1. La prima impressione è quella che conta

Analizzeremo più avanti i problemi di struttura narrativa , ma accenno subito a una questione importante che ci permetterà di approfondire il tema del protagonista. Gli studi fatti sull’attenzione da parte del pubblico, anche indipendentemente dal cinema, hanno avuto una notevole evoluzione nel corso degli anni, ma almeno su un punto restano concordi, ed è questo: l’attenzione del pubblico è più alta all’inizio di una rappresentazione ed è dunque all’inizio che gli sceneggiatori devono affidarsi per sottolineare gli elementi portanti della storia, quelli insomma che fondano il racconto e che devono rimanere fissati nella mente dello spettatore. Per quanto riguarda il protagonista questo significa che esso deve essere presentato in un modo che lo caratterizzi inequivocabilmente da subito. Questo non significa affatto che poi nel corso del film il protagonista non possa subire delle evoluzioni o dei cambiamenti anche traumatici, ma va sempre tenuto presente che la prima impressione è quella che conta. Se la prima volta che vediamo apparire il nostro protagonista questi, per esempio, è arrabbiato e sta litigando con qualcuno, dobbiamo tener conto che questa sua apparizione lo marchierà e cioè il pubblico lo interpreterà come un incazzato sempre pronto ad esplodere. La situazione di partenza definisce il protagonista, non può essere un momento occasionale e secondario. Quando dunque ci troviamo da sceneggiatori a fare apparire il nostro protagonista dobbiamo studiare una situazione, un atteggiamento, un modo di essere che già lo presenti compiutamente nel suo “essere”. Abbiamo, nelle precedenti lezioni, citato molti esempi in proposito, per esempio il personaggio di Dustin Hoffman ne Il Laureato, presentato subito con l’aria persa e confusa di un ragazzo sbalestrato che si trova a dover affrontare qualcosa di nuovo per lui, un rientro a casa che è anche un ingresso nel mondo degli adulti, e che lo fa sentire un estraneo. Queste sono le caratteristiche fondamentali del personaggio che vogliamo raccontare, quelle che ci guideranno durante tutto l’arco della storia. ( Se ancora non siete riusciti a procurarvi il film, è appena uscito su DVD e VHS in allegato a Repubblica e L’Espresso). La storia di questo personaggio è anche una storia di scoperta della sessualità (con la signora Robinson prima, con sua figlia poi) ma questa storia il film la racconta all’interno di un tema più grande , cioè l’uscita dall’adolescenza e il senso di estraneità generazionale proprio di molti ragazzi del 68. Se il film fosse iniziato con Dustin Hoffman in aereo che lancia qualche occhiata furtiva al sedere della hostess, avremmo finito per raccontare un film completamente diverso, cioè la storia di un giovane arrapato alle prese con le proprie timidezze. L’inizio insomma condiziona non solo il personaggio, ma tutto il senso del racconto e un inizio sbagliato può portarci fuori strada, ma soprattutto confondere il pubblico.
Riepilogando in modo più semplice quanto spiegato la volta scorsa sulla base dei consigli di sceneggiatura di Stuart Kaminski, la prima cosa che dobbiamo fare è chiarirci il ruolo del nostro protagonista, ruolo da cui dipende l’atteggiamento che dovrà assumere.

2. Ruolo del protagonista.

Per chiarirci subito le idee ci sarà utile distinguere tra alcuni ruoli fondamentali :
a) Ruolo Attivo (o Eroe)
b) Ruolo Passivo (o Seguace )
c) Ruolo Reattivo (o Anti-Eroe )

