LA CONTAMINAZIONE TRA CINEMA COMICO E COMMEDIA
1. I film dei fratelli Marx
Nel cinema dei fratelli Marx troviamo i due differenti elementi sopra citati : cioè da un lato i Numeri (comici e musicali) dall’altro la storia, in genere una commedia sentimentale. I Marx erano ben consapevoli del dissidio tre le due diverse forme.
Quando vennero chiamati per il film Room Service (1938 ) si trovarono di fronte a una commedia non concepita espressamente per loro ed ebbero molte difficoltà nell’interpretare i ruoli. Chico dichiarò in un’intervista: “Era la prima volta che recitavamo una commedia non scritta da noi e non potevamo proprio riuscirci: dovevamo essere noi a creare i personaggi e le situazioni e solo allora potevamo recitarli, perché erano diventati parti di noi stessi.” ( La citazione è tratta dal libro I fratelli Marx, di William Wolf, Milano Libri 1978). Il loro rapporto con il cinema è sempre stato assai contrastato: era evidente che quello che contava, per loro e per il pubblico, erano i numeri, ma spesso i numeri dovevano venire dimensionati e sacrificati agli equilibri narrativi generali. Tanto che a più riprese i Marx pensarono addirittura di abbandonare il cinema. A volte il bilanciamento tra narrazione di una storia e numeri a se stanti, fu cercato nella Parodia: se si usava una storia già narrata da altri (come Casablanca) per stravolgerla totalmente, in qualche modo i numeri si potevano appoggiare su un soggetto e situazioni già note al pubblico per ribaltare tutto in non-sense e in comicità pura. Ma nei casi migliori, si scelse un’altra soluzione: c’è una vicenda principale che è la più consueta possibile. Prendiamo ad esempio The Cocoanuts (1929). Il soggetto è questo: in una Florida in pieno boom edilizio,un giovane architetto (Bob Adams) ha un progetto per sviluppare la zona di Cocoanut Grove. Bob è anche innamorato di Polly Potter e nella loro storia d’amore si intromette un losco individuo ( Harvey Yates) che intende rubare una collana alla ricca madre di Polly. I fratelli Marx (protagonisti del film) non fanno affatto parte del soggetto! Non interpretano i ruoli (sulla carta) principali: Groucho è infatti l’improbabile direttore di un altrettanto improbabile albergo, Chico e Harpo sono due ciarlatani che gli gravitano intorno. Eppure sono loro, con i loro numeri scatenati, ad essere gli inconfondibili protagonisti del film. Lo schema, in poche parole, è questo: il racconto, il filo conduttore del film, è una commedia sentimentale e prevedibilissima, nella quale i Marx irrompono come dei veri e propri guastatori.
Insomma, la soluzione Marx non risolve il problema cercando armonia tra Comico e Commedia, ma evidenziando invece il loro contrasto, usandolo come una miscela esplosiva.
E’ lo stesso tipo di struttura di Totò, Peppino e la Malafemmina (1956). La storia del film è l’amore contrastato tra Teddy Reno e Dorian Gray. In questa commedia dei sentimenti, di una scontatezza totale, irrompono Totò e Peppino, zii cafoni di Teddy Reno, creando complicazioni nella vicenda e anche profittando di quell’esigua traccia per inanellare una serie di numeri a se stanti di grande efficacia comica. La regia del film era di Camillo Mastroncinque, ma Steno (Stefano Vanzina) vi partecipò (probabilmente come aiuto regista ) perché mi raccontò come venne sistemata all’interno del film la famosa scena della dettatura della lettera. La scena, totalmente affidata alla libera interpretazione dei due, era durata in realtà il doppio. Per poterla sistemare con un giusto equilibrio all’interno della storia del film e dei suoi tempi stabiliti, si dovette girare uno stacco su Titina nella stanza adiacente, in modo da poter operare un taglio. Un altro esempio si può fare con Non ci resta che piangere di Troisi e Benigni (1984). La storia di questo film era in realtà piuttosto complessa, ma i numeri dei due comici erano così esilaranti e duravano così a lungo ( senza che li si potesse tagliare) che al montaggio si dovette tagliare la storia, con il risultato di renderla assolutamente incomprensibile. D’altro canto il taglio era inevitabile visto che il film al primo montaggio (rispettoso tanto dei numeri che della narrazione) durava più di quattro ore!
Riassumendo la “soluzione Marx”:
1. la trama di un film comico è bene sia più semplice e consueta possibile, e nemmeno condotta da comici, ma da normalissimi attori;
2. I numeri comici, di per sé in contrasto con la storia, vengono rappresentati proprio per tali , cioè il film fa la parodia di se stesso e, sulla base di un racconto standardizzato, rappresenta l’allegro andare in pezzi di questo racconto;
3. D’altro canto, la presenza di un racconto prevedibile funziona da sostegno narrativo, da collante tra un numero e l’altro, e garantisce al film un finale, cioè una conclusione. (Su questo ultimo aspetto, cioè la funzione del finale, torneremo nella prossima lezione).
