Abbiamo visto nella scorsa lezione come il cinema in quanto “narrazione per immagini” non abbia necessariamente bisogno di dialoghi per raccontare una storia. Anche se non siamo più ai tempi del cinema muto, nei film contemporanei, che il sonoro possono tecnicamente permetterselo, il ricorso a scene mute è diffuso e spesso queste scene assumono nel contesto un fascino del tutto particolare (basti pensare al celebre inizio di 2001 Odissea nello Spazio di Kubrick). Dunque qual è il ruolo del dialogo in un film se in teoria se ne può fare anche a meno?
Distinguiamo alcune funzioni essenziali:

1. Funzione espressiva

La parola, l’espressione verbale, sono sempre in rapporto con il comportamento, con lo stato emotivo particolare del personaggio in un certo momento della storia, non sono cioè un testo puramente scritto (letterario) ma una comunicazione verbale che ci rivela molto del personaggio. Ci rivela la sua origine (dall’inflessione), il suo livello culturale (dalla vastità del vocabolario, dai termini scelti, dalla proprietà o meno del linguaggio), il suo atteggiamento nei confronti degli altri e della vita non in termini ideologici, ma come “psicologia in atto” (uso o meno dell’ironia, concisione o verbosità, giudizi meditati o frettolosi, timidezza o spudoratezza, franchezza o simulazione, eccetera) .
Prendiamo come esempio un dialogo tratto dal film La Febbre del Sabato Sera (1977) sceneggiatura di Norman Wexler, ma prima vediamo la descrizione che Wexler ci dà del protagonista Tony Manero.

“ Il suo modo di camminare per strada è una performance. Tony ha diciotto anni, quasi diciannove, è alto, ben proporzionato, si muove con studiata disinvoltura e una punta di spavalderia. Ha un bel volto e quando è rilassato suscita un’istintiva simpatia che lo rende amabile. La sua personalità acquista luce dal contesto, lo fa spiccare sugli altri ( prodigo di buoni consigli con gli amici, sicuro e macho con le donne). In famiglia è imbronciato e cocciuto: rispetta i genitori, ma non si fida gran che di loro, prevede in anticipo le loro domande e le loro critiche nei suoi confronti. Spesso appare pensoso, ma se gli si chiede a cosa stia pensando, non sa dirlo. Vive in un eterno presente, il futuro per lui si limita al prossimo week end in discoteca. Tuttavia ci sono dei momenti , rari e privati, subito rimossi, in cui avverte qualche vaga preoccupazione sull’insieme della sua vita. Mangia, di fretta e con indifferenza, meccanicamente, senza provarne piacere, dando così l’impressione non d’essere un ghiottone, ma un insaziabile affamato che tuttavia non si cura del cibo se non come mero alimento. E’ un ballerino superbo, forte e pieno di grazia, si muove fluido e preciso, con una presenza notevolissima e una bravura indubitabile. In pista, si fermano tutti per guardare lui. E’ l’indiscusso re della compagnia”.

Come si vede, prima di fare agire e parlare il suo personaggio, Wexler si preoccupa di caratterizzarlo nei dettagli. Non è un caso che questi dettagli comincino dal modo di camminare e di muoversi, che includano il suo modo di mangiare … insomma si comincia dalla “fisicità” per fondare su di essa le caratteristiche psicologiche e il suo modo di “rapportarsi” con gli altri.
Passiamo alla descrizione che Wexler ci fa della sua partner Stephanie Mangano.

“ Stephanie, vent’anni, altezza media, slanciata, con un volto intenso e attraente, lunghi capelli neri con la scriminatura centrale, è in affannosa ricerca di cambiare se stessa , eliminando le tracce delle sue origini popolari nel quartiere di Bay Ridge e di rimodellarsi in una donna sofisticata, esperta delle cose del mondo, o quanto meno di tutto ciò che lei considera alla moda. Di fatto è un’amabile simulatrice, a mezzo tra due identità diverse, piena di arie e supponente, sempre in cerca di far colpo al di là di quanto le è possibile, una frustrata… ma in qualche modo riscattata da un senso giocoso e ironico del ruolo che recita e da una naturale disposizione all’ingenuità, alle gaffes, a una sostanziale trasparenza del suo comportamento. La cosa più importante è che la sua dolcezza di fondo e il suo coraggio ce la rendono simpatica anche quando le sue parole o azioni risultano offensive.”

Chiariti così i personaggi, il dialogo tra loro non diventa altro che l’espressione delle reciproche caratteristiche.

SCENA / BAY RIDGE STREET Esterno Sera

Tony e Stehanie a passeggio.

