L’ADATTAMENTO (I)

Prima di affrontare l’esame di altri generi cinematografici, è bene considerare un aspetto che li percorre trasversalmente. Avrete già notato che abbiamo spesso parlato di film, di generi diversi, ma egualmente ricavati (più o meno liberamente) da romanzi. Per lo sceneggiatore non si tratta in questi casi di scrivere una storia originale, pensata fin dal principio per il cinema, ma di trasporre cinematograficamente un’opera narrativa preesistente e che il più delle volte non prevedeva neppure una versione cinematografica. Sembrerebbe un compito particolarmente difficile per uno sceneggiatore, ma è tuttavia un’esperienza fondamentale, anche a puro titolo di esercizio, e offre notevoli vantaggi. Anzitutto siete liberati dall’esigenza di dover inventare una storia e creare dei personaggi, perché la storia e i personaggi esistono già. In secondo luogo, imparando a sceneggiare una storia scritta da altri, potrete familiarizzarvi con una situazione assolutamente abituale nel cinema. E’ infatti ancora oggi piuttosto raro che un film nasca dall’idea narrativa di uno sceneggiatore. Nella stragrande maggioranza dei casi, sarete chiamati a sceneggiare un’idea di altri, nata cioè da uno stimolo produttivo, dall’ispirazione di un regista o dalle aspirazioni di un attore di cartello. E spesso queste idee nascono da narrazioni pre-esistenti. Proprio per questi motivi uno dei test di ammissione più frequenti alle Scuole di Cinema è l’adattamento. Il fondamentale requisito di uno sceneggiatore non sta nel fatto di essere autore originale di una storia, ma di essere in grado di “mettere in scena” una storia, non necessariamente creata da lui stesso.

Ecco i requisiti preliminari per realizzare un adattamento:

1. Leggere il testo originale. Questo può sembrare ovvio, ma non lo è. Di certi romanzi classici, già oggetto di numerose trasposizioni, si può pensare di conoscere già la storia, quanto meno nei lineamenti essenziali, e che dunque basti rinfrescarsela con una rapida lettura. Niente di più sbagliato. I testi letterari che hanno avuto molte trasposizioni, si prestano alle più diverse interpretazioni: le varie versioni (teatrali, radiofoniche o cinematografiche) non sono meri remake, anzi ciascuna di esse si giustifica per la sua particolarità. Questo avviene perché ogni lettura di un romanzo interviene nel romanzo stesso. Il romanzo è fin dalle origini molto più interattivo di quanto si pensi, sicuramente molto più interattivo del cinema. Il lettore è infatti costretto ad immaginarsi i personaggi, gli ambienti e le situazioni, e ciascuno se li figura secondo la propria e autonoma sensibilità. Inoltre certi passaggi narrativi che risultano fondamentali per alcuni lettori, per altri non lo sono altrettanto e possono persino passare inosservati. Infine tempi, modi e capacità di lettura sono diversi da lettore a lettore. Dunque leggete e lasciate anzitutto che il romanzo solleciti la vostra immaginazione.

2. Scalettate gli eventi del romanzo, i passaggi fondamentali che scandiscono la storia dal principio alla fine. Passando alla sceneggiatura non dovrete necessariamente rispettare la struttura originale, ma dovrete comunque tenerla ben presente, per poter valutare ogni singolo scostamento. In un romanzo c’è sempre qualcosa da togliere, nel passaggio al film, e non lo si può togliere a caso, altrimenti si perde l’equilibrio dell’insieme. A volte c’è anche qualcosa da aggiungere, per esprimere meglio una situazione. Saltare o aggiungere un passaggio, alterare l’ordine degli eventi, riassumere un momento per sottolinearne invece un altro, sono tutte scelte che devono corrispondere all’efficacia cinematografica, ma anche a una coerenza generale del racconto.

