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Così il grande cineasta descriveva la sua vita e il suo lavoro. Le donne che ha conosciuto, i film che ha girato e quelli che ha interpretato. A volte ne parlava con crudeltà, altre con ironia. Le confessioni di un uomo che ha fatto della provocazione un´arte e del talento una forma estrema di dissipazione.

(Orson Welles fa scherzi alla radio)

1 – VIZIARE L'ORSON
Ero una di quelle abominevoli creaturine impettite, non so se ha presente, con la bacchetta da direttore, suonavo il violino e il pianoforte, e non c´è niente di più odioso sulla faccia della terra. Ero uno di loro. Mia madre, che di professione era musicista, morì quando avevo nove anni, e smisi immediatamente di suonare. Fu una specie di trauma, uno shock dovuto alla sua morte, mescolato, credo, a una pigrizia di fondo... e al piacere di non dover continuare a esercitarmi sulle scale armoniche. Così abbandonai la mia carriera musicale, perché era a questo che ero stato destinato inizialmente.

Sì, da bambino sono stato viziato in modo molto strano. Perché tutti, dal giorno in cui sono stato in grado di comprendere, mi hanno detto che ero assolutamente meraviglioso. Non ho mai sentito una parola scoraggiante per anni. Non avevo idea di cosa mi aspettava. Dipingevo, e mi dicevano che non si erano mai visti dipinti simili; suonavo, e nessuno aveva mai suonato così. E a me sembrava proprio che non ci fossero limiti alle mie possibilità.

2 - UN DUE PER CENTO DEL MIO TEMPO L´HO IMPIEGATO A FARE FILM, E UN NOVANTOTTO PER CENTO A SBATTERMI QUI E LÀ PER POTERLI FARE
Essenzialmente, credo di aver commesso un errore a restare nel mondo del cinema, ma è un errore di cui non posso rimproverarmi, perché sarebbe come dire che non avrei dovuto restare sposato con una certa donna, ma che l´ho fatto perché la amavo. Avrei avuto molto più successo se non avessi sposato proprio lei. Avrei avuto molto più successo se avessi lasciato immediatamente il cinema, se fossi rimasto nel teatro, o se fossi entrato in politica, se avessi fatto lo scrittore o qualsiasi altra cosa.

Ho gettato via gran parte della mia vita nello sforzo di cercare denaro e di cavarmela in qualche modo, per poter fare il mio lavoro usando questa scatola di colori estremamente costosa che è un film. E ho sprecato fin troppa energia dietro a cose che non hanno nulla a che vedere con il fare un film. Diciamo che un due per cento del mio tempo l´ho impiegato a fare film, e un novantotto per cento a sbattermi qui e là per poterli fare.

Continuerò a essere fedele alla mia ragazza. La amo. Mi innamoro così tanto del fare un film che il teatro per me ha perso tutto quel che aveva, davvero. Amo soltanto fare film. Non sono un appassionato del cinema. Non vado spesso a vedere film. Credo sia perfino dannoso per un regista vedere altri film, perché si finisce sempre o per imitarli, o per preoccuparsi di non imitarli affatto. Invece bisogna fare il film con innocenza. Nello stesso modo in cui Adamo diede un nome agli animali il primo giorno nel paradiso terrestre.

E io ho perso la mia innocenza. Ogni volta che vedo un film perdo qualcosa, non ne guadagno niente. Non capisco cosa vogliano dire i registi quando si complimentano con me, i giovani registi, quando dicono di aver imparato dai miei film. Perché io non credo affatto di poter imparare qualcosa da un film altrui. Credo che bisogna imparare solo dalla propria visione interiore delle cose e scoprire, come ho detto, con innocenza, come se non fossero mai esistiti né David Wark Griffith, né Ejsenstejn, o Ford o Renoir o chiunque altro.
(L'occhio del grande cineasta)

3 – LA REGIA E' IL MONTAGGIO
Per me, quasi tutto ciò che viene battezzato come mise en scène è un enorme bluff. Nel mondo dei film, sono davvero poche le persone che si possono considerare veramente dei registi, e tra di essi sono ancora meno quelli a cui viene davvero data l´opportunità di dirigere un film. L´unico momento di vera regia ha luogo durante il montaggio. Mi ci sono voluti nove mesi per montare “Quarto potere”, lavorando sei giorni a settimana.