STEPHANIE: Dove lavoro io, vedo gente straordinaria… così… diversa dalla gente di Bay bridge.
TONY: Gli snob invece degli slob (in gergo per : zoticoni)
STEPHANIE: Cosa?
TONY: Bay Ridge non è la parte peggiore di Brooklyn... non è mica un inferno…
STEPHANIE: No, però non è Manhattan . Tu non hai idea di come sia diverso, di come cambi tutto di là del fiume. La gente è fantastica, gli uffici sono fantastici, le segretarie fanno tutte lo shopping da Bonwit Taylor. Persino gli intervalli di pranzo sono fantastici. Ti lasciano anche un paio d’ore per seguire i tuoi interessi… abbiamo visto, ho visto… Giulietta e Romeo di Zeffirelli.
TONY: E’ di Shakespeare. L’ho studiato a scuola.
STEPHANIE (facendo sfoggio di cultura): Zeffirelli era il regista. Della pellicola, voglio dire... il film.
TONY: Romeo avrebbe anche potuto aspettare un attimo. Non doveva prendere quel veleno così alla svelta.
STEPHANIE (sulla difensiva): E’ così che prendevano il veleno a quei tempi.

La scena continua in un caffè e gli elementi qui tracciati vengono approfonditi e dilatati con un vivace tono da commedia, ma noi possiamo anche fermarci qui per rimarcare alcune cose.

1. Dobbiamo fare incontrare i due personaggi e questo incontro è un’occasione per conoscerli nelle loro differenze.
2. Si va subito al punto con un giudizio in cui Stephanie cerca di differenziarsi dal suo quartiere. Parla apparentemente di un tema generico , ma esprime se stessa.
3. Tony scherza, non la prende molto sul serio, anche se evita di prenderla apertamente in giro o di polemizzare. Anche Tony rivela se stesso: non è un bullo da quattro soldi, rispetta la ragazza, cerca di capire le sue convinzioni senza ritenersi implicitamente offeso.
4. Lei alla prima obiezione scherzosa, già fatica a reggere il gioco. Non riesce a simulare fino in fondo. E’ un’ingenua e fa anche simpatia con questo suo atteggiamento.
5. E’ Stephanie ad avere le battute più lunghe. Tony agisce di rimessa con brevi notazioni, a contrasto con l’impacciata verbosità di lei. Stephanie usa sempre gli stessi aggettivi: pronuncia la parola beautiful ( che ho tradotto “fantastico”) indifferentemente per le persone, gli uffici, persino gli intervalli di lavoro.

In conclusione: il modo di parlare , l’uso del linguaggio, sono estrinsecazioni di un personaggio, devono dunque essere sempre coerenti al personaggio. In un dialogo tra due personaggi le differenze di linguaggio tra i due si devono notare, perché sono parte della differenza dei caratteri.
Non fate parlare i personaggi tutti nello stesso modo. Anche se si tratta di personaggi dello stesso quartiere, dello stesso ambiente sociale, dello stesso livello culturale, si tratta tuttavia di individui diversi e questa loro diversità deve venire espressa in quello che dicono e nel modo in cui lo dicono. Ciò che dicono e anche quello che non dicono è rivelatorio del loro atteggiamento.

2. Funzione informativa

In un dialogo si forniscono anche informazioni al pubblico sulla storia. Questa funzione tuttavia deve essere usata con grande parsimonia e ben regolata. Nella tragedia greca un ruolo codificato è quello del messaggero che per esempio giunge in scena a raccontare com’è andata una battaglia. In cinema è molto rischioso usare questo espediente perché in cinema gli eventi si mostrano, non si narrano a parole, tanto meno eventi di grande potenzialità spettacolare, come una battaglia. Tuttavia, dare sinteticamente delle informazioni può essere molto utile a stringere i tempi della narrazione e a offrire qualche coordinata essenziale.

Prendiamo ad esempio questa battuta del detective privato Sam Spade nel film Il Falcone Maltese (1941) sceneggiatura di John Huston.

SCENA – SALOTTO DELL’APPARTAMENTO DI SPADE. Interno Giorno.

Spade al telefono.

SPADE: Pronto… c’è il Sergente Polhaus? … sì… sono Sam Spade ( attesa). Ciao, Tom… senti, ho qualcosa per te. Le cose stanno così: Thursby e Jacobi sono stati uccisi da un certo Wilmer Cook… sì, sui vent’anni, un metro e sessanta. Vestito grigio di lana, soprabito grigio , camicia con il colletto morbido, cravatta chiara di seta. Lavora per un certo Kasper Gutman. Cura questo Gutman. Pesa più di cento chili… è coinvolto anche quel Cairo… sì… adesso stanno andando al Hotel Alexandria ma sono pronti a tutto quindi vedi di muoverti… non credo che si aspettino di venire pizzicati… stai attento quando affronti il ragazzo… Proprio così. Molto. Beh, buona fortuna, Tom.

