Giunto al suo quinto cortometraggio, Giulio Mastromauro con Inverno si è aggiudicato il David di Donatello. Lo abbiamo incontrato.
La stagione dell’inverno è la metafora di una dimensione dell’anima, interiore. La dedica conclusiva è rivolta a tua madre, che hai perso in tenera età. Nello specifico, quanto c’è di autobiografico nella narrazione?
Ci sono i ricordi di me bambino. Confusi, ma allo stesso tempo estremamente nitidi. Riportare sullo schermo la mia storia attraverso quella di Timo e della sua famiglia è stato un modo per me di elaborare, forse per la prima volta, questa dolorosa perdita e, allo stesso tempo, esprimere il mio desiderio di condividerla con chi ha purtroppo vissuto un’esperienza analoga alla mia. Il film ha una forte matrice autobiografica, ad eccezione dell’ambientazione. Avevo bisogno di un luogo reale, con persone reali, che mi riportassero indietro nel tempo, alla mia infanzia. E l’ho trovato nel mondo dei giostrai e dei circensi, così profondo e ricco di umanità. Mi sono sentito a casa.
La giostra è la metafora della vita, che prosegue nonostante tutto, nonostante il peggio. Nella parte conclusiva, quando sale su di essa, Timo assume ugualmente un connotato malinconico e nostalgico. Potevi concludere, rappresentando uno stato d’animo più positivo. Hai scelto, invece, di rappresentare molto realisticamente sempre lo stessa sensazione emotiva. S’intravede chiaramente una forma di rassegnazione alla realtà. Lo confermi?
Ho cercato di dare forma a un dolore. Di elaborarlo e reinterpretarlo. Di essere osservatore attento e pieno di pudore. In questa storia chiunque abbia vissuto una perdita può ritrovarsi. Molte persone mi hanno scritto ringraziandomi. È una storia che unisce. Il finale però non è affatto rassegnato. Nel pianto del bambino c’è dolore, ma anche forza, speranza. C’è la voglia di continuare a lottare, di continuare a vivere. Di smetterla di trattenere e nascondere a se stessi il proprio dolore. Quel pianto per me è vita. Dietro quel pianto c’è tutta la dignità dell’essere umano.
Come mai, invece, hai deciso di ambientare la storia in un comunità greca?
Amo la cultura greca e il “suono” della loro lingua. Duro, ma allo stesso tempo caldo, familiare. Ho perfino dato a mio figlio un nome greco: Theo (con l’h). Giulio Beranek ha vissuto la sua infanzia in Grecia ed è stato lui a innescare la scintilla. Ne ho parlato poi con Babak Karimi ed Elisabetta De Vito e anche loro hanno accettato la sfida. La lingua e l’ambientazione hanno reso il film molto più reale e vero.
Com’è stato rivivere il ricordo di un momento così intenso emotivamente e rappresentarlo sullo schermo tramite un personaggio, in questo caso il piccolo Timo?
Non è semplice decidere di affrontare un pezzo importante della tua vita. Richiede tanta energia. Quando ho deciso di raccontare questa storia, sapevo che avrei dovuto superare tanti ostacoli, non solo produttivi. Il più grande di tutti, per ovvi motivi, era trovare il piccolo protagonista. Non smetterò mai di ringraziare l’universo per avermi fatto incontrare Christian Petaroscia. Christian ha 7 anni, è vivacissimo e a tratti un po’ discolo. Caratterialmente è l’esatto opposto rispetto al personaggio di Timo. Ma è un bambino dolce e sensibile e ha uno sguardo che ti fa perdere. Non ho mai avuto dubbi su di lui. È stato amore a prima vista tra noi e si è subito creato un legame speciale. Girare la scena finale, poi, è stato qualcosa di incredibile. Ci siamo raccontati, abbracciati forte e abbiamo pianto insieme. È stata una sorta di epifania.
Timo vive la perdita della madre attraverso gli sguardi, i sospiri, le lacrime dei cari, degli adulti. Hai rappresentato molto bene quest’aspetto psicologico, cruciale in un’esperienza di questo tipo. In generale, il bambino concepisce una rappresentazione del mondo a partire dalle esperienze e dalle emozioni circostanti. Reputi, pertanto, l’inverno una parte di te stesso ancora viva ora che sei adulto, ma metabolizzata anche attraverso la messa in scena di questo ricordo?
Tempo fa mi sono imbattuto in questo post su Facebook di Carlo Verdone: “Una mamma che scompare troppo presto è il peggior vuoto nel quale sprofondi. Non c’è giorno che non penso a lei e il solo ricordo mi dà la forza di sentirla ancora dietro le mie spalle“. L’inverno della storia è il dolore che graffia, logora. Che strappa via una parte di te, ma allo stesso tempo si piazza al centro del tuo cuore e dei tuoi ricordi e non ti lascia più.
Ti sei aggiudicato il prestigioso David Di Donatello. Cosa puoi dirci di questa esperienza e come proseguirà la distribuzione del cortometraggio? Quali sono i prossimi progetti che ti vedranno protagonista?
È un onore immenso, ma soprattutto un grande onere. In questo momento ho i piedi ben piantati per terra e continuo a lavorare sodo. I miei progetti futuri sono l’esordio al lungometraggio e continuare a far crescere Zen Movie insieme alla mia socia e compagna Virginia Gherardini.
- Anno: 2019
- Durata: 15'
- Genere: Cortometraggio
- Nazionalita: Italia
- Regia: Giulio Mastromauro
di Eleonora Anna Bove per https://www.taxidrivers.it/