Al centro del film ci sono la periferia romana dei primi anni settanta e le sue baraccopoli. Tutto raccontato impietosamente con le loro miserie, morali e materiali. Il film fu vincitore del premio per la miglior regia al 29º Festival di Cannes. La critica è concorde nel riconoscere la grande interpretazione di Nino Manfredi, che ha saputo delineare il personaggio di Giacinto “con straordinaria misura e sottigliezza“.
Il film è girato quasi completamente a Roma, nella zona di Monte Ciocci, dal nome del casale di Ciocci, Torre di guardia, esattamente dopo la Scuola Agraria di via Domizia Lucilla; da qui il panorama che si affaccia sulla Cupola di San Pietro e l’Olimpica. La zona era stata, fino al 1977, veramente occupata da baracche piene di sbandati e di operai che lavoravano presso i cantieri di via Baldo degli Ubaldi e Boccea. Nella scena in cui la nonna va a ritirare la pensione è chiaramente riconoscibile il noto Palazzo delle Poste di Adalberto Libera in Via Marmorata, ambientazione poco credibile trattandosi di una zona di Roma molto distante dal Trionfale.
Con Nino Manfredi, Marcella Michelangeli, Marcella Battisti, Claudio Botosso, Silvia Ferluga, Francesco Annibali, Maria Bosco, Maria Luisa Santella.
La trama
In una baraccopoli romana vive una famiglia di immigrati pugliesi composta dal vecchio e tirannico padre, Giacinto, dalla moglie, dieci figli e uno stuolo di parenti. Scopo principale di questi è impadronirsi del milione che Giacinto ha ottenuto per la perdita di un occhio. Commedia grottesca e dramma sociale si mescolano in questo film di Scola: si ride amaro. Miglior regia al Festival di Cannes.
Alberto Moravia su Brutti, sporchi e cattivi
Scrive Alberto Moravia nella sua recensione del film: “(…) In questo notevole film, l’insistenza sui particolari fisici laidi e ripugnanti potrebbe addirittura far parlare di un nuovo estetismo in accordo coi tempi, che viene ad aggiungersi ai tanti già defunti: quello del «brutto», dello «sporco» e del «cattivo». Comunque siamo in un clima piuttosto di contemplazione apatica che di intervento drammatico”.
Lo spettacolo d’autore di Scola con la poetica civile di Pasolini
Doveva sancire l’incontro dello spettacolo d’autore di Scola con la poetica civile di Pasolini. Dopo aver letto il soggetto, il secondo promise al primo una prefazione al film alla maniera dei romanzi, ma fu ucciso prima di poterla realizzare. Brutti, sporchi e cattivi non soffre la mancanza di una legittimazione proveniente da colui che per primo diede un senso alle borgate. L’idealizzazione pasoliniana della povera gente è negata sin dal titolo del film più spericolato di Scola.
Facilmente accusabile di una stilizzazione a cui forse non fu immune nemmeno il Comencini del più fiabesco Lo scopone scientifico. Il regista riesce ad inventare un mondo che si rifà alla realtà sottoproletaria per diventare altro da sé, in una prospettiva quasi iperrealista (una realtà più reale della realtà) che qua e là si concede una deviazione onirica (è un incubo?).
Se proprio volessimo giocare all’incasellamento, probabilmente non è neppure una commedia all’italiana ufficiale. Piuttosto un’inquietante fantasia grottesca, forse un fellinismo mitigato dall’incidenza pasoliniana, un coro di mostri incapaci di emanciparsi dalla propria atrocità, un gioco al massacro di detonante pessimismo a cui è concessa l’illusione di una speranza nel momento in cui la prostituta Iside dialoga con Giacinto buttato sulle sue enormi tette.
Eccezionale Nino Manfredi che riesce perfino a temperare il gigionismo congenito al brutale e squallido personaggio (truccato dal grande Franco Freda).