Differenze tra CORTOMETRAGGIO e LUNGOMETRAGGIO

dalla tesi di Emanuele SANA

PRIMO CAPITOLO  

Del Cortometraggio

  Cortometraggio s.m. Film di durata non superiore ai quindici minuti, specialmente di contenuto documentario o pubblicitario. (Il Nuovo Zingarelli, Zanichelli, Bologna, 2000)

Il cortometraggio si affianca a due sfere di interesse diverse fin dalla sua evidenza etimologica: da un lato è immediato il parallelo che lo avvicina al lungometraggio anche se errato sarebbe definirlo come un frammento di quest'ultimo. Il cortometraggio è un film a tutti gli effetti, con una propria struttura: ha un inizio ed una conclusione o, parlando cinematograficamente, i propri titoli di testa e di coda. Impensabile sarebbe impostare un mark-in ed un mark-out in un qualsiasi lungometraggio e pensare che questa sequenza, seppur caratterizzata da unità tematica, caratterizzi un cortometraggio a se stante. La seconda sfera di interesse è senza dubbio quella temporale: il primo elemento di riconoscimento per il cortometraggio è appunto la durata inferiore rispetto agli standard presenti al cinema; esagerato mi sembra, però, limitare la sua estensione ai quindici minuti (come troviamo nelle definizioni dei differenti dizionari presi in considerazione): credo sia più corretto asserire che la durata non debba superare la mezz'ora. Questa precisazione è necessaria analizzando tre fattori, i primi due di carattere statistico, il terzo formale. Innanzitutto, cercando la moda relativa all'estensione temporale di un numero elevato di cortometraggi, si scopre che si assesta quasi sempre sotto i trenta minuti: questo limite è superato da un numero limitato di lavori, pressoché di carattere documentaristico o d'avanguardia. La seconda rilevazione sottolinea come, cercando tra i vari bandi di concorso di festival e rassegne internazionali, solitamente la lunghezza richiesta si inserisce in questa durata, titoli di testa e di coda inclusi. Si sta tentando in questo momento di offrire una precisazione del termine anche se, nella maggior parte dei casi, sono le modalità d'uso comune delle istituzioni coinvolte a stabilire il valore da attribuire ad una definizione: questa può avere un aspetto normativo, è il caso di concorsi statali per la richiesta di fondi che richiedono determinate caratteristiche delle proposte, o un aspetto pratico. Se prendiamo infatti in considerazione i festival nazionali ed internazionali, risulta evidente come il limitare diventi una necessità di tipo organizzativo, sia per quanto riguarda il lavoro di selezione del materiale iscritto al concorso, sia per gli effettivi giorni di programmazione in sala.

Ben più importante è l'ultimo fattore, di tipo strutturale: scrivere un film con un minutaggio superiore ai trenta minuti, necessita un approccio diverso al personaggio ed alla trama; come vedremo più dettagliatamente nel secondo capitolo, quest'ultima in particolare dovrebbe includere una sottotrama, mentre il cortometraggio viene limitato proprio per cercare di mantenere intatta la sua specificità di ricercata semplicità .

Risolta la questione relativa a ciò che intendiamo con il termine cortometraggio, è ora intenzione riprendere il filo conduttore che vuole dimostrare l'indipendenza del cortometraggio dal “fratello maggiore”. Attualmente sono due gli schieramenti valorialmente opposti: il primo definisce il cortometraggio “palestra per giovani registi che si preparano al lungometraggio” il secondo lo vuole “forma espressiva autonoma” . Entrambe le sfere di valore dovrebbero essere, a mio parere, prese in considerazione: credo che la limitatezza della prima consista nel non capire che, pur essendo terreno di prova, nulla vieta che il corto abbia una propria peculiarità e che possa rappresentare qualcosa di molto differente da un film di novanta minuti. Inoltre, tale definizione non tiene presente che è possibile trovare enti, festival e concorsi mossi dalla precisa attenzione al panorama del corto d'autore oppure che alcuni registi e produttori scelgano come missione professionale quella di pensare a quest'orizzonte per effettiva volontà o per necessità di ordine economico ed organizzativo (ad ulteriore esempio, si pensi alle attività televisive ed editoriali che pian piano stanno nascendo attorno al cortometraggio: Corto 5, SpazioCorto nella programmazione di ComingSoonTelevision , raccolte complete di vhs in libreria).

Sostenere ancora una volta come la verità sia nel mezzo è quello che cercherò nei tre paragrafi seguenti: innanzitutto, se il cortometraggio è una forma a se stante, allora deve avere corrispettivi parimenti indipendenti nelle altre sfere, sto pensando qui al parallelo con altre forme brevi. Se entità autonoma deve essere, che lo sia negli approcci, ma che condivida la medesima mentalità che muove il lungometraggio. Importante, infine, sarà possedere una storia che, nascendo con l'invenzione del cinema, trovi ben presto collocazione propria nel panorama non dei generi ma delle forme.

 

Per un “Elogio della rapidità”

Per forme brevi , seguendo una precisazione di Isabella Pezzini , intendiamo quelle creazioni editoriali, cinematografiche ed artistiche in genere che nascono e si sviluppano con durata limitata ma con un'altissima coerenza e coesione interna. Da questa prima definizione, comprendiamo come il valore di tali forme si giochi su due livelli che coesistono ma non si limitano reciprocamente: da una parte la consapevolezza di avere estensione minore rispetto alle altre produzioni di lunga durata; dall'altra la loro genesi che si muove dalla coscienza di essere forme altre rispetto alla durata diventata prassi .