2. I film di Danny Kaye
Anche Danny Kaye, come i Marx , si era imposto nel Varietà e in teatro. Dotato di grande versatilità, univa comicità fisica e verbale a una spiccata propensione per i numeri comici musicali. Il suo personaggio base era quello dell’ingenuo sempliciotto combina-disastri , tanto entusiasta quanto preda di improvvisi sbalzi d’umore e di paure esagerate, insomma un carattere doppio e “schizoide”. Il suo problema, nel passaggio al cinema, fu lo stesso che avevano vissuto i Fratelli Marx e cioè come recuperare sullo schermo il suo vasto repertorio interpretando una storia che potesse ospitare parecchi Numeri, e gli permettesse di esprimere appieno tutte le sfaccettature della sua comicità.
Nel film Sogni proibiti (The Secret Life of Walter Mitty, 1947 ) Kaye interpreta il ruolo di un disegnatore di fumetti che vive in sogno le appassionanti avventure che poi trasporta in disegno.
Questo gli consente di dare vita, rappresentando i sogni del personaggio, ambientati in diversi contesti avventurosi, ad una serie di esilaranti Sketch/Parodie di generi.
Parecchi cavalli di battaglia del suo repertorio teatrale precedente vengono inseriti nel film ( tra questi il più celebre è Anatole of Paris). Allo stesso tempo la storia non resta un mero pretesto per legare i Numeri, perché poi accade che il protagonista, coinvolto suo malgrado in un complotto spionistico/gangsteristico, si trovi a vivere un’avventura reale che non può certo risolvere così facilmente come in sogno.
Uscendo dai guai, vincendo il suo impaccio e prevalendo sui cattivi anche grazie a una buona dose di fortuna, dimostra che i sogni (e in particolare il sogno di essere “eroe per un giorno”) possono realizzarsi. In questo modo, cioè con un meccanismo tipicamente da Commedia, si va oltre alla frammentarietà dei numeri e si racconta una storia.
Una diversa soluzione viene sperimentata l’anno successivo con il film Venere e il professore (A Song is born, 1948). Questo film è il remake di una fortunatissima commedia cinematografica scritta da Billy Wilder e Charles Brackett per la regia di Howard Hawks: Colpo di fulmine (Ball of Fire, 1941). Kaye si avvale dello stesso regista dell’originale, ma adatta la trama a se stesso. Nell’originale il protagonista era Gary Cooper, a fianco di Barbara Stanwyck, cioè due attori a tutto tondo, in grado di interpretare ogni genere di film e di personaggi. Cooper interpretava un linguista impegnato da anni a compilare con altri studiosi un dizionario enciclopedico. Piomba tra loro una ballerina di varietà braccata da una banda di gangsters (la Stanwyck). Il suo slang brutale sollecita l’interesse del linguista, tanto impacciato e a disagio di fronte all’esuberanza e al fascino della ballerina, quanto intellettualmente aperto a qualsiasi forma espressiva, anche bassa e gergale. Howard Hawks dichiarò ai produttori, rimasti piuttosto sconcertati dal soggetto, che la storia era nient’altro che
una trasposizione farsesca di Biancaneve e i sette Nani. Billy Wilder, che aveva scritto la prima versione della sceneggiatura in Germania, definì Hawks “un colossale bugiardo” e restò piuttosto deluso da alcuni cambiamenti apportati al suo script. A guardare il film è piuttosto chiaro che Biancaneve non c’entra molto (non esiste la Regina Cattiva, né lo Specchio Magico, né la Mela Avvelenata, senza contare che Biancaneve non si innamora di Dotto). La Commedia ha una struttura molto forte e originale, che rivela la mano di uno sceneggiatore/autore ferratissimo.
Come abbiamo detto, Kaye non si limita a fare un remake del film, lo riscrive in modo che possa consentirgli di liberare le sue gag . Il suo personaggio non è più un professore di lingue, ma uno studioso di musica e la ballerina che lo seduce (Virginia Mayo) è una cantante di jazz. Questo, oltre a consentire a Kaye di sbizzarrirsi in una serie di gag musicali, permette anche di inserire nel film (con una scelta molto tipica del Varietà) una serie di illustri guest star: Benny Goodman, Louis Armstrong, Lionel Hampton, Tommy Dorsey.
Procuratevi questi due film e confrontateli molto attentamente. Sono un esempio perfetto della differenza tra Commedia e Comico, in questo caso anche della differenza tra Commedia e Varietà.