3. Guardate, se ci sono, le precedenti trasposizioni cinematografiche. Molti non lo fanno per il timore di restarne condizionati. Timore ingiustificato. Che dalla stessa storia si possano trarre versioni tanto diverse, non potrà che stimolare il vostro particolare punto di vista. Sicuramente leggendo il romanzo avete avuto altre suggestioni e vi capiterà come al pubblico di restare se non delusi, perplessi di fronte a certi film tratti dal romanzo, perché avete visto trascurati momenti che alla vostra lettura sembravano invece tanto essenziali, quanto espressivi. Potrete di fronte alla pluralità e varietà delle versioni, sentirvi più liberi di esplorare fino in fondo la vostra.

4. Cercate di individuare il centro, il focus del racconto. Concentratevi su quei momenti del romanzo che per voi ne hanno espresso il senso più profondo. Qualcuno di voi potrà trovare la storia inscindibile dal suo contesto storico e geografico perché è proprio questo contesto che vi ha affascinato. Qualcun altro potrà invece essere più attratto da aspetti del tutto attuali, da una dinamica psicologica o di eventi che può essere raccontata e reinterpretata anche al di fuori di quel contesto. Qualcuno potrà trovare il focus nella filosofia espressa dal romanzo, nel suo rivelare una certa “verità” ,un prezioso punto di vista sul mondo e sull’esistenza umana. Qualcun altro potrà essere conquistato da un personaggio, non necessariamente il protagonista , e prendere quello a paradigma, narrandone la storia nella storia, il romanzo nel romanzo. Cercate di non divagare da un elemento all’altro. Il racconto cinematografico comporta scelte nette e decise.

5. Evitate di considerare il romanzo originale come pure pretesto per raccontare dell’altro. Il romanzo è un pre-testo, solo nel senso che precede la vostra trasposizione, ma è un testo e fa testo, che voi lo vogliate o no. Gli scacchi e la dama si giocano con la stessa scacchiera, ma sarebbe insensato giocare a dama con le pedine degli scacchi. Il romanzo definisce il gioco, a voi le mosse, ma dentro quel sistema di gioco. Altrimenti non si capisce (non lo capisce il pubblico) perché abbiate scelto quel romanzo, quando potevate farne benissimo a meno e raccontare invece una storia vostra. Il rispetto dell’originale sta tutto qui: non sta nel seguirne pedissequamente i passaggi in un improbabile sforzo di fedeltà, sta nel rispetto della vostra stessa scelta di partenza. Motivatela, ma non traditela. Spesso la scelta non sarà stata vostra. Qualcuno vi avrà affidato il compito di sceneggiare il romanzo, dandovi indicazioni generiche oppure estremamente precise. Ma dal momento in cui accettate il lavoro, quelle indicazioni dovranno diventare vostre e la scelta altrui dovrà essere da voi condivisa. Altrimenti è più onesto che diciate: no, grazie, quel romanzo (o la versione che me ne proponete) non mi convince.

Vediamo ora un paio di esempi celebri di trascrizioni cinematografiche (il primo subito, il secondo nella prossima lezione) che ci saranno utili a chiarire e approfondire in concreto le indicazioni di cui sopra.

a) Lo strano caso del dottor Jekyll e di mister Hyde

Il romanzo breve di Robert Louis Stevenson esce nel 1886 e viene adattato per il teatro già nell’anno successivo da Thomas Russell Sullivan, che inserisce nel plot una storia d’amore del tutto assente nel romanzo. Questo primo adattamento fornirà poi la base per le più note versioni cinematografiche del romanzo (in totale se ne contano più di 120 e l’elenco continua ad allungarsi). Vediamo alcune delle variazioni più cospicue apportate all’originale.

