La prima domanda che sorge spontanea, dinanzi allo studio di quel complesso fenomeno che è il cinema, è la seguente: che cos’è il Cinema? Le risposte, neanche a dirlo, sarebbero molte, a seconda dei diversi punti di vista di chi osserva il fenomeno. Del cinema si possono dire moltissime cose: è tecnica, è un’industria, un’arte o uno spettacolo, ma anche – e forse soprattutto – divertimento e cultura. Ognuna di queste conclusioni è importante ed irrinunciabile; ma forse il cinema è – più propriamente – tutto questo insieme ed altro ancora. Saper vedere il cinema, invece, indica già qualcosa di più preciso: significa, infatti, imparare ad osservare un film prendendo da esso le debite distanze, in modo da poterne comprendere i meccanismi di funzionamento e di produzione del senso. Roland Barthes ha chiamato tutto questo distanza amorosa, indicando la relazione tra il piacere di vedere un film e la capacità di discernere, distinguere, scegliere e giudicare.
Il cinema, però, non è solo un’importante mezzo di comunicazione: esso, infatti, intrattiene anche stretti rapporti con la storia intesa come insieme di fatti storici e come disciplina che studia questi fatti. I rapporti tra cinema e storia possono essere i seguenti:

  1. la storia del cinema (di essa si occupa la storiografia cinematografica);
  2. la storia nel cinema (i film possono essere un documento storico);
  3. il cinema nella storia (i film possono avere un ruolo attivo nella propaganda politica, nella diffusione di un’ideologia, ecc.– si pensi all’importanza del cinema come strumento di propaganda all’epoca del fascismo, del nazismo o nell’America di Roosevelt).

 Le diverse età del cinema

Il problema delle origini del cinema può essere affrontato da diversi punti di vista: quello tecnico e scientifico (per comprendere il funzionamento delle apparecchiature che poi hanno portato all’invenzione del Cinematografo dei fratelli Lumière), quello psicologico e sociologico (per comprendere come il cinema influenza l’immaginario collettivo), ed infine dal punto di vista estetico (per vedere come il cinema apporta delle innovazioni alle altre arti esistenti). Gli ultimi anni dell’Ottocento ed i primi del Novecento sono quelli in cui il cinema nasce e si afferma; quest’epoca venne ingiustamente definita la Belle Epoque, main realtà furono anni duri a causa dell’espansione dell’imperialismo coloniale, tanto che l’avvento del cinema passò in secondo piano. In verità, però, la “magia” del cinema condizionò diversi aspetti della vita quotidiana.
Il primo dibattito che nacque attorno alla nuova invenzione fu tra volontà di riprodurre il reale e la volontà di creare realtà simulate o ricostruite; tuttavia va sempre ricordato che il Cinematografo dei fratelli Lumière non inventa nulla di nuovo, poiché si tratto solamente dell’apparecchio che meglio raccoglieva in sé almeno cinquant’anni di sperimentazioni nel mondo della fotografia e della cronofotografia (si pensi a Talbot e Nièpce, Muybridge e Marey), e sul mondo della riproduzione del movimento (come gli spettacoli d’ombre di Robertson, il Teatro Ottico, La Lanterna Magica ecc.).
Comunque il cinema indicò fin da subito due vie solo apparentemente opposte: quella della realtà e quella della fantasia. Apparentemente perché, com’è oramai noto, non è possibile separare nettamente una tendenza “realistico-oggettiva” (incarnata dai film dei Lumière) ed una “fantastico-irreale” (che coincide con il nome di Méliès); infatti entrambe fanno parte di quell’unico processo che, già a partire dalla sfera del pre-cinema, porterà il cinema ad essere sempre qualcosa di “iperreale”, cioè qualcosa che è sempre e comunque “già riprodotto”.