Certo, ho diretto io “L´orgoglio degli Amberson”, malgrado alcune scene non fossero mie: ma il mio montaggio è stato modificato. Il montaggio basilare è mio, e quando nel film c´è una scena che funziona, è perché l´ho montata io. In altre parole, è come se uno stesse dipingendo un quadro. Lo finisce, e poi arriva qualcuno e lo ritocca, ma chiaramente non può aggiungere altra pittura sull´intera superficie della tela.

Non posso fare a meno di pensare che il montaggio sia la cosa essenziale per un regista, l´unico momento in cui controlla completamente la forma del suo film. Quando sto filmando, il sole è il fattore determinante di qualcosa contro cui c´è poco da combattere; gli attori portano in gioco qualcosa a cui devo adattarmi; e così anche la storia. Io mi limito a predisporre le cose in modo da dominare tutto quel che posso. L´unico posto in cui il mio controllo è assoluto, però, è lo studio di montaggio. di conseguenza, è quello il momento in cui il regista è, in potenza, un vero artista, perché a mio avviso un film è buono nella misura in cui il regista è riuscito a controllare i diversi materiali e non si è accontentato semplicemente di mantenerli intatti.

4 - NON MI INTERESSA IL LAVORO ARTISTICO, LA POSTERITÀ, LA FAMA, MA SOLO IL PIACERE DELLA SPERIMENTAZIONE IN SE STESSA
Io cerco sempre la sintesi. E´ un lavoro che mi affascina perché devo essere sincero riguardo a me stesso, e io sono un puro sperimentatore. Il mio unico valore ai miei occhi è che non detto leggi, ma sono uno sperimentatore. Sperimentare è l´unica cosa che mi entusiasma. Non mi interessa il lavoro artistico, capite, la posterità, la fama, ma solo il piacere della sperimentazione in se stessa.

E´ l´unico ambito in cui posso sentire di essere onesto e sincero. Io non mi consacro a quel che faccio. Davvero, non ha alcun valore ai miei occhi. Sono profondamente cinico riguardo al mio lavoro e alla maggior parte delle opere che vedo nel mondo. Ma non sono cinico riguardo al lavoro sui materiali. E´ una cosa difficile da spiegare. Noi sperimentatori di professione abbiamo ereditato un´antica tradizione. Alcuni di noi sono stati tra i maggiori artisti, ma le nostre muse non sono mai diventate le nostre amanti.

Per esempio, Leonardo si considerava uno scienziato che dipingeva piuttosto che un pittore che faceva lo scienziato. Non voglio certo paragonarmi a Leonardo; sto solo cercando di spiegare che c´è una lunga linea ininterrotta di persone che giudicano il proprio lavoro secondo una diversa gerarchia di valori, che sono quasi valori morali.
(Barba e sguardo feroce)

Quindi non cado in estasi quando sono di fronte a un´opera d´arte. Sono in estasi quando mi trovo di fronte alla funzione umana, che è sottesa a tutto ciò che facciamo con le nostre mani, con i nostri sensi, eccetera. Il nostro lavoro, una volta finito, non ha l´importanza che la gran parte degli esteti gli attribuiscono. E´ l´atto che mi interessa, non il risultato, e io vengo preso dal risultato solo quando questo sa di sudore dell´uomo, o di pensiero espresso.

Sto pensando seriamente di smettere il mio lavoro nel cinema o nel teatro, smetterla una volta per tutte, dico, perché sono rimasto troppo deluso. Ci ho investito troppo lavoro, troppo impegno rispetto a quel che ho avuto in cambio... non in termini di denaro, ma di soddisfazione. Quindi sto pensando seriamente di abbandonare cinema e teatro, perché in un certo senso loro mi hanno già abbandonato.

