I GENERI: LA COMMEDIA

a) Le origini
Il Comos ( da cui si pensa origini la parola Commedia) era una Festa in onore di Dioniso, dio del vino e dell’ebbrezza. Il verbo comazein , in greco, significa infatti “far baldoria”. Aristotele osserva però, nella Poetica, che i Megaresi, presumibili creatori della Commedia, chiamavano i loro villaggi Comi. Secondo lui dunque la parola Commedia indica il fatto che queste rappresentazioni originavano dai villaggi, e passavano di villaggio in villaggio, mentre non erano tenute in gran conto nelle città. Aristotele considerava la Commedia anche come il genere teatrale più antico, o quanto meno, precedente alla Tragedia. Non trattandosi di rappresentazioni colte, ma estremamente popolari, furono meno documentate e dunque le loro caratteristiche originarie sono avvolte dal mistero. Paradossalmente questo mistero è stato accentuato dal fatto che i libri della Poetica di Aristotele dedicati all’analisi della Commedia, sono andati perduti. Tuttavia qualche traccia di questa analisi è accennata in alcuni passi della Poetica, per esempio nel capitolo II, dove Aristotele distingue tra rappresentazioni che hanno al loro centro personaggi migliori di noi (Tragedia) e personaggi ordinari, simili a noi, o addirittura inferiori (Commedia). Da un lato, cioè, il racconto delle Divinità , di uomini straordinari, Re, Eroi, individui eccezionalmente esemplari nel bene o nel male, dall’altro il racconto di personaggi come noi, dalla vita estremamente comune, tipi immediatamente riconoscibili in qualsiasi comunità , incarnazioni di ruoli quotidiani e famigliari. Questo non significa che in una commedia non possano apparire anche personaggi illustri, ma che questi personaggi vengono essi stessi rappresentati per i tratti che li rendono simili alle persone comuni. In particolare, ci interessano i loro vizi, le loro debolezze, le loro meschinità, le loro ridicolaggini , la loro “bruttezza” fisica e morale, più che le loro virtù, la loro forza, la loro grandezza, l’austerità e la serietà, la bellezza fisica e morale.
(In questa differenza d’origine, si può dunque anche leggere la fonte di quel pregiudizio secondo cui la rappresentazione tragico-drammatica sia più “elevata”, della Commedia e del Comico, tradizionalmente pensati come generi più “bassi”. Questo luogo comune estetico ha un’evidente origine “di classe” , nasce cioé dalla contrapposizione tra il pubblico aristocratico, colto ed elitario delle città e il pubblico popolare, ignorante, “volgare” delle campagne e dei villaggi. La Storia ha fatto giustizia di questo luogo comune, ma la Storia dei Premi Cinematografici ancora no: a tutt’oggi è molto più facile che venga premiato con l’Oscar un film drammatico che un film comico).