La recitazione di Kaye è certo molto più divertente di quella di Gary Cooper, ma il personaggio perde qualsiasi credibilità drammaturgica e le sfumature psicologiche del suo carattere vengono azzerate. La storia, attraversata e trasgredita di continuo da numeri comici e musicali, perde totalmente i suoi equilibri narrativi e diventa spesso pretestuosa. Ciò non significa che il film di Kaye sia più brutto di quello di Cooper (questa è una questione di gusti), significa che sono due film completamente diversi pur raccontando la stessa storia. Dal punto di vista del Cinema Comico poi, è evidente (nel confronto con Sogni Proibiti) che essendo qui molto più robusto l’impianto narrativo tipicamente da Commedia, Kaye si trova costantemente frenato dal fatto di dover comunque aderire a un ruolo, e d’altro canto quando si libera ai
Numeri rivela una tale bravura da musical performer comico da rendere ben poco credibile la sua parte di serio studioso. Non è la credibilità del resto che gli interessa, visto che il suo personaggio (non il personaggio del film, ma quello che lo precede, cioè la sua maschera) è quello dello schizoide. Il film è un film godibilissimo, ma resta una testimonianza di come sia problematico affidare una Commedia all’interpretazione di un Comico. Si ha spesso la sensazione di assistere, più che a una contaminazione/fusione di elementi, a un ibrido in cui i diversi elementi restano distinti e separati.
La straordinarietà di Kaye come attore comico non riuscirà mai ad esprimersi compiutamente nei suoi film, infatti ne farà relativamente pochi (se confrontati all’estrema prolificità dei grandi comici cinematografici). I momenti più notevoli dei suoi film restano i singoli Numeri. Usando una metafora letteraria potremmo dire che la maggior parte dei film di Kaye nonostante lo sforzo di renderli storie, sono più simili ad un’antologia di brani che a dei romanzi.
3. I film di Jerry Lewis
Vediamo in sintesi i soggetti di quattro tra i più famosi film di Jerry Lewis, due in coppia con Dean Martin e altri due interpretati come protagonista solitario.
The Caddy (1953). Harvey (Jerry Lewis) è un buon golfista, ma è timidissimo e di fronte al pubblico si confonde, dunque sceglie di fare da caddy al suo amico Joe (Dean Martin).Come caddy Harvey è un vero disastro, lui e Joe litigando combinano tali sconquassi sul campo da venire banditi dalle gare. Grazie alle loro buffonate però si procurano una nuova carriera nel varietà. Trovano anche delle ragazze: Dean Martin canta appassionate canzoni d’amore alla sua (Donna Reed), mentre Jerry Lewis si mostra tenero e impacciato con la propria (Barbara Bates).
The Caddy, come potete facilmente intuire anche senza aver visto il film, è un pretesto per inanellare una serie di Numeri. Lo Sketch del golfista e del suo caddy era uno dei numeri classici della coppia Lewis & Martin, che lo interpretarono in un’infinità di varianti, in teatro e nei loro show televisivi, un po’ come lo Sketch del vagone letto di Totò. Il fatto che dall’ambiente del golf la vicenda si sposti a quello dello spettacolo, è puramente di comodo, non viene raccontato come uno sviluppo da Commedia Classica , cioè come una maturazione dei protagonisti attraverso una serie
di passaggi, ma proprio come un mero espediente per passare ad altri Numeri (canzoni e sketch altrettanto di repertorio) dopo aver “consumato” quelli golfistici. Il racconto cinematografico di per sé non ha alcuna autonomia. Il film fa molto ridere, ma è la mera trasposizione sullo schermo di un repertorio comico nato altrove, dal varietà teatrale e televisivo.
Artists and Models (1955). Dean Martin è un disegnatore di fumetti horror a corto di idee. Le ruba al suo candido compagno di stanza Jerry Lewis che fa sogni molto avventurosi e parla nel sonno. Il problema è che i sogni di Jerry finiscono per diventare così rivelatori e “telepatici” da attirare l’attenzione delle spie russe! Battute a raffica, canzoni e gag a ripetizione. Aggiungono pepe uno stuolo di modelle, tra le quali Shirley MacLaine, Dorothy Malone, Eva Gabor e Anita Ekberg.
Artisti e Modelle è in evidente debito nei confronti di Sogni proibiti di Danny Kaye. Il soggetto è quasi identico. Il film di Lewis e Martin, al confronto con quello di Kaye, resta persino più vincolato al modello Varietà e l’uso dei personaggi femminili come sfilata di belle ragazze ne è la testimonianza più evidente. Lewis e Martin hanno però un vantaggio, rispetto a Kaye: sono in due.