a) Un personaggio da Ruolo Attivo è un leader, cioè un uomo o una donna che a qualsiasi età scegliamo di rappresentarlo, ha una sua natura di leader naturale rispetto al gruppo. E’ un personaggio che coltiva dei progetti ed escogita soluzioni per realizzarli. Questo genere di personaggio, che ha il suo scenario favorito (anche se non esclusivo) nei film d’azione, appena entra occupa il centro della scena ( e dell’inquadratura). L’attore che nella storia del cinema americano ha in qualche modo codificato questo ruolo e questo modo di apparire è James Cagney. Se recuperate qualcuno dei suoi film, vedrete che questo “essere al centro” anzi “occupare il centro della scena” è applicato alla lettera. Cagney entra in un ambiente e subito va a disporsi al centro, sicuro di sé e dominatore, spesso inquadrato a mezzo busto e leggermente da sotto, per sottolinearne la natura , appunto, dominante. Il primo piano è più spesso dedicato a personaggi costruiti su una psicologia sottile o misteriosi, il mezzo busto è il modo di apparire dell’eroe, da Cagney allo Stallone di Rocky e Rambo . Come si può facilmente dedurre, il protagonista non si limita a presentarsi, non solo chiarisce la propria centralità, ma si colloca anche in un preciso quadro di “genere”. Il protagonista di un film comico, soprattutto se è un comico che usa molto il suo fisico , cioè non puramente verbale, compare di preferenza a figura intera ( confrontate per esempio le entrate in scena di Jerry Lewis o di Jim Carrey) cosa che gli consente di esprimersi compiutamente attraverso il suo modo di muoversi. Simili scelte di inquadratura, certo, competono più al regista che allo sceneggiatore, ma è bene che lo sceneggiatore ne sia consapevole nel costruire la scena , anche se è intenzione sua e del regista, trasgredirle. La situazione che mettiamo in scena deve essere tale da fare cogliere immediatamente al pubblico che è entrato in scena il personaggio “centrale”, un personaggio che crea gerarchia, rispetto al quale tutti gli altri hanno ruoli ben diversi: di contorno, di supporto, di ostacolo, di antagonismo, ma comunque tutti definiti rispetto a lui. Considerate ad esempio la presentazione del personaggio di Charles Bronson nel film di Sergio Leone C’era una volta il west. Leone non usa affatto una presentazione tradizionale alla Cagney e trasgredisce in molti modi, eppure il modello narrativo è molto preciso. Vediamo dei brutti ceffi in attesa in una stazioncina sperduta del west. Tra loro anche volti di caratteristi molto noti agli appassionati del cinema western. E’ subito chiaro che si tratta di “cattivi” , ma il pubblico viene condotto a pensare che siano dei cattivi fondamentali nella storia che inizia: Leone ce li mostra uno per uno, ne riconosciamo bene i volti, in PP, ce li presenta mentre fanno azioni minutamente descritte ( uno ad esempio gioca con una mosca che lo infastidisce fino a imprigionarla nella canna della pistola) .Tutto farebbe pensare che si tratti insomma di personaggi fondamentali, tanto vengono caratterizzati. Insieme avvertiamo che dato che si trovano tutti in attesa, non sono dei protagonisti perché il loro ruolo dipende da colui che essi aspettano, da quell’eroe ancora invisibile che sarà il vero protagonista. Anche se stanno zitti, con la loro stessa attesa, ci “parlano di lui”, ce lo fanno attendere da pubblico esattamente come lo attendono loro da personaggi. Arriva un treno. I personaggi si alzano, pronti a vedere spuntare l’eroe-nemico tanto atteso, che però non scende dal treno. Attesa delusa. Il treno riparte e scivola come un sipario teatrale per mostrarci dal lato opposto del binario, Charles Bronson. Dopodiché i personaggi che lo hanno introdotto, restano tutti uccisi sotto i suoi colpi. Leone ci sorprende perché da un lato porta all’esasperazione la nostra attesa, dall’altro smentisce le attese più prevedibili perché quelli che avevamo considerato come cattivi fondamentali, vengono invece spazzati subito via dall’eroe , al principio del film. Questo ci dice anche molto sul protagonista-eroe. Se ha eliminato così alla svelta dei professionisti, chissà a cos’altro ci farà assistere nel seguito della storia. Inoltre: se è sceso dall’altro lato del treno, è un uomo che ragiona, che ha un suo piano e che sa contrastare quelli altrui. Infine, non è uomo facilmente prevedibile: sembra che tenga in mano una valigia, ma nella stessa mano ha già pronta la pistola e la estrae in modo da sorprendere i banditi e noi stessi che non l’avevamo notata. Più attivo di così il protagonista non potrebbe essere, anche se le sue azioni sono tutt’altro che frenetiche e la sua posizione quasi statica. E’ attivo perché la situazione non esiste senza di lui, nessun altro personaggio potrebbe essere attivo senza di lui ( si limitano ad aspettarlo) e perché è un calcolatore, ha un progetto ed è pronto ad eseguirlo freddamente e con successo.

