntuoso, disprezza la gente comune incurante del fatto che a loro e solo a loro deve il suo successo, maltratta la sua compagna e spende i suoi molti soldi in ville, auto e tutto quello che serve a dimostrare di essere il più ricco.
Naturalmente sotto la copertura di un velo di apparente disponibilità verso tutti. Un giorno è costretto a tornare al suo paese natale per il matrimonio della sorella.
Tresi è nato in un piccolo paese della provincia di Treviso, non più di mille abitanti dalle possibilità, ma anche dalla mentalità, ristrette e dal quale è “fuggito” in cerca di fortuna. Dopo aver sfondato non ha più avuto né voglia né occasione di tornarci per cui non rivede la famiglia e gli ex amici da anni.
Il suo arrivo in paese provocherà non pochi attriti con gli abitanti, i quali lo considerano comunque l’orgoglio del paese ma che lui deluderà profondamente, soprattutto quello che un tempo era il suo migliore amico e che adesso è sposato con la ragazza che Tresi ha abbandonato appena arrivato al successo; l’amico è l’unico a non celebrarlo, proprio perché lo conosce bene, ma è sempre stato considerato invidioso dalla gente del paese.
Solo alla fine il pubblico scoprirà che Tresi, in televisione, fa la parte di una sorta di gabibbo incapace ( vestito da coniglio azzurro) e gira la ruota in un quiz televisivo, niente di cui andare fieri ma comunque venerato da un pubblico televisivo sempre più condizionato e sempre meno esigente. Questa in breve la storia completa

LA SCENA INIZIALE si apre alla stazione e vede un uomo sulla cinquantina (il padre di Luca
Tresi) chiacchierare con una donna più o meno della stessa età (la madre di Luca). A entrambi si legge in faccia la soddisfazione e l’orgoglio che provano mentre riportano alla memoria frammenti del passato del figlio quando da ragazzo viveva in paese, dimenticando ovviamente gli aneddoti negativi. I due ricordano il giorno della prima comunione <piccolo, quant’era carino con quel vestito bianco e come andava fiero del passo importante che stava per compiere…>, il suo andamento a scuola <se lo vedesse ora il professore di fisica, quello che lo considerava poco più di un babbeo e che lo accusava sempre di essere un lavativo...> , come anche il suo successo con le ragazze <… e quella ragazza… Carla mi pare, non ricordo, come le voleva bene, era davvero innamorato… ha fatto bene però a lasciarla… accusarlo così di averla tradita senza nessuna prova...>.
La scena si alterna con quella che vede Roberto, l’ ex migliore amico di Luca, seduto a tavola con la moglie Claudia (ex fidanzata di Luca) mentre discutono dell’imminente arrivo di Luca.
Roby <che c’è, tu non vai ad accoglierlo alla stazione? Non vuoi avere l’ onore di salutare per prima il grande Luca Tresi?>
Carla <ma non ti vergogni a parlarne così? Una volta eravate inseparabili, guai se qualcuno parlava male di lui, ed ora guardati, invidioso di lui solo perché è arrivato dove voleva arrivare>
Roby <invidioso io di uno che appena vede la celebrità se ne strafrega degli amici? Invidioso di uno che lascia la sua ragazza solo per essere libero di scoparsi produttrici e chissà….. magari anche produttori…>
Carla <io e lui ci siamo lasciati per altri motivi, motivi che non ti riguardano…>
Roby <hai ragione non mi riguardano… ma sta di fatto che per me si è comportato da vigliacco…nei miei confronti, nei tuoi e di tutto quel paese che adesso lo crede un padreterno…>
Nuovo stacco. Ora si vede un primo piano di un uomo, sui 25-30 anni, seduto sul sedile di un
treno mentre guarda fuori dal finestrino. In profondità di campo due ragazzine puntano l’uomo con il dito e parlano tra loro, eccitate dalla sua presenza (si capisce che si tratta proprio del protagonista).

Esercizio di Luca De Gaspari, studente

Commento di G.M.

