Che esistano festival di cinema importanti come quello di Venezia, Torino, Milano, Roma  lo sanno tutti, ma che in tutto il territorio nazionale ce ne siano un centinaio, senz’altro meno importanti,  lo sanno in pochi, anche perché molti festival sono sorti proprio per dare spazio e visibilità al cinema povero e il cinema povero lo frequentano pochi spettatori. La funzione di questi festival è stata ed è quella di promuovere il cinema povero.

E’ passato qualche decennio dalla nascita dei primi festival del cortometraggio, erano pochi e intraprendevano una via in salita. Alla lunga il cortometraggio ha svegliato l’attenzione e da qualche anno la via da percorrere è diventata agevole se si pensa che ormai tutti i grandi festival internazionali, e nazionali, danno spazio ai corti e alle produzioni indipendenti. Le conseguenze? La prima: molti giovani si fanno conoscere e cominciano a lavorare. La seconda: la nascita di un mercato, per ora timido, prudente. Avaro! Il mercato si sveglia anche per il fatto che esistono emittenti televisive con programmi di ventiquattrore. Non chiedetemi quanto viene pagato mediamente un corto, ancora si è lontani dal recupero dei costi. Per fortuna non si chiede l’esclusiva. Si può dire che è meglio di niente e che è positivo se qualcosa si muove.

Ci sono festival quanto a importanza e frequentazione grandi, medi, piccoli. Vuol dire che al MilanoFilmFestival, per esempio, vengono iscritti tremila film tra italiani e stranieri; un festival agli esordi raccoglie poche centinaia di iscrizioni. Le selezioni durano mesi in genere; al termine dei lavori di selezione solo un dieci per cento degli iscritti concorrono. Essere selezionati è già un successo perché il video maker raggiunge un obiettivo importante, quello di dare al suo film visibilità. Solo i film selezionati infatti vengono proiettati durante le giornate del festival. In queste giornate tra gli spettatori c’è una categoria di persone invisibili, gli osservatori, che hanno criteri di valutazione differenti da quelli delle giurie e che, tramite gli organizzatori dei festival, contattano e contrattano con i registi dei film che hanno svegliato la loro attenzione.

Arrivare nella rosa dei finalisti, addirittura vincere, è certamente un successo. Ma capita che un film che ha vinto in più di un festival, in altri non venga nemmeno selezionato. Come avviene questo? Quot capita tot sententiae, tante sono le teste e altrettanti sono i modi di pensare e quindi i giudizi. Il valutare qualcosa che non è quantificabile è operazione soggettiva, perché sono molte le variabili che influenzano le persone che valutano. Se tra due atleti uno supera l’asticella posta a due metri e l’altro no, vince il primo, e tutti i giudici sono d’accordo; ma se la superano tutti e due ecco che i giurati devono tener conto di tanti aspetti del modo di saltare dei due atleti, e qui si osserva che un giurato esprime un giudizio differente da quello di un altro. Per questo si definisce cosa altro bisogna valutare, per esempio l’esecuzione, forse divisibile in altri micro aspetti… Diciamo che i giudici sportivi sono facilitati perché il risultato è quantificabile o comunque l’esecuzione può essere analizzata per definire dei criteri cui attenersi, e per quest’ultimo aspetto le valutazioni tra i giurati si differenziano di poco. Ma per quanto riguarda la valutazione di prodotti artistici, che non sono quantificabili, anche se si stabilissero dei criteri sarebbe oltremodo difficile mettere d’accordo le persone. Se poi si pensa che le persone, cioè gli organizzatori dei festival del mondo, sono veramente tanti, allora si comprende che è impossibile.

A cosa serve allora parlare dei film premiati, delle giurie e degli organizzatori dei festival dal momento che è tutto così fluttuante? Serve per individuare le tendenze. In un festival dai film premiati si evince se la giuria e gli organizzatori che scelgono i giudici sono per i film a ritmo rapido o per quelli la cui narrazione procede lenta e misurata; se si dà più importanza all’innovazione del linguaggio filmico o se si prendono in considerazione tutti gli aspetti: dalla storia, e quindi al messaggio che essa veicola, alla fotografia al ritmo. Se i giudici e gli organizzatori che li scelgono sono “coraggiosi” e “rischiano” o se si muovono su un terreno sicuro. Intendo dire che premiare un regista, un interprete o un altro artista di cinema, che è già affermato come tale, significa appunto non esporsi, non rischiare, significa essere sicuri di non sbagliare.  Premiare invece un artista sconosciuto significa avere il coraggio di dire “per noi questo attore è veramente bravo”, significa quindi proporlo, farsi garanti per il fatto che lo si sostiene con il premio.

Recentemente ho assistito a premiazioni assai “timide”. In un festival tra i film finalisti c’erano corti straordinari, eppure il premio massimo è stato dato a un film, dignitoso nella fattura, la cui storia era un contenuto “di moda”, come potrebbe essere per esempio il bullismo a scuola, l’integrazione sociale eccetera. Per un altro corto il premio come migliore attore è stato elargito a un attore già affermato, all’apice della carriera, eppure c’erano alcuni interpreti, sconosciuti, bravissimi, ai quali il premio sarebbe stato un riconoscimento e uno stimolo a proseguire.

Invito tutti i giovani video maker nel loro interesse a seguire i festival, cominciando col considerare i film selezionati. Spesso la grande selezione è a opera degli stessi organizzatori, e si comprende, non potrebbe essere diversamente, se i film da visionare sono parecchie centinaia o qualche migliaia. Li invito a osservare attentamente ciò che succede durante le premiazioni, a scoprire le tendenze di un festival. Tranne alcune eccezioni, gli organizzatori, per la fase finale, scelgono giudici che hanno schemi di riferimento simili ai loro e si muovono all’interno di una stessa visione del cinema e del linguaggio filmico. 

Fare cinema 

di Maurizio Mazzotta

 I festival