Riassumo quanto fin qui detto riguardo ai tempi del racconto cinematografico in un’unica frase: un film è un racconto per immagini, all’interno di un tempo predeterminato. Ciò significa, dal punto di vista del lavoro di sceneggiatura, che non abbiamo a disposizione quanto tempo vogliamo noi per raccontare la storia, ma dobbiamo raccontarla dentro il format industriale che (al contrario di quanto avviene in letteratura) prescinde dalle nostre esigenze, è stabilito a priori dalla consuetudine, dalle esigenze della distribuzione, da quella che è la durata media industriale del prodotto film, che come abbiamo visto è di circa due ore. Abbiamo anche osservato che ciò non è inerente alla forma espressiva film in quanto tale, perché all’epoca del cinema muto i film avevano una durata molto più variabile e tale libertà narrativa sta conoscendo un certo risveglio grazie alla diffusione del Film-making , ai Festival dei cortometraggi, alla produzione indipendente e a Internet. Ma resta il fatto che il format prevalente di un lungometraggio, (ripeto: sulla base dello stato del mercato), è quello di due ore. Per lo sceneggiatore si tratta quindi di equilibrare i tempi del racconto all’interno di questo tempo complessivo. Un errore abbastanza comune è cominciare con tempi rilassati, che ci permettono di presentare più diffusamente i personaggi e gli ambienti, per poi ritrovarsi troppo contratti nello sviluppo della vicenda e nel finale. In generale , quando si scrive, bisognerebbe avere una sorta di timing mentale e tener conto di una durata di circa 40 secondi per pagina. Scene che durino più di un minuto possono rendersi necessarie nel corso del film, ma dovremmo sempre regolarle molto bene ad evitare che squilibrino i tempi complessivi del racconto.
Detto questo, vanno considerate altre forme cinematografiche che hanno invece un format molto diverso. Un serial TV può da un lato durare quasi all’infinito (la durata di una serie dipende dall’interesse del pubblico), dall’altro nei suoi singoli episodi dura la metà di un film (cioè da quaranta minuti a un’ora). In questo caso dunque i tempi della narrazione ci impongono di strutturarla in modo differente da quella di un film. Va aggiunto che anche nella pratica di scrittura un serial TV è diverso da un film: in un film il referente centrale è (in teoria) il regista che in quanto “metteur en scene” ( autore della “messa in scena”) è colui che sorveglia e/o collabora alla sceneggiatura e ne è anche il realizzatore. Nel serial è lo sceneggiatore /ideatore della serie (cioè il creator) ad essere il referente centrale. Produrre una serie vuol dire, nell’arco di un anno, un anno e mezzo, realizzare almeno una dozzina di episodi.
Nessun regista potrebbe girarli tutti. E’ necessaria un’equipe di registi, che sulla base di scelte estetiche fatte all’inizio, girino non per differenziarsi l’uno dagli altri, ma per “scomparire” in quanto singoli autori: il serial deve avere sempre le stesse caratteristiche stilistiche anche se viene diretto da registi differenti. Anche un singolo sceneggiatore , per quanto prolifico, avrebbe difficoltà a narrare l’intera serie.
Dunque lo sceneggiatore/ideatore, che è il principale autore della serie, dovrà anche coordinare e nel caso revisionare il lavoro di una redazione di sceneggiatori incaricati di scrivere i diversi segmenti. Avrete forse notato che nei titoli di testa di una serie TV, il nome che figura nella posizione di maggior rilievo è quello dell’autore/ideatore della serie che in qualche raro caso (Twin Peaks) può anche essere il regista dei primi episodi, sulla base dei quali vengono realizzati gli altri, ma in altri casi (nella maggior parte) non è affatto un regista, ma uno scrittore, cui può anche venire affidata la direzione artistica della serie: per esempio Stephen Bocho ( autore e producer di NYPD) oppure Chris Carter ( autore e producer di X-Files). Questo tipo di organizzazione del lavoro viene da lontano, da telefilm degli anni 50 come la serie Twilight Zone (Ai Confini della Realtà ) che aveva per referente principale l’autore/sceneggiatore Rod Serling. Ma gli episodi della serie di Serling erano autonomi gli uni dagli altri, mentre la caratteristica precipua delle nuove serie è che gli episodi sono singoli capitoli di un unico racconto-fiume.