Saper vedere e ascoltare il cinema muto

Oggi si dice che il cinema muto non sia “adatto alle abitudini audiovisive dei telespettatori”; quest’assurda offesa alle capacità intellettive di noi telespettatori ha determinato anche delle inaccettabili conseguenze sul piano della fruizione televisiva dei classici del cinema muto: si va dall’abolizione delle didascalie a favore dello “stop frame” (con annessi “balloons”), alle copie sonorizzate di film muti, dalle “voci fuori campo” alle inammissibili colorazioni computerizzate. Purtroppo si tratta di un fraintendimento di base: se si vuole amare il cinema muto, occorre innanzitutto rendersi conto che il suo linguaggio è ben diverso da quello del cinema sonoro. Quindi lo spettatore che si avvicina al cinema muto non può fruirlo come se fosse un film contemporaneo.
Certo non è facile oggi poter vedere il cinema muto: le difficoltà non sono solo soggettive, sono anche oggettive: il patrimonio di film rimasti non è facilmente accessibile ed i rari passaggi televisivi alterano fino all’inverosimile il ritmo del film (le cineprese giravano a 16 fps, mentre i moderni proiettori riproducono a 24 fps), per non parlare del fatto che, molto spesso, la proiezione del film era accompagnata da esecuzioni di orchestra a dir poco grandiose (si pensi alla prima di Cabiria). Tuttavia va ricordato che l’assenza del suono e, soprattutto, della parola fu raramente vista come una carenza della nuova arte; anzi, si può dire che i maggiori risultati del cinema muto furono ottenuti attraverso le infinite potenzialità della “scena muta”. L’avvento del sonoro – nel 1927 con il film Il cantante di jazz – modificò in modo sostanziale le abitudini del pubblico, trasformando di fatto i metodi di produzione e di fruizione del film.
Tutti gli storici e teorici del cinema sono grossomodo d’accordo nel definire la sfera del pre-cinema (ovvero l’età dei pionieri) come una fase di scoperta e di sperimentazione del nuovo mezzo, per scopi semplicemente riproduttivi e spettacolari, e non l’inizio di una nuova arte e di un nuovo linguaggio espressivo. Questo, quindi, vale per i fratelli Lumière, per Edison e Dickson, per Georges Méliès e per Edwin S. Porter; tuttavia Edgar Morin attribuisce già a Méliès il merito di aver segnato il passaggio dal cinematografo al cinema. Con il primo termine lo studioso francese si riferisce al semplice apparecchio di ripresa e proiezione di fotografie in successione, mentre con il secondo indica il dispositivo espressivo e spettacolare capace di articolare un proprio linguaggio autonomo.
Comunque è a partire da Nascita di una Nazione ed Intolerance – entrambi di D.W.Griffith – che il cinema acquisisce coscienza dei propri mezzi espressivi e del proprio linguaggio; il cinema diviene arte grazie al montaggio, che assume il ruolo di “produttore del senso”. Essendo il montaggio un elemento specifico del linguaggio cinematografico, la settima arte non ha più bisogno del sostegno di altre forme spettacolari che fino a quel momento lo avevano contaminato.

L’età dell’oro di Hollywood

La Hollywood classica era divisa in cinque Major (le cosiddette Big Five): MGM, WB, Paramount, RKO e 20th Century Fox; e tre Minor (Little Three): Universal, Columbia e United Artists. Il primo gruppo di studios possedeva una catena di sale cinematografiche, mentre il secondo gruppo ne era privo. Il periodo di situazione Oligopolistica del sistema produttivo dell’epoca classica va dal 1925 circa al 1955 circa, ma fu un fenomeno che mai riuscì ad eliminare la “concorrenza” dei cosiddetti Indipendenti, ovvero le case di produzione o i produttori non conformi al sistema (si pensi a Charlie Chaplin, Walt Disney, ma anche gli studi della cosiddetta “powerty row”, strada della povertà, come la Monogram o la Republic, specializzate in B-Movies). Inoltre c’erano alcuni produttori talmente potenti che diventano un caso a se stante, come Samuel Goldwin o David Selznick.
Il successo dell’impero classico hollywoodiano si basa su almeno tre fattori: lo studio system, lo star system ed i generi cinematografici:

