I GENERI MODERNI

A) L’EPICA COME CONTAMINAZIONE

Nelle tre precedenti lezioni, a proposito delle origini dei Generi, abbiamo visto che secondo Aristotele essi sono tre: la Commedia, la Tragedia e l’Epica. Quest’ultima è una contaminazione tra i primi due generi.
Per capire bene cosa si possa intendere per “contaminazione” , torniamo al cinema d’azione e consideriamo un tipo di film che non rientra nel modello James Bond , di cui si è trattato nella precedente lezione, e cioè il film di gangster.
Che si prenda a riferimento un film classico, già considerato nelle prime lezioni, come Pericolo Pubblico n.1 (White Heat , 1948) di Raoul Walsh con James Cagney, oppure Carlitos’ Way (1993) di Brian de Palma con Al Pacino, o il recente The Pusher (Layer Cake, 2005) di Matthew Vaughn con Daniel Craig, il discorso (dal punto di vista della struttura narrativa ) non cambia. Gli elementi fondamentali sono questi:

1. L’eroe è un criminale , dunque non incarna valori morali
2. Il linguaggio non è affatto elevato, ma “basso” e gergale
3. L’eroe , nella sua spavalderia o con la sua indubbia capacità a togliersi dai guai, può persino apparirci simpatico
4. Le sue convinzioni, in genere piuttosto ciniche, sovvertono e trasgrediscono i luoghi comuni circa i ruoli sociali
5. L’eroe è attivo, non subisce passivamente i fatti, anzi dà origine alle azioni e quando le conseguenze rischiano di travolgerlo, reagisce da vincente

Come si vede, fin qui siamo pienamente all’interno delle caratteristiche che Aristotele assegnava alla Commedia, ma andiamo avanti…

6. L’azione è protagonista assoluta, sono gli eventi che scandiscono la vicenda, sempre più
vorticosi e incalzanti
7. Per quanto si consideri (e si dimostri) padrone nel suo destino, l’eroe più sale i gradini della sua carriera, più si manifesta vincente, e più crea le condizioni della sua sconfitta finale
8. La sconfitta finale dell’eroe assume un rilievo simbolico: è la materializzazione del suo Fato

Queste altre sono caratteristiche tipicamente tragiche.
Riguardo in particolare all’ultimo punto: famosa la battuta con cui James Cagney, braccato dalla polizia, salito in cima a un enorme serbatoio di gas, prima della sua inevitabile fine, riassume insieme la situazione e il senso della sua vita: Made It, Ma! Top of the World! (Ce l’ho fatta, mamma! Sono in cima al mondo!).

Abbiamo così esemplificato come il racconto epico (d’azione) accolga e fonda in sé elementi diversi e opposti. La “contaminazione” tra stili e generi, non è affatto un modello estetico tipicamente moderno, è anzi all’origine del racconto stesso.

B) IL CINEMA E LO SVILUPPO DEI GENERI

Abbiamo già fatto notare come la Poetica di Aristotele sia un testo giuntoci incompiuto.
Non possiamo dunque dire con certezza se il filosofo greco si sia fermato all’individuazione/disamina di questi tre generi fondamentali, oppure (come è molto probabile da indicazioni sparse nel testo) si sia diffuso anche su altre strutture narrative (la poesia lirica, per esempio) e forme di rappresentazione (il balletto, le attività circensi, la mimica), non solo nelle loro origini, ma nel loro divenire dopo che i generi fondamentali si sono strutturati. Quel che è certo, è che la storia della letteratura, del teatro, dello spettacolo in genere e del cinema (nelle loro reciproche influenze) hanno nel tempo dato luogo a una serie infinita di variazioni e di sfumature, a tal punto che oggi si stenta a volte a riconoscere il Genere di appartenenza di un certo lavoro e che ne se sfornano in continuazione di nuovi, spesso etichette vacue e passeggere. Ciò non significa che le indicazioni “fondative” di Aristotele siano da considerare ormai irrilevanti, anzi prenderle come riferimento può aiutarci molto a non disperderci nella jungla dei generi e dei sotto-generi.

