Salò o le 120 Giornate di Sodoma Pasolini 1Nel 1944 quattro gerarchi fascisti imprigionano in una villa di campagna, nei pressi di Salò, un gruppo di ragazzi e ragazze con il solo scopo di soddisfare le loro perversioni sessuali e psicopatologiche. L’ultimo film scritto e diretto dal sempre discusso Pier Paolo Pasolini, risalente al 1975 ed apertamente ispirato al romanzo del Marchese de Sade Le 120 giornate di Sodoma, procede seguendo una struttura dantesca in quattro parti: un Antinferno e tre Gironi.

 Nell’Antinferno quattro Signori, il Duca Blangis (Paolo Bonacelli), il presidente della Corte d’Appello (Umberto Paolo Quintavalle), un Monsignore (Giorgio Cataldi) ed il presidente Durcet (Aldo Valletti), con l’aiuto di diverse guardie delle SS, trascinano alcuni giovani di entrambi i sessi in una villa isolata, imponente e decadente, nella periferia di Salò. In questa villa vige il regolamento dei Signori che prevede una totale obbedienza ad ogni loro fantasia e perversione, ispirate dai racconti di tre ex  prostitute (la signora Vaccari, la signora Maggi e la signora Castelli, rispettivamente interpretate da Hélène Surgère, Elsa De Giorgi e Caterina Boratto).

Nel Girone delle Manie i Signori costringono le loro vittime a camminare a quattro zampe, simulando il comportamento di cani ansanti ed affamati che afferrano ciò che viene gettato loro in terra, mangiano in una ciotola di latta avanzi sudici e polenta ai chiodi.
Il Girone della Merda è completamente dedicato alla sodomia ed alla scatofagia. Gli unici rapporti sessuali permessi sembrano essere quelli anali (eterosessuali od omosessuali che siano) e le feci degli astanti sono il pasto prelibato.
Infine nel Girone del Sangue le atroci depravazioni sfociano in sevizie, mutilazioni ed uccisioni fino a raggiungere il massimo stato di degradazione morale in alcuni episodi di necrofilia (il tutto accompagnato dai Carmina Burana di Carl Orff, antichi canti medievali riadattati unendo arcaico e moderno).

Salò o le 120 Giornate di Sodoma Pasolini 2Probabilmente tra i film più discussi mai realizzati in Italia, Salò o le 120 giornate di Sodoma, è considerato il testamento spirituale di Pasolini, assassinato ancor prima del montaggio definitivo (a cura di Nino Baragli). Subito dopo la prima proiezione, il 22 novembre 1975 al Festival di Parigi, seguirono scandali di ogni genere che portarono all’accusa di abuso di minori ed atti osceni in luogo pubblico a carico del produttore Alberto Grimaldi.

 È il film della perfezione formale e scenografica. Ogni inquadratura è curata nei minimi particolari, ogni dettaglio ha la sua fondamentale importanza; le stanze spoglie, la propensione ai campi lunghi e la quasi totale mancanza di primi piani ci portano in un universo sempre più depravato e raggelante.
Particolare importanza è data al piano sonoro. Nell’ultimo Girone, durante i martiri, si osservano le vittime urlare senza ascoltarne gli strazi. Inoltre una figura molto presente nel film è quella della pianista (interpretata da Sonia Saviange) che accompagna le narratrici durante i loro racconti, con aria distaccata e non curante, ma che finisce col suicidarsi gettandosi da una finestra dopo aver visto un giovane seviziato.

Salò o le 120 giornate di Sodoma 3 PasoliniLa pellicola è un inno alla violenza, fisica e morale, al degrado umano e spirituale, alla “putrefazione” dei sentimenti. Le persone non sono più persone, ma cose. Cose, oggetti di cui disporre, senza remore o false indulgenze; oggetti senza vita. La cosa peggiore è che in realtà il film sembra essere lo specchio (seppur esaltato) della società italiana di quei tempi, il lontano (neppure poi troppo) 1944, in cui regnava nel nostro Paese una democrazia esclusivamente virtuale, ed in cui ogni specie di brutalità sembrava essere concessa. È possibile considerare Salò come una specie di diario personale di Pasolini, la confessione ultima di un uomo che vede il sesso come una maledizione, come un atto forzato, incestuoso e nefasto che lacera corpo e anima.

“La raffinatezza del libertinaggio è quella di essere al tempo stesso carnefice e vittima”.

di Tania Varroni

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