Letteratura e cinema sono molto legati. Lo sono sin dalla nascita del grande schermo. Un legame molto stretto, il loro. Simbiotico. Carta e pellicola che camminano mano nella mano per raccontare storie al mondo.

Chissà se deve più il cinema alla letteratura o la letteratura al cinema!

Secondo voi?

Pensateci.

Quante volte vi è capitato di andare al cinema per vedere il film tratto da quel libro che avete tanto amato?

Quante volte, dopo aver visto un film che vi è piaciuto, siete andati ad acquistare il libro da cui è stato ispirato?

E vi è mai capitato di essere delusi da uno spettacolo cinematografico al punto tale da aver voglia di andar via prima della fine?

Magari vi è capitato, anche se poi siete rimasti perché avevate letto il libro. Così come è accaduto alla voce narrante (o meglio, cantante) della bellissima A day in the life dei Beatles.

I saw a film today oh, boy

The English army had just won the war

A crowd of people turned away

But I just had to look

Having read the book

Having read the book, canta John Lennon. “Avendo letto il libro” (perché avevo letto il libro).

Sì, ci sono film mediocri basati su romanzi stupendi. Così come ci sono libri deludenti che hanno ispirato film eccezionali.

Ma in generale… sono meglio i libri o i film tratti dai libri?

È meglio La terra trema di Visconti o I Malavoglia di Verga? Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa o quello del già citato Visconti?

Di esempi se ne potrebbero fare tanti. Fino ad arrivare ai nostri giorni.

Parliamo di Caos calmo. Meglio il romanzo di Sandro Veronesi o il film di Grimaldi?

Vi rammento la trama del libro.

Pietro Paladini è un uomo apparentemente realizzato, con un ottimo lavoro, una donna che lo ama, una figlia di dieci anni. Ma un giorno, mentre salva la vita a una sconosciuta, accade l’imprevedibile, e tutto cambia. Pietro si rifugia nella sua auto, parcheggiata davanti alla scuola della figlia, e per lui comincia l’epoca del risveglio, tanto folle nella premessa quanto produttiva nei risultati. Osservando il mondo dal punto in cui s’è inchiodato, scopre a poco a poco il lato oscuro degli altri, di quei capi, di quei colleghi, di quei parenti e di tutti quegli sconosciuti che accorrono a lui e soccombono davanti alla sua incomprensibile calma. Così la sua storia si fa immensa, e li contiene tutti, li ispira fino a un finale inaudito eppure del tutto naturale.

Nanni Moretti riesce davvero a impersonare così bene Pietro Paladini, il protagonista della storia? Ve lo immaginavate così mentre leggevate il libro? Certo, se avete già visto il film - ma non avete ancora avuto modo di gustarvi il romanzo - credo che nel momento in cui inizierete la lettura il personaggio che vedrete con gli occhi della mente avrà per forza di cose la faccia di Nanni Moretti. E vi sembrerà strano immaginarlo dentro la macchina anziché seduto su una panchina.

E poi c’è un altro caso recente.

Io sono leggenda. Anche in questo caso mi viene da domandarvi: meglio il romanzo di Richard Matheson o il film dove il protagonista è interpretato da Will Smith?

Anche in questo caso vi rammento la trama del romanzo.

Robert Neville torna a casa dopo una giornata di duro lavoro. Cucina, pulisce, ascolta un disco, si siede in poltrona e legge un libro. Eppure la sua non è una vita normale. Soprattutto dopo il tramonto. Perché Neville è l’ultimo uomo sulla Terra. L’ultimo umano sopravvissuto, in un mondo completamente popolato da vampiri. Nella solitudine che lo circonda, Robert esegue la sua missione, studia il fenomeno e le superstizioni che lo circondano, cerca nuove strade per lo sterminio delle creature delle tenebre. Durante la notte Neville se ne sta rintanato nella sua roccaforte, assediato dai morti viventi avidi del suo sangue. Ma con il sorgere del sole è lui a dominare un gioco crudele e di meccanica ferocia, scandito dalle luci e dalle ombre di un tempo sempre uguale a se stesso e che impone la ripetizione di un rituale sanguinario. In questo mondo Neville, con la sua unicità, si è già trasformato in leggenda.