Come si vede, l’informazione non viene in questo caso fatta filtrare all’interno di un dialogo, ma viene comunicata proprio per tale. Come un’informazione. Il detective parla con un poliziotto e segue regole di comunicazione chiare e svelte, con dati segnaletici. Tutto è rigoroso ed essenziale. Si dà per scontato che il poliziotto sappia valutare l’importanza dell’informazione senza bisogno che Spade la sottolinei troppo e la precisi maggiormente.

Prendiamo ora un altro caso, in cui un personaggio racconta a un altro un evento cui non abbiamo assistito e che non ci viene mostrato. Il seguente dialogo è tratto dal film Conoscenza Carnale (1971) , sceneggiatura di Jules Feiffer. Sono in scena Jonathan e Sandy, compagni di stanza al college negli anni 40, all’epoca entrambi ancora vergini.

SCENA- CAMPUS Esterno Notte

Jonathan e Sandy camminano lungo la strada che conduce al loro dormitorio. Foglie secche sul terreno.

JONATHAN: E allora?
SANDY: Mi ha detto di toglierle la mano dalla tetta.
JONATHAN: E allora?
SANDY: Le ho detto che non volevo.
JONATHAN: E allora?
SANDY: Mi ha detto che non capiva come facevo a trovarlo divertente se a lei non andava.
JONATHAN ( disgustato) : Gesù!
SANDY: Così io le faccio: credevo di piacerti.
JONATHAN: Sì?
SANDY: E lei fa: mi piaci per altri motivi.
JONATHAN: Altri motivi?!
SANDY: Così io le ho spiegato perché ne sentivo proprio bisogno…
JONATHAN: Cioè cosa le hai detto?
SANDY: Beh… che per me era la prima volta.
JONATHAN: La prima volta cosa? Cosa hai detto esattamente?
SANDY: Beh, di preciso non ricordo… che lei era la prima ragazza che avevo provato a toccare.
JONATHAN: Le hai detto così?
SANDY: Ho sbagliato?
JONATHAN: Io non l’avrei fatto.
SANDY: Lei così è stata più carina .
JONATHAN: Più carina in che senso?
SANDY: Mi ha messo la mano sulla sua tetta.
JONATHAN: Vuoi dire che tu gliel’hai messa e che lei ce l’ha lasciata.
SANDY: No, lei l’ha presa e me l’ha messa sopra.
JONATHAN: Te l’ha presa così… e te l’ha messa qui?
SANDY: Proprio così. Non sapevo più che pensare.
JONATHAN: No , eh?
SANDY: Voglio dire… era una cosa amichevole tra noi… e lei di colpo è diventata un tantino aggressiva.
JONATHAN: E poi?
SANDY: Le ho chiesto se era vergine.
JONATHAN: Stai scherzando!
SANDY: Ho sbagliato? … Comunque , sì, lo è.
JONATHAN: Lo dice lei. Cos’hai rimediato alla fine? Una mano sulle tette o due?
SANDY: Mi ha messo anche l’altra mano sull’altra tetta.
JONATHAN: Ti ha messo su… tutte e due le mani? Due mani?
SANDY: Sì, così io le ho detto: e tu con le tue mani cosa ci fai?
JONATHAN: No, non gliel’hai detto!
SANDY: Mi è scappato!
JONATHAN: E allora?
SANDY: Lei… per essere precisi… mi ha tirato fuori l’uccello.
JONATHAN: Che contaballe! E poi? E poi?
SANDY: L’ha fatto.
JONATHAN: Ha fatto cosa?

Sandy fa il gesto della masturbazione con la mano, ghignando.

JONATHAN: Sei un contaballe! Davvero ti ha fatto… ?

Sandy salta su e giù eccitato. Scoppiano a ridere tutti e due.

In questa scena Feiffer (lo sceneggiatore) mostra a contrasto i due personaggi: Jonathan (interpretato nel film da Jack Nicholson) personaggio potenzialmente sciovinista e sessista, cinico nei confronti delle donne, e Sandy ,(interpretato da Art Garfunkel) più convenzionale e anche un po’ stupidotto, tuttavia non certo uno che si tira indietro per troppa timidezza. Nel dialogo, Sandy sta informando Jonathan su come è andato un suo incontro con una ragazza. Contravvenendo apparentemente alla regola per cui gli avvenimenti al cinema vanno mostrati, non semplicemente riferiti, Feiffer in realtà sottolinea quello che lui vuole raccontare, cioè non l’incontro sessuale in sé, ma il modo diverso in cui i due amici affrontano il problema della loro verginità. Sono loro i protagonisti. La ragazza è un pretesto, è un’occasione per conoscere i due amici a confronto. Non è importante mostrarla, anzi sarebbe incongruo. Ritroviamo questa tecnica di dialogo in molti film di Scorsese e di Quentin Tarantino (tanto per fare due esempi) : i personaggi si raccontano storie vissute. Queste storie non vengono mostrate, nemmeno in FLASH BACK, perché non sono il vero oggetto della narrazione. L’oggetto sono e restano i personaggi, il loro modo di raccontare e di interagire. Si parte da un contenuto di tipo informativo ma in realtà lo si usa in funzione espressiva. Quando in un film avete necessità di far raccontare un fatto, ricordatevi sempre che il vero oggetto della narrazione sono i personaggi che in quel momento assumono la funzione di narratori. Sandy, nella scena che abbiamo esaminato, non è un messaggero , cioè il semplice e neutro latore di una notizia, ma è un protagonista che attraverso il racconto di un’esperienza vissuta esprime se stesso, il suo carattere.