Il tipo di coppia comica che Lewis e Martin incarnano non è una novità assoluta (ha quanto meno un precedente nella coppia Bob Hope / Bing Crosby), ma va molto al di là della comicità di coppia. Dean Martin non è una semplice spalla, è un coprotagonista a pieno titolo. Il suo personaggio non è affatto comico, è il ruolo dell’attore brillante da Commedia: sicuro di sé, di bell’aspetto, rubacuori, smaliziato interprete di canzoni d’amore. In questo ruolo classico, Martin introduce però una piega tutt’altro che edificante: cinismo, opportunismo, una certa vigliaccheria e persino una cafonaggine che fa da contraltare alla sua esibita raffinatezza di cantante.
Martin non è dunque una spalla, è l’Alter Ego di Lewis. La sua presenza consente di esaltare le qualità contrarie (anzi da Contrario) di Lewis. Lewis ha il coraggio di rappresentare un personaggio ai limiti della rappresentabilità: il subnormale. Siamo insomma su uno dei confini che abbiamo, nella scorsa lezione, segnalato come pericolosissimi per un comico: si può ridere di un subnormale? Non si rischia così di suscitare disagio o risate crudeli? Lewis grazie alla sua incredibile duttilità fisica fa sembrare prodigioso l’handicap. In lui la non-normalità raggiunge tali vertici espressivi, da sembrarci uno stato di grazia. Sottolineando la bontà e il candore del suo personaggio, al di là delle catastrofi che procura e di certe sue bizze e piccole cattiverie infantili, Lewis ci dice che l’incapacità/impossibilità di rispettare le regole sociali e di assumere comportamenti normali è un valore positivo. Martin deve apparire anche antipatico, perché risalti che invece il comportamento “brillante” e “vincente” nasconde un’ipocrisia di fondo e persino una certa pusillanimità. Al suo personaggio da Commedia Martin aggiunge insomma una punta di disturbo, che riesce a regolare con grande capacità d’attore. Nei film della coppia Lewis-Martin il bilanciamento tra Comico e Commedia viene insomma messo in scena attraverso la loro stessa presenza. Se i Marx intervenivano come guastatori nell’ordinato svolgersi di una commedia sentimentale, qui Lewis interviene come guastatore rispetto a Martin. E’ Martin ad assumersi il peso narrativo del film, anche quello delle scene di raccordo tra i numeri, e ad arricchire di sfumature psicologiche il ruolo da attore brillante. Martin interpreta la Commedia e Lewis la devasta. Dal suo canto, Lewis fa della sua stessa comicità un ingrediente di Commedia perché il suo personaggio ha una pronunciata inclinazione morale.
Un bilanciamento così perfetto poteva reggere fuori da questa struttura di coppia?
Molti pensavano di no e accolsero come un pessimo segnale la separazione dei due.
C’erano dubbi sul fatto che Martin potesse fare fino in fondo l’attore, come sul fatto che Lewis riuscisse ad esprimere la stessa forza comica da solo. I fatti hanno sciolto ogni dubbio. Esaminiamo ora due dei film “in solitario” di Lewis.
Cinderfella (1960). Fella (Jerry Lewis), un buon ragazzo (goodfellow) inetto e pasticcione, vive in una residenza sontuosa con la matrigna e due fratellastri che lo maltrattano. Finché appare una sorta di mago protettore (Ed Wynn) che sceglie Fella come marito ideale per un’incantevole Principessa: vuole così dimostrare che le donne possono trovare la felicità anche sposando un uomo apparentemente poco dotato e non particolarmente attraente. Grazie alla magia, Fella riesce a partecipare al ballo e ad incontrare la Principessa. I due coronano naturalmente il loro amore e… vissero felici e contenti. Molti numeri comici e musicali animano la vicenda.
Il Cenerentolo richiama chiaramente il genere parodia. La storia è quella di Cenerentola, usata come traccia da Jerry Lewis per le sue invenzioni su tema. D’altro canto il fatto che Jerry nel film subisca per magia una trasformazione, gli dà anche modo di sdoppiarsi (come in un altro suo film: Le folli notti del Dottor Jerryll, cioè The Nutty Professor). L’uno diventa due, non perché si traveste, né perché il personaggio evolve fino a mutare radicalmente, ma proprio perché si sdoppia. A differenza della parodia classica, qui non si ride perché si prende in giro l’originale.
Non si fa affatto la parodia di Cenerentola: la favola non viene mutata di segno, resta tale e quale. La differenza è che Cenerentola è Jerry Lewis. Il suo cambiamento non si limita al vestito. Nemmeno è un cambiamento solo interiore, di carattere. E’ il comico che indossa una maschera doppia, esprimendo così una duttilità che va al di là della riproposizione del suo personaggio più conosciuto: il buon ragazzo timido e imbranato ai limiti del caso umano. Assumendo la maschera del suo contrario, Lewis continua però a vedere il suo Alter Ego disinvolto e brillante dal punto di vista del Comico: in altre parole assume il ruolo di Martin e ne fa la parodia. Non è affatto Cenerentola l’oggetto della Parodia, ma il personaggio brillante tipico della Commedia! Lewis raggiunge uno degli obiettivi più difficili per un comico: quello di irridere non la fatalistica serietà della Tragedia, ma la credibilità del ruolo vincente tipico della Commedia.
