Se vi dicessero La corazzata Potëmkin, Psycho e Taxi Driver, a cosa pensereste? Siate sinceri: pensereste alla scena della carrozzina, alla scena della doccia e alla scena del «Dici a me?» davanti allo specchio.
Il fatto è che, per quanto la storia sia coinvolgente, per quanto l’intreccio sia ben congegnato, per quanto possa essere originale l’assunto delle premesse drammatiche, ciò che per primo ricordiamo dei film che abbiamo amato sono delle scene. Questo perché è necessariamente nelle scene che accade qualcosa di irripetibile, di specifico, di toccante.
Anche per questo è difficile parlare della scena rispetto alla struttura generale del film: perché la grande scena vive soprattutto dell’intuizione e del talento di chi la scrive, della sua capacità di infonderle quella vita e quella verità che purtroppo (o per fortuna) sfuggono a ogni metodo o teoria…
Non sorprende quindi che esista una sorta di “linguaggio della scena”, che è il risultato dello studio congiunto fatto negli anni da registi, attori, sceneggiatori, ma tocca da vicino anche il mestiere del montatore e del compositore. Conoscere questo linguaggio permette di leggere la scena, di dividerla un po’ come se fosse composta da battute musicali (i cosiddetti “beat”, appunto) individuando i punti in cui, per continuare nella metafora musicale, occorre un “piano” o un “fortissimo”.
Per lo sceneggiatore la conoscenza di questo linguaggio è di fondamentale importanza perché permette di costruire correttamente una scena, amministrando al meglio i contenuti informativi ed emozionali di cui è fatta.
Questo libro mostrerà come.
Franco Fraternale, sceneggiatore e storyeditor. In televisione ha lavorato nella media e lunga serialità (Vento di Ponente I e II, Vivere). Come regista ha all’attivo alcuni cortometraggi pluripremiati come Luce Nera (Premio per la miglior sceneggiatura al BIFF di Bruxelles) e Lezione di stile con Arnoldo Foà (inserito dal MoMA di New York tra i migliori dieci cortometraggi del 2005).