Roland Barthes, sul finire degli anni '70, sosteneva come “la forma cercata è una forma breve” , e continuava affermando che queste “forme deliberatamente minori” non sono “un ripiego, ma un genere come un altro” e contribuiscono al progetto di “rielaborare la griglia delle intensità”: sono teorie che testimoniano come la brevità non sia inversamente proporzionale all'intensità espressiva. Un breve tempo o la medesima estensione si possono riempire con strategie differenti, atte ad emozionare e trasmettere energia e passione: queste forme brevi, per poter raggiungere tali obiettivi, devono essere studiate e confezionate ad hoc da coloro che investono in questi progetti non solo da un punto di vista economico, ma anche da un punto di vista comunicativo. A tal proposito Italo Calvino pensa all'oggetto della narrazione come a una battaglia contro il tempo: “E' un segreto di ritmo, una cattura del tempo che possiamo riconoscere dalle origini: nell'epica per effetto della metrica del verso, nella narrazione in prosa per gli effetti che tengono vivo il desiderio di ascoltare il seguito” e, aggiungo io, nel cinema per la volontà di vedere lo sviluppo della trama. A questi due contributi, potremmo poi aggiungere il discorso sull' elasticità del testo di Greimas, le teorie del montaggio di Ejzenštein o la distinzione che Eco sottolinea tra un tempo come parte del contenuto narrativo (la durata cronologica coperta dagli avvenimenti di una fabula) e un tempo del discorso impiegato a narrare questo contenuto.

La prima testimonianza dell'indipendenza del cortometraggio risiede quindi nella consapevolezza di essere fin dall'idea destinato ad un tipo di fruizione appositamente limitata: dal soggetto, quest'obiettivo diventa il vero e proprio modus operandi guida della realizzazione e, infine, sistema di distribuzione mirato. L'aspetto della fruizione, però, rappresenta un forte elemento di differenziazione tra il corto cinematografico e le altre forme brevi: mentre il primo, infatti, non è previsto nella grande distribuzione e occupa semplicemente una nicchia situata nei ristretti campi di festival e rassegne, tra le altre possiamo trovare casi di capillare diffusione e di primaria importanza nell'uso comune. Sto pensando all'ambiente letterario: portando l'esempio del sonetto, risulta di immediata comprensione il fatto che, pur trattandosi di forma breve, il suo “ruolo pubblico” non è affatto limitato ed il suo valore è pari a quello di altre forme maggiori.

Risulta poi necessaria un'ulteriore precisazione sui termini: Barthes definisce le forme brevi come generi . In realtà, la discussione relativa ai generi (cinematografici nella fattispecie) è molto complicata, anche perché si rischia di fissare arbitrariamente confini laddove tali limiti sono labili e soggetti a continue mutazioni: lo dimostra il fatto che la trattazione degli stessi ha accompagnato il cinema fin dalla sua affermazione (la visibilità pubblica dei generi ha inizio già nel 1910 con l'istituzionalizzazione delle forme di consumo del nuovo medium). Se volessimo seguire le formulazioni primo novecentesche di Balázs, il genere viene visto come possibile patto comunicativo tra un'istituzione che lo offre alla fruizione e lo spettatore che accetta l'offerta, fornisce cioè le regole testuali ed extratestuali per una negoziazione delle modalità di consumo del prodotto filmico tra le due parti. E' necessario intuire che il patto comunicativo tra istituzione-cinema e spettatore è rappresentato da elementi interni al testo: seguendo il pensiero di Altman, infatti, “film dello stesso genere hanno componenti contenutistico-formali simili, cioè l'identità di genere risiede nelle sue caratteristiche testuali” . Lo spettatore, nel momento della scelta della pellicola, si indirizzerà verso quello “schema di aggregazione di tratti caratteristici” che sono di carattere interno al film stesso: Ruggero Eugeni precisa che “tra i vari tipi di tratti, sono stati tradizionalmente privilegiati quelli di tipo tematico o narrativo. Più recentemente però alcune proposte invitano a tenere conto anche di altri tipi di determinazione, quali caratteri e le promesse passionali ed emozionali del film, o gli ‘usi' del film all'interno delle pratiche e delle relazioni della vita quotidiana”. Spostando ora l'interesse sul cortometraggio, è immediato comprendere che esso non rappresenti un genere, in quanto questi tratti interni al testo filmico non sono omogenei: come il lungometraggio, anche il corto sfrutta infatti ogni insieme di tratti caratteristici, dal western al noir, dalla commedia al musical, dimostrandosi una sorta di contenitore di generi . Da qui l'ennesima constatazione che ci porta a considerarlo creatura a se stante.

Se dal punto di vista testuale non possiamo considerare il cortometraggio come genere, la teorizzazione diventa più difficile quando consideriamo gli elementi extratestuali e formali: Eugeni ricorda che “un'attenzione va tributata […] ai tratti estetici e sensibili, quali i ritmi, gli stili, il tipo di interpretazione attoriale ecc”. Mettendo da parte recitazione e stile, che credo rientrino nel discorso interno al testo, il ritmo rientra in una categorizzazione più ampia che è quella del tempo: non penso, però, che la durata limitata possa essere considerata elemento denotativo di un genere, nel senso che la distinzione fra lungo, medio e corto-metraggio rappresenta solamente una suddivisone in macrocategorie. Uno spettatore sceglie di assistere ad una manifestazione di film di breve durata, è vero, ma non saprà mai se tra i corti troverà il suo genere preferito.