Three on the couch (1966). Christopher Pride (Jerry) vorrebbe sposare la sua eterna fidanzata, una psicoanalista (Janet Leigh). Ma lei non vuole farlo prima d’aver risolto i problemi di tre delle sue giovani pazienti, ragazze attraenti, ma che hanno paura degli uomini. Jerry decide di fare la corte, sotto mentite spoglie, a ciascuna di loro, allo scopo di guarirle dai complessi. Ci riesce, ma purtroppo le ragazze si mettono in testa di presentare il loro nuovo innamorato alla loro analista…
Tre sul divano è per Jerry Lewis un’occasione per andare ben oltre lo sdoppiamento e moltiplicarsi in una galleria trasformistica di personaggi diversi. Si è parlato a proposito di questo film di una vera svolta di Jerry Lewis in direzione della Commedia Sofisticata. Il tema della psicoanalisi non è qui un puro pretesto. Il film infatti autorizza una doppia lettura: si ride di fronte al camaleontismo parodistico del comico, ma si ha anche la sensazione che ci sia un tema serio, al fondo, cioè l’indagine delle paure femminili e dei diversi modelli maschili cui si confrontano. C’è anche un tema piuttosto pirandelliano. Il personaggio interpretato da Jerry è come se dicesse non solo alla sua amata, ma a tutte le sue donne: sarò come tu mi vuoi, e se sarò così mi amerai, ma sarò falso. Quando dei Numeri comici diventano Metafore, essi stessi raccontano da soli, cioè anche indipendentemente dal gioco della commedia degli equivoci, qualcosa di simbolico, di astratto se vogliamo, che va ben al di là dell’effetto risata e che comunica direttamente con l’intelligenza e/o con l’inconscio del pubblico.
La varietà e la ricchezza delle soluzioni di Jerry Lewis, alcune ereditate, altre tutte sue, al problema di equilibrare in racconto gli opposti del Comico e della Commedia, rappresenta un momento davvero fondamentale nella Storia del cinema e del cinema comico in particolare.
4. I film di Woody Allen
Se considerate i film di Woody Allen noterete facilmente una notevole differenza tra i primi (Prendi i soldi e scappa, Il dittatore dello stato libero di Bananas) e quelli della maturità (Annie Hall, Manhattan). I primi sono film puramente comici: inanellano una serie di sketch e di gag su una traccia di storia esilissima, impalpabile. Gli altri sono Commedie: raccontano una storia sentimentale, dal principio alla fine.
Take the money and run (1969) viene così definito dal critico Leonard Maltin: “Una sfilata non-stop di situazioni buffe, qualcuna funziona, qualcuna no, ma quelle che funzionano fanno davvero morire dal ridere.” Cioè, con questo film avete una perfetta illustrazione di quanto detto a proposito del carattere frammentario del cinema comico. Di questo carattere frammentario, Woody Allen fa un punto di forza. E’ proprio grazie a questo stile che si possono eliminare dal film situazioni inutili dal punto di vista dell’efficacia comica. Un esempio: il protagonista fugge dal bagno penale incatenato ad altri suoi compagni di detenzione. Il fatto che i fuggiaschi siano incatenati tra loro è lo spunto per una serie di sketch esilaranti .Quando questi finiscono, non c’è più alcun bisogno di mostrare come fanno a liberarsi dalle catene i detenuti, né di raccontare che fine fanno i diversi personaggi. Gli esercizi comici sul tema sono finiti e lì finisce anche il racconto. Si passa ad altro.
Come legame tra frammento e frammento Allen sceglie, genialmente, la struttura dell’inchiesta giornalistica televisiva: nel caso, la ricostruzione della biografia del personaggio, per stacchi, con inserti di testimonianze di chi lo ha conosciuto.
Insomma la stessa struttura che poi, in modo ancor più rimarcato, Allen userà per Zelig (1983). Parlando di quest’ultimo film, Maltin usa quasi le stesse parole con cui ha definito il primo, limitandosi a sottolineare questa differenza: “più intelligente che divertente” . Cioè in Zelig subentra un secondo intento: raccontare attraverso il protagonista e le sue vicende, un apologo. Il personaggio diventa esemplare di un atteggiamento morale (il camaleontismo). Al comico Allen si sovrappone il commediante, che rimarca il proprio essere non solo interprete comico, ma autore raffinato. La Sophisticated Comedy esce dall’implicito e vuole manifestarsi compiutamente per tale. Il pubblico non deve soltanto ridere, ma approvare e compiacersi dell’intelligenza del “discorso” ( e della propria che lo ha capito ed apprezzato). Affronteremo di nuovo questo aspetto più avanti.
