Basterebbe la sequenza in sottofinale dove una mezza dozzina di loschi figuri del partito fascista arrestano l’intera famiglia ebrea dei Finzi-Contini, dalla giovane figlia all’anziana nonna. Pochi movimenti di macchina da presa, una statuina che simbolicamente si rompe infrangendo il cerchio dell’equilibrio storico, innescando l’orrenda violenza dello sterminio degli ebrei in Italia, per uno dei capolavori di Vittorio De Sica datato 1971 che subito diventa infinito tassello cinematografico della storia del mondo. Il Giardino dei Finzi Contini, in versione restaurata da Studio Cine’ di Roma, L’Immagine ritrovata di Bologna e la sponsorizzazione dell’azienda Anthony Morato, potrà essere visto in anteprima mondiale a Roma, alla Casa del Cinema, il 25 marzo 2015 alle 20.30, alla presenza di uno dei protagonisti del film: Lino Capolicchio. “È un mestiere strano e sorprendente quello dell’attore. Quando giri un film non sai mai come andrà a finire il set, il seguito di pubblico in sala, i premi”, spiega Capolicchio al fattoquotidiano.it. Infatti Il Giardino dei Finzi Contini, tratto da un celebre romanzo dello scrittore Giorgio Bassani, vinse nel 1971 l’Orso d’Oro al Festival di Berlino e dopo un anno nel 1972 l’Oscar come miglior film straniero.
In quella storia di una famiglia alto borghese di origine ebraica gradualmente coinvolta nelle leggi razziali applicate dal regime mussoliniano e infine nel 1943 deportata nei campi di concentramento si è riconosciuto il pubblico dell’intero pianeta, tanto che il film – onorevolissimo ventesimo posto al box office con oltre un miliardo e mezzo d’incassi nella stagione 1970-71- venne proiettato a Gerusalemme, Mosca e San Francisco. Oltre ai giovani Finzi-Contini con Dominique Sanda che interpreta Micol ed Helmut Berger nei panni del fratello Alberto, c’è il giovane comunista e operaio Gilberto (un Fabio Testi all’apice del glamour) e un giovanissimo Lino Capolicchio, Accademia Silvio d’Amico e il Piccolo di Strehler come palestra, ad interpretare praticamente per tre quarti di film il ventenne Giorgio, anche lui ragazzo di famiglia israelita, innamorato di Micol, e che riuscirà a scampare all’orrore dell’Olocausto. “Sono molto orgoglioso di quel ruolo. De Sica mi chiese una recitazione misurata. Mi diceva: “Si deve sentire il battito dell’anima”, racconta l’attore nato a Merano nel ’43, interprete di decine di film tra gli anni settanta e ottanta. “Vittorio era un grandissimo regista soprattutto nel dirigere gli attori. Urlava spesso sul set, anche se io ero abituato alle urla con Dino Risi. Tra l’altro non in pochi piansero sul set, dalla Sanda a Berger. Invece Testi veniva insultato da mattina a sera”.
“De Sica interpretava tutti i ruoli per far capire all’altro attore la scena – continua -. C’è un momento in cui la Sanda è a letto sdraiata e parla con me. Lui si sdraiò sul letto e recitò la parte di lei. Per fortuna non c’era nessun fotografo nei paraggi”. Dodici settimane di set, di cui un mese e mezzo a Ferrara anche se la villa con annesso e celebrato “giardino” non sono mai stati lì: “Fu un abile lavoro di montaggio su diversi set che ha comunque creato il mito di quel luogo. Da questo, come dalla sequenza dell’arresto della famiglia Finzi-Contini capisci il genio di De Sica: due tocchi, quattro inquadrature, il senso della trageda imminente che si scatenerà di lì a poco ma senza mostrare nulla di esplicito. Spielberg molti anni dopo raccontò lo stesso la deportazione ma in modo più spettacolare e convenzionale”.
Pur disconosciuto da Bassani, che chiese di non essere citato nei titoli e che diversi anni dopo spiegò su L’Espresso la sua contrarietà all’operazione della Documento Film, articolo in cui esprime con un certo fastidio le troppe presenze di “tecnici” della scrittura dell’ambiente cinematografico romano a mettere mano allo script, Il Giardino dei Finzi Contini venne amato da molti spettatoti anche i più illustri: “Ricordo la prima a Gerusalemme – conclude Capolicchio – a cena mi si sedette vicino Golda Meir, il primo ministro d’Israele di allora, e mi chiese ‘ma lei è ebreo?’; risposi di no, e lei mi lodò per la credibilità del personaggio. Il film comunque non sembra essere stato troppo d’aiuto sul tema trattato. Questo tipo di razzismo continua a proliferare. Bisognerebbe cambiare gli uomini. Brecht nell’Arturo Ui dice: “Fate attenzione, il germe che ha generato il nazismo è sempre fecondo”.
(di Davide Turrini per ilfattoquotidiano.it)