3. Funzione enunciativa

In un dialogo i personaggi possono anche esporre i propri punti di vista su un qualche argomento o chiarire i propri progetti e le proprie intenzioni. Fate attenzione perché anche questo ha stretta attinenza con la descrizione che stiamo dando del personaggio. Evitate di usare il personaggio per mettergli in bocca opinioni vostre , di voi che scrivete. Le opinioni devono sempre essere quelle di quel tipo di personaggio, servono a farcelo comprendere meglio.
Prendiamo ad esempio alcuni giudizi tranchant dell’anziana attrice Norma Desmond, una celebrità del muto ormai decaduta, nel film Viale del Tramonto (1950) sceneggiatura di Charles Brackett e Billy Wilder. Nella scena, l’anziana attrice incontra un giovane sceneggiatore (Gillis).

GILLIS: Il vostro volto non mi è nuovo. Voi siete Norma Desmond. Facevate molti film. Eravate grande.
DESMOND: Io sono grande. E’ il cinema che è diventato piccolo.
GILLIS: Sì, qualcuno deve avere sbagliato qualcosa...
DESMOND: E’ morto. Finito. C’era un tempo in cui in questo lavoro avevamo addosso gli occhi dell’interno mondo. Ma non era abbastanza. Oh no! Loro volevano anche le orecchie. Così hanno aperto le loro boccacce e cominciato a parlare, parlare, parlare….
GILLES: Ecco perché si vende il pop corn. Te ne prendi una scatola e ti ci tappi le orecchie.
DESMOND: Colpa dei caporioni, nei loro begli uffici! Prendevano gli idoli e li infrangevano. I Fairbanks, i Chaplin, i Gilbert, i Valentino. E adesso cosa gli è rimasto? Delle nullità… un pugno di ranocchi incolori che gracidano!

Più tardi, Norma parla a Gillis di un suo progetto di sceneggiatura.

NORMA: Quanto dev’essere lunga una sceneggiatura, oggi? Cioè… quante pagine?
GILLIS: Dipende dal film… se è Paperino o Giovanna d’Arco .
NORMA: Questo sarà un film molto importante. L’ho scritto io stessa. Ci ho messo degli anni.
GILLIS ( guardando la pila di fogli sul tavolo): Qui ce n’è abbastanza per sei film importanti.
NORMA: E’ la storia di Salomè. Credo che lo dirigerà De Mille.
GILLIS: Uh-uuh
NORMA: Abbiamo fatto molti film, insieme.
GILLIS: E voi reciterete nel ruolo di Salomè?
NORMA: E chi sennò?
GILLIS: Chiedevo. Non sapevo che stavate progettando un rientro.
NORMA: Odio quella parola. E’ un ritorno. Un ritorno ai milioni di persone che non mi hanno mai perdonato d’aver abbandonato lo schermo.

Le opinioni di Norma sul cinema, i suoi progetti folli. Il personaggio, comparso nel film mentre sta seppellendo la sua scimmia in giardino, grazie al dialogo non viene presentato semplicemente come una pazza, ma come una donna con ferme opinioni e con progetti. Il cinismo con il quale lo sceneggiatore disoccupato Gillis le dà corda fa da contrappunto . Anche in questo caso, in cui nel dialogo si pronunciano giudizi e si enunciano intenzioni, non ci si discosta dalla prima ed essenziale funzione del “parlato”, quella espressiva.