Ora, di fronte a questo genere di format i problemi per uno sceneggiatore sono molti.
Per esempio: 1. Come portare avanti un racconto di cui non è previsto il finale? ; 2. Come raccontare i singoli capitoli in modo che chi ne segue solo uno (e non necessariamente il primo) possa capire lo stesso la storia e restarci affezionato? ; 3. Come mantenere aperto il racconto in modo che alcuni personaggi possano sparire e altri comparire nella serie, senza creare scompensi narrativi?
Sono, come si vede, problemi complessi e nuovi rispetto alla normale scrittura cinematografica. Si avvicinano molto invece ai problemi che incontra l’autore di un fumetto seriale, o a quelli che incontravano gli scrittori di feuilleton (romanzi a puntate).
Molto difficilmente, in un seriale dalla continuity piuttosto marcata, potremo usare in un singolo episodio la scansione classica in Tre Atti (Presentazione dei personaggi / Sviluppo-complicazione della vicenda/ Scioglimento finale). La Presentazione dei personaggi deve avere un’altra gradualità; lo Sviluppo riguarda non solo il singolo episodio, ma deve avere come riferimento l’intero arco narrativo di almeno una stagione della serie e tenere aperta la possibilità di nuovi sviluppi nella seconda stagione e nelle successive; il Finale non c’è, bisogna dare l’impressione che possa arrivare da un momento all’altro, ma in realtà, finché dura la serie, non esiste, d’altra parte ogni singolo episodio una certa unità e un suo finale (sospeso o conclusivo) deve averlo altrimenti il pubblico ne ricaverebbe una sensazione di incompiutezza narrativa.
Infine mentre per alcune serie (Una signora in giallo, Colombo, Magnum P.I.) si mantiene un unico protagonista con comprimari più o meno fissi e poi attori che cambiano di puntata in puntata, nei seriali che si fondano sulla continuity ( cioè quasi nessuna delle puntate è indipendente e autonoma dalle altre) prevale la Coralità che non significa affatto che nessun personaggio è protagonista, ma che i protagonisti sono molti e a ciascuno dunque va dato analogo rilievo e spazio.
Ora esaminerò qui in breve due casi recenti di serial Tv: Lost e Desperate Housewives.
a) Lost (serie creata da J.J.Abrams, Damon Lindelof, Jeffrey Leiber ) La serie racconta di un gruppo di una quarantina di persone che dopo un incidente aereo si ritrova su un’isola sperduta, fuori dalle rotte navigabili e senza speranza di soccorso. L’isola costituisce un mistero, non solo perché è sconosciuta ai naufraghi, ma perché vi si aggira un inafferrabile mostro, perché è un luogo di visioni e allucinazioni, perché vi si nasconde un misterioso laboratorio scientifico, perché è abitata da The Others cioè un gruppo di criminali dagli scopi occulti, eccetera ( i misteri sono molti e incatenati tra loro). La comunità dei naufraghi trova un leader naturale in un giovane dottore che presta i primi soccorsi agli scampati, ma questi non è l’unico protagonista. Tra i quaranta sopravvissuti almeno la metà ha un ruolo di assoluto rilievo. Tutti nascondono nella propria biografia un mistero privato che non ha solo a che fare con il passato, ma con i motivi per cui si sono imbarcati su quell’aereo e con le esperienze più o meno allucinatorie che incontreranno sull’isola.
L’isola pone in qualche modo ciascuno di fronte al proprio Destino. E il rapporto di ciascun personaggio con se stesso è altrettanto importante delle relazioni che intrecciano tra di loro.
In tutta la prima stagione il serial si regge puntata per puntata su un Format molto rigido. Uno alla volta, i venti personaggi principali, assumono nel racconto un ruolo da protagonista e il racconto delle singole puntate viene strutturato così: seguiamo da un lato le esperienze che un certo personaggio fa sull’isola insieme agli altri, dall’altro vediamo in flash back la vita e le avventure del personaggio prima di imbarcarsi sull’aereo. Questi due diversi piani narrativi, trovano la loro sintesi ( e chiusura) perché c’è un rapporto di incrocio tra il passato dei protagonisti e le avventure che si trovano a vivere sull’isola.