La traccia va bene, ma dovresti curarla di più, a cominciare dai dialoghi. Il tuo dialogo è troppo scritto, le persone nella vita reale non parlano così. Per esempio nessuno direbbe “guardati, sei invidioso di lui perché è arrivato dove voleva arrivare”, è più diretto ed efficace un semplice “guardati, crepi d’invidia”. Inoltre questo secondo dialogo ( tra Roberto e Carla) spiega troppo. E’ meglio scoprire dopo, nel corso della narrazione, il retroscena , cioè il fatto che Roberto era il miglior amico di Luca e Carla la sua ex ragazza. I dialoghi non devono essere didascalici, cioè utili solo a dare informazioni al pubblico, ma sono l’espressione dei personaggi. Ciascuno deve avere il suo modo di parlare, esprimere il suo carattere attraverso il proprio linguaggio.
Trattandosi inoltre di abitanti di un piccolo paese, la cosa sarebbe più esplicita se ogni tanto usassero qualche espressione dialettale.

Circa l’apparizione del protagonista, leggi bene la seconda lezione. Così come lo vediamo, senza nessun tipo di sottolineatura, il personaggio è uno qualsiasi, chiacchierato, mostrato a dito,ma qualsiasi. Devi trovare il modo di far capire al pubblico chi è, non tanto e non solo come identità , ma lo stato d’animo in cui si trova in quel momento.
Sarà bene che tu ti chiarisca anche un altro punto. Come mai il tuo protagonista arriva in treno? Se vuoi farlo apparire come un vanitoso che vuole dimostrare a tutti il suo successo, sbarcare da un treno locale non è certo il massimo. Se invece arriva in treno, dovresti trovare il modo di giustificarlo (è capitato qualcosa alla sua macchina o cos’altro? Nessun personaggio famoso prende un treno locale, piuttosto noleggia una macchina). E una volta sul treno , cerca di farsi notare in tutti i modi per appagare la sua vanità, oppure cerca di passare inosservato? In quest’ultimo caso, magari gli sta sulle palle il suo paesino d’origine e quel viaggio obbligato per il matrimonio della sorella per lui è una seccatura, e gli è seccato ancor di più dover prendere il treno. Si è messo gli occhiali neri, con il solo risultato di farsi notare di più. E poi concludi la scena. Per esempio le ragazze gli si avvicinano per chiedergli se è davvero lui “quello che sta in televisione” (il pubblico di rado conosce i nomi di chi vede in TV, storpia persino quelli dei famosissimi) e lui nega, sgarbato. Così rimarcheresti il suo carattere scostante.

Ho molti dubbi sul fatto che soltanto alla fine si sappia che Luca si esibisce in Tv vestito da coniglio. Un finale così andrebbe bene per un cortometraggio, ma per un film sarebbe un peccato scoprirlo solo alla fine. Lui per tutti è e deve essere il coniglio azzurro. ( Se hai notato, visto che non avevi dato un titolo al film, mi sono permesso di darlo io, e l’ho chiamato proprio così ). Qualcuno potrebbe anche chiedergli di esibirsi in costume alla festa del matrimonio. Insomma l’idea ti darebbe occasione per parecchie situazioni nel corso della narrazione, perché buttarla via? La sorpresa finale non è indispensabile in questo genere di film. Stai tracciando un profilo psicologico, il vero problema è se Luca, dopo il suo ritorno in paese, cambierà oppure no, recupererà il rapporto con gli amici o lo manderà all’aria. E soprattutto , data la metafora del coniglio, avrà coraggio con gli altri e con se stesso o continuerà a rifugiarsi nell’ipocrisia?

