NON si è mai abbastanza sensibili al rapporto tra passato e futuro, in quest’epoca detta post-moderna dominata dall’ossessiva insistenza sul presente e solo su quello. Per questo merita attenzione il ”manifesto” che le Giornate degli Autori, rassegna indipendente operante nel quadro della Mostra del Cinema, lanceranno fra pochi giorni a Venezia. Aderendo a questo manifesto un gruppo di persone sensibili alla storia del nostro paese (il passato) e alle sue strutture educative (il futuro) e che considerano il cinema l’arte più rappresentativa del XX secolo – e io aggiungerei: insieme al jazz, alla fotografia, e forse al fumetto – chiede che lo Stato si faccia carico, come avviene in altri campi e arti, del passato del nostro cinema, del patrimonio artistico del cinema che sono, principalmente ed essenzialmente, i film.
Chi sono e cosa chiedono i firmatari di questo documento? Sono filosofi come Bodei e Vattimo, giornalisti come Zavoli, storici come Ginzburg, gente di spettacolo come la Nannini, la Marini, Fo, la Guzzanti, psichiatri come Cancrini, scrittori come La Capria e chiedono pochissimo nei fatti e moltissimo nella sostanza. Chiedono che lo Stato recuperi, per iniziare, cento film che degli esperti – speriamo affidabili – giudicano importanti per la comprensione del nostro passato, in particolare degli anni più creativi che il nostro cinema ha vissuto, quelli in cui è riuscito a esprimere una enorme sintonia con i sentimenti, i problemi e i sogni della maggior parte della popolazione.
Chiedono che esso si sostituisca ai privati almeno in parte, nella gestione di questo patrimonio, che subentri insomma ai privati che ne posseggono i diritti e che si muovono, nello sfruttamento dei “cento titoli”, secondo logiche solo commerciali e semmai rispondendo al flusso delle mode. Chiedono in definitiva che ogni scuola media del paese possa disporre dei dvd di questi film, fondamentali per spiegare agli scolari cosa sono stati l’Italia e gli italiani (e cos’è stato il loro cinema). Questi film possono aiutarli a scoprire e a indagare l’italica identità antropologica, storica, culturale, religiosa in tutta la sua vitalità così come in tutte le sue contraddizioni.
Cosa può costare allo Stato tutto questo? Ben poco, se si tiene conto di quel che lo Stato spende in conservazione del patrimonio artistico nazionale, e in manifestazioni e celebrazioni perlopiù inutili; se si tiene conto di quello che lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni spendono oggi in cultura-spettacolo, in “eventi” e passerelle di immensa superficialità. Il cinema – certi film in particolare – ci ha saputo raccontare meglio di ogni altra forma espressiva, e merita il riconoscimento di dignità che hanno ottenuto da tempo le altre arti: se è vero che il cinema è “la parte fondamentale della nostra memoria collettiva”, come dice il manifesto di cui parliamo, si tratta dunque, né più né meno che di «salvare la Storia», nel suo lascito artistico e mediatico più collettivo. I film che ci hanno più rappresentato, da Roma città aperta a Un borghese piccolo piccolo , dalla Liberazione agli «anni di piombo» (poi, in quegli anni, il cinema ha perduto la sua centralità, e sono gli anni dell’esplosione televisiva, del fenomeno gaglioffo ed eccentrico delle tv private...) erano in qualche modo un prodotto di massa, l’espressione di sentimenti collettivi, e ci fanno capire cos’eravamo e come è potuto accadere che si sia diventati quali oggi siamo.
Gli «esperti» o «probi viri» che dovranno scegliere questi film dovranno mettere in conto, io penso, che esistono dei film importantissimi che sono stati l'espressione di una potente personalità artistica individuale, il regista-autore (facciamo degli esempi: L'avventura di Antonioni, Accattone di Pasolini, Nostra Signora dei turchi di Bene...), altri che sono stati espressione di una potente personalità artistica individuale che sapeva captare i sentimenti collettivi e restituirli a un pubblico di massa in una forma comprensibile a tutti, profonda sotto l’aspetto artistico ma altrettanto grande sotto l’aspetto della comunicazione di massa (degli esempi: La dolce vita di Fellini, Due soldi di speranza di Castellani, Senso di Visconti, La grande abbuffata di Ferreri...) e infine quelli che non dichiaravano ambizioni artistiche immediate ma che erano in qualche modo, si potrebbe dire, «commissionati» dal pubblico ad artisti che finivano per essere una sua diretta espressione (esempi: dozzine e dozzine, stavolta : i film di Totò, quelli di Raffaello Matarazzo, la commedia all’italiana quasi tutta, i film di Ercole e Maciste o i western all’italiana...). Ed è chiaro perché non cito in questo caso dei titoli bensì dei registi, degli attori, dei «generi».
Nel caso di questo cinema la critica ha oscillato tra il disprezzo più snobistico (e idiota) e l’esaltazione più sconsiderata (e idiota). E’ importante che la scelta dei cento film (o della prima tornata di cinquanta), se mai il manifesto di cui parliamo dovesse avere il successo che noi gli auguriamo, non venga affidata a questi due tipi di «esperti» e tantomeno agli attuali «rappresentati delle categorie dei cineasti», che di queste cose hanno smesso di capire e di discutere da tempo, stretti ai loro piccoli carri corporativi e/o clientelari. Il cinema italiano è stato un grande cinema proprio per la sapienza istintiva con la quale ha saputo proporre, confrontare, e spessissimo compenetrare tra loro queste tre modalità che hanno tutte e tre dignità e tutte e tre hanno saputo farne il fenomeno immenso che è stato. Se i nostri figli avranno la possibilità di confrontarsi con il meglio di questa grande esperienza, avranno molto da riflettere sul contesto in cui vivono, sui loro «avi» e genitori, ma anche su di sé. E avranno molto da divertirsi, aprendosi grazie ai film a nuove esplorazioni e scoperte.
«L’arma più forte» come la definirono Mussolini o Stalin, è stata in realtà lo strumento – non l’arma – più grande per l’accesso dei popoli alla democrazia, almeno in quello che si è soliti chiamare Occidente, nel Novecento. Non lo è più, il potere ne ha oggi paura, e ha trasformato la «cultura di massa» in manipolazione di massa, ha capito che si può governare grazie a consumo e consenso e che il consenso è molto più facile conquistarlo con la televisione e la pubblicità, lasciando al cinema una parte infima, di spettacolo robotico e castrato o di arte per pochi, anzi pochissimi. Vedere i film di ieri può anche aiutare le nuove generazioni, chissà, a «farsi un’idea», non solo sul cinema, e a farsi più accorti ed esigenti.

di GOFFREDO FOFI da il www.ilmessaggero.it

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