Ora riferiamoci ai problemi sopra delineati e vediamo come sono stati risolti nella serie.
1.Come portare avanti un racconto di cui non è previsto il finale?
La serie Lost ha un tipico intreccio da “Mystery”. A condurre il racconto generale ( e a tener desta la curiosità del pubblico) sono i diversi misteri che si susseguono, che trovano progressivamente soluzione, ma che ne aprono di nuovi. In serie come Twin Peaks si era notato che se si struttura la serie su un unico mistero forte (Chi ha ucciso Laura Palmer?) a cui ne vengono poi correlati altri, la soluzione non può venire differita troppo a lungo: prima o poi l’assassino va scoperto. Quando l’assassino viene scoperto, se però la narrazione (in conseguenza dell’enorme successo di pubblico ottenuto) deve continuare, bisogna escogitare un altro mistero con cui proseguire. Ma nel caso, la soluzione fondamentale era già stata data: il pubblico dimostrò di considerare la serie conclusa e la abbandonò. Ricominciare da capo e con un altro “tirante” non funziona. L’espediente di correlare tra loro molti misteri fin dal principio, permette di evitare questo scoglio. La spiegazione , nel corso della serie, di un singolo mistero non chiude la storia, perché molti altri ne restano aperti. Per di più, il fatto che questi misteri siano collegati tra loro, conduce il pubblico non tanto interrogarsi sul singolo mistero, ma sull’intreccio tra i misteri. La narrazione non esamina i misteri uno alla volta, fa sempre capire che sono tutti collegati. L’attesa della rivelazione è così spostata su: qual è la relazione tra i diversi misteri? Questa relazione è il mistero guida. E dato che possiamo sviluppare e complicare la narrazione con misteri successivi correlati, in teoria possiamo anche permetterci una
narrazione all’infinito. Questo non vuole affatto dire che non sappiamo , da sceneggiatori, dove andare a parare. Anzi è il contrario. Dovendo esplorare ed arricchire l’intreccio tra i misteri , la sceneggiatura dev’essere condotta con una scaletta di ferro nella quale ogni singolo evento ha un senso preciso nel disegno generale/progetto della serie.
2. Come raccontare i singoli capitoli in modo che chi ne segue solo uno (e non necessariamente il primo) possa capire lo stesso la storia e restarci affezionato?
La serie è sempre preceduta da un breve riassunto nel quale non si riepiloga l’intera vicenda, ma solo i dettagli indispensabili a capire il nuovo episodio in programmazione. Ma la cosa fondamentale è che incentrando su un personaggio principale la vicenda di una singola puntata, ogni episodio può venire gustato di per sé. Il passato del personaggio, come abbiamo detto, è in relazione con quanto gli accade sull’isola e ha conseguenze sul tipo di rapporti che il personaggio instaura con gli altri, e infine l’esperienza vissuta sull’isola può risolvere o aggravare un problema psicologico e/o fattuale che il personaggio ha avuto in passato. In questo modo si può usare la struttura in Tre atti , perché il racconto ha una premessa, uno sviluppo e una soluzione (per quanto provvisoria). L’affezione del pubblico sarà doppiamente stimolata: dall’interesse per il personaggio e dalle attese su come questi potrà muoversi in futuro, in rapporto con gli altri e con le nuove avventure che si troverà ad affrontare.
3. Come mantenere aperto il racconto in modo che alcuni personaggi possano sparire e altri comparire nella serie, senza creare scompensi narrativi?
Nella serie, alcuni personaggi muoiono, ma possono ricomparire nei ricordi degli altri e non venire dunque eliminati per sempre dalla serie. Al contempo il fatto che muoiano permette in corso d'opera di aggiungere nuovi personaggi senza aumentare il numero totale in tale misura da rendere ingovernabile la serie. Inoltre la coralità consente di alternare i personaggi nel ruolo guida : il protagonista di una singola puntata può diventare, senza perdere le sue caratteristiche, comprimario in un'altra o addirittura risultare assente per un paio di puntate senza recare danno alla continuità del racconto. Se la struttura è rigida, il movimento dei personaggi vivacizza e rende particolare ogni singola puntata con digressioni/flash back ( e anche flash forward nelle ultime stagioni) che ci conducono in altri luoghi (in diversi luoghi del mondo) togliendo fissità all’ambientazione unica di base (l’isola).
