Da Screenplay, di Syd Field:

Nell’estate del 1937 F. Scott Fitzgerald, alcolizzato, indebitato fino al collo e in preda a una soffocante disperazione, si trasferì a Hollywood alla ricerca di un nuovo inizio, sperando di reinventarsi come sceneggiatore. L’autore de Il grande Gatsby, Tenera è la notte, Di qua dal Paradiso e dell’incompleto Gli ultimi fuochi, forse il più grande scrittore americano, era, come disse un suo amico, in cerca di redenzione.

Nei due anni e mezzo che trascorse a Hollywood, prese “molto seriamente” il mestiere dello sceneggiatore, come riferisce anche un esperto di Fitzgerald: “era commovente vedere quanto impegno ci mettesse.” Fitzgerald approcciava ogni sceneggiatura come fosse un romanzo, scriveva lunghe backstory per ciascuno dei protagonisti prima di mettere nero su bianco una singola parola di dialogo.

Nonostante la profonda preparazione che dedicava ad ogni progetto, era ossessionato dal trovare una risposta alla domanda che lo tormentava da tempo: Cosa rende valida una sceneggiatura? Billy Wilder una volta paragonò Fitzgerald a “un grande scultore assunto per fare un lavoro da idraulico. Non sapeva come collegare i tubi per far sì che l’acqua scorresse.”

Nei suoi anni Hollywoodiani, cercò sempre un “equilibrio” tra i dialoghi e le immagini. Ottenne una menzine per la trasposizione cinematografica del romanzo Tre Camerati di Erich Maria Remarque (con Robert Taylor e Margaret Sullavan). Tuttavia Joseph L. Mankiewicz finì col riscrivere l’intera sceneggiatura. Lavorò alla riscrittura di numerosi altri film, incluso Via col Vento (una settimana infernale in cui gli vietarono di utilizzare parole non incluse nel romanzo di Margaret Mitchell), ma, dopo Tre Camerati, tutti i suoi progetti andarono in fallimento. Uno di questi, una sceneggiatura per Joan Crawford intitolata Infidelity, rimase incompleta, cancellata perché affrontava il tema dell’adulterio. Fitzgerald morì nel 1941, mentre lavorava al suo ultimo e incompleto romanzo, Gli ultimi fuochi.

Morì convinto di essere un fallimento.

Sono sempre stato affascinato dal percorso di F. Scott Fitzgerald, da quella sua perenne ricerca di cosa rendesse una sceneggiatura valida. Le sue dolorose circostanze esterne – l’internamento della moglie Zelda, i debiti oramai ingestibili, il suo stile di vita, il bere eccessivo – non facevano altro che alimentare tutte le sue insicurezze legate al mestiere dello sceneggiatore. Sia chiaro: scrivere per il cinema è un mestiere, un mestiere che può essere appreso. Nonostante lavorasse molto duramente, fosse disciplinato e responsabile, Fitzgerald non riuscì mai a raggiungere quegli obiettivi che così disperatamente perseguiva.

Perché?

Non credo esista un’unica risposta. Dai libri, dai testi e dalle lettere che scrisse in quel periodo, emerge che non era per nulla sicuro di cosa fosse una sceneggiatura: si chiedeva spesso se stesse “lavorando bene,” se ci fossero delle regole che avrebbe dovuto seguire per scrivere una sceneggiatura di successo.

[…]

F. Scott Fitzgerald era un artista in bilico tra due mondi, tra la sua genialità di scrittore e la sua insicurezza e incapacità di esprimere quella genialità sotto forma di sceneggiatura.

Scrivere una sceneggiatura è un mestiere ben preciso, un’arte ben precisa. Nel corso degli anni ho letto migliaia e migliaia di sceneggiature, sempre alla ricerca di determinate caratteristiche. Innanzitutto, che aspetto ha sulla pagina? C’è troppo spazio bianco, i paragrafi sono forse troppo densi o il dialogo troppo lungo? O forse è l’esatto opposto: la descrizione della scena è troppo striminzita, il dialogo troppo scarno? Tutto questo ancor prima di aver letto una singola parola della sceneggiatura; è solo il suo l’“aspetto” sulla pagina. Vi sorprenderebbe sapere quante decisioni, a Hollywood, si basano sull’aspetto della sceneggiatura, che consente di evincere se è stata scritta da un professionista o da qualcuno che aspira a diventarlo.

Tutti scrivono sceneggiature: dal cameriere del vostro bar o ristorante preferito, all’autista di una limousine, dal medico all’avvocato o al barista intento a servire una cioccolata calda al Coffee Bean del vostro quartiere. Lo scorso anno , oltre settantacinquemila sceneggiature sono state depositate alla Writers Guild of America, e di queste ne sono state prodotte solo quattrocento o cinquecento.

Cos’è che rende una sceneggiatura migliore di un’altra? Ci sono molte risposte, ovviamente, perché ogni sceneggiatura è unica. Se volete sedervi e passare dai sei mesi a un anno a scrivere una sceneggiatura, la prima cosa che vi occorre sapere è cos’è una sceneggiatura – qual è la sua natura.

Cos’è la sceneggiatura? È la guida o lo schema di un film? È un modello, un diagramma? O forse è un insieme di immagini, scene e sequenze legate da dialoghi e descrizioni, come perle su un filo? O può darsi che sia semplicemente la cornice di un sogno?

Questo per dire: per fare un mestiere, dovete conoscere il mestiere.

di  Erica Baldaro per  quora.com

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