La messa a fuoco è un concetto più elastico di quanto si possa immaginare di primo acchito: impostando una certa distanza sull'obiettivo, è facile dimostrare sperimentalmente che il medesimo soggetto resterà a fuoco anche se si avvicinerà o si allontanerà dalla cinecamera, pur senza variare l'impostazione dell'anello delle distanze. L'ampiezza di questo spazio viene definito "profondità di campo", e in un mondo tridimensionale quale è quello in cui viviamo, il fatto che questa "profondità" esista è senz'altro un vantaggio; la PdC, in altre parole, consiste in quello spazio di fronte e alle spalle del soggetto, entro il quale quest'ultimo può muoversi (avvicinandosi o allontanandosi dalla cinepresa), restando nitido.

Osserviamo qualche esempio, magari anche per imparare come leggere una tabella della Profondità di campo, nel caso non si avesse dimestichezza.

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Nel prospetto riprodotto in figura, sulla sinistra sono incolonnati i valori presenti sulla ghiera delle distanze dell'obiettivo, espressi in metri; i valori si ripetono ciclicamente per ciascuna delle tre focali prese in considerazione, indicate sull'estrema destra (f= 6, 15, 30 mm); in alto sono riportati orizzontalmente i valori di diaframma: da F: 2,8 a F: 45.
Abbiamo evidenziato alcune letture della PdC relativa alla focale di 15 e 30 mm: osservando la colonna relativa al diaframma 8, si nota che, alla distanza (teorica) di 1,6 m dal soggetto, la PdC va da 1,05 a 3,5 m. Alla distanza di 6 metri, la PdC cresce, estendendosi da 1,4 m all'infinito. Sempre alla distanza di 1,6 m e con diaframma 8, ma alla focale di 30 mm, la PdC si estende da 1,40 a 1,85 m; mentre alla distanza di sei metri, essa si estende da 3,7 a 15 metri.

Già con questi pochi esempi, si capisce che, per una medesima impostazione sulla ghiera delle distanze, l'ampiezza dello spazio detto PdC può variare grandemente, e dipende da alcuni fattori che esamineremo uno per uno.

Il primo di questi è la lunghezza focale dell'obiettivo: maggiore la focale, minore la PdC. A questo riguardo va detto che la PdC di un'ottica di data focale X è assoluta, ossia prescinde dal formato di pellicola che si trova dietro di essa: un 40 mm avrà sempre la stessa PdC, sia esso montato su di una 35 mm (sulla quale verrà considerata un'ottica "normale"), sia che si trovi su una cinepresa S/8 (sulla quale funzionerà da tele già piuttosto spinto). Va però fatta una precisazione: poiché, a parità di immagine osservata, un fotogramma 35 mm deve essere ingrandito circa venti volte meno di un fotogramma S/8, ecco che occorre mettersi d'accordo su cosa sia la messa a fuoco, ossia occorre domandarsi fino a che punto posso considerare nitida o accettabile un'immagine che comunque - in linea teorica - perfettamente a fuoco non è, stante il fatto che col formato superiore, è possibile "perdonare" scostamenti maggiori dal settaggio ottimale, rispetto al formato inferiore; e questo è possibile grazie alla maggior "densità" di informazioni che si può ottenere col 35 mm, e al fatto che, crescendo di formato, per una data focale, ci si sposta verso l'estremo grandangolo rispetto ai formati inferiori. Ciò dà l'mpressione che lo "sfocato che non appare tale" grazie alla P.d.C., sia meno pronunciata, quando di fatto è la stessa del formato minore.