* ESERCIZIO DI LUCA BARBIE

RAVEN RIPLEY ( UN WESTERN)

Nella piatta desolazione di una pianura semi-desertica cavalca lentamente una donna.
Ciò che colpisce immediatamente di lei è l’espressione del viso, un misto di immensa stanchezza e di triste malinconia. Ha l’aria di chi ha appena attraversato a piedi l’inferno e sa che deve tornare indietro a prendere qualcosa che ha dimenticato. Nondimeno nel suo occhio (unico occhio) brilla una scintilla di rabbiosa determinazione.
La donna è bella, sensuale; dimostra circa una trentina d’anni, anche se l’impressione che da è quella di chi abbia vissuto fin troppo a lungo, di chi sia stato in un certo modo prosciugato dalla vita.
Ha una benda nera che le copre l’occhio sinistro; il destro risplende di un azzurro intenso, come un lago di montagna che riflette l’immensità del cielo che lo sovrasta. E’ limpido, ma non sereno. Si muove inquieto, a scrutare l’orizzonte, alla costante ricerca di un pericolo. Il contrasto nero-benda/azzurro-occhio è analogo a quello della splendida Darryl Hanna in Kill Bill; a Raven manca però la malvagità che traspariva palese dalle espressioni di quel personaggio.
I capelli sono corvini, lunghi e sciolti sulle spalle; sono poco curati, non per trasandatezza, comunque, ma per gli ovvi disagi del viaggio. Li copre un vecchio Stetson dalla tesa larga e floscia, con una penna di gallo infilata nelle cuciture, unico segno di vanità nell’apparire della ragazza.
Il vestito, concepito per essere comodo e non elegante, è di cotone grezzo, simile a quello dei peones messicani; è nero, ma talmente logoro e impolverato che il colore ha stinto, virando su un’imprecisa tonalità scura.
La donna cavalca un pezzato; è abbandonata sugli avambracci che poggiano sul collo dell’animale.
Tutto di lei ha il sapore del vecchio, del vissuto, di qualcosa di stanco che più che camminare, barcolla, ma va ugualmente avanti.
Solo le armi che porta con sé danno un’idea di perfetta efficienza: luccicano al sole, sono ben oliate, per nulla sporche o rugginose. Un Winchester modello 73 dal calcio intarsiato in argento e avorio è legato alla sella, di traverso, insieme ad una coperta arrotolata e ad un cinturone con due fondine dalle quali spuntano i calci di due Colt. Quest’ultimo dondola dalla sella, oscillando come un pendolo mortale che scandisce il pigro ritmo del viaggio. Alla vita, legata da un laccio di cuoio, fa bella mostra di sé una navaja dal manico in osso.
Insieme alle armi e alla coperta, legato da una corda di canapa alla sella, dondola un sacco di iuta dal contenuto misterioso. I legacci sono però leggermente lenti e, con un po’ d’attenzione, si può intuire, più che vedere, una forma leggermente allungata, simile al cranio di un uomo; qualcos’altro, poi, sagome incerte: una croce metallica e multicolori piume d’uccello; così pare, almeno. Il sacco è comunque piuttosto voluminoso e deve perciò contenere molte altre cose.
Ultimo particolare: la donna ha legata sulla schiena, alla maniera indiana, una culla di vimini intrecciati. La testolina di un bimbo sbircia il panorama, opportunamente protetta da un panno. E’ difficile dare un’età al bambino: apparentemente dimostra circa un anno, ma lo sguardo è duro e fermo come quello di un uomo adulto.
I due, madre e figlio, cavalcano verso una città ai margini del deserto. In tasca una lettera che reclama i loro servigi e un rotolo di banconote come incentivo. Sulle loro teste, da secoli, una maledizione che li ha privati dell’anima.

di Luca Barbie

COMMENTO DI G.M.