4. Funzione dialettica

In un dialogo si mettono a confronto almeno due personaggi. Abbiamo visto in tutti gli esempi precedenti come questi due personaggi inevitabilmente finiscano per contrapporsi . Certo, non è strettamente indispensabile che i loro punti di vista si scontrino, uno dei due personaggi (come nel caso di Jonathan) può sollecitare l’altro, oppure (come nel caso di Gillis) assecondare l’altro, eppure nel confrontarsi si mostrano diversi. Insomma un dialogo mette sempre in scena una dialettica tra due punti di vista differenti. Se un personaggio dice la sua e tutti gli altri si limitano a dargli ragione, non siamo più in presenza di un dialogo, ma di un monologo assertivo. La funzione di un dialogo è dunque fondamentalmente espressiva, ma non unilaterale. Un dialogo ci mostra più spesso di quanto non accada nella vita reale (popolata da dialoghi tra sordi) personaggi che si ascoltano l’un altro, che si prendono più o meno sul serio, e che ribattono alle parole degli altri. Anche quando uno dei due personaggi all’apparenza si limita a fare da spalla , anche se , come Jonathan, continua a ripetere semplicemente: “ E allora?” , nella sua insistenza, nel suo chiedere maggiori dettagli , dice implicitamente:”io sono qui e sono diverso da te” . Bisogna stare molto attenti a non aderire troppo ad un personaggio, lasciando agli altri un mero ruolo di supporto, o di passiva complicità. Un dialogo vive di contrapposizione. La scena in cui Sam Spade parla al telefono, non richiede contrapposizione alcuna e dunque non ha alcun bisogno di mostrarci l’interlocutore. Ma se noi vediamo l’interlocutore, dobbiamo dargli un ruolo, una presenza attiva. Il suo intercalare ha anche il risultato ritmico di spezzare le battute dell’altro, di impedire che i dialoghi diventino discorsi (come nella tradizione teatrale e letteraria ).Il tempo del Discorso, non è un tempo cinematografico. Come abbiamo osservato nella precedente lezione, il montaggio accorcia il tempo degli eventi reali. Il parlato in cinema vive anch’esso di montaggio. Senza alternanza di battute, fermiamo il ritmo. Possiamo farlo se è un effetto consapevole che vogliamo dare. Ma se invece crediamo che consentire a un personaggio di dire tutto quello che ha da dire di filato , possa abbreviare il tempo complessivo della scena, beh allora ci sbagliamo clamorosamente. La somma di molte piccole frasi scambiate risulta comunque più veloce di un monologo. Le interruzioni non sono pause, sono un elemento ritmico (accenti che conferiscono dinamica all’espressione verbale) e sono un elemento dialettico grazie al quale ciascun personaggio prende luce e rilievo dall’altro, pur esprimendo se stesso.

ESERCIZIO

Utilizzate l’esempio proposto in questa lezione (da La Febbre del Sabato Sera). Scrivete i profili dei due personaggi protagonisti della vostra scena di dialogo e fate in modo che il dialogo esprima le loro caratteristiche.
Fin dalla prima lezione ho sottolineato la necessità di stilare dei profili dei vostri personaggi. Pochi però lo hanno fatto. In genere preferite passare subito alla sceneggiatura delineando alcune scene. In questo modo però finite per scoprire il vostro personaggio in corso d’opera cioè man mano che lo scrivete e accumulate incoerenze che poi vi ritroverete a dover correggere.
In tutti i manuali si insiste su soggetto/scaletta/trattamento/sceneggiatura come fasi principali del lavoro dello sceneggiatore. Ma è indispensabile anche concentrarsi sul profilo dei personaggi, che anzi dovrebbe essere la fase preliminare a tutte le altre. Quando avete scritto il profilo dei vostri personaggi, tenetelo sempre in vista mentre sceneggiate e verificate sempre che i comportamenti, le azioni, il modo di parlare e di esprimersi, corrispondano alle caratteristiche che voi stessi avete fissato di quel certo personaggio. Può capitare che scrivendo vi venga in mente una svolta, una correzione, un’integrazione al personaggio. Allora correggete il profilo, ma tenetelo sempre come guida, perché questa correzione avrà necessariamente la sua influenza su tutte le scene in cui compare il personaggio. Tony Manero, nel film succitato, balla anche quando cammina .Non dobbiamo far capire che è un ballerino nato solo nella sua scena di ballo in discoteca. Il ballo pervade tutta la sua vita. E’ il suo modo di muoversi che appare tanto naturale, sottolinea lo sceneggiatore, quanto studiato. Se non tenete presente l’unità del personaggio, il vostro personaggio diventerà una sorta di Frankenstein che in una scena si comporta e si esprime in un modo e in un’altra in un altro, e l’attore che lo interpreta avrà di conseguenza grossi problemi nel dare coerenza a un simile personaggio. Oppure può capitarvi di fare esprimere il vostro personaggio in modo neutro e meramente funzionale, senza caratterizzazione alcuna. In questo modo perderà qualsiasi caratteristica distintiva ed esporrete l’attore a dubbi anche più grandi nell’interpretarlo: per caratterizzare una battuta troppa neutra, magari gli conferirà un’ironia che non avevate affatto previsto, oppure drammatizzerà eccessivamente una battuta casuale e da non sottolineare troppo.
Tutto quello che si scrive in una sceneggiatura, non serve a voi che scrivete, ma ai reparti: al regista, agli attori, ai costumi, allo scenografo, al direttore della fotografia eccetera. Ciascuno di essi leggerà la scena dal suo punto di vista per capire come renderla al meglio nell’ambito del proprio ruolo. Di conseguenze le indicazioni devono essere molto precise e non offrire il destro a interpretazioni troppo varie e “libere” , altrimenti l’insieme della scena perderà ogni coerenza narrativa. Ora: l’asse della coerenza narrativa è rappresentato dai personaggi . Delineare bene i personaggi è il fondamento della narrazione. E il dialogo ,in quanto espressione dei personaggi, non può risultare efficace se non vi è costantemente chiaro chi sono le persone che stanno parlando.

