TESI - UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE - FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA - CORSO DI LAUREA
DAMS - Anno Accademico 2004/2005

CINEMA AMATORIALE – CINEMA PRIVATO.
MICHELANGELO BUFFA, L’ESPERIENZA DI UN AUTORE ITALIANO

Candidato Fabrizio Fuochi
Relatore Chiar.mo Prof. Alessandro Bernardi

INTRODUZIONE............................................................................................................. 4
IL CINEMA AMATORIALE........................................................................................... 5
TELEVISIONE E  HOME MOVIE.............................................................................. 17
LA PRODUZIONE FAMILIARE NEL CINEMA FICTION...................................... 19
NEW AMERICAN CINEMA....................................................................................... 21
JONAS  MEKAS  Tecniche cinematografiche che cambiano....... 27
STAN BRAKHAGE IN DIFESA DEL CINE-“AMATORE”................................... 28
EGOPRODUZIONI O CINEMA PRIVATO............................................................... 31
PELLICOLA – VIDEO................................................................................................. 34
CINEMA PRIVATO...................................................................................................... 36
CINEMA PUBBLICO CINEMA PRIVATO, CONSCIO INCONSCIO.................. 40
MICHELANGELO BUFFA......................................................................................... 43
SCHEDE....................................................................................................................... 55
BENARES..................................................................................................................... 55
SCARTI DI MEMORIA.............................................................................................. 56
UNA “METRE’SSA” A GRAND VILLE.................................................................... 57
CONCLUSIONI............................................................................................................ 58
BIBLIOGRAFIA............................................................................................................ 60
FILMOGRAFIA............................................................................................................. 60
SITOGRAFIA................................................................................................................ 60
APPENDICE................................................................................................................ 61
INTERVISTA................................................................................................................ 61

INTRODUZIONE

Durante le Giornate del Cinema Privato nel novembre 2005 a Siena, in un dibattito successivo alla visione di un film, Adriano Aprà  cita un dato a proposito delle vendite di pellicola della  Kodak.
Secondo quanto ci riferisce Aprà,  la vendita di pellicola 35mm (considerato un formato professionale) risulta solo il 30%, il restante 70% di pellicola (non professionale) è diviso tra 8mm, super 8 e 16mm. Una percentuale che Aprà ricorda  costante anche negli anni ’70, dove la produzione di cinema di finzione risultava essere di 30% a 70%. Aprà, secondo le finalità del suo intervento, dimostra che abbiamo la massima  informazione di un cinema che percentualmente è minoritario. Il restante 70% che possiamo identificare come non-fiction - tra cui il  cinema amatoriale, il cinema familiare, i documentari, e quel territorio non ben identificato del cinema privato -, è quello di cui meno si parla ed è anche il meno documentato. Allora se tutto questo 70% è così anonimo dobbiamo porci qualche domanda.  Io nel tentativo di rispondere, ho seguito da una parte, il percorso della ricerca effettuata da Roger Odin nel campo del cinema amatoriale e del cinema di famiglia; dall’altra, ho fatto riferimento a tutto quel materiale e a tutte le ipotesi emerse, quasi in tempo reale, nel dibattito sul cinema privato, all’interno del convegno Le giornate del cinema privato.
Nella parte finale ho cercato di affrontare l’opera di Michelangelo Buffa a conferma  di una modalità espressiva complessa e variegata  collocabile dentro il territorio cinema privato.