Nel suo saggio Il Teatro dalle origini ai nostri giorni (Universale Laterza, 1967) Léon Moussinac scrive:
“Il Comos delle feste rurali, così popolare, col suo corteo di personaggi seminudi e semiebbri, mostruosamente mascherati, dai gesti lubrichi, urlanti canzoni oscene e scagliando ingiurie, interruppe un giorno la sua sarabanda… si può immaginare il capo del corteo salire su un palchetto, togliersi la maschera e improvvisare davanti alla folla per dire il suo parere sui fatti politici.” Insomma, alle origini , nello spettacolo popolaresco, tutti i generi cosiddetti “minori” erano fusi: la farsa, l’orrore, il musicale, l’osceno, la satira di costume e politica.
(Sia detto per inciso: solo degli ignoranti possono sostenere che quando un comico si mette a parlare di politica uscendo dal suo ruolo di mero “buffone” allora non fa più satira, ma invettiva. L’invettiva è infatti parte costitutiva del ruolo del comico, fin dalle origini. Altra riflessione a margine: certi spettacoli contemporanei che tutti noi siamo portati a pensare come “nuovi” hanno in realtà un’origine antichissima: quando Moussinac cita lo “scagliare ingiurie”, si riferisce a una vera e propria gara (agon) di insulti, proprio come quella tra rapper cui assistiamo nel film 8 Mile (2002) con Eminem).
Uno dei più antichi, se non il più antico commediante di Atene fu Susarione. I suoi spettacoli erano senza capo né coda, una pura collezione di lazzi, buffonerie, scenette realistiche e mimiche. Da qui nacquero, ben prima di una narrazione sistematica e strutturata, i primi personaggi: un venditore di intrugli miracolosi (il cerretano) cioè il dottorone che coprendosi dietro un linguaggio pseudo-scientifico imbroglia le persone, il ladro di frutta ( prototipo del delinquente simpatico che ruba solo per sopravvivere), il goffo atleta millantatore di grandi imprese (prototipo del contaballe incallito, il classico Capitan Fracassa), il tipo che vuole apparire colto e pretende di usare un linguaggio forbito compiendo un’infinità di strafalcioni (come nella comicità di Nino Frassica o di Addolorata). E ancora: il Vecchietto (Pappos, cioè il nonno) di volta in volta arguto, rincoglionito, arzillo o invalido, ridicolo o arcigno. Lo Stupido, in tutte le varianti: dal “bietolone di mamma sua”, al nesci, cioè il finto stupido che finge di non vedere e non sentire, ma s’accorge di tutto. E poi: il Mangione, l’Ubriacone, il Pauroso (vittima anche di spaventi autentici, per esempio di fronte a serpenti mostruosi), il Dormiglione.
“ Da questa specie di monologhi-macchiette” scrive Ettore Romagnoli nella sua Prefazione alle Commedie di Aristofane (Zanichelli 1961) “ ebbe origine una specie di farsa che le notizie più tarde chiamano commedia di piazza.”
Se prima accadeva che tutti questi tratti burleschi potessero anche unirsi e sfumare l’uno nell’altro grazie all’interpretazione di un solo attore, con il diffondersi della Commedia di Piazza, gli attori raggruppandosi a recitare insieme furono portati ad esagerare ciascuno certe caratteristiche a contrasto con quelle altrui. Nacquero così i diversi ruoli. Le storie vere e proprie nascono dopo, da una codificazione dei Tipi.
Ho molto insistito in queste lezioni sul primato dei personaggi. E’ dalla creazione dei personaggi (e dei Tipi fondamentali) che prende forma il racconto vero e proprio. I personaggi non sono cioè derivati dalla vicenda, ma al contrario non c’è vicenda che non sia vicenda di personaggi. La definizione del personaggio e del suo carattere è preliminare al racconto.

b) I Ruoli nella Commedia

Aristofane è stato il primo a legare insieme in un’unica azione, i personaggi e i singoli elementi compositivi della Commedia in una struttura unitaria. Vediamo in breve un paio di trame.
Nelle Nuvole, Strepsiade, un contadino ossessionato dai debiti procuratigli da un figlio scansafatiche (Fidippide) che gioca alle corse dei cavalli, lo manda al Pensatoio (la scuola di Socrate) nella speranza di farne un ragazzo colto, educato e serio, formato a un ruolo sociale di assoluto riguardo e di sicuro avvenire (l’avvocato). Ma Fidippide adopera le tecniche retoriche di persuasione apprese alla scuola per umiliare il padre, non esitando nemmeno a picchiarlo, per poi infinocchiarlo convincendolo che questo suo comportamento è giusto: Fidippide in fondo non fa che restituire al padre le botte ricevute da piccolo .
In Lisistrata , le donne stanche di guerra, decidono uno sciopero del sesso nei confronti dei loro bellicosi mariti, per costringerli a fare la pace.
I temi civili e politici sono fondamentali nel teatro di Aristofane. I ruoli non sono semplicemente i Tipi Buffi, ma i ruoli famigliari e sociali (figlio/padre, mogli/mariti, allievi/insegnanti, colti/ignoranti) . Il “buffo”, ciò che rende Commedia la narrazione, sta nel capovolgimento dei ruoli abituali.

In questo modo la Commedia si forma come narrazione di un paradosso: da un lato si codificano i personaggi in ruoli ben differenziati e distinti, dall’altro i personaggi stessi finiscono per capovolgere i ruoli sociali, mostrandocene l’inconsistenza.