APPENDICE – Il dialogo nei fumetti

Molte delle cose dette sopra a proposito della sceneggiatura cinematografica valgono anche per una sceneggiatura a fumetti. Il confronto è estremamente utile anche per chi si interessa solo di sceneggiatura cinematografica, perché certe caratteristiche sopra richiamate risultano addirittura esaltate in fumetto, altre invece sono opposte. Prenderò come base i fumetti Bonelli in quanto più assimilabili al cinema: i tempi della narrazione sono più dilatati rispetto a un fumetto Marvel , le azioni sono descritte in sequenza, le scene di dialogo sono più ampie . Inoltre i fumetti Bonelli di ultima generazione usano un linguaggio meno classicamente “da fumetto” e più vicino alle sfumature della lingua parlata usata nel cinema.

1.Quando avete necessità di una lunga scena di dialogo tra due o più personaggi, anzitutto cercate di suddividerla in due o più scene, cioè in ambienti diversi. Se riesaminate la scena di dialogo tratta da La febbre del Sabato Sera, noterete che è suddivisa in due scene diverse (come del resto quella di Viale del Tramonto): una all’esterno e un’altra all’interno. Nella prima i personaggi si muovono passeggiando , nella seconda sono seduti in un bar uno di fronte all’altra. Il dialogo è continuato, come se si trattasse di un’unica scena, ma differenziare gli ambienti permette di renderla visivamente più mossa, meno monotona e di variare le inquadrature. In fumetto questo è anche più importante, in quanto si tratta di disegni: non abbiamo a disposizione né attori , né movimento. Il rischio di una rappresentazione troppo statica è dunque molto più elevato.

2.Ha grande importanza che i due personaggi dialoghino davvero, cioè che uno dei due non si limiti a una presenza da bella statuina. Anche questa è un’esigenza più forte nel fumetto che in cinema. Normalmente in un film, una scena di dialogo tra due persone sedute a un tavolo, si gira così: prima si gira un master, cioè un’inquadratura in cui i due personaggi appaiono insieme nell’ambiente e recitano la scena dal principio alla fine. Poi si rigira la stessa scena in favore di uno dei due personaggi . Poi la si rigira a favore dell’altro. (Le inquadrature possono essere differenziate: PP dei due personaggi distinti, oppure con presenza in quinta di spalle dell’interlocutore, o master più stretti in cui i due personaggi si vendono entrambi ma più isolati dall’ambiente). Anche in questo caso però si gira l’intera scena: il personaggio che parla non viene ripreso solo quando parla , ma anche quando ascolta. Quest’ultimo si chiama “piano d’ascolto” e permette di far interagire i personaggi. Un personaggio anche se non parla, può essere espressivo per le reazioni che suscitano nella sua espressione muta le parole dell’altro. Inoltre, è molto monotono in cinema continuare a staccare ripetitivamente tra uno che parla e l’altro che risponde. Il montatore avrà più chance se potrà alternare il totale del master con i PP, i campi e controcampi, i piani in cui gli attori parlano e quelli in cui ascoltano. Tutto ciò muove la scena e le conferisce ritmo, e inoltre aiuta a mascherare possibili errori , ad eliminare pause di troppo o a inserirne se necessario, eccetera. In un fumetto questo movimento va reso sulla tavola, badando a non ripetere nella stessa tavola vignette identiche e badando anche a non creare effetti fastidiosi come ad esempio due vignette sovrapposte con piano identico anche se i personaggi rappresentati nella vignetta cambiano. La vignetta, al contrario di un’inquadratura cinematografica che è disposta nel tempo, prima o dopo le altre, è disposta nello spazio, cioè (nella tavola) insieme alle altre e una rappresentazione grafica monotona e ripetitiva ha in genere un effetto sgradevole. In un fumetto lo sceneggiatore è in certo modo anche regista della messa in scena, deve cioè precisare le inquadrature ( cosa che non è costretto a fare in una sceneggiatura cinematografica) se non altro per dare al disegnatore una traccia di impostazione della tavola nel suo insieme. Vi basterà guardare con attenzione delle scene di dialogo in un fumetto Bonelli per capire le varie tecniche che si usano, spesso mutuate dai campi/controcampi caratteristici del cinema, ma spesso più libere (per esempio con totali dall’alto, o con fondo bianco, in cui magicamente l’ambiente sparisce) per ottenere una maggiore varietà grafica nella pagina.