Il cortometraggio “non solo…ma anche”

  Il cortometraggio si presenta, oggi come dalle sue origini di prodotto altro rispetto allo standard cinematografico, il luogo del “non solo…ma anche”: è difficile, infatti, trovarne una collocazione univoca nel panorama della produzione e della fruizione. E' fondamentale palestra in attesa del lungometraggio ma anche forma espressiva autonoma, sta al racconto (ma anche all'aforisma o allo sketch) come il film sta al romanzo, è esordio ed apprendistato di tanti grandi maestri del cinema ma anche una loro chicca sconosciuta ai più, è territorio di sperimentazione di nuovi stili, spazio dell'autoproduzione e dell'indipendenza, espressione per eccellenza della creatività giovanile ma anche formato che si innesta nel filone della tradizione specialmente legata al documentario o ad altre forme consolidate, corto come spazio di libertà da schemi ma anche luogovincolato da condizionamenti produttivi. L'elenco potrebbe continuare, mostrando come ad un aspetto ne corrisponda un altro diverso, talvolta diametralmente opposto: tutto questo testimonia che gli approcci al cortometraggio possono essere diversi, ma la mentalità che guida queste realizzazioni è la medesima che consente ad un film di nascere; questa precisazione è ancora una volta fondamentale poiché, dimostrando la perfetta sovrapposizione della volontà di partenza, quella cioè di narrare o descrivere, si mettono i due metraggi sullo stesso piano e quindi, indirettamente, se ne sancisce l'indipendenza.

Con il termine approccio si intende l'avvicinamento ad un qualsiasi progetto che include una pianificazione: questa è una delle sostanziali differenze tra il cortometraggio ed il lungometraggio. Nel momento in cui un regista (o un artista in genere) decide di sfruttare il formato del corto, può farlo per due ordini di motivi: il primo è, banalmente, di carattere economico. Tale aspetto divide i livelli produttivi a seconda di budget e distribuzione: riconosciamo i blockbusters , film che richiedono sforzi produttivi molto alti poiché annoverano attori famosi, registi affermati, location e risorse sul set di proporzioni elevate; a produrli sono le grandi case americane e alcune co-produzioni europee, la loro distribuzione avviene a livello internazionale ed è accompagnata da una pubblicità pervasiva. Abbiamo poi i film commerciali, che si sviluppano solitamente in ambito nazionale ed a questo mercato sono destinati: si sviluppano su più livelli, dal film di bassa fattura destinato a limitati guadagni, a film di qualità realizzati da autori consolidati che però, seguendo le parole relative al panorama italiano del regista Maderna, “rarissimamente fanno qualcosa di forte, poiché tendono a riprodurre lo stesso meccanismo” . Al penultimo gradino riconosciamo i film indipendenti, originariamente film nati da piccole case di produzione o da singoli artisti per opporsi alle grandi produzioni: mezzo di protesta ma anche modo per trattare tematiche che non possono trovare spazio nei filoni dei blockbusters . Prodotti con limitate finanze, diventano baluardo di una cinematografia d'autore, molto volte troppo elitaria: è per questo motivo che restano limitati ad un circuito d'essai che non ne permette, salvo rari casi, una larga distribuzione. Per ultimo l'autoproduzione: ogni possessore di una videocamera e di un sistema per il montaggio (con il digitale è diventato anch'esso di economica realizzazione) può diventare filmmaker e produrre un proprio film, più o meno importante, più o meno caratterizzato da una tecnica e da una consapevolezza narrativa. La distribuzione acquista oggi, anche per quest'ultimo filone, il carattere della globalità, specialmente pensando agli archivi che internet mette a disposizione per la raccolta di prodotti di ogni genere.

Il cortometraggio è soprattutto, salvo alcune realizzazioni di case di produzione affermate, terreno dell'autoproduzione e dell'indipendenza, ed è inoltre valvola di sfogo della creatività giovanile: togliendo da questi tre sistemi quello dell'indipendenza , è facilmente comprensibile che gli altri due sono lontani dalla produzione ad alto budget. Indipendenza e creatività giovanile non dispongono di grandi risorse, quindi il cortometraggio diventa il primo pensiero per chi non ha la possibilità di produrre un film di durata superiore ai trenta minuti, sia dal punto di vista di tempo effettivamente speso per riprese e montaggio, sia per questioni finanziarie ed organizzative, soprattutto in termini di maestranze implicate nel lavoro.

A tal proposito l'esempio del mio Appunti di vite : il primo pensiero è andato alla possibilità di girare il cortometraggio in pellicola , ho formulato a tal proposito un preventivo che, affiancato alla sceneggiatura, è passato sul tavolo di lavoro di numerosi produttori (più o meno importanti), di manager d'azienda interessati al mondo cinematografico, enti ed istituti che offrono sponsorizzazioni. L'unico modo per realizzare il mio cortometraggio con l'ausilio della celluloide sarebbe stato, infatti, quello di farlo produrre: sarebbe, sottolineo, poiché non trovando uno sbocco in questo senso, ho dovuto modificare il mio approccio, limitando le maestranze richieste e, soprattutto, il supporto utilizzato per le riprese.