Parliamone.

 

(Massimo Maugeri)

da: http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/02/19/meglio-i-libri-o-i-film-tratti-dai-libri/

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Cinema e libri

Mi sembra che ultimamente siano sempre più numerosi i film che escono al cinema tratti da un romanzo. Solo quest’anno, su 8 film che sono andata a vedere, 4 erano tratti da un romanzo: l’ultimo Harry Potter, Munich (tratto da Vendetta di Jonas), I segreti di Brokeback Mountain (dal romanzo di Annie Proulx), The constant gardener (da Il giardiniere tenace di Le Carrè). E ancora, Orgoglio e pregiudizio, Oliver Twist, V per vendetta, Arrivederci amore, ciao, Truman Capote, solo alcuni altri che mi vengono in mente.

Tutto ciò ha sicuramente l’effetto benefico di rilanciare le vendite di questi testi nelle librerie: spesso, addirittura, vengono ripubblicati con la copertina che richiama la locandina del film, o con fascette che indicano il legame con il cinema.

Dei quattro che ricordavo sopra, solo Harry Potter e Munich li ho letti prima di vedere il film. In entrambi i casi, ho apprezzato molto di più il romanzo.

Perché? E poi, è meglio leggere prima il libro, o vedere il film? La lettura del primo o la visione del secondo, sono influenzati?

Dal mio punto di vista, preferisco leggere il libro.

Addirittura, quando sono andata a vedere Munich, avevo finito il libro solo da poche ore, e ho passato il tempo a ricordare stralci del libro, e a pensare a cosa avessero tenuto uguale o cambiato rispetto al testo originario.

Leggendo un libro, la componente soggettiva dell’immaginazione è più libera, posso “creare” i personaggi o gli ambienti come più preferisco, facendo associazioni personali o lasciando libera la mia creatività e immaginazione.

Nel film, tutto è già pronto, e in questo caso diventa ancora più importante la capacità del regista e dello sceneggiatore di riproporre in un nuovo formato il testo originario.

Sicuramente non è facile, si corre il rischio di rimanere legati al romanzo, deludendo i lettori.

Ma effettivamente, quante persone leggono, rispetto a quelle che vedono un film?

Forse, veramente, è un bel modo di riportare alla lettura un pubblico più ampio.

Da ultimo, noto anche che, se vedo prima il film, mi passa la voglia di prendere in mano il libro. Il regista ha già fatto tutto per me, e rischio solo di rivedermi riprodotte le immagini dello schermo.

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Di Antonio Carnevale
 
Philippe Seymour Hoffman fa rivivere il celebre scrittore sul grande schermo. E gli somiglia tanto che vince l’Oscar. Ma al cinema non si dice tutto sull’autore di “A sangue freddo”. Per saperne di più arriva in Italia una biografia. Pettegola, divertente e tragica come era il geniale Truman.

Sei parole possono cambiare la vita di un uomo. “Uccisi contadino e la sua famiglia”. Il trafiletto del New York Times stravolse l’intera esistenza di Truman Capote, uno dei più grandi scrittori in lingua inglese del Novecento. Quel trafiletto lo portò a scrivere A sangue freddo, il suo romanzo capolavoro; lo fece diventare ricco e celebrato in tutta l’America e l’Europa; ma segnò anche l’inizio del suo declino umano e psichico. Fino a impedirgli di concludere qualsiasi altra opera letteraria. E a rimanere prigioniero di incubi, alcol, cocaina e psicofarmaci, fino alla tomba.”

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Sono andata al cinema a vedere Munich di Spielberg. Proprio poche ore prima, avevo finito di leggere Vendetta di Jonas, il libro da cui è stato tratto il film.


George Jonas - VendettaOriginally uploaded by halighalie.

Devo ammettere che sono stata molto condizionata nel mio giudizio dall’aver appena finito di leggere il romanzo (anzi, tecnicamente è un saggio). Il libro è veramente bellissimo, nasce come intervista ad Avner, il protagonista, ma si legge proprio come un romanzo. È molto approfondito dal punto di vista psicologico, e mi ha molto colpito la tragedia interiore che colpisce i 5 personaggi, i dubbi e le incertezza sulla bontà o meno delle loro azioni. Trattando di un argomento così delicato come terrorismo e controterrorismo, offre un punto di vista originale e particolare.
Consiglio sicuramente il libro, e anche il film. Soprattutto il finale, che è grandioso, e in cui Spielberg ha messo quello che secondo me è un tocco geniale.