Le soluzioni che abbiamo qui in breve delineato, tuttavia non risolvono pienamente il problema che abbiamo accennato riferendoci a Twin Peaks e che è inerente al Serial basato sulla continuità narrativa. Come evitare che ad un certo punto il pubblico si stanchi? Come affrontare senza ripetersi la seconda stagione del serial, e le seguenti, a personaggi ormai ampiamente presentati? Fino a che punto si può prolungare la storia senza andare a un vero finale?
La seconda stagione di Lost si segnala per alcune modifiche di rilievo: essendo già stati presentati tutti i protagonisti della serie, le singole puntate mettono in maggior rilievo l’intreccio, i flash back si fanno più rapidi, non riguardano il singolo personaggio, ma si alternano frammenti di vita di più personaggi . L’azione diventa in generale più concitata, si attenua l’accumulo di misteri che finirebbero per complicare eccessivamente la storia, e li si sostituisce con una maggiore dose di avventura. (Ad esempio: il tale viene rapito, riusciranno gli altri a salvarlo?) Inoltre, sempre per l’esigenza di poter continuare per molte altre puntate, si presentano in sostituzione di alcuni dei personaggi della prima serie, dei nuovi personaggi (un secondo gruppo di sopravvissuti e gli Others cattivi ). Si ha però l’impressione generale che le singole puntate perdano una struttura salda di riferimento, i flash back sul passato dei protagonisti illuminano frammenti secondari, di complemento, ma di minor forza espressiva (le cose fondamentali su di loro e sulle loro biografie sono già state raccontate). Inoltre le assenze (anche se momentanee) di alcuni personaggi pesano di più di quelle di altri e troppi di loro restano come in sospeso. Infine l’apparizione del secondo gruppo di sopravvissuti anche se mette in gioco almeno un paio di personaggi notevoli e fondamentali per capire l’insieme della storia e svelare alcuni dei misteri, sa un poco di espediente per allungare il brodo. In altre parole, da pubblico, si comincia a percepire con qualche disagio che raccontando così, veramente la storia potrebbe non avere mai fine. E questo, per una storia comunque fondata su un Mistero e che viene condotta su un registro drammatico, è un problema. (Lo stesso difetto si può riscontrare del resto nella seconda stagione di Carnivàle).

Mentre una serie come I Soprano, seguendo tempi narrativi da biografia/vita quotidiana di gruppo e con una chiarissima gerarchia tra i personaggi, può davvero durare all’infinito senza pesare sul pubblico, una storia Mistery non può sfuggire all’inevitabile: la storia va chiusa, non può non avere un finale. Se si conclude, non la si può riaprire. Se non la si conclude, l’attesa della soluzione non può venire dilatata all’infinito: c’è un punto di non ritorno, oltre il quale la storia non la si regge più.
Dal punto di vista dei tempi, le singole puntate di Lost sono esemplari. Si tratta, nella prima stagione, di raccontare di volta in volta, in un tempo estremamente ridotto, un episodio cruciale della vita passata di uno dei protagonisti. Questo costituisce una sorta di “racconto nel racconto” o di “film nel film”. Può essere molto utile per voi studiare bene questa serie per capire come si racconta una vicenda in breve, in poche ficcanti scene, senza lasciare mai l’impressione di assistere a un racconto sbrigativo e frettoloso. Ciascuna di queste storie sarebbe potuta essere da sola un film. Esempio: uno dei personaggi vince alla lotteria e da quel momento incappa in una serie di sfortune, che però non capitano direttamente a lui, ma ai suoi amici e parenti. E’ insomma un fortunato che comincia a sentirsi uno jettatore. Su questa traccia si potrebbe raccontare un film di due ore, eppure la storia viene raccontata (e con completezza) al massimo in venti minuti. Questa concentrazione non impedisce affatto che ci siano momenti calmi, indugi, pause. Ma la pausa non è sospensione della narrazione, la pausa è un elemento del ritmo.