Fortunatamente la tecnologia viene incontro a questo tipo di approccio al cinema e il digitale offre, oltre ad un efficace abbattimento dei costi, una qualità dell'immagine che va sempre più aumentando. Filmando un'identica situazione, la ripresa effettuata con macchina da presa risulta immediatamente riconoscibile rispetto a quella eseguita con videocamera, seppur professionale, e tale differenza riguarda tre campi diversi: luce, definizione e fluidità. Non soffermandomi oltre (la trattazione delle caratteristiche del digitale riguarderà il terzo capitolo di questa tesi), voglio elencare i tre dati sensibili più facilmente evidenziabili: per quanto riguarda la luce, tipico nei lavori in digitale è notare una certa freddezza del colore , restituita da una luminosità che prende tonalità di blu e da un contrasto che è molto distante da quello percepibile dal nostro occhio; se con la pellicola possiamo ricorrere a sviluppi mirati per modificare la luminosità, nel digitale quello che viene ripreso può essere perfezionato solo in post-produzione (e comunque solo a livello digitale e non sul supporto di ripresa). Per questo motivo, per Appunti di vite è stato pensato un passaggio attraverso un filtro di Avid in grado di smorzare la luminosità eccessiva (sovraesposizione) restituendo in parte le tinte calde della celluloide. La luce influenza anche la precisione dell'immagine: se con la pellicola la definizione dei contorni, la brillantezza del nero e l'efficacia visiva dei dettagli è portata al massimo, nel digitale, poiché si parla di immagine immagazzinata come serie di bit e non come impressione diretta su un supporto fisico, l'attenzione deve essere rivolta a questi elementi in modo che non riportino imprecisioni o squadrettamenti . Come ultimo elemento, è necessario accennare alla fluidità dell'immagine: la macchina da presa filma a 24 fotogrammi al secondo, salvo rallenty o slow motion , e questi fotogrammi sono singoli. Il digitale, oltre a filmare a 25 fotogrammi al secondo, non restituisce fotogrammi singoli, ma crea fotogrammi interpolati : tra un'immagine di partenza ed una di arrivo, infatti, vengono creati passaggi intermedi che non rappresentano veri e propri dati reali, ma ricostruzioni digitali di essi. In tal modo si cerca di sopperire alla mancanza di fluidità del mezzo elettronico, ma viene meno la cadenza tipica che possiamo notare al cinema.

In realtà il discorso relativo alla differenza tra pellicola e nastro magnetico non dovrebbe rivolgersi solamente all'aspetto qualitativo, ma dovrebbe ricoprire un ambito più vasto che prende in considerazione lo statuto dell'immagine. Alessia Cervini prende in considerazione la concezione ejzenstejniana dell'arte vista come “punto d'incontro di natura ed industria” in grado di “riunire il principio passivo dell'esistente e quello attivo della produzione” e sostiene che, con l'avvento del digitale, tale statuto viene modificato: “se infatti l'uso del supporto digitale, videocamere leggere e sempre più agilmente maneggiabili, sembra enormemente aumentare il potenziale di ricettività e fluidità dell'immagine cinematografica, quello ormai enormemente diffuso di immagini numeriche spinge inesorabilmente il cinema verso la propria completa emancipazione dal reale sensibile” . Il problema è quindi, come afferma Kiarostami, citato dalla Cervini nel medesimo articolo, trovare una definizione al rapporto tra verità e menzogna che l'uso del digitale può riformulare in modo innovativo: tale gioco verità-finzione è però, nello stesso tempo, uno dei punti di forza della recente tecnologia di ripresa. Non mi dilungherò oltre in questo secondo aspetto di riflessione teorica e ritorno nell'ambito guida della mia trattazione, quello pratico, riportando una tabella che mette a confronto due preventivi: nella parte sinistra quello per l'eventuale realizzazione in 16mm, in quella destra, il costo per l'effettiva realizzazione in Dv-cam.

Realizzazione in pellicola 16 mm

Realizzazione in Dv-cam, supporto digitale

Acquisto pellicola

10 rulli x 122 mt.

Totale: 100' di ripresa

1400,00 €

Acquisto cassette Dv-Cam

2 cassette

Totale: 120' di ripresa

80,00 €

Sviluppo pellicola

1,10 €/mt x 1220 mt.

1300,00 €

Il digitale non va sviluppato

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Telecinema

500,00 €/h x 100'

700,00 €

Il digitale è già pronto per il montaggio

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Noleggio mdp

Arriflex Sr3

400,00 €/giorno x 6 gg

2400,00 €

Videocamera digitale

Dv-Cam

50,00 €/giorno x 6 gg

300,00 €

Noleggio carrello cinemat.

200 €/giorno x 3 gg

600,00 €

Noleggio carrello cinemat.

200 €/giorno x 3 gg

600,00 €

Noleggio attrezzatura audio

Registratore e microfoni

500,00 €

Microfoni

(registratore in camera)

100,00 €

Totale pellicola 6900,00 € - Totale digitale 1080,00 €

L'evidentissimo divario economico che troviamo tra i due preventivi, risulterebbe ancora più profondo se consideriamo le maestranze in gioco: oltre ad aumentare le persone necessarie per trasportare fisicamente la mdp rispetto alla videocamera, sono molti di più gli accorgimenti da prendere in considerazione (specialmente in riferimento alla fotografia ed alle conoscenze tecniche) e gli errori nei quali si può incappare.

Accanto a quello economico, poi, è l'aspetto strutturale a modificare l'approccio al cortometraggio rispetto al film di durata superiore: nel momento in cui decidiamo, per volontà o per necessità, di affrontare un lavoro di metraggio inferiore, dobbiamo entrare in uno stato mentale atto a costruire un testo per questa estensione; nei due livelli, di scrittura e di ripresa, saranno diverse le priorità, diverse le strutture che entrano in gioco e che vanno modellate spazialmente e temporalmente.

La differenza non sussiste se, invece degli approcci, consideriamo la mentalità che muove il testo cinematografico: sto pensando qui alla volontà di narrare e descrivere. Tanto il cortometraggio quanto il lungometraggio si affidano all'azione visiva per l'esposizione e la caratterizzazione, fondando il lavoro sull'illusione di realtà che è specifica del medium audiovisivo. Entrambe le durate vogliono offrire, presentando questa realtà (ritratta da un documentario o da un film d'animazione, da un film di finzione o da un giallo), un punto di vista unico e particolare: Carver, riferimento per il narratore in breve, confessava che non è difficile scrivere, difficile è avere un punto di vista originale sul mondo . Non importa se sia preparazione per affrontare il lungometraggio, sia un ritorno agli esordi, sia missione professionale: la voglia di scrivere, di raccontare storie, di verbalizzare il nostro silenzio è rivelatrice di una curiosità per le cose che ci succedono dentro e fuori. L'ambizione è creare un'opera nuova e inedita, sia che risulti talmente estesa e complicata da necessitare i novanta minuti, sia che emozioni grazie al suo carattere aneddotico e, quindi, per la sua brevità. L'importante è capire che la narrazione è l'arte più vicina alle operazioni quotidiane del cervello umano. La gente trova il senso della propria vita nell'idea di sequenza, nella metafora e nella morale. La gente pensa ed elabora dei giudizi perché è abituata alla narrazione; chiunque, a qualsiasi età, è in grado di raccontare la storia della sua vita con autorità e quindi analizzare e imitare; non serve nessun'altra scuola .