  1. come detto, la forza dello studio system era il completo controllo, da parte delle Major, di tutti gli aspetti della produzione di un film, dal soggetti fino all’esercizio. Le Big Five possedevano solo il 17% dei cinema statunitensi, ma questa percentuale molto bassa costituiva il 70% delle sale di prima visione in 92 città; questo garantiva l’uscita dei film nelle migliori sale, per un periodo di volta in volta diverso (i film rimanevano in cartellone fino a quando i soldi spesi per la produzione non fossero rientrati per intero, e più...). Quindi il produttore aveva il completo controllo del film, e riusciva a preventivarne il successo ancor prima di iniziare la lavorazione;
  2. lo star system si basa sul divismo cinematografico che, nel cinema, si è diffuso piuttosto tardi. Certo, alcuni film di Griffith avviarono questo fenomeno, ma è solamente con la prima edizione degli Oscar, nel 1927, che questo fenomeno si afferma del tutto. Il divismo cinematografico è forse il più forte principio economico su cui si basa lo studio system, che tiene i suoi attori strapagati sotto contratto. Naturalmente lo scopo del divismo è quello di far crescere la notorietà delle star nel mondo e quello di far lievitare paurosamente i costi del cinema tramite ingaggi miliardari. Lo star system si basa sui seguenti criteri:
  3. il racconto, e la messinscena, deve adattarsi alle caratteristiche della star; si attuano precise strategie affinché l’attenzione dello spettatore rimanga concentrata sul divo o sulla diva. Insomma, tutto ruota attorno alla star;
  4. Il rapporto attore personaggio è molto più forte che a teatro: ha scritto Edgar Morin che l’attore beneficia di una “super personalità” conferitagli dai diversi ruoli interpretati e  dalle costruzioni pubblicitarie dell’industria culturale. Come per i generi, anche i divi debbono variare i vari cliché affinché il pubblico possa sempre, e sempre di più, identificarsi con l’eroe;
  5. La star è sempre al centro del film, e bisogna mettere in atto una serie di strategie per far funzionare tutto al meglio: oltre a rimandarne l’entrata in scena, occorre anche curare il primo impatto della star con il pubblico. LO studio system ha messo a punto due strategie ben definite: innanzitutto l’entrata e l’uscita della star varia di genere in genere, in modo da stupire il pubblico senza tradirne le aspettative; in secondo luogo, l’effetto assenza costruisce l’attesa e l’attenzione del pubblico verso la star.
  6. I generi cinematografici costituiscono il terzo punto sul quale si basa lo studio system: Scorsese afferma che i generi cinematografici americani per eccellenza sono quelli autoctoni: il Western, innanzitutto, poi il Gangster Movie ed il Musical. Il genere si definisce tramite “l’obbligatorio ed il proibito”, ovvero una serie di regole non scritte che obbliga ad inserire alcuni elementi nel film (come il duello nei western) e che obbliga a non inserirne altri (la violenza nei Musical). Inoltre i generi funzionano grazie ad un processo di standardizzazione e di differenziazione secondo le regole fondamentali del marketing, che mirano a non sconvolgere mai lo spettatore, bensì a dargli – sempre sotto diverse spoglie – ciò che lui vuole e preferisce. Ciò ha portato non soli le star ed i registi a specializzarsi, ma anche le Major stesse (la MGM nei Musical, la WB nei Gangster movie, la RKO negli horror a basso budget).

Osserviamo ora le cause del declino dell’impero classico Hollywoodiano:
Come è noto, il tramonto del cinema classico hollywoodiano avviene soprattutto a causa di due fenomeni assolutamente fondamentali:

  1. Nel 1948, all’inizio della guerra fredda, il governo americano obbliga le Major a separare la produzione/distribuzione dall’esercizio. La detenzione di una catena di sale diventa allora illegale, e le Major sono costrette ad abbandonare uno dei punti forza del loro potere;
  2. Il secondo motivo è ancor più determinante: la concorrenza della TV. Il cinema, dopo aver impedito lo sviluppo della Tv per tutti gli anni Trenta (poiché si rischiava una concorrenza fra due mezzi diversi che mirano allo stesso obbiettivo), deve cedere al decreto della FCC che, nel 1946 abolisce ogni vincolo trasmissivo e gli apparecchi Tv entrano in produzione di massa: in due anni gli utenti diventano 10 milioni. La guerra fra Cinema e TV vede il cinema uscire sostanzialmente sconfitto, poiché la TV diviene sempre di più il mass media più diffuso. L’industria cinematografica capisce che per sopravvivere deve, da un lato, scendere a compromessi con la TV, dall’altro aumenta la propria spettacolarità ed irripetibilità delle proiezioni (tramite i formati panoramici e gli effetti speciali, il Monopack per il colore ecc.).

La “politica degli autori” e André Bazin

La rivista fondata da André Bazin e Jaques Doniol-Valcroze, i famosi Cahiers du Cinema, furono il trampolino di lancio di molti fra i maggiori esponenti della Nouvelle vague. La “politica degli autori” divenne un po’ la parola d’ordine del gruppo, che passò alla regia dopo anni di critica militante proprio sui Cahiers du Cinema.
André Bazin fu un po’ il padre spirituale di questo movimento, ed elaborò una teoria del linguaggio cinematografico non più basata sul montaggio (come invece fu dall’epoca del muto in poi), ma piuttosto su quegli elementi che permettevano un rapporto diretto con la realtà (Profondità di campo, Piano sequenza e Long Take). Attraverso lo studio dell’opera di W.Wyler, di O.Welles (specie Quarto potere) e di Rossellini, Bazin prese le distanze dal concetto di “montaggio sovrano” del cinema sovietico (Ejzenstejn e Pudovkin) ma anche da quello di découpage classico.
Ontologia del linguaggio è il titolo del primo saggio del suo volume, pubblicato postumo, Che cos’è il Cinema? Il tema centrale è proprio l’esaltazione del carattere di riproduzione meccanica della realtà che il cinema produce. Per questo motivo il cineasta deve rispettare la continuità dell’evento e la sua durata reale, senza alcuna interruzione da parte del montaggio. Ne deriva la teoria del “montaggio proibito”: quando l’azione richiede una soluzione di continuità, il montaggio è proibito. Ed in più i metodi di ripresa più congeniali a Bazin, e cioè la profondità di campo, il piano sequenza ed il long take, permettono allo spettatore – in modo soggettivo – di crearsi il proprio Découpage grazie al movimento degli occhi.

