Quanto spazio occorre per capire se il patto potrà essere soddisfatto?  Generalmente pochi minuti, sicuramente non più di trenta: il tempo del primo atto. E’ in quella prima parentesi che incontriamo veramente il film. Sono quei primi preziosi minuti quelli che ammorbidiscono o irrigidiscono il nostro giudizio. E' la voce che esce dal buio, sono le parole che riempiono lo spazio, le immagini, le azioni calibrate, convincenti, studiate, ecco, queste sono le sole cose in grado di catturare o meno la nostra attenzione di spettatori, di suscitare amore o diffidenza.  In quel lasso di tempo, il personaggio principale deve diventare reale. In lui dobbiamo rivedere noi, capire le sue ragioni, appoggiarle, sostenerle. Il suo antagonista deve diventare il nostro peggiore nemico, i suoi affetti devono sembrarci totali, irrinunciabili, tanto forti da spingerlo giustificatamente oltre ogni limite, come faremmo noi se fossimo al suo posto.

Spettatori prima che autori

Siamo lì, in un cinema, seduti di fronte allo schermo.

Il locale è decentemente riscaldato e il nostro posto è sufficientemente comodo.

Nell'aria c'è quell'odore tipico, risultato di un miscuglio di aromi diversi che si staccano da pop corn ancora caldi, tessuti imbottiti, gomma, legno e giacche e cappotti di almeno una cinquantina di altre persone.
Le luci, finalmente, si spengono.

Ci appoggiamo meglio, accavalliamo le gambe e lasciamo che il nostro senso critico lustri gli artigli.

Ci lasciamo avvolgere da un audio amplificato che concede alla finzione un maggior senso di realtà e afferriamo incuriositi le prime parole, i chiaroscuri, la fotografia di un paesaggio che pare non avere confini.

Vogliamo e dobbiamo essere risucchiati in quel panorama: abbiamo un’urgenza catartica da soddisfare. O siamo dentro o siamo fuori. Non può esistere via di mezzo.

Cerchiamo di escludere i nostri problemi, la nostra vita personale, dimentichiamo gli impegni e concediamo alla finzione la nostra totale attenzione. Questo è il nostro patto: tempo e attenzione da parte nostra, magia da parte della favola.

Trenta minuti

Quanto spazio occorre per capire se il patto potrà essere soddisfatto?

Generalmente pochi minuti, sicuramente non più di trenta: il tempo del primo atto.

E’ in quella prima parentesi che incontriamo veramente il film. Sono quei primi preziosi minuti quelli che ammorbidiscono o irrigidiscono il nostro giudizio. E' la voce che esce dal buio, sono le parole che riempiono lo spazio, le immagini, le azioni calibrate, convincenti, studiate, ecco, queste sono le sole cose in grado di catturare o meno la nostra attenzione di spettatori, di suscitare amore o diffidenza.

In quel lasso di tempo, il personaggio principale deve diventare reale. In lui dobbiamo rivedere noi, capire le sue ragioni, appoggiarle, sostenerle. Il suo antagonista deve diventare il nostro peggiore nemico, i suoi affetti devono sembrarci totali, irrinunciabili, tanto forti da spingerlo giustificatamente oltre ogni limite, come faremmo noi se fossimo al suo posto.

Il primo atto, i primi trenta minuti di un film servono a questo: a introdurre protagonista, co-protagonisti e antagonisti. Sono loro gli interpreti della storia e sempre e solo loro sapranno renderla efficace o noiosa, avventurosa o ridicola, spassosa o pesante. Cosa fanno? Chi sono? Cosa dicono? Come dicono ciò che dicono? Qual è il loro movimento? Perché fanno quello che fanno?

Durante il primo atto noi, spettatori, dobbiamo arrivare a conoscere ambientazione, pelle, ossa, sentimenti, cuore e anima di buoni e cattivi, vincenti e perdenti, dobbiamo arrivare ad approfondirli quel tanto che basta per capire se abbiamo voglia di continuare a seguirli.

Scrivere

Un bravo autore, lo abbiamo già ribadito, è anzitutto un ottimo osservatore.

Prima di scrivere le azioni, i dialoghi, le ambientazioni, un autore deve vedere quel film dentro la propria mente. E’ importante per lui sentirlo scorrere, inseguirlo, crederci come fosse seduto in quel cinema, in mezzo a uno dei tanti spettatori.

La storia che sta per essere messa in scena attraverso la tastiera del pc, deve anzitutto affascinare il suo autore.

A poco serve parlare di conflitto, di equilibrio, di viaggio se prima l’autore non è  capace di emozionarsi. E’ il suo film, la sua magia e porterà la sua firma, ne sarà responsabile.

Primo atto, dunque. Elaboriamo il nostro incantesimo.

La formula è semplice: il nostro eroe muove i primi passi dentro la storia. Muovendosi egli si mostra. E mostrandosi, nasce.

Il limite è altrettanto chiaro: niente dovrà essere riferito. Ogni passaggio, ogni emozione, ogni pensiero, al cinema non potrà essere riferito, raccontato, riassunto, ma dovrà essere mostrato.

Quale azione corrisponde a quella emozione? Quale azione mi svela la natura di quel personaggio? E’ un buono? Vediamola questa bontà. E’ un cattivo? Mettiamo in scena la sua cattiveria attraverso un’azione precisa. Usiamo ogni conoscenza acquisita sul personaggio per renderlo tondo, credibile, pronto ad attraversare l’intera vicenda con la sua aura di realtà.

Trenta minuti per introdurre una vicenda, senza annoiare, senza appesantire ma portando sempre avanti la linea d’attenzione del nostro pubblico.

Niente immagini scontate, nessuna ridondante rilettura di capolavori trascorsi. Dobbiamo trovare un linguaggio nuovo, originale: il nostro. Dobbiamo sorprendere ma senza eccedere per non cadere nella trappola dell’esasperazione.

Prima di chiudere il primo atto, dopo aver impostato e presentato la nostra storia, i nostri personaggi ecco che si presenta la prima grande difficoltà: trovare il giusto colpo di scena che catalizzi l’attenzione del pubblico e lo spinga direttamente nel secondo atto.

Ma di questo ci occuperemo la prossima volta.  

di Sabrina Gioda
Sceneggiatrice cinematografica e televisiva, autrice di romanzi e insegnante di sceneggiatura e scrittura creativa
Dal suo blog http://scriverecinema.weebly.com