Per restare al cinema, alcuni generi, cosiddetti codificati, non lo sono affatto,anzi per certi versi non sono nemmeno da considerarsi generi veri e propri. Ad esempio il Western. E’ davvero un genere? Dal punto di vista narrativo e di struttura, no. Si sono fatti western di tutti i generi: musicali, sentimentali, storici, fantastici, ideologici, erotici, western-commedia, epici e tragici. Il “Genere Western” come tale non esiste, definisce solo uno scenario, non una struttura di racconto. (Per chi di voi conosce l’inglese e sia interessato a questo tema, consiglio il bel saggio di Scott Simmon , The invention of the Western Film, Cambridge University Press, 2003).
Altri generi hanno invece costituito nel tempo un unicum di tutto rilievo, apparentemente con caratteristiche tutte proprie.
E’ il caso del cinema Horror.

C) IL GENERE HORROR

Partiamo dall’attuale mainstream, cioè dal soggetto prevalente nella produzione corrente di cinema horror.

Un gruppo di persone (in genere giovani , con ragazze molto attraenti) riunite in un unico ambiente (una casa, un campeggio vacanze, una scuola, una piccola città, un’isola o una landa desolata) viene massacrato un poco alla volta (uno per uno) dai Mostri o dal Mostro di turno. Alla fine i sopravvissuti sono solo uno o due , ma il finale resta comunque aperto… uno dei sopravvissuti, marchiato dal trauma, potrà ripetere gli omicidi efferati diventando a sua volta Mostro, o il Mostro potrà risorgere in cerca di nuove vittime.

cinema HorrorNon sarebbe neppure necessario citare dei film, la lista sarebbe lunghissima e ciascuno di voi può ricordarne senza sforzo almeno una dozzina. Si ritiene in genere che questo modello di racconto origini da alcune celebri serie anni 70/80, come Non aprite quella porta, Le colline hanno gli occhi, Venerdì 13, Nightmare, Halloween, Evil Dead eccetera. Però non è affatto così. Questo stesso soggetto era stato messo in scena nei film di Mario Bava e prima ancora nei B-Movies di registi come Gordon H. Lewis, ma non può dirsi tipicamente horror in quanto è stato usato ampiamente anche nel cinema di fantascienza, nel cinema catastrofico e persino nel giallo. Basti pensare a Dieci piccoli indiani di Agata Christie (1939) romanzo, poi lavoro teatrale e spunto di molte trasposizioni cinematografiche, fondato appunto sullo stesso meccanismo “ad eliminazione”. Lo stesso Maria Bava e dopo di lui Dario Argento hanno mescolato nei loro film queste due distinte ascendenze: il giallo e l’horror.

Ma cosa comporta questo meccanismo dal punto di vista dei personaggi?

1. I personaggi vengono creati per essere eliminati , non sono che mere e stereotipate caratterizzazioni.
2. I personaggi sono tutti passivi, subiscono gli eventi e vanno incontro al loro inevitabile destino, che è poi un autentico martirio.
3. Il vero protagonista (cui viene dedicato tutto lo sforzo creativo) è il Mostro.
4. Il Mostro, che nessuno riesce mai ad eliminare definitivamente , simboleggia né più né meno che la Morte.

cinema Horror 2Se ne potrebbe dedurre che questo genere di racconto sia tipicamente, esasperatamente tragico. Eppure non è così in quanto nessuno tra i personaggi (a parte la Morte stessa) grandeggia, e il tono non è affatto elevato, ma al contrario esplora fino in fondo ogni bassezza umana e disumana. Tanto meno può definirsi Commedia, stante la passività dei personaggi, la quasi assoluta mancanza di “positività” , lo scarso approfondimento dei ruoli sociali e delle psicologie. E nemmeno, pur se predomina l’azione più forsennata, può venire definito Epico, in quanto nessun personaggio (a parte la Morte) assurge al ruolo di eroe e i singoli protagonisti non sono affatto tali, ma membri di un “coro” progressivamente falcidiato, funzionali solo al proprio (pre-scritto) fallimento: non hanno neppure il tempo per trarre un bilancio del loro Destino, la loro Fine è spesso e volentieri gratuita.

Abbiamo già detto che questo tipo di soggetto non è necessariamente horror. Ma va anche aggiunto che ci sono una quantità di horror che non si fondano affatto su questo meccanismo. Anzi gli horror che hanno fatto la storia del cinema, che ne hanno cioè mutato gli indirizzi, dando il via a una serie di imitazioni a catena, hanno tutt’altra struttura, come i film di Roger Corman tratti da Poe, come Psycho, Rosemary’s Baby, L’Esorcista, Lo Squalo e se vogliamo anche il recente The Ring. Qui un chiaro protagonista c’è sempre, anche più di uno, e non coincide sempre ed inequivocabilmente con il Mostro. La narrazione è varia, mutevole, non ripetitiva, ricca di scansioni e ritmi diversi, e sovente al di fuori di uno stretto codice di genere.