Infinite discussioni hanno destato le stagioni successive di Lost e in particolare l'ultima, quella che doveva per forza condurre alla soluzione del mistero, soluzione che non poteva non essere che circolare o elittica, riportando in qualche modo alla situazione di partenza e lasciando dunque intatto il mistero o meglio risolvendolo in una metafora simbolica. Questo genere di soluzioni deludono sempre il pubblico che si sente non a torto preso in giro se alla fine di un film il protagonista si sveglia e scopre di essersi sognato tutto e poi magari, ossessivamente, il cerchio ricomincia a disegnarsi.
b) Desperate Housewives ( serie creata da Marc Cherry)
La serie ha un andamento da commedia con un leggero (e ironico) tocco di noir. E’ infatti raccontata (con voce fuori campo) da una morta, cioè una casalinga che si è suicidata per misteriosi motivi e che dall’al di là continua a seguire in spirito le vite delle sue amiche e le vicende del quartiere i, o meglio della strada, in cui è vissuta.
Anche qui la prima stagione è condotta seguendo il filo rosso di un mistero: perché la casalinga si è suicidata? Quali misteri si nascondono a Wisteria Lane, dove vivono le amiche della defunta? Seguiamo in modo intrecciato le vite di cinque donne ( e dei personaggi loro collegati, mariti, figli, amanti, parenti) . Non seguiamo queste vite una alla volta, puntata per puntata, ma tutte insieme, in continua alternanza tra personaggio e personaggio, in ogni singola puntata. Insomma tutte le donne sono egualmente protagoniste, non solo della serie, ma di ciascuna puntata. Gli sceneggiatori non hanno (se non di rado) necessità di mostrarci il passato delle protagoniste per farci capire chi sono, perché basta vedere le loro vite in atto, basta vedere quello che fanno e come si comportano per familiarizzare con loro.
Torniamo ora alle tre domande.
1.Come portare avanti un racconto di cui non è previsto il finale?
La scelta del genere commedia, molto diverso dal Mistery, è decisiva. E’ vero che c’è un mistero che ci fa da guida ( perché il suicidio iniziale?) , ma non è così in primo piano da fare della serie un giallo. Il mistero si svela non alla fine della prima stagione, ma nella prima puntata della seconda. Anche in questo caso, viene sostituito da un secondo mistero: è arrivata nel quartiere una nuova vicina che ha qualcosa da nascondere. Però le singole puntate seguendo le vite intrecciate delle protagoniste mirano soprattutto a presentarci delle situazioni divertenti. I personaggi delle protagoniste sono degli stereotipi, ben bilanciati tra loro: Susan (la pasticciona), Lynette (la donna pratica), Gabrielle (la sensuale), Bree (la frigida). A queste quattro fa da contraltare Edie : le altre hanno famiglia, lei è single; le altre sono simpatiche, lei è antipatica; le altre non sono competitive tra loro, lei è competitiva con tutte.
Ciascun carattere ha le sue contraddizioni: Susan è un animo candido, ma procura guai a sé e agli altri; Lynette ha un grande talento nel risolvere le situazioni, ma a prezzo di uno stress continuo; Gabrielle usa la sensualità come potere e privilegio senza trascurare la cosa per lei più importante: i soldi; Bree è terribilmente rispettosa delle regole, ma coltiva oscure pulsioni omicide; Edie è sessualmente aggressiva, ma fa anche un po’ pena perché condannata a restar sempre sola. Le loro storie quotidiane ( intessute con grande leggerezza di elementi noir) non sono altro che un modo per mettere dei caratteri da commedia (delle “maschere”) in situazioni “disperate” risolte narrativamente con felice umorismo. I caratteri da commedia ( a cominciare da quelli della Commedia Dell’Arte) non hanno necessità di concludere, non nascono e non muoiono, possono durare all’infinito. Cambiano le situazioni, gli spunti, ma ogni volta i personaggi ci fanno ridere perché si ripresentano identici. Se c’è un mistero principale che ci permette di unire in un racconto continuo le puntate, ci sono però ( come ne I Soprano) le “vite che continuano” che già di per sé sono un robusto tirante, rispetto al quale il Mistero non appare dominante. Non seguiamo la storia per capire la verità (anche se questo è un elemento di attrattiva) ma perché quei personaggi ci sono simpatici e più le loro vite si incasinano più ci diverte scoprire come se la caveranno e come replicheranno se stessi in situazioni mutate.
