Costruire e presentare una soluzione di continuità, in una buona sceneggiatura, significa introdurre un colpo di scena in grado di segnare la fine di qualcosa e l’inizio di qualcosa d’altro.  Sì, d’accordo, ma la fine di cosa esattamente?  Se il colpo di scena del primo atto si trova, più o meno, venti minuti dopo l’inizio del film, come può segnare la fine di qualcosa? Niente è ancora realmente iniziato, e dunque, come può esserci già una fine?

Ogni fine racconta un nuovo inizio

Mi sono dedicata, negli ultimi mesi, alla stesura di una sceneggiatura per un lungometraggio, centrata su un personaggio unico. Ho riflettuto meglio e più profondamente, per motivi professionali, proprio sull’argomento che avevamo lasciato in sospeso: il colpo di scena, un’arma affilata che, se ben utilizzata, rende appetibile e vincente ogni vicenda drammatica.

Costruire e presentare una soluzione di continuità, in una buona sceneggiatura, significa introdurre un colpo di scena in grado di segnare la fine di qualcosa e l’inizio di qualcosa d’altro.

Sì, d’accordo, ma la fine di cosa esattamente?

Se il colpo di scena del primo atto si trova, più o meno, venti minuti dopo l’inizio del film, come può segnare la fine di qualcosa? Niente è ancora realmente iniziato, e dunque, come può esserci già una fine?

L'indiscussa importanza del personaggio

Dopo venti minuti in sala, lo spettatore non ha avuto altro che un assaggio di una storia. Non sa esattamente di cosa parlerà quel film, non ne ha ancora afferrato il ritmo, né la profondità introspettiva o il punto di vista dell’autore.

Eppure, il primo atto sta per concludersi e il colpo di scena ci vuole, va piazzato proprio lì, perché la vicenda deve esplodere.

In più, il colpo di scena non deve solo esserci ma deve anche emozionare.

Eventi inaspettati come la caduta di un muro, un incidente, un incontro, l’atterraggio di un’astronave  sono solo fatti, sono contorni, sono, certamente, l’involucro del colpo di scena del primo atto ma non provocano emozione.

Per diventare emozioni, è necessario che quei fatti accadano a qualcuno.

Ecco, di nuovo in primo piano la nostra risorsa più grande: i personaggi.  Ancora una volta, sono i personaggi la nostra materia prima. Sempre loro ci permettono di emozionare (o non emozionare) il pubblico.

L'importanza di un giudizio affrettato

Il colpo di scena alla fine del primo atto, abbiamo detto, stabilisce la fine di qualcosa e l’inizio di qualcosa d’altro. E, in più, deve emozionare.

Qualunque sia il fatto che abbiamo deciso di inserire per scombussolare l’equilibrio che abbiamo mostrato nei primi venti minuti circa, esso dovrà accadere al nostro personaggio.  E’ a lui che accade. Il muro che crolla, distrugge la sua casa. La rapina in banca, ferisce i suoi risparmi, i suoi sentimenti o direttamente la sua carne.

Non è la storia che viene interrotta, distrutta e cambiata, ma è il personaggio che dovrà fare i conti, improvvisamente, con qualcosa di nuovo, di inaspettato.

Il pubblico, a questo punto, dovrebbe già conoscere quel personaggio. Lo avrà sentito parlare, avrà compreso le sue priorità, la sua etica, qualunque essa sia, gli avrà già dato ragione oppure torto. In ogni caso, il pubblico, durante il primo atto, avrà interagito con il personaggio/protagonista della storia, criticandolo per le sue prime mosse, ridendo per le sue strambe battute, accusandolo per il comportamento tenuto in famiglia, amandolo per il coraggio del suo impegno sociale. Soprattutto (e questa è la cosa fondamentale), il pubblico avrà già iniziato a esprimere un giudizio sul personaggio, si sarà fatto un’idea circa i suoi valori forti.

Se questo è avvenuto, allora il pubblico potrà davvero sorprendersi, non per ciò che sta per accadere al personaggio, ma per il giudizio affrettato espresso su di lui.

Sì, perché quel giudizio iniziale va ribaltato

Il ribaltamento di ogni certezza

Il pubblico, dopo venti minuti di visione, deve credere di conoscere il personaggio. Deve pensare di averlo capito, di avere colto il suo lato b, deve essere convinto di avere a che fare con un buono o un cattivo, un coraggioso o un pavido.

E invece no.

Ecco che il colpo di scena arriva e spazza via ogni certezza.

L’astronave atterra e il pavido personaggio che credevamo di conoscere, tira fuori gli artigli per difendere i suoi cari. Oppure il coraggioso padre di famiglia, premuroso e amabile, fugge via all’arrivo di una valanga, lasciando moglie e figli in pericolo. O ancora, il mite impiegato assicurativo, incontra casualmente un killer professionista e si rivela assetato di sangue e ripicche.

Ecco, questi sono colpi di scena riusciti.

E’ un gioco tra autore e spettatore.

Prima mostriamo un personaggio, conduciamo il pubblico a formulare un giudizio e poi gli diciamo: guarda che ti sbagli. 

E’ questo l’unico tipo di sorpresa in grado di suscitare un’emozione vera. 

Presentare, suggerire, capovolgere

Se si riesce a creare una dinamica del genere, allora il colpo di scena è riuscito.

Per farlo, è sufficiente rispettare alcune semplici regole entro i minuti che abbiamo a disposizione nel primo atto:

  1. Presentare un buon personaggio, credibile, forte e reale (presentazione);
  2. Suggerire apertamente l’etica di quel personaggio (approfondimento);
  3. Capovolgere completamente quella prima versione (colpo di scena).

In definitiva, il vero colpo di scena consiste in un occhiolino che il personaggio fa al pubblico, dicendo: mettimi alla prova.
 

di Sabrina Gioda
Sceneggiatrice cinematografica e televisiva, autrice di romanzi e insegnante di sceneggiatura e scrittura creativa
Dal suo blog http://scriverecinema.weebly.com