Vediamo ora il soggetto di Bananas (1971): Fielding Mellish (che di mestiere testa prodotti di largo consumo) si innamora di Nancy (un’attivista politica). Partecipa a delle manifestazioni e cerca in tutti i modi di fare colpo su di lei, ma Nancy aspira a qualcuno che abbia più carisma politico: un vero leader. Fielding parte per San Marcos dove si unisce ai ribelli, finché diventa Presidente del paese. Durante un viaggio negli Stati Uniti, ritrova Nancy che finalmente, vedendolo diventato un leader, si innamora di lui.
Vediamo il soggetto di Annie Hall (1977): Alvy Singer, un commediografo di successo, viene presentato dal suo manager a Annie Hall, un’aspirante cantante, carina, di buona famiglia, ma un po’ svitata. I due vanno a vivere insieme, ma il loro è un rapporto piuttosto nevrotico: si affidano ai rispettivi analisti, si ingelosiscono, litigano, si separano, tornano insieme, si lasciano e decidono alla fine di restare buoni amici.
Apparentemente si tratta di due soggetti molto simili, con al centro una storia d’amore, ma nel primo la vicenda sentimentale è lievissima ed è un puro pretesto per una serie di scorribande comiche di Allen e di numeri assolutamente surreali, nel secondo caso la storia d’amore resta sempre al centro della narrazione e viene approfondita con realismo e rigore, nei suoi coerenti passaggi.
(NOTA- In entrambi, Allen pur interpretando in teoria un personaggio, in realtà rappresenta se stesso: nel primo caso come maschera comica, nel secondo come “uomo/personaggio Allen”. Non sappiamo quanto il personaggio dei film di Allen corrisponda in realtà all’Allen privato - non lo sappiamo neppure del personaggio Moretti - ma si suppone, il pubblico suppone, che in questi film Allen sia stato autobiografico, o quanto meno si sia confessato. Il film non ci presenta insomma un personaggio racchiuso nel film, ma un personaggio - Allen stesso - che è indipendente e autonomo dal film. La sua maschera privata, si può dire, diventa maschera pubblica. Questo è un atteggiamento ben diverso da quello del comico che tende invece a separare nettamente il suo privato dalla Maschera. Per il Principe De Curtis, Totò è un altro, come Charlot per Charlie Chaplin. Un comico indossa la maschera e quando lo fa aderisce perfettamente ad essa. Ma non fa della propria vita una mascherata. Ci tiene molto a distinguere i due ambiti. Il Protagonista mediatico invece costruisce, in questo caso attraverso i propri film, un’immagine di sé che va al di là dei film stessi. Questo genere di ruolo, ovviamente, esorbita dal mestiere e dai compiti dello sceneggiatore. Woody Allen nelle sue interviste considera la stampa scandalistica e il gossip come immondizia, e costantemente rimarca la differenza tra la propria autobiografia e la sua autobiografia fittizia dei film, tuttavia si può anche dire che ponendo la biografia sempre al centro dei suoi film, è lui stesso a costruire la trappola in cui rimane impigliato. Questo fatto lo differenzia profondamente dai comici che lo hanno preceduto e lo rende particolarmente moderno anzi postmoderno: la citazione falsa, ma simulante il vero, non è una mera parodia del documentarismo e dell’inchiesta-verità, è anche un’evidente manifestazione di narcisismo assoluto. La fama del personaggio si dilata, crea un corto circuito mediatico, i singoli film escono da se stessi, vengono vissuti come una sorta di confessione, testimonianza, pronunciamento a puntate, sullo “stato dell’artista” nel suo vissuto personale e nella sua visione delle cose. Nelle interviste nessuno si limita più a interrogare Allen sul singolo film, gli si chiedono invece giudizi politici, morali, estetici, metafisici, quasi fosse un “maitre à penser” che nell’espressione di sé matura una “visione del mondo”).