IL CINEMA AMATORIALE
Il cinema amatoriale è il cinema più praticato ed è quello che, paradossalmente, risulta il meno conosciuto e il meno studiato: solo nel 1995 Il gruppo di ricerche interdisciplinari creato da Roger Odin, alla Sorbonne nouvelle ( Paris III ) ha prodotto una delle prime opere di ricerca  interamente dedicata al film di famiglia. Il cinema  amatoriale, abbraccia un campo estremamente vasto ed eterogeneo, che va dal film di famiglia al diario filmato, al cinema sperimentale,al documentario, al cinema privato.
Lo studio effettuato da Roger Odin, e pubblicato sulla Storia del cinema mondiale, riconferma il fenomeno, in merito al cinema amatoriale, di essere così importante da un lato e di essere così poco oggetto di studio, da parte degli studiosi, dall’altro. Odin,  tentando di definire il campo del cinema amatoriale, prende le distanze dalla semplificazione che vede il cinema professionale in opposizione al cinema amatoriale, e cercando di chiarire la difficoltà di accordare un primato all’uno o l’altra, espone alcuni esempi. Dal punto di vista della qualifica  professionale, in realtà, ci sono moltissimi professionisti che con il cinema non riescono a guadagnarsi da vivere, e  altri, invece, per i quali il fatto non rappresenta in tal senso un limite.  Questo confine incerto esiste anche da un punto di vista tecnico, in quanto anche il formato della pellicola non è di per se qualificante, poiché, se  ci sono pellicole amatoriali in 35 mm, è pur vero che anche il 16mm, nato come amatoriale è divenuto in seguito un formato professionale; lo stesso super 8 spesso viene utilizzato da professionisti.  Il confine tra i due mondi risulta di difficile attribuzione, eterogeneo e in  continua evoluzione. Anche gli spazi dove si svolge l’attività amatoriale, per esempio un film di famiglia, una fiction realizzata collettivamente da un cineclub, un videosaggio di fine anno  di uno studente di liceo, sono la dimostrazione di più ambiti amatoriali diversissimi tra loro.  Dal punto di vista dell’utilizzazione del cinema amatoriale, Odin afferma che ne ha riscontrato, in moltissimi casi, un utilizzo extra contestuale. Citando Umberto Eco, ci si “serve” del cinema amatoriale, e ciò equivale a fare una lettura non autorizzata del testo, rispetto al contratto di lettura originale.
Ripercorrendo i vari  modi in cui viene ri-utilizzato, viene classificata una tipologia di cinema amatoriale definendolo dei professionisti. A questo proposito l’esperto frances cita l’AMPAS, attiva dal 1927 la quale  raccoglie tutte le produzioni dedicate a Hollywood e in particolare i film amatoriali realizzati durante le riprese dagli attori dai registi o dai tecnici, back stage (dietro le quinte) realizzati durante le produzioni hollywoodiane. L’utilizzo di questo materiale amatoriale, almeno in questa prospettiva, avrebbe l’unico  scopo di contribuire ad alimentare il mito, hollywoodiano. Lo studioso francese analizza la definizione che di  “cinema amatoriale” viene data  su alcuni testi ufficiali di cinema. Odin cita il caso del Dictionnaire du cinéma ( J.L. Passek, Paris, 1991), nel quale non risulta la voce “dilettante”, viene riportata la pratica amatoriale di alcuni registi e omessa quella di altri, ma  quando la si segnala, essa viene riportata esclusivamente come tappa fondamentale del percorso artistico del futuro autore (per esempio, ll Dictionnaire du cinéma scrive di A. Resnais che fin dall’età di tredici anni gira con una 8mm brevi film amatoriali ). Il ricercatore transalpino critica questa riduzione del cinema amatoriale ad anticamera del futuro professionista, questo loro esistere solo nella luce riflessa di lavori successivi e professionali. Io studioso francese prosegue esaminando il cinema amatoriale nel cinema professionale, elencando tutta una serie di titoli di film dove c’è l’utilizzo di materiale amatoriale, da Legge 627 di Bertrand Tavernier del 1992, dove l’intervento amatoriale e di tipo anedottico,  a Toro scatenato, di Martin Scorsese del 1980, dove la strumentalizzazione del materiale amatoriale e in funzione della memoria, passando per il ruolo di prova nel film JFK di Oliver stone del 1991,  ma l’utilizzo in questo caso, sottolinea Odin non è tanto parlare del cinema amatoriale, quanto servirsene per raccontare una storia.
Un film dove il soggetto è il cinema amatoriale stesso è Il neofita (Amator) di Krzystof Kieslowski, del 1979, dove un semplice operaio, Filip, diventa vittima di una devastante passione per il cinema, che lo portera alla rottura del matrimonio e Odin approfitta della trama del film, per ricordare che il cinema amatoriale può portare conseguenze tutt’altro che innocue.
Ma l’aspetto più interessante, e probabilmente è il punto che più interessa al ricercatore francese riguarda non tanto  i differenti modi di far intervenire il cinema amatoriale nell’intrigo, quanto analizzare l’effetto prodotto dall’intervento del film amatoriale nella relazione con lo spettatore 