Inoltre, non mancano certo i film narrativamente fondati su questo meccanismo,ma che lo hanno però modificato e alterato in profondità, soprattutto nel rilievo assegnato ai personaggi. Ad esempio Alien, nel quale non si può certo dire che il personaggio di Ripley sia una mera caratterizzazione.

Dunque: cosa definisce il genere Horror? Non il soggetto, non la struttura narrativa, non la gerarchia tra i personaggi , il loro maggiore o minore rilievo, ma la decisa selezione del punto di vista emotivo. E’ “cinema di paura”. Deve far paura. Si fonda cioè su un patto stabilito con il pubblico e che non può venire tradito pena il totale fallimento del lavoro. Insomma, l’horror, che la critica ufficiale troppo spesso tende a classificare come esteticamente scadente e degradato, si definisce invece in virtù di una specifica ricerca di stile. E’ lo stile che definisce l’horror, non il racconto, come bene ha mostrato Alfred Hitchock nei suoi film, coniugando tutte le sfumature del “brivido”: la Morte può far fremere e subito dopo suscitare un sorriso liberatorio (La congiura degli Innocenti) , può fare inorridire per crudezza realistica (Frenzy), può allucinare attraverso il delirio delle immagini (Psycho), o creare un senso di attonito e disarmato stupore come di fronte a un’inspiegabile apocalissi collettiva (Gli Uccelli).
In un film di paura, l’importante non è la storia, ma come la si racconta. La storia è giusta se fornisce occasioni per la paura. Ma è il modo in cui si raccontano le situazioni, non le situazioni stesse, che individua e precisa la sfumatura prescelta, su un arco emotivo che va dalla “semplice” suspense all’orrore (e dall’orrore al ripugnante). Queste sfumature sono il vero soggetto/oggetto della narrazione.

Abbiamo così qualcosa di apparentemente nuovo, rispetto alla codificazione classica. Non semplicemente gli eventi come protagonisti, ma una particolare emozione come vero centro narrativo, come focus.

Da questo punto di vista, l’Horror, come genere, ha la stessa natura del Comico, del Sentimentale, dell’Erotico/Porno: l’Horror deve fare paura, il Comico deve far ridere, il Sentimentale deve commuovere, l’Erotico e il Porno devono eccitare sessualmente. E’la storia, è il tipo di personaggio o di personaggi protagonisti a determinare il Genere? No, è l’emozione che vogliamo trasmettere e per farlo le scelte stilistiche devono essere estremamente consapevoli e sapersi anche continuamente aggiornare, in quanto ciò che fa paura oggi, domani (con la ripetizione e l’abitudine, con la mutata sensibilità del pubblico) non farà più paura. Questi generi estremi sono dunque condannati alla perpetua ricerca espressiva, che muove dalla conoscenza della tradizione precedente, ma che fondandosi sulla mutevolezza delle passioni e del sentire comune, deve costantemente rinnovarsi, se non vuole perdere sintonia con il pubblico.

Riprendendo Aristotele, questi generi sono da considerarsi precedenti al racconto strutturato: nascono intorno a un’emozione, si esprimono per frammenti, sono funzionali non ad un equilibrio interno, ma rispetto al rapporto con il pubblico che è lì, in quel momento dato.
E’ evidente che certe pulsioni “primitive” hanno nella storia dell’Umanità una permanenza che va al di là delle epoche e dei costumi e che si annidano profondamente nell’inconscio collettivo, dunque questi generi non sono necessariamente “datati”, ma è altrettanto indubbio che la forma espressiva è determinante nella loro efficacia. Il Fantasma dell’Opera di Rupert Julian con Lon Chaney è un grande film che può venire gustato ancor oggi, ma certo non può suscitare in sala la stessa paura che suscitò all’epoca della sua uscita. Analogamente, il cinema erotico dell’epoca del “si vede, non si vede” non può certo destare gli stessi turbamenti sul pubblico degli adolescenti di oggi.
Alcuni di questi film possono diventare dei Classici, ma l’Horror (e in generale il cinema dei generi sopra indicati) è un cinema per definizione Anti-Classico. Un’esperienza visiva già vissuta molte volte, non è necessariamente noiosa, anzi può confortare, risultare gradevole, persino desiderata e appagante, ma l’Horror non può permettersi di essere confortante, né gradevole, e per risultare appagante deve sconvolgere l’abitudine. L’emozione è tanto più forte, quanto più vicina al momento sorgivo, quando cioè si ha la sensazione di provarla/scoprirla per la prima volta in quel momento, quando ci colpisce perché inattesa e imprevista.
Insomma: i generi che Aristotele indicava come sorgivi ( precedenti alla narrazione strutturata) sono per loro natura destinati a ritrovare costantemente questa primitiva , originale purezza e forza sorgiva.
Non sono generi eminentemente “scritti”, o comunque non scritti in modo tradizionale, come appunto si scrive “una storia” , perché ciò che conta non è tanto il cosa si racconta, ma il come lo si racconta. A volte può trattarsi di semplici canovacci , a volte possiamo invece trovarci di fronte a una selva di indicazioni talmente minute da parere ossessive.
Infine, si tratta di cinema “fisico”. Il dialogo conta sempre molto poco. Conta quello che vediamo accadere. L’Horror (in questo è simile al porno) è rimasto ancora “cinema muto” (si sentono più urla e rumori che discorsi).