Dal cinema breve al corto

 

L'ultimo fattore che ci permette di definire il corto come creatura a se stante è la possibilità di delinearne una storia specifica, anche se una storia generale del corto ricopre ed intreccia quella del cinema delle origini. Il 28 gennaio 1895 a Parigi, in quello che viene comunemente considerato l'atto ufficiale di nascita del cinema (la nota séance Lumière ) vengono presentati dieci brevi film, ciascuno costituito da una singola inquadratura di un minuto circa. La durata ridotta dei singoli film nasce da un'esigenza tecnica (il limite massimo della pellicola vergine inseribile nel caricatore del cinematografo Lumière era di diciassette metri) ma, come sottolinea giustamente Canosa , era anche dovuta all'interesse per il dispositivo stesso, macchina di innovazione scientifica, piuttosto che per i soggetti presentati. In una prima fase, quindi, la varietà prevale sull'unità del film, sostenendo quella ricerca del meraviglioso e dello spettacolare che caratterizza i primi anni del Novecento. Il primo passo fu la conquista dell'autonomia del cinema rispetto alle altre forme d'arte quali il circo, il teatro e altri strumenti di attrazione; questo traguardo fu raggiunto però solo con il superamento della brevità: quando i fratelli Latham aggiunsero il ricciolo, elemento in grado di allentare la tensione della pellicola, fu possibile realizzare film più lunghi dei tre minuti fino ad allora limite massimo. Il vero passaggio al lungometraggio avvenne negli Stati Uniti intorno al 1909 quando alcuni produttori iniziarono a realizzare film più lunghi di un rullo, anche se potevano paradossalmente essere proiettati solo separati l'uno dall'altro a causa del rigido sistema della Motion Picture Patents Company; non avveniva così in Europa, dove era possibile proiettare in un'unica serata anche tre o quattro rulli, a seconda della durata del film. In seguito iniziò anche negli USA a declinare il “cocktail di cortometraggi” preferito dai gestori dei nickelodeon e, intorno alle metà degli anni Dieci, il lungometraggio divenne la misura standard.

Facendo un passo indietro, è necessario sottolineare come la breve durata, caratteristica del primo decennio della storia del cinema, non abbia mai frenato l'inventiva degli autori: superato lo stupore scientifico iniziale, nasce immediata l'esigenza di descrivere, narrare, inventare parlando con il vocabolario della varietà che è possibile riscontrare nella realtà di tutti i giorni. Dal 1914, con Cabiria di Pastrone, kolossal italiano, inizia l'avvento dei film che implicano uno sforzo produttivo e concettuale diverso rispetto ai lavori precedenti: i film brevi continuano ad essere realizzati e proiettati per tutto il periodo del muto, specializzandosi nei due versanti della comica e del documentario, ma si trovano ben presto in posizione discriminata, semplice complemento di programma al lungometraggio. Oggi troviamo questi film brevi presenti nei festival internazionali o nelle rassegne dedicate ma la storia del corto, da qualsiasi punto di vista la si voglia considerare (un regista, una scuola, una tematica, una cinematografia nazionale) inizia coincidendo pienamente con l'avvio della storia generale del cinema: portando alcuni esempi troviamo L'arroseur arrosé e L'arrivée d'un train à La Ciotat dei fratelli Lumière, Le voyage dans la lune di Méliès, The Great Train Robbery e The Life Of An American Fireman di Edwin S.Porter, i film di produzione Pathé, Gaumont, Edison, Vitagraph, i primi passi del cinema d'animazione e di effetti speciali grazie allo spagnolo Segundo De Chomon, A Corner in Weath di David Wark Griffith (ideale punto di partenza per una storia dell'arte cinematografica che si identifica, in larga misura, con il cinema narrativo e drammatico), le slapstick comedies , i primi western, i primi film di registi del calibro di John Ford, Tod Browning, Frank Capra, i primi peplum e le prime trasposizioni per gli schermi di una vasta tradizione letteraria, teatrale, religiosa, storica.

E' necessario precisare che tali film non si autodefiniscono, né vengono concettualizzati come tali dal discorso pubblico coevo, cortometraggi a pieno titolo: riprendendo il pensiero di Canosa, la nozione stessa di cortometraggio, e la sua connotazione di forma specifica e “minore”, nasce in conseguenza dell'affermazione del lungometraggio a soggetto come formula principale della grande produzione cinematografica su scala industriale e commerciale; ciò non toglie che la coerenza e l'unità del testo erano elementi ricercati nella brevità, rispettando la formula costante dello spettacolo cinematografico, “quella che consiste nel chiamare film una grande unità che ci racconta una storia; e andare al cinema è vedere questa storia” .

The short subject operates with its own aesthetics, the essence of which is the most advanced conciseness and economy of the employed means of expression.

