Novembre 2002. Vengo a conoscenza di un concorso promosso da Cinecittà Holding e Autogrill S.p.A. Si tratta di scrivere (e poi, eventualmente, realizzare) un cortometraggio della durata di non più di dieci minuti, interamente ambientato in uno spazio Autogrill.

Scrivo la storia, la invio e attendo. Mi viene comunicato che faccio parte dei cento selezionati. A questo punto inizia l’avventura produttiva. Il soggetto che ho inviato non basta più, è necessario trasformarlo in sceneggiatura, poi fare quello che in gergo si chiama decoupage, ovvero pianificare, quanto più possibile, inquadrature e movimenti di macchina. Quindi, la fase più complicata: casting e ricerca della troupe.

Il mercato dei cortometraggi, si sa, non è propriamente florido, quindi è necessario risparmiare su tutto quanto è possibile. Il concorso prevede già che il corto debba essere realizzato con tecnologie digitali, che abbattono decisamente i costi dovuti alla realizzazione di audiovisivi in pellicola. Ma non basta. Tramite il primo giro di telefonate “recupero”, per cominciare, quattro cameraman (ho una telecamera digitale professionale anch’io, ma vista l’importanza del progetto, vorrei dedicarmi interamente alla regia e non fare le riprese). Poi l’abituale gruppetto di aspiranti film-makers con cui, bene o male, si realizzano questi progetti “a fondo perduto”, e con cui sto affrontando l’avventura produttiva (con la nostra “IK PRODUZIONI” www.ikproduzioni.it) mi garantisce il supporto di cui ho bisogno per le altre figure professionali: segretaria di edizione, aiuto regia, fonico di presa diretta…

Quindi, il problema del cast.
Approfittando del fatto che due anni fa, lavorando (ovviamente come “stagista”) per una produzione di Retequattro, ho conosciuto Tiziana Sensi, un’attrice che ha lavorato a teatro, in tv (“Un posto al sole”, “Incantesimo”…) e al cinema (“Encantado”), e con la quale ho mantenuto un rapporto di amicizia e stima reciproca, tento il “colpaccio”: le mando la sceneggiatura, senza sperare troppo che accetti, in verità. Invece dopo due giorni ci sentiamo al telefono: crede nel progetto e accetta di partecipare al corto, aggiungendo al cast Vincenzo Bocciarelli (attore diplomato alla Scuola di Teatro di Strehler, all’attivo “Incantesimo”, “Cinecittà” e moltissimi lavori di teatro), che si rivela persona deliziosa e bravissimo attore. I due saranno miei ospiti in fase di lavorazione del corto. E’ il minimo che si possa fare.

Mancano due personaggi al cast: un bambino, che dovrà interpretare il ruolo del figlio di Tiziana e Vincenzo, e un volto “cattivo”.

Per il primo, scopro, grazie alla Scuola di Recitazione di Modestina Caputo, Francesco Canepa (che ha già lavorato a teatro con Eros Pagni e sta per partire in tournee con Lavia): 11 anni, ma già un bel talento e un’ottima presenza scenica. Il secondo invece è Agostino Canepa, un ragazzo che ha il cosiddetto “physique du rol” e che ha partecipato a vari cortometraggi.

Contemporaneamente, si pensa al fabbisogno di scena.
Grazie ad amici e conoscenti riesco a racimolare, in prestito, auto di scena e una pistola. Per i costumi ci arrangiamo alla meglio, il “cattivo” indosserà un mio gessato e gli altri attori abiti di tutti i giorni (come, del resto, richiesti dalla sceneggiatura).

E poi il “colpo di scena”: vari professionisti dell’ambito genovese credono nel progetto e così riesco ad avere un braccio steady-cam, un microfono con il “gatto” (quello “peloso”, antivento, che si usa al cinema) e un dolly di sei metri, che userò soprattutto per la scena finale.

Sul set, un’emozione: è la prima volta che mi trovo a “dirigere” (mi sembra persino eccessivo il termine!) un cast e una troupe quasi interamente composti da professionisti; la tensione – la mia, soprattutto – è palpabile. Le scene si susseguono rapide e in due giorni (a parte un paio d’ore di riprese con comparse) il corto è finito. Molto interessante e gradificante dirigere le riprese con la steady (“correndo” dietro all’operatore, il bravissimo ed estremamente disponibile Bruno Desole) e con il dolly (accucciato davanti al monitor con una serie di giacche sulla testa per non essere disturbato dal sole, mentre Bruno si diletta con il joystick che comanda la telecamera e i macchinisti manovrano il “mastodontico” – almeno per me - braccio di sei metri).

Alla fine delle riprese, sfinito, non posso che constatare la bravura di tutti: Vincenzo, che interpreta perfettamente un ruolo non facile del padre arrogante e incattivito col mondo, e che riesce a rendere al meglio tutti i cambi espressivi delle decine di emozioni che si susseguono nel suo personaggio; Tiziana, bravissima “mamma”, che scoppia veramente a piangere nell’ultima scena, emozionante e commovente, e poi il piccolo Francesco e Agostino e tutti i ragazzi della troupe.

Ora il girato del corto è nel mio pc. Sì, perché con le tecnologie digitali, il “regista” è sempre più “artigiano” e mette le mani facilmente sul suo prodotto, montando immagini e colonna sonora direttamente col computer. Senza dimenticare il backstage, realizzato in vari momenti sul set e sicuramente da montare anch’esso, se non altro per avere un ricordo concreto della lavorazione.

Spero di aver reso l’idea dell’emozione che si prova su un “proprio” set, e di aver stimolato, con questo racconto, gli “aspiranti registi” che si annidano dentro di voi!

di Alberto Puliafito - Bologna