5 - LA RESPONSABILITÀ È DELLA MIA PERSONALITÀ, NON DELLE MIE INTENZIONI
Più o meno di mia volontà, lo sapete, ho fatto molte volte la parte del cattivo. Odio Harry Lime, quel mascalzoncello del mercato nero, tutti i personaggi orribili che ho interpretato e che tuttavia non sono «piccoli», perché io sono un attore per grandi personaggi. Come sapete, nel vecchio teatro classico francese, c´erano sempre attori che interpretavano il re e attori che non lo interpretavano: io sono di quelli che fanno il re.

Con la mia personalità, è necessario. Perciò recito naturalmente sempre parti di capi, di persone che hanno una dimensione straordinaria: devo sempre essere bigger than life, più grande della natura. E´ un difetto della mia indole. Dunque non bisogna pensare che ci sia qualcosa di ambiguo nelle mie interpretazioni. La responsabilità è della mia personalità, non delle mie intenzioni.

6 - IL PUBBLICO INCONCEPIBILE
Si possono orientare le cose quanto si vuole, ma cosa ne penserà poi il pubblico americano? Io non ne avevo la più pallida idea. Non si tratta di disprezzo per il pubblico, è solo che il pubblico di un film davvero non è concepibile. Il sessanta per cento del pubblico non sentirà mai le parole che diciamo, perché il film sarà doppiato. Forse dieci milioni di persone lo vedranno soltanto in seguito, quando saremo tutti morti. Sono poveri, sono ricchi, sono grandi, sono piccoli. Non sappiamo chi sia il pubblico di un film, perciò non possiamo far altro che qualcosa in cui crediamo.

7 – SOGNATE I VOSTRI FILM
Non ho mai messo piede in una scuola di cinema. E non avevo mai messo piede su un set prima di girare “Quarto potere”. Senza dubbio sono stato toccato dalla grazia di una totale ignoranza. Ho imparato tutto quel c´era da sapere in tre ore, non perché sia particolarmente intelligente, ma perché il cinema è semplice! Voi di certo avrete passato troppo tempo a guardare film. Non chiudetevi troppo nell´universo cinematografico, come fosse una scatola d´aringhe.

Sognate i vostri film, piuttosto. E prestate attenzione all´incanto delle muse più perverse... la decadenza del cinema è il risultato della glorificazione del regista. Ma l´attore è più importante. Oggi il regista è l´artista più sopravvalutato del mondo. Pensate ai grandi momenti del cinema: sono tutti in bianco e nero. Più avanza il progresso tecnico, più lo spirito creativo va in declino. E io temo che l´elettronica finirà per aiutare solo i film di terza scelta.

8 – A COLAZIONE CON HITLER
Sono stato a Berlino per circa tre anni, dal 1926 in poi, e più o meno lo stesso periodo di tempo l´ho passato a Chicago. Ma le città migliori per me sono state senz´altro Budapest e Pechino. E´ lì che ho avuto le migliori conversazioni ed esperienze, fino alla fine. Quel che non posso dimenticare è una festa a cui ho partecipato da qualche parte nel Tirolo, verso la metà degli anni Venti. Partecipavo a una gita a piedi con altri ragazzini della mia età, quando il nostro tutore ci portò a mangiare in un´enorme birreria all´aperto.

Sedemmo su un lungo tavolo pieno di nazisti, che all´epoca erano solo uno sconosciuto gruppetto di svitati, e io ero accanto a un uomo molto magro, dalla personalità cupa e ottusa. Non mi fece nessuna particolare impressione, allora, ma anni dopo, quando vidi le sue fotografie, compresi di aver pranzato accanto a Adolf Hitler.

9 - LA COSA PIÙ TRISTE DELLA SINISTRA AMERICANA È CHE HA TRADITO PER PROTEGGERE LE SUE PISCINE
Nell´arte americana il problema, o meglio, uno dei problemi, è il tradimento della sinistra da parte della sinistra, un auto-tradimento. In un certo senso, per stupidità, per ortodossia e osservanza degli slogan; in un altro senso, per semplice tradimento. Siamo molto pochi nella mia generazione a non aver tradito la propria posizione, a non aver fatto i nomi di altra gente...