1. La struttura narrativa

Il romanzo di Stevenson , come risulta evidente fin dal titolo, è un mistery. Inizia con un atto di violenza su una bambina perpetrato da uno sconosciuto. Si scopre poi che questo sconosciuto (Hyde) è stranamente protetto da un medico e ricercatore illustre (il dottor Jekyll). Finché si verifica un vero e proprio delitto, compiuto da Hyde, per inspiegabili motivi, ai danni di un anziano deputato. Hyde viene braccato. L’ambiguità del suo rapporto con Jekyll suscita angosce nella cerchia degli amici del dottore. Dello stesso Jekyll , sotto finale, si perdono le tracce o quantomeno il suo domestico si convince che l’uomo chiuso a chiave nel suo studio non sia Jekyll, ma Hyde. Nei rari momenti in cui riesce a vederlo, Hyde ha il volto coperto da una maschera, ma la sua bassa statura e la sua magrezza lo rivelano comunque tutt’altra persona dal dottore che è alto e rotondo. Irrompendo nello studio, dopo una notte molto agitata, un avvocato amico di Jekyll e il domestico trovano a terra il cadavere di Hyde. Una testimonianza autografa di Jekyll svela il mistero: Jekyll e Hyde erano la stessa persona, trasmutata grazie agli effetti di una pozione.

In tutto il romanzo, i veri protagonisti restano sempre sullo sfondo e nell’ombra. I personaggi guida sono altri: gli amici, i conoscenti e i domestici di Jekyll. La tecnica, per tutto il romanzo, è quella del “parlano di lui”, anzi “di loro”: Hyde e Jekyll. In alcuni incontri fugaci, Hyde intrattiene diverse conversazioni, piuttosto ambigue. Jekyll è anche più riservato e sfuggente. Solo alla fine il dottore si racconta in prima persona e svela il mistero con una confessione postuma.

Gli adattatori si ritrovarono subito di fronte a un problema. Mentre in un romanzo i fatti possono essere narrati da testimoni, in teatro e in cinema il vero testimone dei fatti è lo spettatore. Ciò che in un romanzo viene riferito, in teatro e più ancora in cinema deve venire mostrato.
Questo coinvolge anche le scelte di tecnica narrativa. In un romanzo il “parlano di lui” può essere usato per l’intero sviluppo della storia . In Dracula di Bram Stoker, scritto in forma di romanzo epistolare, tutti parlano di Dracula, mentre lui non si esprime mai, è solo oggetto delle narrazioni altrui. In cinema, come abbiamo visto nelle precedenti lezioni, il “parlano di lui” può venire usato come prologo introduttivo alla comparsa del protagonista, come intermezzo di scansione, o come voce fuori campo di un narratore non-protagonista, ma in ogni caso i protagonisti devono agire ed esprimersi direttamente.
A questo primo problema di trascrizione, se ne aggiungeva un altro: il romanzo era divenuto subito talmente popolare che tutti conoscevano già il finale. Non si poteva dunque trasporre il romanzo rispettandone la struttura e la tecnica narrativa, ma nemmeno le caratteristiche di mistery perché il mistero non c’era più, e il finale non sarebbe stato per il pubblico un colpo di scena inatteso.

Bisognava dunque individuare altrove il focus narrativo e per il teatro ottocentesco (dove erano popolarissime le figure degli attori trasformisti) non c’era nulla di più stimolante che rappresentare dal vivo e in scena la trasformazione di Jekyll in Hyde. Il tema centrale del romanzo, al di là della struttura, era quello dello sdoppiamento di personalità, presentato in modo radicale, non come un comportamento doppio da parte di un singolo individuo, ma proprio come lo sdoppiamento di un individuo in due persone diverse. Era questo che il pubblico si aspettava di vedere. Dall’indeterminazione del mistery, dove i fatti salienti avvengono dietro le quinte, sono inafferrabili e vengono svelati solo alla fine, bisognava dunque passare alla concretezza emotiva dell’horror.
Ma la scelta di rappresentare la trasformazione, rispetto al romanzo, metteva gli adattatori di fronte a un altro problema e cioè…