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Ho appena finito di rileggere, questa volta in lingua originale, The Virgin Suicides di Jeffrey Eugenides.

L’autore, innanzitutto. L’ho conosciuto al Festivaletteratura di Mantova, dove stava presentando il suo ultimo romanzo, Middlesex, qualche anno fa. Un uomo molto in gamba, molto simpatico, molto colto. Middlesex è un libro ben scritto, originale come storia, si legge volentieri.

Conquistata anche dalla sua figura, sono andata a prendere Le vergini suicide (Mondadori).

È un libro stupendo, nonostante il soggetto della storia (chiaro fin dalla prima riga) al primo impatto possa bloccare: narra di 5 sorelle, nella tipica periferia americana, che, una dopo l’altra, si suicidano.

Detto così, sembrerebbe abbastanza deprimente. In effetti un po’ lo è.

Ma Eugenides è riuscito a trattare un simile argomento in modo originale e appropriato: la voce narrante è corale, sono i ragazzi del paese che seguono la vicenda di giorno in giorno nel suo svolgersi, e a distanza di anni, ancora ossessionati. Questa dimensione corale è molto particolare e interessante, e ho pensato avesse la sua influenza nelle origini greche dell’autore. Fra l’altro, mi ha anche ricordato un libro che ho appena letto, La ballata di John Reddy Heart di Joyce Carol Oates. Altre somiglianze con questo romanzo sono nella figura drammatica dell’eroe (Johnny da un lato e le sorelle Lisbon dall’altro), e nel bisogno ancora più forte da parte del “coro” di avere questa figura dell’eroe fra di loro, incomprensibile, ma necessaria.

Il tutto, con un distacco cinico molto toccante.

Da questo libro è stato anche tratto un film, di Sofia Coppola. La trasposizione cinematografica di un romanzo non è facile, ma in questo caso è ben riuscita: molto legata al testo, ma rende bene, soprattutto l’atmosfera.

Da ultimo, una nota sulla copertina dell’edizione americana: bellissima.

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 RIflessioni

Quando guardo un film, voglio che ci sia un lieto fine, se no mi arrabbio.

Quando leggo un libro, però, non vale lo stesso ragionamento.

Anzi, se è triste, mi piace ancora di più.

Forse al cinema è più facile che mi immedesimi, e quindi vorrei che, almeno lì, sia tutto bello e perfetto.

In un libro, invece, guardo molto anche come è scritto, sono più distaccata.

Se il libro è “triste”, o malinconico, si crea più pathos…

Non so, ci dovrei pensare ancora.

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Sono convinto che Capote sarà il film dell’anno (negli Usa in verità è uscito nel 2005). La storia del lavoro di Truman Capote per la scrittura del suo capolavoro, “A sangue freddo” (In cold blood) [info da ibs.it], uscito negli Stati Uniti nel 1965, dopo l’esecuzione di Perry Smith e Dick Hickock.
I due avevano ucciso nel 1959 un’intera famiglia dopo la rapina nella loro casa. Capote in compagnia della scrittrice Harper Lee andò a Holcomb, sul luogo del delitto per raccogliere il materiale per scrivere un articolo su The New Yorker. Il risultato fu questo libro straordinario che inventò il genere del romanzo-reportage, ma che è superiore a tutte le imitazioni successve e si colloca fra le maggiori opere della letteratura americana del 900.
Solo che Capote pagò questo lavoro con una sorta di ossessione.
Il film, diretto da Bennet Miller e sceneggiato da Dan Futterman, racconta questa ossessione. In particolare, come ricorda Daniel Mendelsohn sulla New York Review of Books, (articolo tradotto sulla Rivista dei libri di gennaio 2006) il film si propone “l’esplorazione di una complessa questione letteraria e morale: il rapporto fra lo scrittore e il suo soggetto”.

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da: http://leggerelibri.wordpress.com/category/film/

 

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