CLARA
di NADIA FORINI
supervisione di FERNANDO SOLANAS IDEA

La storia narra di una assistente (Clara, appunto) di un regista argentino (interpretato dallo stesso Solanas) che viene inviata nel centro Italia a cercare delle locations per il suo nuovo film. Clara è già stata dieci anni prima in Umbria dove ha vissuto qualcosa di importante. La storia alla quale assistiamo è quindi la storia di un ritorno. Un viaggio attraverso i luoghi più belli dell’Umbria (ed anche una scena nella suggestiva Civita di Bagnoregio) sostenuta da un intreccio di tipo esistenziale/sentimentale che si risolve con un forte finale.

SOGGETTO

Buenos Aires, maggio 2004, Clara è l’assistente di un noto regista argentino. Quarant’anni, un lavoro che la soddisfa pienamente, Clara è una donna senza legami e piena di energia. Potremmo dire una donna felice. Potremmo.
Clara viene convocata un giorno dal regista per una missione importante: andare nella lontana Europa, precisamente nel centro Italia, per cercare delle locations da utilizzare nel film attualmente in fase di scrittura.
Clara riesce a fatica a dissimulare, Clara non riesce a dissimulare.
Clara è turbata dai fantasmi che tornano a mettere in dubbio la sua felicità. “Dai, coraggio, saranno passati più di dieci anni oramai”, la prende in giro il regista. “I più belli della mia vita” risponde Clara “ma una parte di me da laggiù non se ne è mai andata”, “e tu non avere paura di affrontarla”.
Clara arriva a Perugia in una calda giornata di luglio. Si guarda intorno. Un sospiro per scacciare gli antichi dolori e farsi coraggio. Del resto, se ora è lì, è perché la sua vita è andata proprio come lei aveva voluto.
Clara passa i giorni seguenti filmando i posti più belli che incontra. Campagne assolate, paesini sperduti, montagne incombenti, tramonti sul lago e albe che colorano la città di rosa. Una visita all’Isola Maggiore, sul lago Trasimeno, le regala un ricordo. Dieci anni fa era lì con Alessandro. Il traghetto che li portava sembrava danzare con loro, allora, e loro, noncuranti di tutto e di tutti continuavano ad assetarsi l’uno dell’altra. Ma è proprio in quella gita all’Isola che hanno dovuto affrontare per la prima volta la realtà.
Clara passeggia con la sua telecamera tra la terra e il cielo. L’acqua. I gabbiani. Una coppia di vecchi seduti su una panchina, si tengono per mano.
Clara sospira e si avvia al vecchio porto. “Come posso lasciarti andare?” le parole di Alessandro sembrano risuonare ancora tra le vecchie pietre. “Clara, con questo lavoro staremo 2 bene tutti e due. E poi Firenze, non mi hai detto che Firenze ti piace tantissimo?” “Firenze mi piace tantissimo, ma la mia vita è a Buenos Aires. Il mio futuro è in Argentina. I miei sogni mi aspettano nella mia terra”, “Non vuoi pensarci?”, “Certo che ci penserò, amore, fino al mio ultimo giorno con te. E poi me ne andrò”.
Clara ripone la telecamera e gira le spalle al piccolo molo. Avverte una presenza dietro di lei: da una piccola barca, tra i riflessi del lago, un ragazzo la sta guardando. E’ di una bellezza irreale. Altri viali, altri paesini, altre montagne. Altre città. Gli Etruschi. I Romani. Il Medioevo. Perugia la inebria. Attraverso un vicolo vede passare una donna in costume quattrocentesco. E ancora vicoli, archi, piazze, palazzi. Palazzo dei Priori, l’Arco Etrusco e, lì accanto, Palazzo Gallenga. Palazzo Gallenga, sede dell’Università per Stranieri. La meta del suo viaggio di dieci anni prima.