2. I personaggi di Jekyll e Hyde

Nel romanzo, la descrizione di Jekyll è chiarissima. E’ un uomo di cinquant’anni, alto e rubicondo. Da giovane è stato un po’ scavezzacollo, ma ormai è uno studioso serissimo e per quanto sia impegnato in esperimenti segreti , nessuno dubita della sua limpidezza morale.
La descrizione di Hyde è invece volutamente vaga e imprecisa. Di sicuro sappiamo che è “un giovanotto” , di piccola statura, poco più di un nano, che ha un modo molto caratteristico di muoversi, rapido, leggero e a tratti scimmiesco. Una lieve peluria gli ricopre il dorso delle mani.
Ma quanto al volto, mistero assoluto. Nessuno riesce pienamente a descriverlo.
“ Che aspetto ha?” chiede l’avvocato Utterson a suo cugino Enfield (il quale, testimone di un’aggressione di Hyde a una bambina, lo ha fermato e poi trattenuto presso di sé per un’intera notte, costringendolo a rifondere i danni alla famiglia dell’aggredita). E questa è la risposta: “Non è facile a descriversi. C’è in lui qualcosa di strano, di ripugnante, di detestabile. Non ho mai visto un uomo così antipatico, eppure non saprei dire il perché. Colpisce sgradevolmente, sembra che vi sia in lui qualcosa di deforme , ma non saprei specificare cosa. Ha un aspetto anormale e tuttavia non potrei indicare esattamente in lui nulla fuori dell’ordinario. No, caro, non riesco a capirlo. Non riesco a descriverlo.” Altre volte nel romanzo si rimarca questa indefinibilità di Hyde, in nessun punto si dice che è un mostro. Un vetturino che lo incontra lo trova persino comico (perché Hyde indossa i vestiti di Jekyll, troppo grandi per lui), e soltanto di fronte alla sua reazione infastidita, ne intuisce la pericolosità.
Come mai Stevenson insiste tanto su questa indescrivibilità di Hyde? Da un lato, sottolinea che la ripugnanza destata da Hyde è di tipo istintivo… come quando ci troviamo di fronte a una persona che emana energie negative, che trasmette una deformità di tipo morale più che di tipo fisico. D’altro canto, da grande scrittore, Stevenson suscita l’inquietudine dei lettori mettendoli nella disagevole condizione di non potersi figurare Hyde. Il verbo to hide, significa nascondere. Mister Hyde è l’Uomo Nascosto (e Stevenson lo rimarca esplicitamente, perché la scelta del nome non sembri casuale). Il suo volto ci resta nascosto per tutto il romanzo. E questo ci inquieta molto di più che se Stevenson ci avesse descritto un mostro.