3. Le esigenze di sintesi proprie della battuta cinematografica, in un fumetto sono anche più stringenti. Le parole in un fumetto sono disegnate dentro la nuvola (il balloon) che è un elemento grafico esso stesso per il quale va previsto quando si disegna, uno spazio apposito. E’ evidente che se il balloon è troppo pieno di parole, diventa talmente grande che copre buona parte del disegno o costringe a effetti bruttissimi per esempio di balloon drappeggiati attorno alla testa e alle spalle del personaggio oppure a colonne di balloon in cui lo stesso dialogo viene suddiviso in singole frasi, ma con la conseguenza esteticamente poco piacevole di raffigurare sulle teste dei personaggi dei cono gelato a palle sovrapposte . Un balloon che ospiti più di trentacinque parole ( inclusi gli articoli) finisce per nuocere al disegno dei personaggi e della scena, mangiandosi gran parte dello spazio disponibile. Dunque se avete necessità di fare dire una lunga battuta a un personaggio, dovrete comunque badare a suddividerla non solo in più balloon, ma in più vignette. D’altro canto anche un eccesso di piani d’ascolto (con balloon da fuori campo) è un effetto sgradevole in fumetto . Dunque è buona regola in un dialogo che il personaggio principale non sia il solo a parlare, ma anche all’altro siano date occasioni di interruzione, di commento, di richiesta di chiarimento o di supporto al ragionamento fatto dall’altro. I monologhi esaltano la staticità: in fumetto (che è di per sé statico) abbiamo esigenza di cambiare le inquadrature più spesso che in cinema, evitando le ripetizioni.