Clara entra. Comincia a filmare. Corridoi, scale, aule. E l’aula VI, quella di letteratura italiana. Il sole colpisce i banchi vuoti. Si sentono lontani i rumori della strada. E poi, d’improvviso, la voce profonda del suo professore di allora che recita una poesia. Il giorno del suo primo incontro con Alessandro. La classe era gremita di gente di tutti i colori.
Clara era come al solito al primo banco. Il professore recitava - allegro ed austero allo stesso tempo – i versi immortali di un grande poeta. La porta, con discrezione, si aprì. Con una pila di libri in mano a precederlo, il bibliotecario entrò silenziosamente nell’aula. Forse Clara si innamorò di lui in quel preciso momento. Immobile a due metri dalla cattedra, il bibliotecario ascoltava rapito. Il professore declamò l’ultimo verso e dal fondo uno studente chiese qualcosa.
Come risvegliato da un sogno il bibliotecario appoggiò di fretta i libri sulla cattedra, fece un cenno di saluto veloce al professore e uscì. “Alessandro!” lo chiamò il professore prendendo su altri libri. Nessuna risposta. “Vado io” disse Clara alzandosi in piedi. Prese i libri ed uscì. Raggiunse Alessandro. “Hai dimenticato questi…” “Grazie… Mi ero… distratto”. Forse Alessandro si innamorò di lei in quel preciso momento, quando lei allontanandosi gli recitò allegra il verso più bello della poesia. “Io sono Alessandro” gridò lui dal fondo del corridoio, “e io sono Clara” lei rispose.
Clara chiude il monitor della telecamera, sorride con tenerezza e lascia la stanza. La mattina dopo, seduta in un bar a fare colazione, controlla i suoi appunti e qualche foto scattata. Mancano ancora un paio di luoghi da trovare per chiudere il lavoro: un sito di archeologia industriale e quello che lei ha annotato come “il paese delle favole”. Punta la penna sul primo dei due e chiude il taccuino.
Clara visita fabbriche dismesse, cantieri abbandonati. Entra in un ex tabacchificio. Il suo passaggio negli immensi stanzoni vuoti disturba la quiete degli uccelli che hanno fatto dello stabile la loro dimora. Volano via spaventati.
Clara li segue con lo sguardo e si fa di nuovo quiete. Fino a che le sembra sentire delle voci. Incuriosita ne cerca la sorgente e finalmente la trova. Attraverso i vetri rotti dei finestroni impolverati un’immagine la cattura: un ragazzo e una ragazza, con gli scooter parcheggiati a un paio di metri e gli zainetti a terra, hanno steso un plaid e stanno consumando un tenero e giocoso picnic. Avranno si e no quindici anni. E tutte le belle illusioni possibili sull’amore. 3 E’ l’ultimo giorno di Clara in Italia. Affacciata alla finestra dell’albergo respira Perugia e i monti azzurri che si appoggiano sullo sfondo. Mette le ultime cose nella valigia e dopo averla chiusa si avvicina allo specchio fino a sfiorarlo con la bocca . Appoggia la fronte, le tempie, la nuca e ancora le tempie, la fronte, si scosta un po’, si guarda negli occhi e sussurra: “andiamo a cercare il paese delle fiabe”. Civita di Bagnoregio. Appollaiato sul tufo e collegato al mondo da un unico e stretto ponte di 300 metri, l’antico borgo le si presenta davanti come una visione.
Clara sospesa nel cielo percorre il ponte ed entra nel ciuffo di case medievali. La piazza è deserta, da lontano suoni di fanfara solcano il silenzio.