Va bene, nessun particolare commento da fare. Interessante l’idea di presentare la protagonista per dettagli e il fatto che l’ultimo particolare (il bimbo sulla schiena) chiuda la presentazione con un tocco di sorpresa finale. Il tipo di stile che hai usato però è più da soggetto che da sceneggiatura. In sceneggiatura si descrive ciò che si vede dunque non hanno alcun senso notazioni come quelle dell’ultimo paragrafo. Due dettagli mi sembrano da evitare: 1. non bisogna mai in una sceneggiatura, e non è consigliabile neppure in un soggetto, fare riferimenti espliciti ad altri film (nel caso, quello a Kill Bill). Questi riferimenti,abituali in una sceneggiatura per fumetti, in un copione cinematografico invece di orientare disorientano , non aiutano a precisare il nostro film ,a meno che questo film non sia pensato proprio come un insieme di citazioni sottolineate. Per un attore che legge la sceneggiatura, poi, venire associato a un altro attore è offensivo. L’attrice protagonista,può pensare, nel caso, che la “prima scelta” fosse la Hanna e poi si é ripiegato su di lei. In ogni caso andrebbe in confusione : ma cosa devo fare? Interpretare il mio personaggio o fare l’imitazione di Darryl Hanna? 2. La descrizione del quasi-neonato è un tantino ridicola: che cosa vuol dire che il suo sguardo è “duro e fermo come quello di un adulto”? E’ Rosemary’s Baby? Come lo rendi questo effetto , come fai a evitare che risulti comico? Qui tu cumuli due effetti in uno. Il primo effetto è che la fosca pistolera ha un inatteso risvolto materno e caritatevole (il bimbo sulla schiena che, in questo caso, dovrebbe essere un bel bimbo placidamente addormentato). Il secondo effetto, lo sguardo “adulto” del bimbo, casomai dovrebbe scattare dopo ( il bimbo apre gli occhi di scatto e negli occhi brilla una luce oscura,per esempio, il che aiuterebbe a chiarire che “è privo dell’anima”, cioè per essere efficace dovrebbe essere più esasperato di un semplice “sguardo da adulto”. Tra l’altro, cosa dovrebbe fare il povero regista? Dire al suo attore di un anno “fai lo sguardo da adulto”? Deve trattarsi per forza di un effetto speciale). Ma a cosa ci porta questo secondo effetto? Il bambino a un anno, di certo non spara. Dunque? Qual è il suo ruolo? Guarda le spalle alla madre e la avvisa mettendosi a berciare quando vede arrivare qualcuno? E’ un bimbo da difendere, non è ha bisogno, o è lui a difendere la madre? E come? Ha i superpoteri ? Insomma questo dettaglio è tutto da chiarire in funzione dei suoi sviluppi. Se non comporta scelte narrative successive (umoristiche, drammatiche o grottesche) è inutile e rischia di essere controproducente. Ma soprattutto: ne vale la pena? Questa è una questione molto importante. Un fumetto si disegna, un film è un’operazione molto concreta che ha costi economici. Ogni parola che scriviamo in sceneggiatura comporta una spesa e un problema pratico: i cavalli costano, costa l’affitto della sella costa ogni singolo colpo sparato. Un bambino di un anno in scena (sotto il sole, tra l’altro) è un carico molto gravoso, anche quando è presente solo per pochi secondi in un film, figuriamoci per l’intero film. Ci sono leggi a tutela dei minori , tanto per dirne una. Di fronte all’uso di un bambino vero di un anno come co-protagonista, il produttore che legge la sceneggiatura stai sicuro che la richiude subito. Persino in “Tre Uomini e una culla” nella maggior parte delle scene, il neonato è un bambolotto Allora, il nostro è un bambino di Rambaldi? Anche questo costa una cifra che sottrarrà denaro ad altre scene o situazioni del film. Uno sceneggiatore esordiente può pensare che al cinema ci si può permettere di tutto. Non è così. Un film fin dal momento della scrittura dev’essere condotto all’interno di un budget oggetto di mille controlli. Attenzione a non scrivere dei film velleitari che comportano costi esagerati per realizzare situazioni non fondamentali per il film. Magari il produttore farà finta di niente, ma poi state certi che quelle scene verranno eliminate. Quando scriviamo dobbiamo sempre tenere in testa che il film deve essere “fattibile”.

Lezione di Gianfranco Manfredi  by www.gianfrancomanfredi.com  (5/05)