Sempre dal punto di vista della sceneggiatura, tenete conto del fatto che l’Horror ( per origine e per storia) è racconto per frammenti. In altre parole, sono le singole scene (per esempio il modo in cui avvengono le singole uccisioni) ad essere dominanti sulla storia, non viceversa. La storia va costruita a partire dalle scene, non le scene dalla storia.

La stessa cosa vale del resto per il cinema comico: si tratta di fornire al comico situazioni che siano fonte di risate, a prescindere dalla plausibilità del racconto, tanto anche il racconto più strutturato e plausibile, in mano a un comico, verrà sempre e comunque trasgredito da una recitazione sopra le righe o fuori da ogni registro di credibilità psicologica e di coerenza narrativa. I veri comici sono anarchici per natura, devastano ogni ordinata scorrevolezza del racconto. Come ha detto in un’intervista Vicenzo Cerami, lo sceneggiatore di Benigni, “ a Roberto bisogna dare dei binari.” Cioè il lavoro dello sceneggiatore, in casi del genere, è precisare una situazione definita, uno spunto, una cornice, nella quale il comico possa sprigionare tutta la sua carica espressiva. Senza questo “binario” spesso la comicità si perde in totale insensatezza, non trova né radicamento, né misura, né tempi. Ma un testo troppo definito nei dettagli e nei dialoghi, può invece imbrigliare l’espressività del comico, avvilirne le qualità “sorgive”. Approfondiremo questo tema nella prossima lezione, che verterà appunto sulla differenza tra commedia cinematografica e cinema comico.

Torniamo all’Horror: questi stessi binari, queste situazioni forti di riferimento, come sceneggiatori non dovrete pensarli per l’attore, ma per il regista. Il più delle volte sarà il regista stesso a dirvi: “vedo una scena così… e un’altra così” e starà a voi metterle per iscritto e poi escogitare delle scene di raccordo che possano giustificare o comunque unire quei frammenti in una narrazione d’insieme che si preoccupi di conservare una qualche logica. Ma ponetevi comunque il problema, d’intesa con il regista, di escogitare altre scene “forti” sulle quali scandire il racconto nel corpo di un tessuto narrativo unitario, altrimenti alla fine si avrà un film squilibrato, in continua alternanza tra scene clou e scene di puro raccordo, costrette ad equilibrismi narrativi pur di dare una qualche parvenza di coerenza all’insieme.
Se viceversa, magari trasponendo in film un racconto o un romanzo ben strutturato, avvertite che le situazioni sono troppo poche, dovrete aggiungerne altre, oppure concentravi su quelle poche, ma curandole al dettaglio, in modo che possano sprigionare la massima potenza espressiva.

Un esempio.