In teatro e più ancora in cinema è proibitivo rappresentare il non rappresentabile. Il pubblico è lì per vedere. Un personaggio di cattivo può essere mantenuto a lungo nell’ombra per renderlo più indecifrabile e minaccioso, ma a un certo punto deve essere mostrato. Nella foto allegata potete vedere il primo creatore dell’immagine di Hyde e cioè l’attore Richard Mansfield, primo interprete teatrale del doppio personaggio Jekyll/Hyde. Potete intuire, anche se la foto non è chiarissima, che raccorcia, accucciandosi, la sua statura e assume una postura scimmiesca. Gli spunta una barba, eppure non c’è ancora in lui l’aspetto mostruoso che ne ha fatto la fortuna cinematografica. In cinema è difficile rappresentare la deformità morale quando essa è unita alla trasformazione fisica. Una metamorfosi malvagia deve apparire anche fisicamente malvagia. Se dunque un uomo si trasforma in mostro, che mostro sia fino in fondo: più mostruoso apparirà, più lascerà il pubblico senza fiato.
Sono pochi gli esempi cinematografici di un Hyde più fedele a quello “indescrivibile” del romanzo. Nel film Il testamento del Mostro (1959), Jean Renoir grazie alla performance prodigiosa dell’attore mimo Jean-Louis Barrault, ci presenta un Hyde meno sfigurato del solito nel volto, ma tanto più inquietante nel movimento, nella camminata agile e nervosa, quasi comica a tratti, un Hyde che compie i suoi pestaggi con leggerezza fanciullesca, quasi danzando (e anticipando i picchiatori-clown di Arancia Meccanica ).
Terence Fisher nel suo The Two faces of dr.Jekyll (1960) ci presenta addirittura un Hyde bello e aitante. E una scelta simile compie Alistair Reid in un interessante film tv del 1981 con David Hemmings. L’intento è quello di discostarsi da un modello cinematografico ormai sedimentato e dunque troppo prevedibile. Vi siete abituati a vedere un Jekyll distinto e un Hyde mostruoso? Beh, io vi sorprendo presentandovi un Jekyll bolso e un Hyde seducente.
Questo capovolgimento totale, soprattutto nella versione di Reid, ha il merito di recuperare un tema ben presente nel romanzo e in genere trascurato: Jekyll è un cinquantenne alle soglie della vecchiaia e Hyde è giovane. Cioè quello che spinge Jekyll verso Hyde è il desiderio di ritrovare l’energia vitale che sta perdendo, di rivivere le potenti emozioni e le passioni travolgenti della gioventù e persino dell’infanzia, liberandosi dal ruolo sociale “per bene” tipico della maturità avanzata e anticamera del pensionamento. Cancellando questa motivazione, non ci capisce perché Jekyll si trasformi in Hyde. Resta solo il suo assunto morale (ben poco persuasivo in un ricercatore scientifico e in effetti per renderlo plausibile Stevenson fa di Jekyll un seguace della “medicina trascendentale”): Jekyll tenta di isolare il male per espellerlo. E’ vero che nel romanzo Jekyll sostiene proprio questo, che cioè lo scopo iniziale della sua ricerca era di perfezionare l’essere umano, separando il bene (prevalente) dal male (la parte meno sviluppata di noi, ecco perché Hyde è quasi nano), ma la narrazione ci mostra la verità al di là delle intenzioni “ideologiche” di Jekyll e cioè che Jekyll cerca di ritrovare attraverso Hyde la giovinezza e l’allegra dissolutezza che ha ormai perduto.

