a) Le origini

La Poetica di Aristotele, o meglio la parte che ci è pervenuta, tratta soprattutto della Tragedia. I riferimenti alla Commedia sono sparsi un po’ ovunque e quasi sempre contrapposti per struttura a quelli della Tragedia. Ma c’è un altro genere, per certi versi intermedio, e cioè L’Epopea, o il racconto Epico, che risulta piuttosto difficile da interpretare nel testo di Aristotele, tanto scarsi sono i passi che ne parlano. Dico genere intermedio perché lo stesso Aristotele lo definisce così. Per esempio in riferimento all’Odissea, scrive: “ Il diletto che questa forma di intreccio produce è estraneo alla Tragedia e proprio piuttosto della Commedia” . Secondo Aristotele questo “diletto” è frutto di un diverso atteggiamento, nei confronti del pubblico, degli autori di poemi epici rispetto a quelli di componimenti tragici. “I poeti seguono gli spettatori e compongono secondo i loro gusti”.
Ne nasce un racconto antitetico: i cattivi vanno incontro a un destino tragico, mentre i buoni trionfano. Dunque: “soluzioni sdoppiate.”
Ma noi possiamo dire anche (indipendentemente da Aristotele anche se certe sue allusioni portano in questa direzione) che persino l’eroe vive sdoppiato. Prendiamo Ulisse. Sappiamo che la sua principale qualità è l’astuzia. In quanto tale è un personaggio da Commedia. Prima di tutto l’autore ne ha fissato la maschera, il carattere. Gli eventi che seguono servono a mettere in luce questo carattere: è infatti grazie alla sua astuzia che Ulisse conquista Troia ideando il cavallo, sconfigge Polifemo, resta immune dal canto delle sirene, si infiltra (travestito da mendicante) nella sua reggia per sconfiggere i Proci. D’altro canto, ciò non impedisce che nel corso del racconto Ulisse non sia spesso travolto dagli eventi e dal Destino: gli Dei interferiscono continuamente con la sua vicenda, per esempio lo respingono mentre si sta avvicinando a Itaca, facendolo naufragare. Ma anche gli altri personaggi gli danno filo da torcere: Circe è più ingannatrice di lui (è capace di trasmutare i suoi uomini in porci), Calipso lo “strega” con l’amore eccetera. Inoltre nella struttura del poema, ci vengono raccontate due storie in parallelo: le avventure vere e proprie di Ulisse, rievocate da lui stesso, e le sue avventure ricostruite dal figlio Telemaco che lo cerca e ne sente raccontare le imprese da altri. Ulisse è insomma al contempo soggetto attivo e passivo della vicenda, narratore e narrato, attore e agito. Conduce la vicenda come un personaggio della Commedia e ne viene spesso travolto come un personaggio della Tragedia.