Sempre seguendo il ragionamento dell’esperto francese , sono i pubblicitari ad avere compreso il potere persuasivo di questo tipo di film che fa sentire il grande numero di spettatori  membri della stessa  famiglia. Odin cita  una campagna pubblicitaria dei primi anni ottanta: una serie di proiezioni di filmini di taglio amatoriale con il suono del proiettore in sottofondo,  tutti i familiari festeggiano intorno al prodotto (un succo di frutta), i diversi personaggi guardano verso lo spettatore e invitano ad unirsi alla festa per il consumo del prodotto. L’autore dello studio  conclude che attraverso questo stratagemma ci troviamo coinvolti nella grande famiglia del prodotto.
Il riconoscimento del cinema amatoriale come documento, secondo Odin, almeno nella forma più spettacolare, avviene nel 1994, attraverso l’inserimento nella collezione della Library of Congress ( New York ) del film di Adam Zapruder sull’assassinio del presidente Kennedy del 22 novembre 1963. Ma questa tendenza è generale, e un po’ in tutta Europa si assiste alla nascita nelle cineteche, di un reparto che si occupa della conservazione del cinema amatoriale. Anche la FIAF ( Féderation Internationale des Archives du Film ) inserisce il cinema amatoriale nei programmi dei suoi convegni, nel 1984 e nel 1988, anche alcuni programmi  televisivi incominciano ad utilizzare sotto forma di documenti, materiale amatoriale.
Un gruppo di ricercatori della Temple University, sviluppa la ricerca, attraverso i film di famiglia con lo scopo di studiare come la società vede se stessa. Sostanzialmente «ogni cineasta di famiglia è un antropologo senza saperlo, filma momenti di vita che i professionisti non riprendono». Prosegue il ricercatore francese affermando che oggi sociologi e storici riconoscono l’interesse che è all’interno di queste produzioni le quali offrono uno sguardo da dentro, un orizzonte altrimenti poco accessibile. Secondo Odin l’immagine, all’interno di un film familiare, deve essere rivalutata a partire dalla sua forte rappresentatività.

un’immagine di film di famiglia proprio perché è un condensato, una cristallizzazione di centinaia di migliaia di immagini analoghe, possiede una straordinaria forza esemplificatrice […]una sorta di concentrato di memoria collettiva

L’esperto francese sottolinea l’importanza di riconoscere il cinema amatoriale come documento, non senza ricordare i rischi della manipolazione,  da una parte all’interno del materiale stesso- con tutti i rischi del cambio di senso - , e dall’altra nell’ulteriore alterazione o rielaborazione manipolazione  dovuta al ri-usarlo come punto di vista per comprendere la società.
Odin, nel tentativo di individuare gli elementi per una storia del cinema amatoriale, e facendo una analogia con le stesse difficoltà incontrate  nella storia del cinema tradizionale, perviene alla conclusione che tale storia può essere tentata sulla base di alcuni livelli di analisi.
Un primo livello è quello della storia tecnica, ovvero quello relativo alla storia del materiale.
L’autore dello studio ricorda  alcuni testi riccamente corredati, sia di immagini che di descrizioni tecniche, che partono  dal materiale  pre-cinema per giungere sino ai giorni nostri: una storia cumulativa dei collezionisti scritta in massima parte  da collezionisti. Egli sottolinea che quattro sono le  condizioni tecniche preliminari per la nascita di un cinema amatoriale. La prima di queste condizioni è la sicurezza, che solo nel 1923 con l’utilizzo di una pellicola ininfiammabile permette al cinema amatoriale un completo sviluppo, le altre tre condizioni vengono riassunte nello slogan « piccolo, semplice ed economico » ( catalogue général Pathé- Baby, anni venti ). Le tappe dell’evoluzione: abbandono del 35 mm e creazione, dopo molte esitazioni (17,5; 21; 22; 28, e poi 11 mm) di formati sempre più stretti: dapprima il 16 e il 9,5, poi, dal 1932,  l’8 mm; passaggio dalla ripresa a manovella alla motorizzazione ( nel 1928 Pathè distribuisce la Motocaméra con motore a molla); passaggio dalla bobina alla cassetta pronta per essere caricata ( dapprima in 9,5 mm per la Pathé, destinata alla proiezione e successivamente, dal 1965, in Super 8, per la ripresa); miniaturizzazione del materiale, sviluppo degli automatismi (messa a fuoco e apertura del diaframma ); passaggio alla telecamera dapprima con un materiale relativamente pesante e ingombrante e poi a partire dal 1970, la videocamera. Odin definisce la portata di una tale storia limitata, ma inevitabilmente legata all’esistenza del cineamatore e al suo amore per il materiale, tanto che può  effettuare delle riprese solo allo scopo di sfruttare le caratteristihe tecniche del materiale.
La storia della stampa specializzata è tutta orientata nella descrizione delle caratteristiche tecniche e ad informare il bricoleur amatoriale sulle caratteristiche  di un prodotto attraverso tavole comparative, test, schede analitiche, senza entrare nei problemi. Odin definisce questo livello una storia delle invenzioni,:

