2024 albero su mare v1 1200

Che cosa ha fatto il cinema per Michael Tolkin? Chiedetevi piuttosto che cosa può fare Michael Tolkin per il cinema. Ha sceneggiato, per prima cosa. The New Age — Nuove tendenze (The New Age) Regìa: Michael Tolkin Orig.: U.S.A., 1994 Sogg. e Scenegg.: Michael Tolkin. Fotogr.: John H. Campbell. Musica: Mark Mothersbaugh. Mont.: Suzanne Fenn. Scenogr.: Robin Standefer. Costumi: Richard Shissler. Suono: Stephen Halbert. Interpr.:Peter Weller (Peter Witner), Judy Davis (Katherine Witner), Patrick Bauchau (Jean Levy), Corbin Bernsen (Kevin Bulasky), Jonathan Hadary (Paul Hartmann), Patricia Heaton (Anna), Samuel L. Jackson (Dale Deveaux), Audra Lindley (Sandi Rego), Paula Marshall (Alison Gale), Maureen Mueller (Laura), Tanya Pohlkotte (Bettina), Bruce Ramsay (Misha), Rachel Rosenthal (Sarah Friedberg), Sandra Seacat (Mary Netter), Susan Traylor (Ellen Sal-tonstall), Adam West (Jeff Witner). Prod.: Nick Wechsler e Keith Addis, per Regency Enterprises lAlcor Films Ixtlan Addis-Wechsler prod. Distr.: Warner Bros. Durata: 112 min. Due coniugi in crisi nella Los Angeles del jet-set. Lui perde il suo lavoro da mezzo miliardo all'anno per vivere, lei deve abbandonare la sua vita agiata. Per guadagnare e rimanere nell'alta società, aprono un pretenzioso negozio di moda dal nome "Hyppocratie". Dopo i primi successi, l'iniziativa ben presto fallisce e il buco nell'acqua li isola ancora di più nella crudele Beverly Hills. Non rimane altro da fare, allora, che affidarsi a santoni e medium e, forse, suicidarsi. Che cosa ha fatto il cinema per Michael Tolkin? Chiedetevi piuttosto che cosa può fare Michael Tolkin per il cinema. Ha sceneggiato, per prima cosa. Ha scritto un film ( Gleaming the Cube di G. Clifford) già atipico per un pubblico statunitense che non si aspettava quel tipo di film, figuriamoci in Italia dove è stato intitolato California Skate ed è passato quasi solo in Tv, confuso e contestualizzato alle serate dedicate al film giovanilistico (bikini-movies, skate-movies, la filmografia di Sam Firstenberg, etc.). Poi si è diretto il suo film, il cupissimo The Rapture, da noi uscito solo in videocassetta. Il titolo Sacrificio fatal e, dove il suffisso "-ale" serve a guadagnare tre o quattro spettatori stanchi che sperano nel solito innocuo giallo made-for-cable e a dare vaghe suggestioni mistico-omicide. Poi, l'incontro con Altman, per I protagonisti, dove il taglio antropologico/tribale del romanzo di Tolkin si è ben innestato nell'allegoria corale altmaniana. Tutta questa divagazione non dispiacerebbe comunque a Tolkin, visto che The New Age è un film su e per la divagazione, dove non c'è spazio per il centroflessismo, e la dinamica del divertimento e dell'hobby contamina ed "infetta" il mondo del dovere e del lavoro. La tensione dialettica su cui vive il film riguarda il dentro ed il fuori, il dentro per le tendenze neo-irrazionaliste e semi-pagane in cui si tuffano i protagonisti del film, alla ricerca di (fuga dalla) auto-coscienza (a proposito, in Italia il film ha come sottotitolo Nuove tendenze vanificando il senso sottilmente metastorico e ironico di "age"), che però somiglia terribilmente ad un cupio dissolvi (confermata dal finto suicidio finale, in fondo paradossalmente rito iniziatico attraverso l'assunzione di uno yogurt/veleno da società delle merci sofisticate); il fuori perché è in esso che i due coniugi protagonisti devono affermarsi, alla ricerca della monetizzazione del loro (alto) status sociale, da confermare pena l'espulsione di tipo tribale/ totemico dalla confraternita dei ricchi west toast. Il negozio che comprano (chiamato con lo straordinario neologismo di "ippocrazia") è una prigione e da dentro attendono clienti, continuamente spiando fuori, un marciapiede vago, anonimo, qualunque, quasi del tutto attanziale. Tolkin infatti, nel suo mondo polimorfo e mutante, non crede molto, mette in scena archetipi dell'orribile tempo contemporaneo (o futuro?) e chiude claustrofobicamente l'inquadratura attorno ai due coniugi. Nella sua Los Angeles non c'è isteria e foll(i)a, c'è solo una pan-nevrosi contaminante e assolutizzante. Quasi tutte le scene sono auto-sufficienti, viene eluso ogni movimento causa/effetto, come se fosse finita l'umanità e rimasto solo il delirio con due o tre sopravvissuti (anche i party assomigliano a funzioni religiose di tipo misterico, con pochi adepti, più che alle immense "macchine da cocktail" cui siamo abituati nel cinema americano). Lo spazio/libertà giunge solo durante la separazione della coppia (che sancisce peraltro soltanto l'inizio di una serie di esperienze sensoriali malriuscite nell'enorme tempio-Beverly Hills che contiene tutti i riti e tutte le confessioni) e poi si restringe di nuovo fino a minacciarne la vita (ancora il suicidio incombente). Quale impiego/ruolo migliore allora (per P. Weller) del venditore via telefono di falsi viaggi per false lotterie? (A differenza dei venditori incarogniti di Americani, nel new age anche fregare il cliente avviene per telefono o telefonino come ennesimo surplus finzionale). A fianco di attori dagli occhi così glacialmente blu da sembrare volutamente cyborg (che la ritualità delle neo-religioni sia l'unica via possibile alla coscienza per replicanti che Deckard non ha trovato?) riscopriamo l'ingrassato Patrick Bauchau già (e ancora) Fritz Munro/Monroe in Lo stato delle cose e Lisbon Story, nei panni di un santone belga che predica di seguire la propria strada e di "vivere con la domanda", vox clamantis ridicola e grottesca (più o meno il ruolo odierno del censore Wenders). Chiedersi quanto c'è di intenzionalmente grottesco e quanto di realmente malriuscito in questo film non avrebbe senso. E una onirica parabola americanologica, con una tale parade di stravaganze, tra guru mistico-psichedelici, orge tra tatuati, culti misterici da mitologia metropolitana, freaks e feste sulfuree da ricordare l'ultimo, abrasivo e raggelante, Bret Easton Ellis, solo più senile e meno disperatamente mortuario. Il paragone sia perdonato, visto che Tolkin, anche se poli-artista, fa pur sempre parte della scena letteraria nord-americana, innegabilmente però lontano dall'orizzonte di nascita dei neo-minimalisti Un'ultima annotazione: il produttore è Oliver Stone, evidentemente attirato dalla quantità di suggestioni para-buddiste, presenti nel film (c'è pure la solita sequenza da allucinogeni nel deserto, come in The Doors e NBK).
da Segnocinema n.73