3. La pozione
Anche la vita di Hyde , oltre al suo aspetto, nel romanzo ci resta occulta. Sappiamo che è impegnato a dare sfogo alle libidini più perverse, ma non viene svelato quali siano. Di certo, Hyde è in preda a una costante e incontrollabile eccitazione. La “pozione” che dà vita ad Hyde, non è un filtro magico, è qualificata né più né meno che come una droga. Così si lamenta il domestico di Jekyll: “Ogni giorno, anche due o tre volte al giorno, sono dovuto correre da tutti i farmacisti della città. Ogni volta che tornavo a casa con la roba, mi diceva di riportarla indietro perché non era pura e mi dava un altro ordine per un’altra farmacia. Questa droga veniva chiesta disperatamente, chi sa per quale scopo.” Il dottor Lanyon, collega di Jekyll, descrive così la sostanza: “una specie di sale cristallino di color bianco.” Il famoso e misterioso filtro nel quale la polvere va versata è soltanto una soluzione adatta a sciogliere quel “sale”. Il filtro diventerà inefficace, sia a compiere la trasformazione che ad invertirla, senza la polvere giusta. Finché ce l’ha, Jekyll deve aumentarne la dose di volta in volta. Ad un certo punto non ne ha più e nemmeno può procurarsela perché scopre amaramente che quella originale, quella che funzionava, era stata casualmente adulterata. Dunque Jekyll non dipende dal filtro, ma da una droga che non ha fabbricato lui e che non riesce a ricreare. Per di più gli effetti hanno ricadute a lunga scadenza… la trasformazione in Hyde tende alla permanenza, mentre quella di rientro si fa sempre più fugace. Ormai il dottore non può più tornare indietro. E ad ogni nuova trasformazione, Hyde è sempre più esaltato e incapace di governare i suoi impulsi, che lo spingono non solo alla furia, ma anche a mille astuzie per procurarsi denaro, ad umiliarsi per sfuggire ai guai che combina, e infine addirittura al pianto dirotto e disperato di chi si sente minacciato dal mondo, dal suo creatore e persino da se stesso. Il suo percorso è suicida, perché in Hyde la via della distruzione non può che condurre all’autodistruzione. Per Stevenson, Hyde non diventa (fisicamente) un mostro, lo diventa (moralmente) sotto l’influsso della droga. Quando Lanyon gli porta l’ennesima polverina, Hyde gli grida: “L’avete qui? L’avete qui?” e gli afferra un braccio, scuotendolo, “in preda a una fosca eccitazione.” A Stevenson non interessa la corruzione dei costumi di Hyde, non gli importa nulla di raccontarci le sue imprese lussuriose, ci sta parlando del dramma della dipendenza, con una forza espressiva e una precisione che nessuno scrittore prima di lui aveva osato esibire. Ma questo aspetto del romanzo dovette apparire così perturbante che persino a distanza di decenni il cinema ha evitato di sottolinearlo. Nei film, è Jekyll che si suicida, per eliminare Hyde. Nel romanzo le cose non stanno affatto così. Nella sua lettera d’addio, Jekyll scrive: “In qual modo non posso prevedere, ma il mio istinto e tutte le circostanze della mia indefinibile situazione, mi dicono che la fine è sicura e dev’essere vicina.” Cioè la fine è inevitabile. Jekyll non la ricerca, ci si abbandona. Sa che diventerà Hyde e che Hyde sarà sempre più debole e non potrà reggere all’astinenza. Quando Hyde muore, Jekyll è già scomparso da tempo.
Il film tv di Reid, in uno sforzo di maggiore adesione al romanzo di Stevenson, ci mostra , alla fine, il cadavere di Jekyll che si trasforma in Hyde. Questa è un’eccezione assoluta tra i film tratti dal romanzo, nei quali è sempre Hyde alla fine a trasformarsi in Jekyll, con il trasparente intento di tranquillizzare il pubblico mostrando la redenzione di Jekyll che, nella morte, è riuscito a tornare se stesso.