 Il New American Cinema

La vera rivolta contro Hollywood, soprattutto contro il sistema spettacolare, nasce lontano dagli studi cinematografici delle grandi case di produzione; nasce nei piccoli circoli culturali, nelle università e fra gli artisti d’avanguardia: e si allarga a macchia d’olio lungo tutti gli anni ’60, coinvolgendo parzialmente la stessa produzione hollywoodiana ed il cinema europeo e mondiale.
E’ questo un cinema sotterraneo in duplice senso, che era sconosciuto alla maggior parte del pubblico e trattava temi inusuali; un cinema che, da sotterraneo, emerse negli anni Sessanta, ottenendo in certi casi – basti citare i film del pittore e cineasta Andy Warhol e quelli del suo allievo prediletto Paul Morrissey – un notevole successo, sia pure per lo scandalo che queste opere suscitarono.
Il cinema underground non nasce, in verità, nel 1959 (dalla definizione di Lewis Jacobs in un suo articolo sulla rivista “Film Culture”, che sarà la rivista ufficiale del movimento): ha origini più antiche e saldamente radicate nell’avanguardia storica, al movimento dadaista e surrealista degli anni Venti. A quel cinema gli artisti dell’underground attingeranno a piene mani.

L’immagine elettronica

Uno dei temi forti, nell’ambito del cinema degli ultimi anni, è sicuramente il passaggio dalle tecniche di riproduzione chimico-meccaniche a quelle elettroniche. Il rapporto tra le due si concretizza secondo queste modalità:

  1. Distribuzione di immagini cinematografiche mediante supporto elettronico (film in Tv, Videocassette, Laserdisc e Satelliti);
  2. Intervento diretto dell’istituzione televisiva nella produzione cinematografica, per un doppio sfruttamento;
  3. Integrazione fra tecnologia cinematografica tradizionale e tecnologia elettronica nella produzione di film;
  4. Sperimentazione di tecnologie esclusivamente elettroniche, con lo scopo di soppiantare quelle tradizionali (in parte avvenuto con le telecamere, che hanno soppiantato il Super8).

I punti 3 e 4 presentano problemi assai più evidenti rispetto ai punti 1 e 2: infatti l’intervento della Tv nella produzione di film a doppio sfruttamento può considerarsi cosa assai positiva, e lo stesso va detto per la diffusione tramite CD, Videotape o Satelliti (in quanto ci permette di vedere, e rivedere, film altrimenti dimenticati). L’integrazione fra tecnologie digitali e tecnologie tradizionali è, invece, un fenomeno più complesso. Ma andiamo con ordine:

  1. L’impiego del video in fase di ripresa può costituire un vantaggio enorme: il regista può controllare tutto facendosi già un’idea di come le riprese verranno sullo schermo (senza dover necessariamente attendere i giornalieri); nel caso di film in video, le cose si semplificano ulteriormente, ma attenzione alle differenze fra i due supporti (pellicola e video);
  2. In fase di montaggio, tramite le tecnologie digitali (AVID, Lightworks ecc.), è possibile lavorare in modo più rapido, preciso, funzionale ed economico (non servono le copie per il montaggio); in digitale è possibile avere un controllo immediato del risultato, e cambiare di continuo senza danni materiali al film (editing non lineare e non distruttivo);
  3. Le tecnologie digitali permettono la realizzazione di riprese altrimenti impossibili o complesse (tramite, ad esempio, il Movie Control). Il computer può programmare le riprese in modo che la cinepresa esegua ciò che il regista ha previsto a monte;
  4. Le tecnologie digitali permettono, infine, la realizzazione di un nuovo tipo di spettacolo cinematografico interamente realizzato al computer (Toy Story), non necessariamente con lo scopo di soppiantarle
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Riassunti di cinema SAPER VEDERE IL CINEMA (di A. COSTA)
 

 

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