E´ una cosa terribile. Non potrà mai essere superata. Non so come si possa ricominciare dopo un simile tradimento; è qualcosa che differisce profondamente, per esempio, dal caso di un francese che abbia collaborato con la Gestapo per salvare la vita della moglie; è un altro genere di collaborazionismo. La cosa più triste della sinistra americana è che ha tradito per proteggere le sue piscine. Non c´era nessuna destra americana, nella mia generazione.

Dal punto di vista intellettuale non esisteva. C´erano solo persone di sinistra, e si sono reciprocamente tradite a vicenda. La sinistra non è stata distrutta da McCarthy: si è demolita da sola, cedendo a una nuova generazione di nichilisti. Ecco cosa è successo.
(Rita Hayworth)

10 - LA RITA DI SHANGHAI
Credo che conosciate la storia della “Signora di Shanghai”. Stavo lavorando a una spettacolare idea teatrale per Il giro del mondo in ottanta giorni, che inizialmente doveva produrre Mike Todd. Ma da un momento all´altro Todd fece bancarotta, e io mi sono ritrovato a Boston il giorno della prima, impossibilitato a ritirare i costumi dalla stazione perché c´era un debito insoluto di cinquantamila dollari. Senza quei soldi non avremmo potuto andare in scena.

A quel tempo ero già separato da Rita; non ci parlavamo neanche più. Non avevo intenzione di fare un film con lei. Da Boston mi sono messo in contatto con Harry Cohn, il direttore della Columbia, che era a Hollywood, e gli ho detto: «Ho una storia straordinaria, se mi mandi cinquantamila dollari con un vaglia telegrafico entro un´ora, firmo un contratto per realizzarla». Cohn mi ha chiesto: «Che storia?». Io telefonavo dal botteghino del teatro; vicino c´era un banco con un´esposizione di libri tascabili, e io gli ho dato il titolo di uno di quelli: La signora di Shanghai. Gli ho detto: «Compra il romanzo, e io farò il film».

Un´ora dopo abbiamo ricevuto i soldi. In seguito ho letto il libro e l´ho trovato orribile, così mi sono messo al lavoro per scrivere una storia al massimo della velocità. Sono arrivato a Hollywood per girare il film con un budget molto ridotto e in sei settimane di riprese. Ma mi servivano altri soldi per il mio teatro.

Cohn mi ha chiesto perché non usavo Rita. Lei aveva detto che le avrebbe fatto molto piacere. Io le ho fatto capire che il personaggio non era simpatico, era una donna che aveva ucciso e questo poteva intaccare la sua immagine di star agli occhi del pubblico. Ma Rita era molto determinata a fare questo film, così invece di costare trecentocinquantamila dollari è diventato un film da due milioni di dollari. Rita ha avuto un atteggiamento di grande collaborazione. Chi è rimasto davvero orripilato dopo aver visto il film è stato Cohn.
(La splendida rossa)

11 - BRECHT ANTI-SOVIET
Terribilmente simpatico. Aveva una mente straordinaria. Si vedeva perfettamente che era stato educato dai gesuiti. Aveva quel tipo di mente disciplinata caratteristica dell'educazione gesuitica. Istintivamente, era più anarchico che marxista, ma riteneva di essere un perfetto marxista.

Quando un giorno gli ho detto - stavamo parlando del Galileo - che aveva scritto un´opera perfettamente anticomunista, è diventato quasi aggressivo. Io gli ho risposto: «Ma la Chiesa che tu descrivi qui deve essere quella di Stalin, non quella del Papa, di questi tempi. Hai scritto una cosa decisamente antisovietica».

12 – PRENDERE PER IL CULO HEMINGWAY
Il mio rapporto con Hemingway è stato sempre molto divertente. La prima volta che ci siamo incontrati è stato quando mi hanno chiamato a leggere il commento narrato di un film che lui e Joris Ivens avevano fatto sulla guerra di Spagna; si chiamava “Spanish Earth” (Terra di Spagna). Appena arrivato mi sono imbattuto in Hemingway, che era tutto intento a tracannare una bottiglia di whisky; mi avevano dato una serie di battute troppo lunghe e vuote, che non avevano niente a che vedere con il suo stile, sempre così conciso e parsimonioso.

