Adottando una sorta di duplice passo, prevalentemente documentaristico ma con felici trovate narrative, Boyer (Damien Boyer regista (evangelico) del film “Sacerdoce”) non ha fatto ricorso a nessun attore professionista, concentrandosi sul percorso ben reale di 5 preti di diverse contrade francesi: Antoine, Gaspard, Paul, Matthieu e François. Una “rosa” che non pretende affatto d’essere rappresentativa del clero francese. Ma attraverso queste parabole umane e spirituali, Boyer mira a scavare dentro la questione che più lo affascina: cosa può mai spingere un uomo a una scelta di vita tanto assoluta e oggi controcorrente — almeno secondo la mentalità più diffusa nell’odierna società francese secolarizzata — come quella di mettersi interamente al servizio di Cristo?
Padre di famiglia, Boyer dedica così ampio spazio pure al tema del celibato religioso, cercando di “scrutare” nel vissuto dei 5 sacerdoti che hanno accettato di esprimersi. Senza intenti scandalistici o sensazionalistici, la telecamera si avvicina così all’intimità della scelta sacerdotale, mettendo in primo piano questioni che risuonano spesso pure per tanti non credenti.
Il risultato di quest’approccio sui generis, perseguito e sperimentato lungo ben 4 anni di lavoro, è un ‘a tu per tu’ con la vocazione sacerdotale certamente ben poco convenzionale e a tratti decisamente sorprendente. Fin dalle prime immagini, i 5 preti accettano di parlare dell’incandescenza che si è impadronita dei loro cuori al momento di accogliere il dono della propria vocazione. Ma in certi casi, emergono pure le difficoltà e i dubbi che, da esseri umani in carne ed ossa, hanno a volte affrontato per cercare di restar fedeli a tutte le promesse di una simile chiamata. Una chiamata che è già un’enorme sfida umana in sé, come confermano le testimonianze toccanti, non prive talora d’una punta di humour. Al contempo, la quotidianità d’un prete è pure colma d’innumerevoli sfide concrete legate a ciascuna missione particolare. Ad esempio, per padre Paul, pure quella d’ascoltare la testimonianza sconvolgente di una donna ormai matura abusata nell’infanzia proprio da un prete, come documenta uno dei passaggi più toccanti della pellicola.
Con l’accordo del proprio vescovo, padre Antoine è divenuto un prete ‘girovago’, con tanto di roulotte anni Settanta, fra i villaggi spesso scristianizzati del Midi transalpino. Padre Gaspard cerca di trasmettere la propria passione per l’alpinismo a dei giovani per aiutarli pure a sconfiggere dipendenze insidiose come quella da consumo di pornografia. Padre Matthieu è invece divenuto missionario nei quartieri della miseria a Manila. Anche attraverso lo sport, padre Paul cerca di mostrare che un prete aspira a restare al centro della società. Più avanti in età degli altri, padre François, che ha accompagnato tante coppie verso l’altare, riflette su ciò che continua a dar sale alla propria vocazione di prete quotidianamente rinnovata.
Con un andamento a tratti quasi picaresco, eppure mai dispersivo, il film è un tessuto fitto di voci, dubbi, incontri, pepite poetiche, lampi d’intimità spirituale. Dopo aver aperto una chiesa tenuta sotto chiave per buona parte dell’anno, padre Antoine intona con la chitarra a tracolla una lode a Dio dal sapore francescano. Con i propri ragazzi, invece, padre Gaspard costruisce una croce di ghiaccio sulla cima faticosamente conquistata. Di notte, nella “giungla” urbana di Manila, padre Matthieu, con i collaboratori della sua fondazione, cerca di sottrarre un altro bambino alle maglie della prostituzione e di altre violenze.
«Ho lavorato in modo pienamente libero e ho solo cercato di capire. Questo film mi ha aiutato enormemente a crescere, dilatandomi il cuore. Spero possa avvenire lo stesso con gli spettatori», ha dichiarato Boyer, applauditissimo, all’anteprima parigina del film, accanto a 3 dei preti protagonisti.
dall'articolo di Daniele Zappalà per avvenire.it