Clara scorge attraverso la porta antica una colorata e affollata processione. A fare da Madonna una pupazza alta tre metri, vestita di pizzo bianco e perline colorate. Un cantastorie la precede chiamando ad adunata la gente e la piccola banda intona una gioiosa tarantella. La processione raggiunge la piazza e la pupazza comincia a danzare svelando così le sue due teste: una vecchia, l’altra giovane. La tarantella si incurva ora in inquietanti e ipnotiche dissonanze. E il cantastorie ricomincia a parlare. Parla della vita, delle gioie, dei dolori, delle speranze, dei rimpianti e dei rimorsi, parla della Madonna Benefica che può aiutare ad esaudire tutti i sogni. Ma è difficile anche sceglierseli, i propri sogni. “E tu, quale sogno vuoi portare sulla terra?” dice a una ragazza che lo guarda turbata e divertita. “E tu”, si rivolge a una bambina, “Cosa ne farai della tua vita?”. L’ultima location da filmare. La Città della Domenica, un immenso parco divertimenti per bambini costruito negli anni 60 e che ha ancora il sapore dei giochi di quel tempo.
Clara si ferma davanti al castello della Bella Addormentata e ricorda. Ricorda il suo ultimo giorno con Alessandro. “Vorrei fermare il tempo come nella favola” gli disse quella volta. “Troppo tardi” fece lui “vorresti forse che fosse per sempre il nostro ultimo giorno?”.
Clara rispose con un abbraccio disperato. “Dai, smettila, cerchiamo almeno di stare bene. Non ho voglia di pensarci, non ho voglia di ricordarti così”, “Ma se stiamo bene il tempo passa più veloce”. Lui sorrise amaro: “Anche se ora ogni secondo ti sembra non passare mai, il tempo passerà lo stesso, e tu domani sarai a casa tua”. E il tempo passò come passa il tempo di ogni cosa che finisce. Lento e veloce insieme. Erano ora alle porte del labirinto di pietra. “Ci venivo spesso quand’ero piccolo. Queste mura me le ricordavo molto più alte…”. “Tutto sembra più grande, nei ricordi. Hai provato a tornare nella scuola dov’eri bambino? “ disse Clara, e pensandoci sorrise. E il sorriso si bloccò d’un tratto. “Devo andare”. Alessandro non disse niente, ma l’abbracciò con tutto l’amore e l’angoscia che sentiva crescere dentro fino a fargli troppo male. Troppo. “Non lasciarmi” riuscì finalmente a dire. Silenzio. In certi momenti il tempo si ferma davvero. Clara chiuse gli occhi. “Non chiedermelo”. E li riaprì tra le lacrime. Fece in tempo a vedere Alessandro correre dentro il labirinto. “Però non voltarti mai indietro” la voce di lui cominciava ad arrivare confusa “non voltarti mai indietro”.
Clara fece un passo verso l’entrata. E lì si fermò. Quella porta era più difficile da attraversare delle mura di pietra. “Perdonami”, sussurrò. “Perdonami se ti ho amato senza ragione”.
Clara è ora di fronte al labirinto con la telecamera in mano. Guarda l’orologio. Ed entra. E vaga confusamente nel dedalo di pietra fino a perdere il tempo. Ogni 4 angolo le sembra già visto, ogni scelta già fatta, ogni pietra la stessa pietra di prima. Fino al centro esatto del labirinto.
Clara si ferma. Ha la sensazione di non essere sola. Gira cauta l’angolo e ferma, appoggiata al muro, vede una donna. Curva, dimessa, la donna alza la testa e la guarda. E Clara la vede in volto. Clara vede Clara. E’ stordita, incredula, affascinata: “Era bella Firenze?” le chiede finalmente dopo un lunghissimo silenzio. L’altra le sorride amara: “Lo sai che è bella. Ma poi, come tutte le cose, ci si abitua a vederle”, “Dipende dagli occhi con cui le guardi”, protesta Clara. “I miei ora hanno sempre lo stesso sguardo” fa una lunga pausa e poi continua: “Clara, i sogni d’amore lascia che restino dei sogni”.
Clara la guarda ora con tristezza e prova a dire qualcosa, ma l’altra la interrompe: “Adesso basta, per favore” fa una lunga pausa e poi continua: “E’ tempo che torni alla tua vita.” E riabbassa la testa, muta. “Vattene” sussurra ora.
Clara fa qualche passo indietro e corre via. Esce dal labirinto e si incammina su per la collina.

 

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