In conclusione, dal punto di vista del racconto si può dire che il racconto di Bananas è una semplice traccia, che lega insieme una serie di numeri comici. Un pretesto, in genere sentimentale, sempre molto semplice e lineare. Ma sono i numeri che ci interessano, non la storia sentimentale in sé. Il racconto di Annie Hall sistema invece gli episodi all’interno della storia di una coppia e si può dire dunque che inserisca dei frammenti, anche stilisticamente differenti e in qualche modo a se stanti (l’autopresentazione iniziale di Allen di fronte alla macchina da presa; la narrazione per piccoli sketch della propria infanzia ) dentro una struttura forte di Commedia. I singoli frammenti si giustificano narrativamente perché vivono all’interno di questa struttura. E certo riguardo al racconto si può a buon diritto parlare di Commedia Sofisticata, in termini ancora più accentuati di quanto abbiamo visto considerando Tre sul divano di Jerry Lewis. “Accentuati” in questo caso non vuol dire affatto più presenti o più importanti o meglio espressi, ma più sottolineati. L’amore più volte dichiarato da Allen nei confronti del cinema progettualmente “profondo” di Ingmar Bergman è rivelatore. Mentre Jerry Lewis lascia la doppia lettura al pubblico (se qualcuno la fa consapevolmente bene, altrimenti il senso profondo arriva lo stesso inconsciamente e ciascuno lo elaborerà a suo modo, secondo il proprio grado di sensibilità), Woody Allen cerca di fare in modo che l’Elemento Sofisticato venga notato a tutti i costi, che l’implicito diventi esplicito, che la sottotraccia affiori al punto da diventare traccia dominante, e se questo va a spese della comicità non importa: è un sacrificio necessario. Tutti i comici di razza fanno ridere, ma non tutti si dimostrano o vogliono dimostrarsi a tutti i costi intelligenti. Anche qui, ciascuno giudichi a seconda delle sue preferenze, ma a volte ostentando il bisogno di apparire profondi, si può finire per mettere in mostra il contrario e cioè una certa superficialità.
5. I film di Jim Carrey
Il curriculum cinematografico di Jim Carrey è quanto di più vasto si possa augurare a un Comico. Nell’arco della sua carriera, ha spaziato lungo tutte le sfumature del genere, dalla slipstick comedy demenziale di Ace Ventura (1994), alla totale identificazione con la “Maschera” di The Mask (1994), dalla contaminazione Comico/Commedia di Bugiardo, Bugiardo (1997) , allo sdoppiamento lewisiano di Io,me e Irene (2000), per non parlare di commedie a sfondo drammatico come The Truman Show (1998) e Man On The Moon (1999) . Carrey ha elaborato e riproposto in modo del tutto singolare e originale tutti gli insegnamenti del cinema comico precedente. In generale nei suoi film la contrapposizione tra numeri e storia scivola via quasi inavvertita anzitutto in virtù di una capacità di modulazione dei toni da misuratissimo attore oltre che da comico esasperato, e in secondo luogo perché il tono del racconto è quasi sempre fantastico. Anche storie di tipo quotidiano hanno come chiaro riferimento la favola. Anche storie che usano un plot “giallo” (espediente giù usato dalla coppia Martin e Lewis in diversi film) hanno un’inclinazione favolistica: non si tratta di un vero giallo, ma di un giallo giocoso e surreale. E’ il più delle volte per magia, per qualche incantesimo, che il suo personaggio, in partenza realistico, sprigiona il più assurdo dei comportamenti. Ma i singoli numeri sono sempre strettamente incardinati alla storia narrata. La storia non è costruita sui numeri, ma i numeri sulla storia. Nell’equilibro tra interpretazione di un ruolo e performance comica, Carrey è senza rivali. Lo si può paragonare a un musicista di jazz che alterna l’esecuzione del tema alle libere improvvisazioni (sul  tema stesso).
Per comprendere bene il suo stile di lavoro, vi consiglio di acquistare il DVD di Lemony Sticket’s (Una serie di sfortunati eventi, DreamWorks Entertainment , 2005) e di studiarvi i suoi provini nei Contenuti Speciali. In questo film, Carrey dà fondo alle sue capacità trasformistiche e interpreta più personaggi, altrettante metamorfosi del già trasfigurato Conte Olaf . Nei provini preliminari, Carrey prova i travestimenti, il modo di atteggiarsi e di esprimersi dei vari personaggi, e viene intervistato dal regista (fuori campo) a proposito della vita e delle esperienze del personaggio stesso, considerato come un’autentica persona. Su questa base, Carrey si lancia in una serie di libere improvvisazioni su tema, con le quali disegna oltre che il carattere del personaggio, la sua (assurda) biografia. Molte di queste invenzioni sono poi finite nel film e hanno costituito il testo dei dialoghi del personaggio stesso. La tecnica consiste insomma in questo: si lascia libero campo (nei provini) alle grandi capacità di improvvisazione del comico, poi da questo repertorio di suggerimenti, di prove, di gag a ruota libera, si sceglie il meglio e questo meglio viene recitato come un testo scritto, durante le riprese. Il che significa che Carrey non si mette a inventare in scena (da attore), ma riproduce quanto ha inventato e creato prima (da comico).
