Neanche in catene, fossi stato Carlo Lizzani, avrei detto che il problema del giovane cinema italiano “è che manca una tendenza, la capacità di far gruppo”. Forse mancherà la capacità di fare gruppo, ma quella di fare gregge è eccellente. A volte sembra che le pellicole siano scritte da un solo sceneggiatore e girate da un solo regista. Basta vedere i trailer. Ci si accorge subito se un film è italiano: gli attori sono sguaiatamente allegri o irragionevolmente cupi, le trame, sempre elementari, da avanspettacolo o da oratorio.

Un tempo, dice Lizzani, “si poteva dire ‘vado a vedere un film italiano’. Ora quella categoria è scomparsa”. No, non sono scomparsi i film, ma il cinema italiano, nonostante una critica schierata che “fa gruppo” con inutile efficienza, sperperando elogi e predicendo ogni anno al film di turno l’oscar che non otterrà mai. Dagli spernacchiamenti di Benigni al moralismo catechistico di Moretti, il cinema italiano è quasi tutto intriso di un’indigeribile astuzia. Diceva Longanesi: non è la libertà, sono gli uomini liberi che mancano.

di Giuseppe Scaraffia per “Io Donna” del “Corriere della Sera

 

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