Per comprendere meglio come possa verificarsi questa sorta di "inganno ottico" (che si basa su precise premesse fisiche), dobbiamo pensare all'immagine che si forma sulla pellicola come a una serie infinita di punti luminosi, focalizzati sull'emulsione dall'obiettivo. Ciascun punto-immagine, proveniente da un preciso punto della scena inquadrata, è un po' come una sorta di microscopica circonferenza, ed è tanto più netta quanto più piccolo è il suo diametro; ovviamente più precisa è la messa a fuoco, più è fatta salva questa condizione, mentre se ci scostiamo progressivamente dal fuoco ottimale, il diametro di questi punti cresce, e la definizione cala progressivamente, poiché ciascuna "circonferenza" va a sovrapporsi con quelle adiacenti. Ecco quindi che si parla di "circolo di confusione", fenomeno che si verifica quando il diametro di questi circoli diventa maggiore delle dimensioni medie delle particelle che compongono l'emulsione: la Schneider, ad esempio, per i suoi "Macro Variogon" montati sulle Nizo, nonché per gli Optivaron destinati alle cineprese a ottica intercambiabile, considera nel calcolo per la determinazione delle tabelle di PdC, un circolo di confusione di 0,02 mm, un valore medio-basso ricavato proprio tenendo conto delle problematiche di risolvenza intrinseche del S/8, e che rispetta almeno in parte la massima definizione ottenibile con la più risolvente delle emulsioni S/8, almeno fino a 25 anni fa. Questo significa che la Schneider per ogni punto-immagine che produce un circolo non più grande di 0,02 mm di diametro, considera "a fuoco" il corrispondente punto-scena da cui quel raggio luminoso viene originato. Chiaro che si tratta di una convenzione basata in parte anche su osservazioni empiriche, per cui, in teoria, nulla toglie che si possa prendere in considerazione valori di soglia anche più bassi: in questo caso la PdC sarà più ristretta, come capita con la tabella riprodotta più in alto. Viceversa con valori di soglia più elevati.
Fatta questa precisazione, va osservato che nel S/8 si ha comunque una PdC sempre relativamente ampia, in considerazione del fatto che le focali di uso comune presentano valori assoluti numericamente molto bassi. Questo può essere un aiuto, poiché perdona più facilmente errori e imprecisioni di messa a fuoco (specie se sono fatte salve pure le condizioni dei punti che seguono); ma può anche essere una limitazione quando si vuole ottenere una messa a fuoco molto selettiva, che isoli il soggetto principale da ciò che si trova alle sue spalle, facendolo risaltare dallo sfondo quasi come se si distaccasse da questo. Non potrò mai dimenticare la prima volta che vidi le mie prime stampe ottenute con la mia reflex e il semplice obiettivo da 50 mm: già con diaframmi non più chiusi di 5,6 (v. oltre), si otteneva un soggetto principale perfettamente nitido che si stagliava su uno sfondo ridotto a semplici e gradevolissime macchie di colore. Cosa quasi impossibile da ottenere col S/8 nella stragrande maggioranza dei casi, poiché raramente si usa la focale di 50 mm, in quanto "avvicina" molto al soggetto: per sfruttarla senza problemi, occorrerebbe allontarnarsene notevolmente. Una volta, per ottenere un effetto simile, fui costretto a usare la focale di 80 mm con la cinepresa montata su cavalletto, usando la cadenza di 54 fps per ridurre ulteriormente la PdC (v. oltre). Ma anche così lo sfondo, pur sfocato, non era gradevole quanto quello della reflex, per via probabilmente dello zoom e della forma romboidale (e non a iride) del diaframma, che producono di solito uno sfocato con caratteristiche che ricordano vagamente una sorta di forte mancanza di definizione. Specie col S/8, questo è uno dei limiti peggiori degli zoom rispetto ai cosiddetti "prime lenses", ossia obiettivi a focale fissa. Comunque da quanto esposto più sopra, si dovrebbe comprendere anche perché occorre usare la massima focale disponibile quando si fa la messa a fuoco: la riduzione della P.d.C. evidenzia il probabile sfocato e facilita l'operazione rendendo la regolazione più precisa.

