In rarissime occasioni Ingmar Bergman si è lasciato intervistare: la sua autobiografia “Lanterna magica” lascia propendere per un desiderio di solitudine piuttosto che un difetto di comunicazione. Riportiamo le più significative dichiarazioni rilasciate nelle poche interviste concesse.

Cosa significa essere un regista cinematografico? Un regista cinematografico è una persona che ha il tempo di pensare solo ai suoi problemi. Non è una definizione mia, ma sembra piuttosto esatta. Parlando di ciò di cui consiste si può dire che sia la trasformazione di idee, sogni o speranze in immagini che trasmettano efficacemente agli spettatori queste visioni, questi sentimenti. Questo viene prima del prodotto finale, quale che sia, merce od opera d'arte.

Cos'è la luce? La luce è il mio sguardo, i miei ricordi.

La luce ha un ruolo da protagonista nei suoi film. Stendere la luce su un volto umano è un infinito mistero espressivo, un piacere, una preghiera. Prima di girare Luci d'inverno sono restato dall'alba al tramonto con Sven Nykvist a fotografare i passaggi della luce e a discuterne, a cercare di comprendere come trasformare quella luce in un film. In Sven ho trovato un fratello, qualcuno innamorato della luce come lo sono io.

Qual è l'impostazione del montaggio? Il montaggio nasce prima di iniziare a girare: il ritmo che avrà un mio film viene deciso con la sceneggiatura, quando poi uso la cinepresa non v'è alcuna improvvisazione. Il cinema è illusione, e per funzionare ritengo che tutto debba essere progettato fin nei minimi dettagli.

Come funziona quest'illusione? Bisogna far differenza tra illusione e trucco: lo spettatore ha coscienza della finzione, quando va a vedere un film mette da parte l'intelletto per fare spazio all'illusione.

Qual è il suo rapporto col pubblico? Vi sono due lati di questo rapporto che devono sempre esser tenuti presenti: da una parte ci sono io, che mi impongo sempre di agire in armonia con la mia coscienza -intendo quella artistica-; dall'altra c'è il pubblico, che venendo a vedere un mio film ha il diritto di pretendere di trovarvi delle emozioni, ed io ho il dovere di dargliele.

Parliamo di cinema in relazione alla televisione ed al teatro. Sono sempre rimasto affascinato dalla televisione: ha un'eccezionale possibilità di comunicazione e di penetrazione, un'immediatezza, un potere di trasmissione, un livello drammatico che nessun film è in grado di far proprio; il cinema non può stimolare l'immaginazione quanto la televisione. Inoltre, avendo lavorato molto per la televisione, ho constatato che tutto ciò che ho realizzato per il piccolo schermo è puntualmente stato accolto anche dal grande. Per quanto riguarda il teatro v'è una differenza sostanziale nel modo di lavorare: durante le prove si ha il tempo per sviluppare un rapporto di intimità con gli attori, cosa che nel cinema, sul set, non è possibile.

Quali messaggi possono giungere attraverso il cinema o il teatro? Non c'è modo di cambiare il mondo, né io ho questa voglia: quello che faccio, come chiunque, lo faccio prima di tutto per me stesso. Ma da questo lavoro, alla fine, la gente può ricevere un'emozione, uno shock; questo è importante, ed a questo mi limito.

Altri registi? Ammiro molto Fellini; per anni ci siamo scritti, e quando finalmente ci siamo conosciuti ho avuto l'impressione di incontrare un fratello, qualcuno che avesse, artisticamente, il mio stesso sangue.

Stoccolma, 20 luglio 2004: Ho deciso che è finita, ne ho abbastanza. Non avranno bisogno di condurmi fuori dal teatro, me ne vado da solo con le mie gambe. Nessuno dovrà poter dire: il vecchio deve sapere che è ora di smettere.

Dal www.cinemadelsilenzio.it

2024 albero su mare v1 1200