Nel romanzo Shining di Stephen King, le situazioni potenzialmente paurose sono troppe per un film di due ore e alcune di esse (per esempio i cespugli del giardino-labirinto scolpiti a forma di animali che si animano ) non sono cinematografabili a meno che non si voglia rischiare un tipo di grottesco che può facilmente sfociare nel ridicolo. Stanley Kubrick dunque, nel film tratto da Shining, decide di ridurre drasticamente le situazioni e di sottolineare quelle che a suo giudizio sono le più forti. Vediamo a confronto il romanzo e il film in una di queste scene clou.
Nel romanzo, quando la moglie dello scrittore ha la bruciante rivelazione che suo marito sta impazzendo, veniamo sorpresi (da lettori) con una pagina identica a quella che legge la moglie del protagonista, pagina nella quale viene ripetuta all’ossessione un’unica frase: Il mattino ha l’oro in bocca.
Nel film di Kubrick non è la pagina la protagonista, ma la moglie stessa: la macchina stringe sulla sua espressione, sui suoi occhi dilatati , sulla sua bocca che si apre senza riuscire a prendere fiato. Di nuovo: si racconta la stessa cosa, ma le risorse espressive (la pagina stampata e l’immagine cinematografica) sono diverse e richiedono scelte stilistiche diverse.
Inoltre, anche in questa scena, è il clima d’insieme a rendercela “paurosa”. E’ l’andamento complessivo della narrazione, ad esaltarne il pathos. Si deve arrivare in un certo modo alla scena, perché possa funzionare al massimo… questa scena non deve semplicemente venire incollata alle altre o infilata in una ripetitiva quanto prevedibile alternanza tra scene forti e scene di raccordo, necessita di una adeguata preparazione drammaturgica.
E infine: la frase di per sé non ha nulla di orrorifico, è un banalissimo proverbio. Il fatto che lo scrittore sia sbroccato e abbia ripetuto all’infinito una frase comune ridotta a non senso, potrebbe anche essere uno spunto comico, se raccontata in un altro contesto e in altra maniera. La scena è molto difficile per un film horror: non c’è sangue, non c’è violenza, è statica, non accade nulla. Dobbiamo avvalerci del movimento di macchina, dell’interpretazione dell’attrice, della scenografia (il piccolo tavolo da lavoro sperso nell’immensità di un salone), della musica (e/o del silenzio) per rendere questa scena potente.
In una sceneggiatura horror le indicazioni sui movimenti di macchina, sui rumori di fondo, sulle ombre e le luci degli ambienti, sui dettagli più minuti degli spostamenti degli attori e del loro crescendo espressivo sono, fin dai primordi del cinema, estremamente più numerose e precise di quelle di una sceneggiatura di altri generi cinematografici.
In conclusione: in un Horror lo stile è dominante. E questo incide, eccome, sul lavoro di sceneggiatura. Anche se non vi si chiede altro che scrivere una traccia, dovete imparare a “vedere” la scena che descrivete. Dovete concentrarvi sul focus emotivo, ciò che secondo voi può meglio innescare una reazione di paura. Più le vostre indicazioni di sceneggiatura sono sintetiche, più devono essere precise e forti. Deve risultare sempre estremamente chiaro come, secondo voi, quella certa situazione può “fare paura”. Il regista sarà sempre libero di realizzare la scena in altro modo, ma il vostro suggerimento deve essergli comunque di stimolo. Di fronte a una pagina di sceneggiatura che non fa paura, il più delle volte accade che il regista (o il produttore) la cestinino e basta, ritenendola semplicemente inutile.

ESERCIZI – Essendo questa una lezione puramente teorica, non ho esercizi particolari da consigliarvi. Tuttavia sarebbe utile se, prendendo uno dei film sopra indicati, quelli più semplici ( tipo uno qualsiasi tra quelli delle serie horror anni 70/80) vi dedicaste a smontarlo per studiare la disposizione delle scene: quanto spazio viene dedicato al prologo di presentazione dei personaggi, a che punto compare il mostro (o i mostri), quali e quante sono lo scene splatter, in cosa si differenziano tra loro per non apparire ripetitive (sono semplicemente differenti o in un crescendo di efferatezza?), come vengono raccordate tra loro e in particolare: c’è un tema generale o magari un mistero che fa da tirante e filo narrativo? Viene svelato man mano o soltanto alla fine?
Anche se questa struttura narrativa sarà ricavata a posteriori, potrà comunque fornivi una buona base di confronto per l’andamento da dare al vostro racconto.
Se invece state già scrivendo una sceneggiatura horror (qualcuno di voi nei mesi scorsi mi ha inviato degli incipit dopodiché non è riuscito più ad andare avanti) va benissimo che cerchiate di precisare i personaggi e l’ambiente, ma poi, invece di procedere in modo ordinato, con un soggetto vero e proprio, procedete per frammenti: ideate “scene di paura”, anche slegate le une dalle altre, ripensatele poi in sintonia con i vostri diversi personaggi, e solo dopo tutti questi appunti sparsi, affrontate il problema della storia da raccontare e dei ritmi e della progressione da dare agli eventi.
15° Lezione di Gianfranco Manfredi  by www.gianfrancomanfredi.com