Questa considerazione ci porta ad un altro cinema breve, anch'esso non cortometraggio in senso istituzionale, ma fondamentale nella storia del corto: negli anni Venti si sviluppa un'avanguardia cinematografica che gioca con il poema visivo ed il documento sociale e questo filone utilizza il cortometraggio per la prima volta come strumento di protesta nei confronti del cinema istituzionalizzato, ponendosi come alternativa; quest'ultima riflessione ci porta a sostenere,ancora una volta, che fin dalle origini, il confronto tra i due metraggi non ha stabilito una gerarchia, un ripiego, un sistema di pars pro toto, bensì ha mostrato l'indipendenza dei due formati, destinati uno all'ufficialità, l'altro alla sperimentazione ed al documentario. Esistono dichiarazioni importanti a tale riguardo: ricordiamo Il Manifesto della cinematografia futurista del 1916, il film Entr'acte di René Clair , le varie dichiarazioni di intenti di avanguardie che desiderano sviluppare il cinema come arte autonoma, “fantasia e gioco contro l'ordine commerciale degli altri” .

La brevità del film, da limite tecnico, diventa virtù, esigenza di sintesi, provocazione ed aggressione alla magniloquenza ed alle lungaggini del cinema: tale durata è inoltre, occorre dirlo, la dimensione più adeguata per un cinema che nasce come esperimento artigianale, svincolato dai meccanismi commerciali di sfruttamento e finanziamento, legato all'autoproduzione ed al mecenatismo . Nasce sempre in questi primi anni il carattere del cortometraggio come contenitore di generi : in questo cinema confluiscono, oltre ai filoni tradizionali che riconosciamo nel lungometraggio, animazioni di forme astratte, lavori fisicamente diretti sulla pellicola (graffi, bruciature, collage), un numero enorme di documentari di carattere politico o sociale che adottano il 16 mm come forma visiva di protesta, e tutte quelle forme che non avrebbero trovato posto nella grande distribuzione.

Intorno agli anni Trenta, però, questa estrema libertà creativa vede una sostanziale riorganizzazione in generi e forme dai confini più definiti, si può parlare più correttamente di cortometraggio ed è possibile individuare le sue linee principali di sviluppo: il documentario (come afferma Manera , fino agli anni Sessanta il termine è spesso utilizzato come sinonimo di cortometraggio), l'animazione, la fiction ed il corto sperimentale; è una classificazione che, nonostante sia discutibile e piuttosto macroscopica, definisce perfettamente gli ambiti specifici di interesse, di indagine e la collocazione rispetto al sistema cinema ufficiale: a questi filoni va senza dubbio aggiunta, almeno pensando alla mole produttiva, l'informazione pubblica e commerciale.

Fino agli anni Cinquanta, essendo il cinema la forma spettacolare più seguita ed avendo raggiunto alti livelli di innovazione tecnica (l'avvento del sonoro in primis), si susseguono gli interventi delle istituzioni che, oltre a controllare, creano apposite strutture statali di produzione e formazione: una parte preminente degli interventi s'indirizza proprio alla sfera del cinema breve, poiché questo risponde alle esigenze di rafforzamento delle cinematografie nazionali e permette lo sviluppo di un cinema di ricerca su più piani alternativi al cinema commerciale, che spaziano dalla formazione professionale all'educazione, dalla documentazione tecnologica alla propaganda politica. Il film breve, perdente sul piano economico, sopravvive e prolifica nell'industria cinematografica con un ruolo complementare grazie alla sua istituzionalizzazione: tale processo lo porta a rafforzare la sua autonomia, poiché vengono cerate strutture produttive specializzate, se ne obbliga la programmazione nelle sale in abbinamento a lungometraggi, si incoraggiano contributi e sgravi fiscali agli esercenti che inseriscono film brevi nella programmazione, si susseguono riconoscimenti artistici; tutto questo da vita ad una produzione impressionante . Questa età dell'oro è costellata da registi, direttori della fotografia, compositori ed intellettuali di primo piano che proprio dal corto muovono i primi passi: per alcuni di loro è un transito, poiché troveranno consacrazione come autori nel lungometraggio, per altri è forma d'espressione principale, testimoniando l'autonomia espressiva; a sostegno di questo pensiamo che il corto rappresenta il luogo fondamentale per la definizione di uno stile e di una poetica cinematografica personali. Il regista Georges Franju, nel 1957, ad una domanda relativa alla difficoltà nel cambiare continuamente soggetto, risponde: “la difficoltà non è una difficoltà, ma una disciplina, utile, tollerabile come una parete per un pittore di affreschi. Ciò che conta nel cortometraggio, come in tutto il resto, è lo stile”. Aprendo una parentesi sul cortometraggio italiano, negli anni del Fascismo muovono i primi passi registi come Francesco De Robertis, Roberto Rossellini, Luciano Emmer, che costituiranno lo zoccolo duro del documentario neorealista del dopoguerra ed ai quali si aggiungeranno Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Luigi Comencini, Dino Risi, Gillo Pontecorvo, Carlo Lizzani, Paolo e Vittorio Taviani, PierPaolo Pasolini, Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Marco Bellocchio e molti altri; per il corto di fiction bisognerà invece aspettare i famosi film ad episodi (tre esempi: I mostri, di D.Risi e Ro.Go.Pa.G. di Rossellini-Godard-Pasolini-Gregoretti, Tre passi nel delirio di Fellini-Vadim-Malle).

Seguendo il filone del cortometraggio francese, passando attraverso le figure di Alan Resnais, Agnès Varda, Georges Franju e Chris Marker, arriviamo agli anni Sessanta ed alla Nouvelle Vague, profondo movimento di rottura della storia del cinema: anche qui il cortometraggio risulta essere un terreno produttivo immediatamente praticabile dagli autori del gruppo dei “Cahiers du Cinema”, sia nell'ambito consolidato del documentario, sia nella dimensione rinnovata del corto di fiction (presentando il nucleo di quella poetica poco più in là sviluppata nel lungo). E' sufficiente nominare Claude Chabrol, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, Eric Rohmer, François Truffaut per aver un esauriente quadro d'insieme.