non solo (questo tipo di storia) non si avventura a mostrare le conseguenze dell’evoluzione della tecnica sui film stessi, ma anche raro che faccia qualsiasi collegamento fra tecnica industria ed economia. E, soltanto questa triplice correlazione permette di capire quanto sta avvenendo. 
      
Lo studioso, a riprova di quanto sopra riporta vari esempi, tra i quali l’insuccesso dello standard 9,5 mm: a causa della debolezza commerciale della Pathé, impossibilitata a imporsi negli Stati Uniti dove il mercato è controllato dalla Kodak. A dimostrazione che certi sviluppi o ritardi nel campo amatoriale sottostanno a regole di mercato complesse e molteplici che necessitano uno studio di cui Odin denuncia il ritardo.
Un ulteriore livello di analisi prende in considerazione gli uomini e  le opere, l’esperto francese, fa la recensione, di un testo di Michael Kuball, dal titolo Familienkino (1980 ), che propone la storia del cinema amatoriale in Germania in due volumi. Sostanzialmente il testo si presenta come una successione di monografie, in ordine cronologico, sui registi e le loro opere, dal quale Odin deduce, attraverso  l’uso che in tale testo viene fatto di documenti personali ( autobiografie ), dalle ampie descrizioni dei film, la volontà di considerare  i cineasti amatoriali quali veri e propri autori. Infatti, prosegue “i film amatoriali acquistano senso solo se rapportati alla vita di chi li ha girati”, e conclude che un procedimento come l’insistere sulle note biografiche, che permette di ricostituire il contesto del lavoro dell’autore, è una pratica che non è considerata produttiva per la storia delle arti e per la storia del cinema tradizionale, ma nel contesto amatoriale acquista una notevole pertinenza.
Lo studioso francese suggerisce una equazione che: la storia del cinema tradizionale sta alla storia di una nazione, come la storia del cinema amatoriale sta alla storia locale; i film amatoriali costituiscono anzitutto meravigliosi documenti di vita locale (feste, costumi, tradizioni, modi di vivere…). Odin prosegue tentando di schematizzare i motivi che portano alla decisione di costituire archivi specializzati in materiale amatoriale, che automaticamente si trasformano in documenti. Questo bisogno di una  memorizzazione locale, viene riassunto almeno in parte in alcuni parametri costanti: la decentralizzazione, ovvero una presa di coscienza dell’importanza del locale; il riconoscimento di identità storico culturale di una determinata comunità; l’intervento d’un individuo impegnato nella vita culturale locale, il quale si preoccupa di raccogliere il materiale; ed infine l’istituzionalizzazione e la nascita di una politica di archiviazione. Tutto questo materiale permette ai ricercatori di tracciare la storia del cinema amatoriale.
Reel Families è, secondo lo studioso francese, il solo lavoro a proporre una vista d’insieme articolata della storia del cinema amatoriale in un determinato paese, in questo caso gli Usa dal 1897 ad oggi. La storia è suddivisa in tre grandi periodi. Il primo dal 1897 al 1923 ovvero la  proliferazione anarchica delle apparecchiature. Il secondo è dedicato alla fase dell’istituzionalizzazione della pratica amatoriale. L’ultimo periodo, inizia con gli anni cinquanta e con l’esplosione della civiltà del tempo libero. Un periodo in cui la generale diffusione delle apparecchiature automatiche porta ad una banalizzazione dell’uso della cinepresa, dove  filmare i figli è il motore principale della produzione. Odin sottolinea nella periodizzazione del lavoro della Zimmerman alcune analogie con l’esperienza francese, e con altri paesi.  Le differenze risiedono nella concezione dello spazio amatoriale,  che negli Stati Uniti e vissuto in modo professionale e serioso, in Francia come occasione per il divertimento.Il dilettantismo americano non corrisponde in tutto e per tutto al dilettantismo francese. La seconda differenza, è industriale e culturale, riguarda la presenza di Hollywood e del mito hollywoodiano sia nell’ambito di riferimento per i futuri professionisti, sia come invasione nell’immaginario collettivo. Negli Usa la differenza non è tra dilettanti e professionisti, quanto tra chi s’adegua alla norma hollywoodiana e chi non vi s’adegua.
L’esperto francese, tracciando un bilancio finale del lavoro della Zimmermann, conclude elencando una serie di  forti contraddizioni e dubbi che dimostrano come parlare di film amatoriali significa porsi all’interno di una posta ideologica essenziale per la nostra società.