b) Il protagonista della nostra storia può anche non avere caratteristiche da eroe, essere un uomo della strada che nella scala gerarchica non occupa la prima posizione. Tuttavia dobbiamo subito chiarire che è lui che ci interessa raccontare, non il suo capo. Qui bisogna fare molta attenzione: se il nostro protagonista è un subordinato, non deve però apparire come una “spalla”. Watson non potrà mai essere il protagonista. Watson esiste perché racconta Sherlock Holmes . La spalla è altra cosa dal Protagonista Passivo, la spalla non può esistere indipendentemente dall’Eroe . Il Protagonista Passivo invece è un uomo o una donna che, al contrario dell’Eroe, subisce gli eventi , a volte impara a fatica a reagire, altre volte preferisce ignorarli richiudendosi in se stesso o sfuggendoli. Non è un uomo che fa progetti , ma che subisce e segue i progetti degli altri e cerca di adattarvisi o di scansarli. Un esempio di questo genere di personaggio possiamo trovarlo nel ruolo di Marlon Brando nel film Fronte del Porto di Elia Kazan. E’ il membro di una banda di gangster, un ex pugile un po’ rincoglionito, che non conta nulla e viene spesso preso in giro dagli altri, se e quando viene considerato. Cioè tutto il contrario di un eroe. Gli autori ce lo presentano ai margini (letteralmente) del suo gruppo d’appartenenza, schivo, con il volto che sembra voler evitare la macchina da presa. Rispetto a un Cagney che va ad occupare il centro della scena, Brando ( e James Dean) ci presentano un protagonista che se ne sta ai margini e che si lascia scoprire (anche dalla macchina da presa) solo un poco per volta. Nel corso della storia, saranno più gli eventi che la sua volontà a imporgli un ruolo “eroico”, lui non ha fatto nulla per volerlo e subisce persino questo, come una sorta di Calvario non accettato, ma fatale, imposto dal destino. Confrontate l’entrata in scena di Brando in Fronte del Porto e quella dello stesso Brando ne Il Selvaggio e vi sarà subito facile capire che non si tratta puramente di scelte attoriali, ma di racconto. La rappresentazione de Il Selvaggio non potrebbe essere più classica: a mezzo busto, alla guida della sua moto e al comando della sua banda di motociclisti. Tutt’altra cosa cioè dal suo comparire marginale, quasi inosservato, semi di spalle, all’inizio di Fronte del Porto.