Tornando al tema principale, il secondo paramentro da cui dipende l'ampiezza della PdC è l'apertura del diaframma d'uso: più è chiuso (=valori numerici alti), maggiore la PdC. Questo si spiega facilmente se pensiamo a quanto detto poco sopra riguardo ai punti-scena e ai cerchi di confusione: all'allontanarsi dal "fuoco ideale", aumenta il diametro dei circoli di confusione, come conseguenza dell'aumentato diametro - per così dire - dei raggi luminosi in transito attraverso l'ottica: ma chiudendo il diaframma, questi raggi luminosi vengono "tosati" e "snelliti", sì da compensare in certa misura, l'errore/tolleranza di focheggiatura; "l'impatto" sull'emulsione tenderà nuovamente - in certa misura - a un ideale punto dal diametro infinitamente piccolo. A riprova di ciò, è possibile utilizzare una reflex a controllo della P.d.C.; chiudendo il diaframma all'effettiva apertura di lavoro, si osserverà un'immagine più scura nel mirino, ma in generale, più a fuoco sia davanti sia dietro il soggetto principale. Oppure si può fare questa esperienza, riservata ai miopi: levatevi gli occhiali e osservate ciò che sta davanti a voi ad almeno un paio di metri di distanza, attraverso i due indici e il pollice posizionati come in figura, tenendoli il più vicini possibile all'occhio; stringendo progressivamete il foro risultante, il tutto apparirà più scuro, ma anche con i bordi molto più netti: si tratta di un fenomeno che dipende dalle stesse leggi fisiche che descrivono quanto sopra esposto.

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Ovviamente, volendo giocare creativamente coi diaframmi nel S/8, non si può giostrare fra questi e i tempi di otturazione come si farebbe con una macchina fotografica SLR a priorità di diaframmi, poiché i tempi sono normalmente fissi, tranne che per alcune eccezioni; ma anche queste macchine presentano regolazioni del tempo di posa troppo ristrette perché si possa parlare di un aumento della versatilità. Di conseguenza, se voglio aumentare la PdC chiudendo maggiormente il diaframma, le uniche possibilità che ho sono: ricorrere a più luce (magari artificiale) e/o a una pellicola più sensibile;
Volendo, invece, diminuire la PdC aprendo maggiormente il diaframma, posso utilizzare un'emulsione meno sensibile e/o uno o più filtri grigi (neutri) che, sottraendo luce in entrata, obbligano la cinepresa a lavorare con diaframmi più aperti; attenzione, però, al possibile calo di definizione su obiettivi zoom molto spinti, anche blasonati. Inoltre, ma soltanto se il movimento della scena da registrare con ridotta PdC non è importante, posso ricorrere anche a una cadenza di ripresa maggiore dei canonici 24 fps, per esempio 36 o, meglio ancora, 54; in questo secondo caso si ha necessità di aprire il diaframma di oltre due stop rispetto al normale, poiché il tempo di esposizione pro-fotogramma si riduce drasticamente.
Per concludere questa sezione, va aggiunto che quanto sopra esposto spiega anche la ragione per cui sulle cineprese a ottica intercambiabile come Beaulieu o Leicina, è presente un pulsantino che fa aprire il diaframma al massimo quando si deve focheggiare, per tutto il tempo in cui lo si tiene premuto.