Contraddizione tra l’affermazione d’un discorso di formazione e una funzione di promozione commerciale e di protezione del settore professionale; contraddizione tra un discorso di creatività e un discorso estetico normativo che riduce al massimo l’immaginazione e la spontaneità; contraddizione, infine, tra un discorso di democratizzazione e di libertà e un’azione permanente di controllo sociale.
  
Uno degli ultimi paragrafi della ricerca dello studioso francese riguarda l’analisi degli spazi comunicativi del cinema amatoriale nella prospettiva semio-pragmatica, cercando di capire il funzionamento di  questi spazi, che nel caso specifico sono quello familiare e quello dei club.
Lo spazio del film di famiglia che è stato esplorato da Odin e la sua équipe nel lavoro di ricerca Le film de famille, conferma il primato del film di famiglia come primo genere cinematografico. A questo proposito Odin cita il primo film di famiglia di Louis Lumière Le repas de bébé ( 1895 ), e prosegue affermando che studi recenti forniscono le prove storiche che il cinema è stato concepito dai Lumière, come un prolungamento perfezionato della fotografia amatoriale di ricordo. Quindi il cinema non più come rottura rispetto alla fotografia, ma come prolungamento dello stesso discorso, il cinema è fotografia vivente di famiglia . Odin, riferendosi ad altre ricerche parallele al proprio orizzonte, ricorda che anche negli Usa, all’origine il cinema è vissuto come luogo della memoria familiare. Questa premessa permette al ricercatore francese di sottolineare il paradigma della foto ricordo, come modo di lettura, al quale deve sottostare il film di famiglia, e non al paradigma del cinema, e ulteriormente manifesta la sua perplessità che una storia del cinema dentro il paradigma foto-ricordo non sia ancora stata scritta, benché la sua importanza in termini di quantità  di produzione e di effetti sociali possa stimarsi superiore a quella  del cinema tradizionale.
Una volta stabilita l’origine del “gesto” del film di famiglia, si capisce il motivo, prosegue Odin, del suo susseguirsi incoerente di immagini, poiché l’origine di quel gesto del filmare non appartiene alle norme cinematografiche, ma è dentro la prospettiva della fotografia quale strumento della memoria. Quindi la sua apparente discontinuità è dovuta al fatto che non ha niente da raccontare, in quanto coloro che devono vederlo hanno gia vissuto gli avvenimenti di cui parla, lo scopo del film, come nel caso della fotografia, consiste nell’eccitare la memoria degli attori-spettatori-familiari.
Paradossalmente il film di famiglia deve essere fatto male, cioè non deve avere nessun punto di vista, per realizzare la sua missione, infatti sono gli stessi familiari, costretti dalla discontinuità del film, a dover  fare uno sforzo e interagire con gli altri membri della famiglia, per aggiungere i pezzi che mancano al racconto, e perché infine  la coesione del gruppo ne esce consolidata.
Lo scopo del film di famiglia è produrre consensi e perpetuare la famiglia. Il ricercatore francese conclude parlando del doppio senso che si realizza nella visione del  film di famiglia, da una parte una produzione individuale, ( ciascuno ritorna sul proprio vissuto), dall’altra una produzione collettiva ( si parla molto guardando un film di famiglia, come anche guardando un album  di famiglia ).
Lo spazio del club amatoriale si sviluppa a partire dagli anni trenta, è uno spazio fortemente competitivo.