Un’altra notazione interessante riguarda la struttura narrativa. Il racconto epico vive di una serie di episodi inanellati. In altre parole è condotto per frammenti (come le prime rappresentazioni comiche che non disegnavano una storia compiuta). “La poesia epica” scrive Aristotele “ è costituita di molte azioni”. In riferimento all’Iliade e all’Odissea, precisa che sono divise in parti, “ciascuna con la propria estensione” , ma d’altro canto i due poemi sono costruiti in modo perfetto perché queste singole parti sono momenti di “un’unica azione.” Se dunque l’Epopea ha una minore unità, tuttavia essa consente, rispetto alla Tragedia, uno sviluppo maggiore del racconto, perché il suo racconto non mira esclusivamente a raggiungere “il fine” . Se una Tragedia venisse strutturata come un poema epico, ne verrebbe fuori “un poema striminzito” oppure “una tragedia prolissa”. Insomma, la Tragedia, come abbiamo visto, ci presenta una vicenda nella quale i fatti sono necessari, consequenziali e sono anche selezionati: cioè raccontiamo soltanto i fatti che ci interessano per raggiungere il fine che ci siamo proposti (cioè il contenuto “elevato”). Quelli che chiariscono esemplarmente il focus del discorso che stiamo conducendo. Quelli in una parola, Importanti. Ciò non basta per un racconto epico. Il poema durerebbe troppo poco. D’altra parte, se dilatassimo il racconto tragico alle dimensioni di un poema, ne verrebbe un racconto sbrodolato: i fatti sarebbero troppo pochi per poter intrattenere a lungo il pubblico. Rallentarli o dilatarli intrattenendoci per troppo tempo su ciascuno di loro non è una soluzione efficace: si indebolirebbe la forza espressiva e prevarrebbe la noia. Il racconto epico si concede invece digressioni, mutamenti di tono, vicende collaterali e parallele, ritorni indietro, salti narrativi, alterazioni di ritmo, mutamento di soggetto (antagonista che diventa protagonista, protagonista a volte assente o semplicemente “evocato” dagli altri, eccetera). In termini moderni: Avventure. Le Avventure dell’eroe sono segmenti, singoli racconti nel racconto, episodi. Nel dipanarsi di queste Avventure, il protagonista agisce e subisce, patisce e crea patimenti. Ma la direzione del racconto, nel suo insieme, è assecondare i desideri del pubblico. La Commedia può tranquillizzare, ma anche scuotere le coscienze e creare scandalo. La Tragedia può farci riflettere, sublimare la sofferenza, consegnarci alla rassegnazione o suscitare indignazione contro l’ingiustizia. L’Epica è celebrativa, ma celebrando in apparenza l’Eroe e le sue Imprese, celebra invece la pura e semplice corrispondenza dell’autore e dell’opera alle aspettative del pubblico. Un pubblico consapevole di essere di fronte a un puro Spettacolo che non rimanda ad altro che a se stesso. Non “imitazione” della realtà, dei caratteri o delle emozioni, ma finzione assoluta.

b) James Bond

Per chiarire quanto detto sopra in termini moderni e spero a tutti comprensibili, prendiamo a modello i film di James Bond. James Bond, come personaggio, è un tipico personaggio da Commedia: le azioni si modellano sul suo carattere. Sappiamo che è abilissimo con le armi, è un guidatore spericolato, ha un incredibile successo con le donne, ha gusti raffinati, frequenta le case da gioco ed è imbattibile al tavolo verde eccetera. In ogni suo film ci sono situazioni, occasioni, in cui egli mostra queste sue capacità. In altre parole: tutto è dato a priori. Persino le attrezzature che gli vengono consegnate prima di una missione entrano a far parte, una volta nelle sue mani, delle sue qualità: che si tratti di un’auto con mitragliere o di una penna stilografica dagli effetti esplosivi, non succede mai che uno strumento consegnato a James Bond non venga usato nel film. Uno potrebbe chiedersi: ma i reparti tecnici dei servizi segreti come facevano a sapere prima ancora che iniziasse la missione che quei loro gadget si sarebbero rivelati utili? Domanda realistica, indubbiamente, ma insignificante dal punto di vista della Commedia. I gadget sono estensioni meccaniche delle qualità del personaggio e la vicenda deve mostrarne il completo dispiego. La vicenda non è altro che la messa in scena delle qualità (accessori inclusi) del protagonista.
Inoltre, il racconto, nei film di James Bond, procede per frammenti che sono vere e proprie vicende a se stanti, a cominciare dal celebre episodio d’inizio, già in piena azione, che è spesso un prologo del tutto sganciato dalla vicenda che segue, una sorta di film a sé, di film nel/prima del film. Ma anche il resto della narrazione è un susseguirsi di scene in cui si cambia di continuo paesaggio e ambiente, in una serie di episodi separati e rappresentati in scenari esotici sparsi per tutto il globo.