ESERCIZIO – Quando in un fumetto si deve scrivere una scena di dialogo, ci si può anche occupare delle inquadrature in un secondo momento. Cioè: scrivete il dialogo, con botte e risposte, quasi si trattasse di un dialogo quotidiano, tra due personaggi reali che sviluppano una conversazione. Non preoccupatevi in questa fase della misura e della lunghezza della scena. Scritto questo primo brogliaccio, sintetizzatelo: togliete le frasi di passaggio, quelle che comportano ragionamenti troppo complessi, quelle più digressive rispetto all’argomento centrale. In altre parole cercate di concentrarvi sul contenuto fondamentale della conversazione e asciugate di conseguenza il primo testo. Dopo aver fatto questo, riprendete di nuovo il testo del dialogo da capo e cercate di condensare ancora, cioè di verificare se ogni singola battuta che avete scritto può venire espressa con meno parole. Questo riguarda anche la coloritura espressiva della frase. Una metafora, un’espressione particolarmente ficcante rendono sempre di più di un freddo ragionamento. Il linguaggio deve essere molto chiaro ed inequivocabile. Dato che in fumetto non abbiamo a disposizione degli attori e che è molto difficile per un disegnatore rendere le minime sfumature dell’espressione di un volto, è bene che le parole da sole , puramente scritte, senza che se ne possa udire il tono, siano trasparenti: una frase ironica dev’essere esplicitamente ironica nella scelta stessa delle parole usate, è meglio se risulta buffa piuttosto che “sottilmente ironica” perché la sottigliezza sarà sempre molto difficile da cogliere dal disegno. Se il vostro personaggio pronuncia una battuta commuovente, è importante che sia il testo stesso a commuovere. Se il disegnatore non darà una particolare accentuazione al volto del personaggio ( che so, una lacrima che scende , uno sguardo rivolto in basso, il capo chino, la fronte corrugata eccetera ) l’effetto che avete voluto dare resterà comunque nel testo. Anzi spesso non è consigliabile caricare troppo l’espressione del personaggio perché potrebbe dar luogo ad effetti un po’ ridicoli: stupori, perplessità, isterismi, ghigni, che certo fanno parte dell’iconografia fumettistica, vanno però regolati a seconda di quanto avviene. L’eroe non può stupirsi allo stesso modo di fronte a un evento del tutto prodigioso o ad un evento semplicemente inatteso. Il dialogo (o i pensieri) aiutano indubbiamente a precisare l’intensità emotiva , accentuandola o stemperandola dove necessario.
Una volta sintetizzato così il dialogo, cominciare a suddividerlo in vignette, per capire bene quante tavole occupa la scena. Un numero eccessivo di tavole di dialogo nello stesso ambiente, diminuisce le chance del disegnatore e lo costringe a infinite capriole per non ripetersi . Per disegnare qualcos’altro, a volte ci si trova costretti a passare all’esterno e vedere i balloon dei personaggi che dialogano spuntare da una finestra, oppure ad inquadrare la scena in campo lungo con i due personaggi che dialogano sullo sfondo e delle comparse in PP. Questo tipo di scelte sono sempre molto discutibili in quanto distraggono l’attenzione. Il volto o il gesto di una comparsa in PP può diventare indebitamente protagonista a scapito dei personaggi protagonisti. Lo stesso vale per gli oggetti . Il disegnatore può divertirsi a disegnare in PP un vaso cinese graficamente molto elaborato, con i due protagonisti che chiacchierano sul fondo. Ma perché mai un vaso dovrebbe essere protagonista della scena? Se nella stessa scena questo dettaglio di scenografia ha un’importanza narrativa ( per esempio per farci capire che si tratta di un locale cinese di una certa eleganza, oppure perché successivamente quel prezioso vaso verrà spaccato) allora ha un senso metterlo. Se invece è una pura belluria da ornamento, una furbizia per evitare di stare sempre sui personaggi, allora questo dettaglio è soltanto distraente . E’ molto meglio, di fronte a una scena di dialogo che si sviluppa per parecchie pagine, cercare altre soluzioni: per esempio quella già indicata di suddividere il dialogo in più ambienti con i personaggi in movimento, oppure abbreviando ancora la scena fino a raggiungere una dimensione accettabile in termine di numero di pagine. Qui ovviamente si aprono delle alternative, diverse a seconda dello stile del fumetto e dell’autore : su Tex un dialogo in un interno può durare anche più di otto pagine, su Magico Vento è molto raro che una scena di dialogo in un ambiente duri più di due pagine, al massimo può arrivare a quattro. Vale qui , per lo spazio, quanto detto nella lezione precedente per il tempo. Lo spazio nel fumetto, non ha solo il valore grafico prima ricordato, ma corrisponde anche a un tempo diverso di lettura. E’ ovvio che se il lettore deve leggere molti balloon, impiegherà per quelle pagine più tempo di quanto non ne impieghi per delle tavole di pura azione senza balloon o con pochissimi balloon. Certo se queste tavole sono particolarmente interessanti sotto il profilo visivo, il lettore si soffermerà di più sulle immagini, ma in linea di massima nelle tavole in cui ci sono molte battute da leggere, il tempo di lettura necessario è più ampio di quelle in cui prevale il colpo d’occhio. Insomma: un fumetto con pochissimi dialoghi può apparire senz’altro più vivace di un fumetto con molti balloon, però il lettore si troverà a finirlo molto prima e potrebbe restare deluso per non aver letto abbastanza.
Scrivendo un fumetto è sempre bene tenere equilibrato il tempo di lettura. Dialoghi e azione vanno bilanciati con cura. Esagerare in dialoghi e spiegazioni, rallenta e stanca. Esagerare in azione lascia l’impressione che il racconto latiti o sia stato sbrigato troppo in fretta. In linea di massima vanno riservate più pagine all’azione, rispetto a quelle riservate al dialogo, se non altro perché le prime vengono lette più in fretta. Dunque uno stile equilibrato non è ad esempio otto tavole di dialogo e otto tavole d’azione. Le pagine di dialogo dovrebbero essere la metà. Naturalmente, ripeto, ciò attiene alle scelte stilistiche dell’autore, non è una regola valida per tutti e in tutti i casi, né vale per tutte le storie. Tenete però presente che una scena di dialogo come quella di Jonathan e Sandy in Conoscenza carnale è quasi impossibile da realizzare in fumetto: diventerebbe immobile, di una ripetitività grafica insopportabile e troppo lunga alla lettura. Un continuo botta e risposta a piccole frasi, in fumetto comporta una moltiplicazione delle vignette all’eccesso, oppure un’alternanza di balloon a gelato tra i due protagonisti che non si adatta alle caratteristiche grafiche di tutti i fumetti e che oltretutto comporta una distonia espressiva: il dialogo si sviluppa, mentre i due protagonisti restano espressivamente fissi. Se in cinema il rapido botta e risposta esalta i valori ritmici e accorcia, in fumetto accade esattamente il contrario. E’ particolarmente sintomatico sottolineare questo se si tiene presente che lo sceneggiatore di Conoscenza Carnale, Jules Feiffer, è anche un grande autore di fumetti. I fumetti di Feiffer sono egualmente molto dialogati, ma se li confrontate al suo film, non potrete non rilevare che in essi il dialogo risulta maggiormente condensato, in poche battute essenziali ed esemplari.
10° Lezione di Gianfranco Manfredi  by www.gianfrancomanfredi.com