Ma i cortometraggi rappresentano un aspetto importante per tutti i movimenti di nuovo cinema che attraversano le cinematografie di tutto il mondo: in questo periodo cambia profondamente il contesto di produzione e circuitazione in cui possono trovare spazio i nuovi registi e le nuove tendenze poiché aumenta l'impegno delle strutture pubbliche e sorgono scuole di cinema che si affiancano alle strutture di formazione già esistenti. I corti sono estromessi gradualmente dalla regolare programmazione nelle sale, ma si sviluppa parallelo un circuito di festival dedicati espressamente ad essi: nascono Tours in Francia, Oberhausen in Germania, Knokke-le-Zoute in Belgio, appuntamenti che consentono al cortometraggio di cambiare la sua natura, da complemento a normale spettacolo cinematografico cosmopolita. Oltre al circuito ufficiale, si moltiplicano serate e programmazioni speciali nei cineclub, nelle associazioni, nelle gallerie e nelle manifestazioni dedicate all'arte: venendo meno l'importanza delle sale tradizionali, dilagano i formati ridotti quali il 16mm e l'8 mm, dando manforte alla diffusione di autoproduzione e produzione indipendente. Spostandoci oltreoceano, gli anni Sessanta e Settanta negli Stati Uniti vedono i corti d'esordio di registi come Brian De Palma, Martin Scorsese,Gorge Lucas, John Carpenter, Wes Craven, David Cronenberg, David Lynch, senza tener conto che il cinema sperimentale vive un momento di rinnovato fervore, mutuando dal cinema storico la centralità dell'immagine liberata dalle convenzioni stilistiche e narrative. Lavorano in corto, sperimentando tematiche e stili che sfoceranno nel lungometraggio, autori come Kieslowski e Greenaway, Spike Lee e Tim Burton, Stephen Frears e Lars Von Trier.

Negli anni Ottanta, poi, continuando una tendenza iniziata nel decennio precedente, aumentano drasticamente le distanze tra il cortometraggio ed il cinema industriale: è l'innovazione tecnologica a portare sul mercato il nastro magnetico e la videocamera, e l'abbandono della pellicola mette in discussione lo statuto e la natura stessa del cinema e dell'audiovisivo. Ben presto, però, la scelta tra video e pellicola per gli autori diventa solo questione di orientamenti diversi e sfumati: l'accessibilità permette al video di diventare lo strumento economicamente vantaggioso della produzione militante, di documentario, di inchiesta e di memoria, oltre che di tutte quelle forme che vogliono essere alternative al cinema. Il cortometraggio, coinvolto in questa metamorfosi, si immerge in una dimensione underground dalla quale uscirà con difficoltà dopo la metà degli anni Novanta: negli ultimi anni del millennio scorso, infatti, il corto rinasce, grazie anche all'home video ed ai canali televisivi tematici. Vi sono alcuni tratti di continuità con la tradizione ma molto più imponenti sembrano le spinte innovative, prima fra tutte l'esplosione del corto di fiction, che non trova sfogo nelle sale cinematografiche, ma che si diffonde, ancora una volta, grazie ai festival. Si assiste ad un vero e proprio boom di iniziative che ampliano la circolazione e la visibilità dei corti, si crea una rete di luoghi ed appuntamenti fissi annuali, come il francese Clermont-Ferrand, Oberhausen, Amburgo, Huesca, senza contare gli spazi dedicati nei festival cinematografici a tutto campo come Cannes, Venezia, Berlino, Locarno, Torino. La grande novità è però costituita dalla televisione, specialmente nelle programmazioni di canali specializzati: addirittura alcuni di questi (Canal Plus, solo per citare il più attivo) si distinguono come produttori e distributori di cortometraggi. Aumentano, come accaduto ciclicamente nella storia analizzata fin'ora, le iniziative delle istituzioni pubbliche che riconoscono la validità del corto come espressione cinematografica e promozione dei nuovi registi e delle proprie cinematografie, si istituiscono enti e commissioni che si affiancano alle scuole ed alle università nel concedere fondi, premi o prestiti agevolati. Ultimamente si assiste allo sviluppo, grazie alle tecnologie informatiche, di una serie di connessioni tra il mondo del cortometraggio ed il web: internet è una risorsa utilissima e dai costi sostenibili per la diffusione di idee e materiale video, destinata a crescere con lo sviluppo della banda larga.

Il corto è entrato nel nuovo millennio con una veste nuova, con un nuovo prestigio e con una sopraggiunta facilità di realizzazione e diffusione: l'era del digitale consente di raggiungere standard qualitativi che si avvicinano alla pellicola e che hanno costi di gran lunga inferiori. Se rito di passaggio deve essere, che lo sia in relazione alla ricerca di esperienza e di finanziamenti, ma oggi è sempre più evidente che il corto è forma creativa autonoma e compiuta, con tratti che rispecchiamo il curriculum, i gusti e le aspirazioni di ogni singolo autore: la storia ci viene incontro e testimonia come le realtà di cortometraggio e lungometraggio non si sovrappongono (se non nei primi anni), ma si completano o, più frequentemente, si contrastano. Attualmente il lavoro continuo di festival e di operatori specializzati, televisivi e non, permette ampio sfogo al circuito che, se opportunamente sostenuto, potrà in futuro riportare il cortometraggio nelle sale. La missione più importante degli autori, per conservare l'autonomia del film breve, è continuare a considerarlo mezzo altro e non ripiego rispetto alla maggior durata, sistema di sperimentazione propria ed artistica in generale, cercando di “prendere la parola in favore dei piccoli invisibili atti dello spirito umano” .

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Mark-in e mark-out sono due termini mutuati dal linguaggio del montaggio: indicano i marcatori, iniziale e finale di una scena, la parte, cioè, del girato che vogliamo includere nel montaggio.