4. La Londra Vittoriana

Il romanzo può anche essere legittimamente interpretato come un apologo morale che denuncia l’ipocrisia della società Vittoriana. Spesso la figura di Hyde è stata associata a quella di Jack lo Squartatore che insanguinava i vicoli di Londra in quegli anni, era probabilmente un membro illustre dell’aristocrazia e dimostrava una notevole perizia medico-chirurgica. Di questo riferimento Stevenson non può essere considerato responsabile, se non come anticipatore e profeta, in quanto il suo romanzo uscì nel 1886 mentre i delitti di Jack si verificarono due anni dopo. Per di più alcuni critici hanno rilevato che la Londra descritta da Stevenson somiglia più a Edimburgo che a Londra stessa e che il romanzo non inizia nelle nebbie, ma in una placida domenica assolata, nella quale l’aggressione di Hyde alla bambina risulta ancor più scioccante. Resta comunque indubbio che la cornice storico geografica e la quasi contemporaneità con i delitti di Jack The Ripper si imprimono indelebilmente nell’immaginario collettivo. La storia diventa un tutt’uno con la sua cornice e questo spiega perché la stragrande maggioranza dei film tratti dal romanzo ne ha rispettato appieno l’ambientazione (con aggiunta di molte nebbie).

5. Infedeltà o tradimento?

Riassumendo: nella maggior parte dei film tratti dal capolavoro di Stevenson, non solo la struttura narrativa viene cambiata, non solo Hyde, contro le indicazioni dell’autore, è raffigurato come un mostro, non solo la sua tossicodipendenza e la sua gioventù vengono trascurate, ma anche il finale risulta stravolto. Non si può però con questo dire che il cinema abbia (in generale) tradito il romanzo. Ne ha colto il seme (lo sdoppiamento) e l’ha piantato e fatto crescere in un altro terreno. Ha tolto al romanzo molte delle sue caratteristiche e ha aggiunto cose e personaggi che non c’erano: quadri di vita sociale di Jekyll, squarci di vita dissoluta di Hyde, personaggi femminili (una promessa sposa di Jekyll e una prostituta schiavizzata da Hyde, vedi il film di Victor Fleming del 1942). Chi adattava di volta in volta non ha semplicemente portato il romanzo sullo schermo: ha condotto, a partire dal romanzo, un’operazione di riscrittura che teneva conto delle esigenze proprie della narrazione cinematografica in generale e anche del particolare momento di mercato che suggeriva adeguamenti (più o meno opportuni) al gusto del pubblico. Ha considerato anche le versioni cinematografiche precedenti, diventate la “vulgata” del testo, per aggiornarle o distaccarsene.
Tra i tanti film prodotti ne voglio ricordare uno in particolare, una classica versione “infedele”, e tuttavia pregevolissima: quella di Robert Mamoulian (del 1931). Qui la scelta di adattamento è resa trasparente fin dalla prima meravigliosa sequenza. Il film inizia in soggettiva di Jekyll. Noi siamo Jekyll, vediamo quello che lui vede. Usciamo di casa con lui, prendiamo una carrozza, andiamo in Università a tenere una lezione, e ad ogni passaggio veniamo omaggiati da servitori e persone che incontriamo, finché ci ritroviamo soli di fronte a uno specchio, in cui Jekyll vede il suo volto fino a quel momento occulto. Jekyll incontra Hyde già quando è di fronte allo specchio, di fronte a un se stesso che è altro da sé. In altri termini, anche senza droga, il germe della schizofrenia e dello sdoppiamento è in tutti noi.
Questo è sicuramente il messaggio più potente trasmesso dall’opera di Stevenson. Jekyll ci coinvolge perché tutti noi possiamo essere lui. In ciascuno di noi c’è una parte nascosta (Hyde) che chiede di uscire e una parte manifesta (Jekyll) che già all’origine è ambigua, tanto che persino il nome di Jekyll allude seppure in modo più mascherato (Je-kill: Io Uccido) alla potenzialità omicida di ogni essere umano. Attraverso uno scostamento narrativo dal romanzo, Mamoulian è riuscito ad esprimerne il significato centrale, separandolo ed isolandolo da quelli accessori, e rendendolo visibile.
Il compito di un romanziere è suggerire ai lettori una pluralità di interpretazioni in modo che ciascuno di loro, secondo la propria sensibilità, possa relazionarsi al racconto, facendolo proprio.
Il lavoro del cineasta consiste invece nello scegliere un’interpretazione tra le tante possibili ed esprimerla con radicalità, in modo che colpisca lo spettatore, molto più passivo di fronte allo schermo di quanto non sia un lettore di fronte a una pagina scritta.
Il cinema è una potente macchina di semplificazione che a volte può apparire devastante rispetto ai modelli letterari di riferimento, ma se di questa semplificazione facciamo lo strumento per cogliere l’essenza di un’opera, esprimendola non in un concetto, ma nella sintesi di un’immagine o di una sequenza, allora possiamo sperare di rendere omaggio all’originale creando al contempo cinema nella necessaria, indispensabile autonomia e secondo le modalità espressive specifiche del mezzo.
Nella prossima lezione esamineremo un’altra celebre trascrizione: Il postino suona sempre due volte.

NOTA

Da questo mese inauguro una nuova sezione (Contributi) con un interessante intervento/lezione di Davide Aicardi sulla Sketch Comedy. Davide fa parte della redazione di autori del programma TV Camera Café e sa bene di cosa parla. Tra le persone che seguono questo corso ce ne sono parecchie che frequentano corsi e scuole di cinematografia (anche internazionali) o che hanno già avuto delle esperienze professionali sul set o nella creazione di corti o di documentari. Sarebbe molto utile se raccontassero anche agli altri, che invece sono alle prime armi, le loro esperienze e le loro riflessioni. La sezione Contributi è aperta e spero di poter pubblicare presto altri utili interventi.

22° Lezione di Gianfranco Manfredi  by www.gianfrancomanfredi.com