Allo stesso tempo, però il racconto nel suo insieme (il film dall’inizio alla fine) ha una sua scansione ferrea che inghiotte completamente il protagonista, proprio come un Destino: a partire dall’ufficio del suo capo a Londra (dove James Bond come un qualunque impiegato di concetto fa una corte discreta alla segretaria del capo, che in azienda è sempre saggio avere dalla propria parte), dopo una serie di inseguimenti/vacanze nei luoghi più spettacolari del mondo, la vicenda si conclude sempre in un gigantesco laboratorio clandestino. Qui James Bond (hanno fatto notare alcuni critici) non solo incontra il suo nemico (capo della Spectre o dell’organizzazione para-terroristica di turno), ma il suo nemico simbolico: il Lavoro di Fabbrica. Nei grandi laboratori infatti troviamo sempre un’imponente maestranza al lavoro, uomini in tuta (senza che sia mai chiaro se sono schiavi, tecnici d’alto livello, normali salariati o cosa). In altre parole (e sta qui il lato Tragedia del racconto) ogni volta James Bond , per quanto protagonista assoluto, si ritrova incasellato nella stessa identica vicenda a tappe: Impiegato Statale / Impiegato in Vacanza-Lavoro a spese della Regina cioè dello Stato/ Prigioniero e Fuggiasco dall’aborrita Fabbrica o Impresa privata, anzi privatissima, multinazionale, tanto tecnocratica quanto criminale. Un film di James Bond che non raccontasse questa storia/apologo, non sarebbe più un film di James Bond.
James Bond non potrà mai essere fino in fondo un personaggio Tragico, perché nella vita (imitata dalla Tragedia) gli eroi veri soccombono, mentre qui, e proprio per assecondare i sogni del pubblico, trionfano, devono trionfare. E inoltre l’eroe trionfa in quanto singolo, in quanto individuo contrapposto alla massa. Ciascuno degli spettatori deve sentirsi gratificato. Non è il Servizio Segreto (organizzazione di impiegati di Stato) né tanto meno l’Inghilterra a trionfare, è James Bond. Non un’entità collettiva, ma una proiezione dei desideri del singolo spettatore-medio.
Allo stesso tempo, l’effetto Catarsi è completamente assente. Alla fine il pubblico non si sente sollevato perché ha partecipato a un’emozione (felice/infelice) senza subirne i rischi, ma si sente gratificato perché ha ceduto se stesso (le sue aspirazioni) all’eroe, lo ha eletto suo simbolico rappresentante/vincitore, per poi tornare più o meno rassegnato alla sua solita e normale vita da perdente. Il racconto epico contemporaneo, celebrando il Successo, non ne vanta affatto l’ipotetica “possibilità per tutti”. Si tratta sempre del Successo Altrui (e di un Altro dalle qualità super-umane, il che ci esonera anche da ogni proposito di imitarlo). Da pubblico idolatriamo quelli che hanno avuto Successo, plaudendo al loro Successo, come se fosse un nostro (simbolico) Successo. Ma sappiamo sotto sotto che non esiste né il nostro, né il loro (non in termini assoluti almeno: gli idoli di massa infatti crollano uno dopo l’altro e di continuo, restano Idoli fin quando sono simulacri, crollano appena vengono percepiti come esseri umani). Celebriamo insomma il Successo come Finzione. L’uno non è separabile dall’altra.