Il cineasta amatore è un ex cineasta familiare, il paradigma di riferimento è il cinema professionale e le pellicole realizzate dentro questo riferimento, spesso non sono in rapporto con la vita reale: si tratta di film d’animazione, canzoni filmate, gag di ogni genere. I documentari privilegiano le scene pittoresche i bei paesaggi l’esotismo, Odin  rileva la natura media delle produzioni, contraddistinte da quella che definisce una  “demagogia del gradevole”, i cui partecipanti appartengono ad una classemedia, con rappresentanti delle libere professioni, commercianti, medici e dentisti, non ci sono giovani, l’età media oscilla fra i quaranta e quarantacinque anni.
Lo studioso francese ricorda infine la necessità di uno studio oltre il  film. Usando l’approccio etnometodologico  nello spazio  dei club, Odin riferisce di uno studio su un club parigino, nel quale si evidenzia che è la vita associativa la vera ragion d’essere ( incontri, dibattiti, cene, viaggi, dove si costruisce un estetica condivisa ) non la produzione dei film, che generalmente non esce dall’ambito del club.  Insiste poi elle pratiche amatoriali, e afferma che nelle produzioni familiari questo è ancora più vero. In quanto il cineasta familiare filma - prima di tutto per il piacere di filmare -, un momento di felicità condivisa.
Ma questo gesto del filmare non è privo di conseguenze, e Odin cita l’esperienza di Marie Cardinal , la quale ha sofferto di allucinazioni per anni, proprio perché il padre la riprendeva quando era piccola, mentre faceva la pipì. L’aspetto degli effetti distruttivi, a scoppio ritardato,in particolare sui bambini, soggetti forzati e soggetti  spettatori sè stessi, è un elemento molto inquietante, che contrasta con il clima euforico tipico del  film familiare. Così prima ancora di essere film, il film di famiglia gia produce conseguenze impreviste, ma Odin mostra di non sapere come la storia del cinema amatoriale  possa gestire una tale analisi.
Nelle conclusioni, intitolate: Brevi note sul cinema amatoriale di oggi, il ricercatore francese considera i mutamenti tecnologici degli ultimi anni - il passaggio al digitale e al computer, internet -, insieme con il mutamento della società, la causa di una radicale trasformazione del cinema amatoriale. Senza considerare l’enorme quantità di produzione ( Odin parla di oltre quattrocentomila videocamere vendute in un anno, probabilmente riferendosi al mercato Francese ), Odin individua i mutamenti in due movimenti che si differenziano per la relazione che hanno con il destinatario.
Il primo movimento consiste nell’ingresso delle produzioni amatoriali nello spazio televisivo (di cui si tratterà nel paragrafo successivo). Il secondo movimento si pone in contrasto con il primo,  attraverso la contrapposizione allo strapotere del media televisivo, o come  tentativo di costituire uno spazio indipendente (e di questo argomento tratterò nel paragrafo cinema privato ego produzioni).
Odin conclude accennando ad internet, come nuovo spazio di sintesi delle mutazioni di cui sopra: da una parte si fa mostra di sè, sullo stile della trasmissione televisiva Il grande fratello, con famiglie che aprono siti dove mostrano la propria vita day by day; dall’altra internet è  uno spazio per diffondere testimonianze e dare peso alle parole degli esclusi ( si cita il caso del comandante Marcos ).  Odin nel chiedersi se è ancora sensato chiamare con l’aggettivo amatoriale le produzioni amatoriali di oggi, che sono dentro le cose che agitano le società,  di una cosa è certo:
vale la pena occuparsene: se non siamo noi a occuparci delle immagini, sono le immagini che si occupano di noi.