In un insieme di dati, la moda indica quello (o quelli) che ricorrono con maggiore frequenza: per poter tracciare tale dato, mi sono servito di una personale indagine che comprende tre raccolte di cortometraggi internazionali dell'Associazione cinematografica Lab 80 di Bg; undici numeri (gennaio 2003-novembre 2003) della rivista tagliocorto ; la raccolta I Corti. I migliori film brevi da tutto il mondo, edita da Einaudi; le puntate di Corto5, andate in onda da settembre a fine ottobre su Canale 5; gli elenchi delle opere presenti ai Festival di Venezia, Cannes, Oberhausen, Clermont-Ferrand nell'anno 2003. Su circa duecento cortometraggi analizzati dal punto di vista della durata, circa il 41% è risultato essere al di sotto dei dieci minuti; il 29% non supera il quarto d'ora; il 28% è compreso nei trenta minuti e solamente il 2% supera tale limite.

Credo mi sia permesso l'accostamento di due termini contrastanti concettualmente, ma che esprimono come la semplicità sia un valore non casuale ma profondamente caratteristico e, quindi, da ricercarsi nella stesura di un cortometraggio.

P.Manera, Dal cinema breve al corto , in E. Bevilacqua, a cura di, I Corti. I migliori film brevi da tutto il mondo, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2001, pag.6.

I.Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Einaudi, Torino, 1988.

I.Pezzini, Trailer, spot, clip, siti, banner. Le forme brevi della comunicazione audiovisiva , Meltemi Editore, Roma, 2002.

Si ritorna qui al discorso fatto in precedenza : siamo portati a considerare assodati alcuni elementi semplicemente perché entrati nell'uso comune. Il lungometraggio arriva quindi ad indicare il film che supera i sessanta minuti, mentre è stato coniato il termine mediometraggio per intendere estensioni che vanno dalla mezz'ora all'ora.

R.Barthes, Cronache , dal Nouvel Observateur, Parigi, 1978 citato in I.Pezzini, Trailer, spot, clip, siti, banner. Le forme brevi della comunicazione audiovisiva , Meltemi Editore, Roma, 2002, pag.17.

I.Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Einaudi, Torino, 1988.

Altman citato in L. Quaresima, Comunicazioni sociali, N°2, maggio-agosto 2002, pag.168.

R.Eugeni, Comunicazioni sociali, N°2, maggio-agosto 2002.

A. Olivari, intervista a G.D.Maderna, L'arte dell'essenziale: con Maderna a scuola di corto, Presenza, 10-2003, pagg. 36-37.

Ho preferito togliere le produzioni indipendenti da questo elenco perché, soprattutto negli ultimi anni, queste hanno perso il significato che avevano negli anni ‘60: lo testimoniano alcuni festival internazionali (il Sundance Film Festival in primis) nei quali vediamo pellicole ad alto budget.

Ovviamente in 16 mm, poiché sembra essere costoso il solo pensare al 35 mm.

Sistema di montaggio professionale.

Termine di uso comune che indica il difetto dell'immagine che sembra scomposta in tasselli di mosaico: è causato da una errata codifica.

A.Cervini, Ejzensteijn, il concetto di immagine nell'epoca del digitale , Filmcritica, marzo-aprile 2003, pagg. 21-23.

Citato in P. Manera, Dal cinema breve al corto , in E. Bevilacqua, a cura di, I Corti. I migliori film brevi da tutto il mondo, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2001, pag.17.

E.L. Doctorow. citato in P.Cooper, K. Dancyger, Come scrivere un cortometraggio, Lindau, Torino, 1998, pag. 75.

R. Chandler, A proposito della sceneggiatura, citato in P.Cooper, K. Dancyger, Come un cortometraggio, Lindau, Torino, 1998, pag. 23.

Citato in Paolo Manera Dal cinema breve al corto , in E. Bevilacqua, a cura di, I Corti. I migliori film brevi da tutto il mondo, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2001, pag.28.

C. Metz, Semiologia del cinema, citato in I.Pezzini, Trailer, spot, clip, siti, banner, Meltemi Editore, Roma, 2002, pag. 11.

M. Hendrykowski, The Art of the Short Film, citato in P.Cooper, K. Dancyger, Come scrivere un cortometraggio, Lindau, Torino, 1998, pag. 69.

F. Léger, Manifesto d'avanguardia.

Da questa osservazione storica è immediato il passaggio al paragrafo precedente: ieri come oggi sono identiche le motivazioni che portano a scegliere la strada del film breve.

Paolo Manera, Dal cinema breve al corto , in E. Bevilacqua, a cura di, I Corti. I migliori film brevi da tutto il mondo, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2001.

Basti pensare all'esempio della Francia dove, con l'abolizione del “doppio programma” (due lungometraggi abbinati) ed il passaggio all'abbinamento lungometraggio e cortometraggio, dal 1940 in poi la produzione si assesta intorno ai quattrocento corti all'anno.

Non va dimenticato che anche in Italia nel Dopoguerra si diffondono iniziative governative per lo sviluppo del cinema, specialmente rivolte al documentario che rappresenta le fondamenta del nascente Neorealismo: si pensi alla fondazione dell'Anica nel 1944 o alle richieste di vari produttori, tra i quali ricordiamo Gualino della Lux, per un'intensa collaborazione tra cinema e Stato che ebbe come risposta gli interventi portati avanti da Giulio Andreotti (G.Brunetta, Cent'anni di cinema italiano ¸ Laterza, Roma, 1995, vol. 2, pag.15).

J. Mekas, Anti-100 Years of Cinema Manifesto , citato in Paolo Manera, Dal cinema breve al corto , in E. Bevilacqua, a cura di, I Corti. I migliori film brevi da tutto il mondo, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2001, pag. 40.

 

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