2. Come raccontare i singoli capitoli in modo che chi ne segue solo uno (e non necessariamente il primo) possa capire lo stesso la storia e restarci affezionato?
Con la commedia, questo è molto più semplice. Di fronte a una scena divertente, chi già conosce il personaggio e le premesse narrative, ride di più, ma chi vede il programma per la prima volta si diverte lo stesso, a prescindere dal prima e dal dopo, perché i singoli segmenti sono comunque degli sketch. Il fatto poi che le protagoniste si alternino nella stessa puntata e dunque che seguiamo più vicende in parallelo, ci permette di differenziare toni e situazioni e di condurre il racconto in modo molto animato. Una volta agganciato ai personaggi, il pubblico non se li perde più. Non ci si chiede soltanto “come andrà a finire?” , ma anche “vediamo cosa fa il tal personaggio adesso”. E chissà cosa farà nella prossima con lo sviluppo della storia…
3. Come mantenere aperto il racconto in modo che alcuni personaggi possano sparire e altri comparire nella serie, senza creare scompensi narrativi?
Anche questo è molto più semplice con il genere commedia. I personaggi/caratteri fondamentali restano gli stessi. Le new entry sono personaggi di contorno. Questi personaggi non vengono però in sottordine: sono gli invasori, quelli che creano scompiglio e nuovi problemi nel gruppo delle protagoniste. I loro ruoli anche se limitati ad alcune puntate, sono di rilievo.
Dal punto di vista dei tempi, DH è un esempio anche più smagliante di Lost. Qui seguiamo contemporaneamente quattro/cinque personaggi. In una puntata di quaranta minuti, ciò significa che abbiamo meno di dieci minuti per personaggio. In questi dieci minuti scarsi dobbiamo raccontare tutto l’arco della sua avventura. Abbiamo pochissime scene a disposizione per ciascun segmento di racconto, e ciascuna di queste scene deve essere significativa e divertente perché nella continua alternanza sarebbe pericolosissimo e squilibrante se la scena di una delle casalinghe risultasse fiacca rispetto a quella di un’altra.

Dal confronto tra Lost e DH abbiamo così cominciato ad affrontare il prossimo tema su cui si incentrerà il corso e cioè l’influenza dei generi sulla narrazione, sui suoi tempi e sulla sua struttura. Un punto è bene sottolineare: se costruite il vostro personaggio sul fascino del mistero, tenete conto che man mano che il mistero si svela, il personaggio perde fascino; se all’opposto il vostro personaggio è di una chiarezza lampante ( un carattere “tipico”) la sua attrattiva sta nel replicarsi in situazioni sempre diverse.
Esercizio
Sarebbe difficilissimo, anzi impossibile al momento esercitarsi su una struttura così complessa com’è quella del Serial TV. Ho preferito darvi una traccia utile a farvi capire come cambiando i format, cambiano i problemi. Le tecniche narrative, in cinema, non sono date una volta per tutte, sono costrette a riformularsi ogni volta a seconda degli sviluppi del mezzo, ai suoi modi di confezione e diffusione. E molti dei problemi che ne nascono non si possono prevedere al principio, bisogna sperimentare le soluzioni a confronto con la macchina produttiva da un lato e con le risposte del pubblico dall’altro. Ciò detto, vi raccomando non solo di vederle, queste serie, ma di registrarne qualche puntata e di “smontarla” per capire bene quello che più ci interessa in questa fase e cioè come si può raccontare una storia in sintesi, senza che appaia al pubblico come un riassunto approssimativo e sciatto. Se dunque qualcuno di voi vorrà estrarre da una puntata il flash back sul passato di un personaggio di Lost, o la sequenza di scene di una delle protagoniste di DH, giusto per ricavare una scaletta di cosa succede, cioè come viene raccontato nella sua completezza e nei diversi passaggi quel segmento di storia, sarà un esercizio assai utile.