 

TELEVISIONE E  HOME MOVIE

In un articolo apparso su Bianco & Nero a firma di Roger Odin, sottolinea come l’ingresso della televisione nell’ambito domestico, e l’ingresso dentro i palinsesti televisivi di materiale video e film realizzato nell’ambito della famiglia abbia apportato, trasformazioni profonde, sia per le produzioni e motivazioni dei cineasti e videasti familiari  sia per il pubblico al quale queste produzioni (immagini) sono dirette.  L’azione di filmare, non è più ingenuamente rafforzativa della istituzione  famiglia, ma si cerca di ottenere un’immagine che abbia le caratteristiche per un passaggio televisivo. L’autore dell’articolo fa un preciso riferimento ad una trasmissione televisiva francese “ Videogag ”, la versione italiana è  “Paperissima”, in tale trasmissione c’è  l’alternarsi di cadute, scivoloni, incidenti apparentemente casuali, ma solo in apparenza. Il nuovo cineasta gira con “ un’intenzione precedente “, non c’è più l’utilizzo della cinepresa o videocamera per il piacere di filmare. Il suo obbiettivo è realizzare immagini  che  fanno ridere, oppure è alla ricerca di eventi spettacolari, per avere il passaggio in televisione.In sostanza non agisce più da cineasta dilettante, ma entra in competizione, diventa un concorrente. Infatti si parla di “professionalizzazione del  cineasta amatoriale”. Per Odin le conseguenze di questo tipo di produzione familiare cosi come le vediamo in televisione, sono che  non possono più essere considerate realmente delle produzioni familiari. Poiché tale materiale subisce tutta una serie di manipolazioni ( dal montaggio, all’inserimento di rumori, musica, commenti ), queste produzioni familiari,  sono fuori dal patto familiare, eppure questa nuova condizione crea uno spostamento di senso al quale i telespettatori non oppongono resistenza:

Quando un telespettatore vede un documento che è all’origine un film domestico, è portato a non porsi questo genere di interrogativi (sulla verità o falsità di ciò che ci viene mostrato): da un lato perché sapendo che quelle immagini sono state girate da un regista amatoriale e senza un’intento precostituito, è naturalmente incline ad accordare la sua fiducia; dall’altro, perché il fatto di sapere che si tratta di un film domestico accentua la relazione affettiva che intrattiene con essa ( è un regista amatoriale come lui quello che le ha girate; le avrebbe potute girare lui stesso)

Tutto questo meccanismo, sempre secondo lo studioso francese, comporta uno spostamento dell’interrogativo circa la “verità  a vantaggio del prodursi  di un effetto di “autenticità”, una sorta di  presunta verità interna, che viene scambiata per oggettiva. Il medium televisione assolve al rito della proiezione dell’home movie, o se vogliamo è il nuovo schermo e proiettore insieme, ma al contrario della superficie bianca, è uno schermo nel quale guardiamo tutti guardati dalla televisione come “membri della grande famiglia televisiva” .Nel rituale della proiezione si cerca di mascherare i conflitti della società, così come nel film di famiglia si nascondono i conflitti interni, dove il processo comunicazionale si basa “più sull’emozione che sulla dimostrazione, più sulla comunione che sulla comunicazione”L’unica eccezione a questo schema avviene, sempre secondo l’analisi di Odin, quando il materiale domestico viene utilizzato come prova. Per prassi consolidata, quando un film viene utilizzato secondo questa  modalità, è possibile che contribuisca a sollevare una problematica più vasta di quella che ha catturato dentro lo spazio dell’inquadratura. Odin cita il caso del video del  pestaggio di Rodney King, che ha permesso di mettere in luce la violenza e il razzismo dei poliziotti americani, ma nel sollevare un problema queste immagini non consentono mai di riuscire a focalizzare bene tutte le implicazioni che comportano certe realtà, e tanto meno a trovare delle risposte.   