Il terzo parametro che influenza l'ampiezza della PdC è la distanza fra soggetto e cinepresa: infatti a parità di focale e luce, la PdC è tanto maggiore quanto più distante dall'obiettivo si trova il soggetto. Se, osservando il barilotto di qualsiasi obiettivo, vi siete chiesti come mai la distanza fra i diversi valori di metri e piedi impressi sull'anello di messa a fuoco, si accorcia al loro aumentare di valore, la ragione è proprio questa: più è distante il soggetto, meno "critica" è la messa a fuoco, poiché si va nella direzione della "distanza iperfocale" ossia la distanza alla quale non è più necessario focheggiare, per dirla in termini molto semplici; infatti la rotazione che separa la tacca dei 10 o 15 metri dal simbolo dell'infinito è di pochi millimetri, mentre è molto maggiore fra 1,5 e 2 metri. A riprova di quanto detto sopra sul rapporto fra focali e PdC, va detto che su un obiettivo come il Cinegon Schneider (f = 10mm), la distanza ipefocale si raggiunge già a valori oltre 1,5 m: dopo di questa, infatti, sul barilotto compare il simbolo dell'infinito (va detto comunque che esiste più di una versione di questo "vetro", con diversi valori di riferimento delle distanze).

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Conviene ora fare qualche esempio: alla focale di 40 mm, presente su quasi tutte le cineprese, e con un diaframma di F: 16, impostando sulla ghiera delle distanze il valore di 1,5 metri, risulterà a fuoco tutto ciò che si trova da 1,14 a 2,10 metri dal piano di scorrimento della pellicola, secondo le tabelle Schneider. Ossia la PdC complessiva risulterà pari a 96 centimetri a partire da 1,14 metri dal piano di scorrimento pellicola, simboleggiato su qualsiasi tipo di macchina cine-video-fotografica dal simbolo di un cerchietto tagliato a metà da un piccolo segmento verticale. Lasciando invariati focale e diaframma, ma impostando la distanza di 3 metri sulla ghiera delle distanze, risulterà a fuoco tutto ciò che si trova da un minimo di 1,87 a un massimo di ben sette metri dal piano pellicola: la PdC risultante, sarà, quindi, pari a 5,13 metri. Si dice anche che, generalmente, la P.d.C complessiva si estende all'incirca per un terzo davanti al soggetto e per due terzi alle sue spalle, e questi valori lo confermano.
Ragionando al contrario (cfr. riquadri gialli): supponiamo che, con diaframma 16 e questa focale di 40 mm, io voglia tenere ben a fuoco la mia fidanzata, ma anche la montagna sullo sfondo; come posso fare? Semplice: osservando la tabella, cercherò per quale valore della ghiera delle distanze, va a fuoco anche l'infinito, et voila: questo valore è sei metri; se la focale è 40 mm e il diaframma è 16, con quel valore di sei metri impostato sull'obiettivo, risulterà tutto a fuoco a partire da 2,70 m fino all'infinito. Basterà che io mi metta a circa tre metri dalla mia amata e il gioco è fatto.

Tutto così semplice, dunque? Non proprio: se si fosse d'accordo su quanto debba essere ampio il circolo di confusione in relazione al formato coperto, non ci sarebbero problemi; in realtà diverse fonti suggeriscono ampiezze di PdC leggermente variabili, certamente perché alcune sono più strette di altre su questo parametro: come dicevo all'inizio, il concetto di messa a fuoco può essere meno oggettivo di quanto si possa desiderare. Quindi il consiglio è di fare qualche esperimento, basandosi preferibilmente su tabelle redatte dal costruttore della propria cinepresa, se presenti; oppure usandone di universali, per esempio quelle presenti su qualsiasi manuale del cineamatore che si rispetti, purché siano il più dettagliate possibili, e vengano applicate con una certa "circospezione", cioè cercando di non sfruttare mai tutta la PdC dichiarata, bensì "stringendola" un po', per sicurezza; soprattutto con diaframmi più aperti di F 8 e con focali più lunghe di 20-25 mm, che nel Super 8 equivalgono già a un medio-tele. Citando a memoria, eviterei le tabelle presenti sul per altri versi eccellente Cinematografare, di David Cheshire (Mondadori, 1981): troppo scarne, dato che prende in considerazione una gamma limitata di focali e soprattutto di distanze, presentando poi i diversi dati in piedi e pollici da convertire nel Sistema Metrico Decimale.

da La Soffitta di Maurizio Di Cintio

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