c) L’Anti-eroe porta alle estreme conseguenze il ruolo di Brando in Fronte del Porto. Non si tratta solo di un marginale, si tratta di un totale estraneo al suo contesto e persino a un ruolo codificato dalla tradizione. Tutte le caratteristiche dell’eroe in lui sono capovolte. Se un eroe è forte, lui è un debole. Se l’eroe è un modello di virtù, lui ha mille vizi. Se l’eroe sa sempre cosa fare, lui è sempre in balia del momento e delle occasioni. Ciò non significa che non riesca a reagire, ma che le sue soluzioni dovranno essere anch’esse estranee a quelle dell’uomo comune. Saranno le reazioni di Dustin Hoffman in Rain Man, di Peter Sellers in Oltre il Giardino, del già citato in una precedente lezione detective Monk, o di un Forrest Gump. L’immagine-simbolo di Forrest Gump ce lo presenta seduto su una panchina. Fate attenzione, non su una sedia, ma su una panchina, cioè un tipo di sedile pubblico, destinato ad ospitare più persone, sul quale un uomo in solitudine già di per sé ci appare incongruo. Sembra fin da questa immagine che non siano gli altri, il coro, ad aspettare lui, ma lui ad aspettare gli altri, altri che non arrivano. Ma Forrest Gump non ha neppure l’atteggiamento e l’espressione di chi soffre la propria emarginazione. La sua panchina è anche un punto d’osservazione, il punto (pubblico) da cui guarda il mondo e su cui si espone agli sguardi del mondo. Guarda noi e viene guardato da noi. Isolato, eppure centrale, come un eroe. Seduto eppure attivo. Estraneo, ma disponibile a tutto ciò che può accadere. Non è ovviamente indispensabile che un simile personaggio sia border-line, matto, autistico… abbiamo già visto ne Il Laureato che può anche trattarsi di un ragazzo qualunque, sperduto come qualunque altro ragazzo della propria generazione, che se e quando reagisce lo fa non nel modo previsto dal codice e dalle regole sociali, ma in modo creativo nel senso più letterale del termine, cioè inventandoselo sul momento, senza riflessione, né preparazione, senza cioè il calcolo caratteristico dell’Eroe. Un esempio recente e italiano di Anti-Eroe è il protagonista del film di Paolo Sorrentino Le conseguenze dell’amore, magistralmente interpretato da Toni Servillo. Se non avete ancora visto questo film, be’ allora l’esercizio di questa lezione è :comprate il DVD e studiatevelo attentamente, perché sono molto rari gli esempi di cinema italiano attuale così espressivi e attenti sul piano del racconto. Un uomo isolato e silenzioso, nell’ovattato ambiente di un albergo svizzero, che attende non si sa cosa, che è lì non si sa a fare cosa, che osserva e si lascia osservare quasi avesse rinunciato a vivere. Eppure è un eroe, nel senso che all’occorrenza, sta studiare progetti e strategie e portarli al successo, ancorché un successo non certo da happy end, e che segue il suo destino senza tuttavia supporre di poterlo governare. Uno straordinario personaggio che era difficilissimo non solo raccontare,ma presentare. Studiate come le scelte di rappresentazione e i movimenti della macchina da presa ci facciano da subito entrare in sintonia emotiva con il personaggio. La macchina da presa gli gira intorno. E il nostro sguardo circolare è come il suo, come lo sguardo del protagonista che si guarda lentamente intorno, non vago , ma sempre centrato su un focus preciso: scruta le cose e le persone, cerca i dettagli e insieme se ne tiene fuori.

Nella prossima lezione cominceremo ad affrontare i problemi di struttura del racconto, con un breve excursus sugli studi relativi all’attenzione, come accennato nelle prime righe di questa lezione. Ho verificato durante questo primo ciclo che i vostri contributi ed esercizi sono stati numerosi e vivaci, potete continuare a mandarli e ora che il panorama delle opzioni narrative dovrebbe esservi più chiaro, potete anche riprendere in mano i vostri primi scritti e lavorarci di nuovo con maggiore consapevolezza. Ho notato invece una grande disattenzione rispetto a quanto qui più volte raccomandato e cioè lo studio dei film. Applicarsi a leggere un film, seguirlo nei suoi sviluppi, scoprire le soluzioni di racconto, svelarne i difetti e le inadeguatezze oltre che i pregi, è fondamentale. Il miglior repertorio di tecniche e soluzioni narrative non è, né può essere un manuale, ma i film stessi. Se non si confronta mai ciò che abbiamo in testa con i modi espressivi altrui, difficilmente si progredisce sul piano espressivo. Il punto non è affatto copiare (anche perché come diceva Totò: “a inventare sono capaci tutti, è copiare che è difficile.”) ma comprendere che raccontare non è qualcosa che appartiene semplicemente al talento e alle disposizioni più o meno naturali di un individuo, ma è un patrimonio collettivo da conoscere ed esplorare. Il ruolo di chi crea e il ruolo di chi “fa la critica” sono distinti, ma solo in un senso, cioè che chi crea deve anche imparare ad essere critico (di se stesso oltre che degli altri) mentre un critico può tranquillamente fare a meno di essere un artista.

6° Lezione di Gianfranco Manfredi  by www.gianfrancomanfredi.com