LA PRODUZIONE FAMILIARE NEL CINEMA FICTION

Uno dei primi esempi  ,in ordine cronologico, citato da Odin,  è Rebecca la prima moglie ( Alfred Hitchcock 1940); la pellicola si rompe durante la proiezione preannunciando la rottura della coppia. Ma è nel film Muriel, il tempo di un ritorno (Alain Resnais 1963 ) dove il regista da una bella dimostrazione di come può funzionare un film domestico. La sequenza amatoriale si trova al centro del film, di cui è in un certo senso la chiave. Bernard proietta al vecchio Jean le immagini girate in Algeria.  L’utilizzo di immagini tipicamente amatoriali (immagini sovraesposte, sfuocate, mosse) obbliga lo spettatore a fare proprio il dramma del personaggio Bernard. Le immagini girate in Algeria durante il servizio militare assolutamente innocue (euforiche), ma disorganizzate, discontinue, mosse, casuali,  vengono accompagnate dal rumore del proiettore e dalla  voce off di Bernard:  il racconto, frammentario e piatto delle torture inflitte a  Muriel. Le immagini che vengono imposte all’improvviso su tutta la superficie dello schermo  provocano uno shock, diventano immagini difficili da vedere e non hanno  rapporto con le parole di Bernard,

ma la relazione s’impone ad un altro livello.Da una parte obbligando a guardare immagini fisicamente faticose da vedere (troppo chiare, mosse, sgranate)…una sorta di tortura, che opera la nostra messa in fase con il racconto della tortura di Muriel per mano di Bernard; dall’altra parte il fatto che le immagini proiettate siano così povere di contenuto rende disponibili all’ascolto e porta a immaginare le scene ricordate da Bernard. Il racconto della tortura di Muriel diventa allora il nostro film, un film che in quanto siamo noi a produrre le immagini, ci implica personalmente.

Nel film di Oliver Stone JFK-Un caso ancora aperto  (1991), viene utilizzato il super 8 di Zapruder per sostenere la tesi del complotto nell’assasinio di Kennedy.
Paris Texas  di  Wim Wenders ( 1984 ), premiato a Cannes con la palma d’oro;  la visione sofferta di un film familiare  permette a Travis di recuperare il ruolo paterno agli occhi di suo figlio Alex.
Il neofita  di Kristof Kieslowski ( 1979 ), è una sorta di autobiografia del regista, che ripercorre il suo vissuto cinematografico. Nel film l’amatorialità è oggetto e soggetto, al contrario di Wenders dove la metacinematografia è un distillato di  costanti alchimie. Il neofita  è film straordinario sull’apprendimento della visione più che sull’apprendistato cinematografico. La cinepresa è protagonista di questo film tanto quanto l’uomo  che attraverso di lei riscopre il mondo, e la consapevolezza del proprio punto di vista che può condizionare ciò che vede, nell’univocità di un solo sguardo. Lo stile del film è asciutto e scarno, il tema del film; che lega finzione e realtà, filmare la realtà che non si può capire, è al tempo stesso la  forma e l’oggetto del racconto, in un ritratto tra la vita di chi filma e il suo filmare la vita.
Il film inizia con una sequenza di un piccolo falco che divora una gallina. Questa immagine che appare in sogno ad Irka, in attesa di una bimba e moglie di Filip, giovane impiegato di una azienda di Witowice , è premonitrice di un cambio di rotta nella vita del protagonista. La passione per il cinema che fagocita tutto. Infatti sull’onda dell’entusiasmo del nuovo ruolo di padre che lo attende, Filip decide di comprare una cinepresa per riprendere la figlia, ma ben presto questa decisione segnerà una svolta nella vita del protagonista, il film si conclude con l’immagine di Filip che si autoriprende, la cinepresa si nutre della vita.

Segue parte 2

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