Questo esempio può farvi capire meglio come (da sceneggiatori) si dovrebbe lavorare con un comico. E cioè, riassumendo quanto detto nella scorsa e in questa lezione:
1. L’autore di un film comico non è chi lo scrive, né chi lo dirige, ma in larga misura il comico stesso.
2. Scrivendo la storia non si può prescindere dalle caratteristiche del comico. Anche quando la storia è venuta prima, va completamente riadattata al comico che la interpreta, alle sue attitudini e al suo tipo di repertorio.
3. La collaborazione attiva del comico è fin dalla fase di preparazione, assolutamente fondamentale. Si deve scrivere per lui, senza mai forzarlo a interpretare situazioni in cui non si trova a proprio agio.
4. Nel raccontare la storia del film più modelli di narrazione si avranno a disposizione, più sarà semplice trovare la soluzione di equilibrio tra numeri e percorso generale della storia.
Approfondiamo quest’ultimo punto. Se ho dedicato due lezioni al cinema comico non è stato per una mia particolare preferenza verso questo genere, ma perché da un lato in Italia, se volete fare o sceneggiatore, vi capiterà inevitabilmente di lavorare con dei comici, visto che è questo il filone principale della produzione nazionale, d’altro lato potrete elaborare e suggerire idee narrative soltanto se siete in grado di poter scrivere secondo modelli differenti. Chiedetevi: quale tipo di struttura narrativa può essere adatta per questo comico? Più soluzioni avete a disposizione, più semplice sarà scrivere un soggetto ben bilanciato.
Però state attenti. Mettiamo per esempio che vogliate sottoporre un’idea di film a un comico televisivo che sfrutta, in televisione, un certo tipo di repertorio. Accade abitualmente che un aspirante sceneggiatore proponga al comico X una storia basata sul suo personaggio/maschera e sui suoi numeri abituali. E’ un errore. Quasi sempre questa proposta viene rifiutata dal comico stesso. Perché? Be', se non la rifiutasse, sarebbe piuttosto stupido. Il comico autore di una certa maschera televisiva o cabarettistica, è consapevole del fatto che quel tipo di maschera l’ha creata per la televisione e per il cabaret, cioè per un mezzo diverso dal cinema. In televisione e in cabaret la comicità è espressa da un certo costume (da un look) , dalle battute e dal modo di dirle del comico. A volte queste battute raccontano una storia, ma è una storia detta, non mostrata. Ed è una storia frammentata, episodica, non una storia compiuta. Sarebbe molto ingenuo supporre che questa storia possa diventare la storia del film, cioè venire non detta, ma mostrata. Quello che dovete cercare di fare non è affatto scrivere per la maschera televisiva o cabarettistica del comico, ma per il comico stesso. In cinema, il comico dovrà comunque indossare una maschera adatta al cinema, e se il film racconta una storia compiuta, dovrà anche interpretare un personaggio, un ruolo ben inserito in quella storia. Ciò su cui dovrete interrogarvi insomma, sono le caratteristiche del comico con cui lavorate: se non è abituato a muoversi, se la comicità fisica non rientra nel suo repertorio, è perfettamente inutile cercare di forzarlo in questa direzione. E sarebbe viceversa pericoloso assecondarlo a interpretare un ruolo da Commedia, se non ha la necessaria duttilità di un attore e se il suo punto di forza sono i Numeri. Quali sono i punti di forza di questo comico, quali sono i suoi punti deboli? Questo dovete cercare di capire, prima di scrivere e mentre scrivete per lui. Il comico stesso, quando mostrerà delle esitazioni di fronte a certe vostre proposte, saprà orientarvi. Se resta perplesso di fronte a una certa proposta, non è perché di per sé non gli piaccia, ma perché istintivamente non la sente giusta per lui, cioè non sa come potrebbe riuscire a far ridere sulla base di quello spunto. Se lo spunto è giusto, invece, non scrivete delle battute così rigide da frenare la sua improvvisazione verbale, non costringetelo a esprimere significati e nemmeno battute che spieghino la storia stessa. Non è questo il genere di dialogo giusto per un comico.
Il dialogo il comico deve inventarselo o comunque farlo proprio. Potete certo suggerire delle battute, ma sarà lui a sceglierle e a elaborarle. Il vero punto su cui dovete concentravi e che cade tutto sulle vostre spalle, sono proprio i binari di cui abbiamo parlato: i binari indicano da un lato un limite fisso, dall’altro un percorso. In larghezza il binario ha una misura definita e obbligata. Questo limite sono le capacità del comico e le caratteristiche della sua maschera (quello che può fare e quello che non può fare). In lunghezza il binario tende all’infinito, dovete essere voi a fissare il percorso, la stazione di partenza, quella di arrivo e le tappe intermedie, cioè il racconto. Su questo il comico, che non è solitamente un narratore, non vi sarà di nessuna utilità, questo è lavoro vostro.

Lezione di Gianfranco Manfredi