C´erano alcune parti pompose e complicate del tipo: «Ecco i volti degli uomini vicini alla morte», e la battuta doveva essere letta in un momento in cui sullo schermo si vedevano volti che erano molto più eloquenti. Io gli dissi: «Signor Hemingway, sarebbe meglio se si vedessero soltanto i volti, senza nessun commento».

La cosa non gli è piaciuta neanche un po´, e siccome poco tempo prima avevo fatto una regia per il Mercury Theatre, che era una specie di teatro di avanguardia, lui pensava che fossi una specie di finocchio, così mi ha detto: «Voialtri... ragazzini effeminati del teatro, che cosa volete saperne della guerra vera?».

Prendendo il toro per le corna ho cominciato a muovermi con gesti effeminati e gli ho detto: «Signor Hemingway, quanto è forte lei, quanto è grande!». La cosa lo ha mandato su tutte le furie, al punto che ha afferrato una sedia; io ne ho preso un´altra e lì, di fronte alle immagini della guerra civile spagnola che continuavano a scorrere sullo schermo, abbiamo iniziato una zuffa tremenda.

E´ stata una cosa meravigliosa: due tipi come noi di fronte a quelle immagini che rappresentavano gente nell´atto di combattere e morire... abbiamo finito col brindare insieme con la sua bottiglia di whisky. Nella nostra vita abbiamo passato lunghi periodi di amicizia e altri in cui a malapena ci parlavamo. Non sono mai riuscito a evitare di prenderlo garbatamente in giro, e questo nessuno lo aveva mai fatto; tutti lo trattavano con il massimo rispetto.

13 – IL TALENTO DI KUBRICK
Non ho visto niente della generazione più recente, a parte qualche esempio d´avanguardia. Tra quelli che potrei definire la «giovane generazione», Kubrick mi appare come un gigante. Non ho visto “Lolita”, ma credo che Kubrick possa fare qualsiasi cosa.

E´ un grande regista che non ha ancora fatto dei grandi film. Quel che vedo in lui è un talento che i registi della generazione precedente alla sua non possedevano, intendo dire Ray, Aldrich, e così via. Forse lo dico perché il suo temperamento si avvicina molto al mio.
(Michelangelo Antonioni)

13 – GLI SFONDI VOGUE DI ANTONIONI
Secondo i giovani critici americani, una delle grandi scoperte della nostra epoca è il valore della noia come tema artistico. Se è così, Antonioni merita di essere annoverato tra i pionieri della tendenza come padre fondatore. I suoi film sono sfondi perfetti per mannequins di alta moda. Forse non ci sono sfondi così perfetti neanche in Vogue, anzi, è così che dovrebbero farli. Dovrebbero ingaggiare Antonioni per progettarli.
(Federico Fellini con Marcello Mastroianni e Anita Ekberg)

14 – FELLINI, UN ARTISTA SUPERLATIVO CHE HA MOLTO POCO DA DIRE
E´ dotato, come tutti quelli che fanno cinema oggi. Il suo limite - che è anche la fonte del suo fascino - è di essere fondamentalmente molto provinciale. I suoi film sono il sogno della grande città da parte di un ragazzo di provincia. Le sue sofisticherie funzionano perché sono la creazione di qualcuno che non è sofisticato. Tuttavia mostra spesso segni pericolosi di essere un artista superlativo che ha molto poco da dire.
(Vittorio de Sica e Gina Lollobrigida)

15 – VIVA DE SICA
Non vi piacerà quello che vi sto per dire, dato che le persone che ammiro non sono affatto stimate dagli intellettuali del cinema; il dramma è tutto qui. Il cineasta che preferisco è De Sica: so che vi fa star male. E John Ford. Ma il Ford di vent´anni fa, il De Sica di dodici anni fa. Ah! “Sciuscià”: è il miglior film che abbia mai visto. Dovreste vergognarvi di non amare De Sica: magari potessimo riparlarne fra duecento anni!
 
Da La Repubblica
Estratti dal libro “ It's All True. Interviste sull'arte del cinema ”, a cura Mark W. Estrin, con traduzione e postafazione di Serafino Murri, Minimum Fax.

da Dagospia del 15 Febbraio 2005