Estraneo indubbiamente alla Tragedia, il film d’Azione alla James Bond (ma si potrebbe anche dire alla Rocky o alla Die Hard) non ha nemmeno la corrosività, la propensione alla satira dei costumi sociali e dei ruoli, propria della Commedia. I film d’Azione (anche i più apparentemente realistici) sono Finzione Assoluta, bi-direzionale: dallo schermo al pubblico, dal pubblico allo schermo. E quando si scrive, questo bisogna tenerlo sempre presente. Possiamo certo sforzarci di rendere più umano, più fallibile, il protagonista, possiamo rappresentare l’azione in maniera più realistica, ma protagonista e azione, in un film di ispirazione epica, sono pura invenzione favolistica. Non c’è il minimo rapporto (se non traslato) con la realtà, né con la verità, e spesso neppure con la semplice plausibilità. Questo genere di film d’azione, che è poi il mainstream dell’Action Movie, non ha bisogno di giustificare nulla, non richiede (come il Mistery per esempio) delle Spiegazioni. Accadono cose da pazzi per motivi risibili, detti o non detti, o per nessun motivo, ciò fa ben poca differenza. Non ci interessa perché una cosa avviene, ma il semplice fatto che avvenga. L’Azione si spiega da sola: accade dunque è. Se un’azione ha bisogno d’essere spiegata, allora non è un’azione da film d’azione.
Allo stesso tempo, come spiega Aristotele, nel racconto Epico le azioni non hanno alcun bisogno (come nella Tragedia) di essere concatenate. Possono anche restare ciascuna a se stante e non determinare conseguenze. Bruce Willis resta ferito cento volte in un film della serie Die Hard, ma ogni volta si riprende con maggiore vigoria di prima. Quell’irresponsabile di James Bond si mette a guidare un carro armato in piena Mosca, abbatte monumenti e interi palazzi solo perché deve raggiungere (o fuggire dal) nemico. A nessuno frega niente di sapere se nel palazzo abbattuto vivevano delle persone. Nessuno si irrita per il fatto che venga distrutta un’opera d’arte. Insensibilità etica? Può darsi. In realtà quest’insensibilità sussiste non perché gli autori del film abbiano rinunciato a proporre queste insensate distruzioni come metafora dell’atteggiamento (molto simile) dei Militari nei paesi occupati. Questa metafora, se anche ci fosse, non sarebbe avvertibile dal pubblico. Quando in una guerra accadono disastri di questa natura, subito suscitano polemiche e giusto sdegno. Come mai al cinema , di fronte a questo genere di film, non suscitano alcuna reazione? Perché si sa che è tutto finto, tutto gratuito, tutto falso, che nessuno si fa male, che nulla viene realmente distrutto, che è tutto assurdo e senza altra logica che quella dell’Azione fine a se stessa. L’etica non c’entra nulla. Non fa parte del racconto. L’etica esiste finché un’azione la si fa per un motivo , finché possiamo chiederci se questo motivo è giusto o sbagliato. Ma se l’azione è motivata solo da se stessa, non è proprio possibile porsi interrogativi morali.

Il pubblico tutto questo in qualche modo lo sa: sa che il film d’azione è pura finzione, sa che non va giudicato né sulla base della logica, né della morale. Sa che funziona così e pretende il rispetto di questa regola di base. Per riprendere Aristotele, il genere Epico dipende più di ogni altro dalle aspettative del pubblico e dalla capacità degli autori di soddisfarle. Certo, nel tempo queste aspettative possono sottilmente mutare. C’è una grande differenza tra l’uso consapevole e critico di strutture di genere che abbiamo ereditato dalla tradizione e che mantengono comunque una loro fissità (delle “regole” fondanti), e l’abuso degli stereotipi, cioè quel tipo di “ripetizione dell’identico”, di eterno “remake”, che spesso porta a riesecuzioni del tutto scolastiche e meccaniche, incapaci di adeguare il modello originale ai sottili cambiamenti della sensibilità collettiva. Questo secondo modo, è tra l’altro il modo più infallibile per tradire l’originale. Non c’è copiatore peggiore di chi non sa copiare. In questo caso, nel caso dei film d’Azione, ciò che si deve imparare a copiare, attraverso il modello e la sua re-interpretazione, è qualcosa che non ci appare sullo schermo, ma che lo attraversa: la consonanza con il pubblico.

ESERCIZIO

Studiate un film recente che cita esplicitamente il modello Bond , ma in qualche modo ne prende le distanze ponendo al centro del racconto il tema dell’Identità (tema che certo Bond non si è mai posto). Mi riferisco a The Bourne Identity (2002) di D. Liman. Esaminate nel carattere del protagonista e nella struttura narrativa, analogie e differenze dal modello Bond. Può essere molto utile per verificare come nel tempo certi elementi drammaturgici di fondo permangano, ma come anche debbano necessariamente cambiare, di fronte alla differente sensibilità non solo dell’autore, ma del pubblico, molto cambiato dagli anni '60 ad oggi.

Nella prossima lezione, dopo la pausa estiva, riprenderemo l’esame dell’Action Movie, che approfondiremo anche in esempi non riconducibili al Modello James Bond, e mettendolo a confronto con l’Horror. Cercheremo di capire come vivano/convivano, come si contrappongano e si mescolino, in questi due generi e nei loro personaggi, gli opposti della Tragedia e della Commedia.

14° Lezione di Gianfranco Manfredi  by www.gianfrancomanfredi.com