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Sembra proprio che Allen sia tornato. Nel senso che, secondo me, si ripresenta agli spettatori  come ai tempi di Io e Annie e  di Hanna e le sue sorelle. Forse non proprio.

BASTA CHE FUNZIONI di Woody Allen 1La caratteristica di Allen che conteneva forza innovativa all’esordio del regista, a parte i temi delle sue storie, era il dialogo. Un dialogo estremamente reale: quell’impappinarsi, quel tartagliare, ripetendo sillabe e parole, spezzando le frasi, non toglievano assolutamente chiarezza al discorso, tutt’altro, gli restituivano efficacia. I balbettamenti in verità hanno rischiato di essere stucchevoli: si pensi a quel “ io io io “ con cui cominciano spesso a parlare i suoi personaggi. Inoltre il dialogo ha uno spazio importante nei suoi film sia per l’uso che ne fa nel contesto filmico sia perché è soprattutto attraverso il dialogo che racconta le sue storie e la sua weltanschauung, la sua personale visione del mondo, degli uomini, delle loro relazioni. Non è un caso che prima di tentare la strada del cinema Allen abbia avuto un grande successo a Broadway con le sue commedie, alcune ritradotte poi in film.

In Basta che funzioni non è più solo il dialogo, si tratta del parlato, che si esprime in monologhi del protagonista, anzi proprio con discorsi che  il protagonista rivolge agli spettatori in sala. Qualcuno  può essere infastidito, la gran parte si diverte, e si sa quanto l’atteggiamento favorevole  di partenza fa accettare tutto dell’autore-idolo; sta di fatto però che ci si abitua e anche chi non subisce il fascino, ma rimane critico e attento, finisce per riconoscere coerenza tra il personaggio e questo modo di lamentarsi persino con gli spettatori.

Perché il personaggio è uno che brontola, uno che ha sempre da ridire su tutto e tutti e rompe le scatole, oltre che agli spettatori, agli amici del bar, in gran parte nullafacenti come lui. E’ Boris Yellnikoff, magistralmente interpretato da Larry David, che sembra quasi un sosia di Allen. Boris dice di essere un genio, di essere candidato al Nobel per la Meccanica quantistica; può darsi pure che sia un genio, di fatto ha fallito nella vita, come marito oltre che come intellettuale, per questo forse ha tentato il suicidio e non crede più a nulla.

Bene! Un tale personaggio si ritrova in casa una ragazza, Melody, perché una sera lo ha pregato di ospitarla, non sapeva dove andare, sola a New York, e ha finito per restarvi e col tempo vede in lui più che un sostegno, più che una figura paterna... ma si sa quanto operino le distorsioni affettive in ragazze giovani e smarrite!

Melody è una ragazza ingenua, gli sfuggono i commenti sarcastici di Boris che a modo suo per aiutarla vuole farle capire che lei è troppo sprovveduta per una grande città e non può trovarsi bene. Ma siccome lei in diversi modi gli ricambia l’aiuto, e in particolare -  importante! – lo salva da qualche attacco di panico, Boris comincia a modificare sia pure di poco la sua percezione delle cose che gli accadono...E la storia va avanti; ma poi ci sono colpi di scena, e tutto sembra complicarsi e invece si sistema come più o meno deve essere. Ed è qui, al finale, che si ha la sensazione di stare a teatro, di aver visto una commedia, col capocomico e gli attori che ci dicono quello che già sappiamo, come  - addirittura  si ha la sensazione che ci dicano pure il perché -  ogni cosa abbia trovato la sua collocazione e il tutto si ricompone secondo le convenzioni e con qualche trasgressione, che a dire il vero poteva sembrare tale forse qualche decennio fa.

I dialoghi di Allen rimangono d’alta classe, con le battute effervescenti che solleticano  lo spettatore; in special modo con quella maniera di esprimersi di un Boris, che altri non è che il Woody di sempre, che parla di una sua superiorità intellettuale e sembra proprio che lui per primo non ci creda; che disprezza il mondo e gli altri, addirittura una giovane indifesa, ma che non convince, anche perché non vuole convincerci, per questo fa ridere, perché rimane il gioco e l’ironia.

Ricordiamo che Allen, regista, attore, sceneggiatore e compositore, in tutta la sua carriera ha ricevuto diciotto nominations all'Oscar vincendone tre: per la regia e la sceneggiatura originale di Io e Annie nel 1977 e per la sceneggiatura originale di Hanna e le sue sorelle. Io e Annie ha vinto anche l'Oscar come miglior film; e nel 1995, a Venezia, era l’anno del centenario del cinema, ha ricevuto  il Leone d'oro alla carriera.


di Maurizio Mazzotta - www.essereuomo.it