Il capovolgimento e lo scambio di ruoli giunge al suo apogeo con il teatro di Plauto, vero fondatore della “Commedia degli Equivoci”.
Nei Menecmi, due gemelli separati alla nascita si ritrovano da adulti nella stessa città e il fatto che siano identici all’aspetto, per quanto diversissimi di carattere, scatena una serie di equivoci. Su questa base Shakespeare scrisse la Commedia degli Errori e Goldoni I due gemelli veneziani.
Anche in Anfitrione, lo schiavo Sosia è al centro di una serie di scambi di “sembianze” .
Questo ruolo dello schiavo furbo che ricorrendo a tutti i trucchi possibili riesce a risolvere le difficili imprese assegnategli dal suo padrone, non senza procurarsene vantaggi personali, è molto presente in Plauto ed è una perfetta rappresentazione del carattere da Commedia (uomo comune) in contrapposizione al carattere da Tragedia (eroe e semidio). Possiamo leggerne l’eredità anche nel personaggio del Tenente Colombo: un umile funzionario di polizia, apparentemente rustico e ingenuo, in realtà astutissimo, che combatte (e vince) contro personaggi autorevoli, ricchi, famosi e socialmente protetti, cioè il rappresentante del Popolo contro quello del Potere.

I ruoli, il passaggio trasformistico tra i ruoli, la lotta tra i ruoli come manifestazione/metafora della più larga lotta sociale, è questo il tema dominante della Commedia.  

c) La Commedia nel cinema

Un attore divorziato, per poter trascorrere del tempo con i figli, si finge un’anziana governante (Mrs.Doubtfire).
Due musicisti jazz braccati dai gangster, si travestono e riescono a trovare un impiego fuori città in un’orchestra di sole donne (A qualcuno piace caldo).
Un attore disoccupato si finge donna per recitare in una situation comedy che ha un ruolo femminile scoperto (Tootsie).
Una cantante da night assiste a un omicidio e la polizia per nasconderla la mescola alle suore di un convento (Sister Act).

L’elenco potrebbe continuare all’infinito. Tutte queste commedie cinematografiche si incentrano, come si vede, su uno scambio di ruoli e sul gioco degli equivoci. Anche la trama sembra la stessa: Sister Act ha la stessa partenza di A qualcuno piace caldo. Il protagonista di Mrs. Doubtfire, anche se per un motivo affettivo e non lavorativo, usa lo stesso escamotage del protagonista di Tootsie, a sua volta identico a quello della coppia di jazzisti di A qualcuno piace caldo. Eppure nessuno può negare che questi quattro film siano tutti molto diversi tra loro. 

I canovacci della Commedia tendono a ripetersi, sono i contesti, gli ambienti, le situazioni, le rappresentazioni dei ruoli che cambiano.

Lo sviluppo di trame del genere ha uno schema praticamente obbligato:

1. Prologo. Si presenta il protagonista. Di lui dobbiamo conoscere non solo la professione, ma le convinzioni (in genere è una persona molto motivata, contenta del proprio ruolo) . Dobbiamo anche sottolineare certi suoi difetti che possono rendercelo simpatico . Non è quasi mai una persona importante, ma comune, e nient’affatto virtuosa.
2. Nasce una complicazione. Per l’urgenza di risolverla il protagonista cambia ruolo, si trasforma in un’altra persona che spesso ha un ruolo opposto al suo. Dall’iniziale disagio, passa alla stabilità: riesce a farsi accettare. Anzi tutto gli va miracolosamente meglio. Ma la stabilità raggiunta è minacciata dagli equivoci che si sono accumulati, e che hanno uno sviluppo sempre più complesso e ingovernabile.
3. Epilogo conclusione. Si tratta in genere di una baraonda finale, in cui tutti i personaggi sono in scena. Lo smascheramento/ soluzione si celebra in pubblico.

Sembra facile, ma non lo è affatto.
La situazione “buffa” ( data dal capovolgimento di ruolo) non è il punto d’arrivo, ma il punto di partenza. Quello che lo sceneggiatore deve raccontare è il groviglio di equivoci che nasce dallo scambio di ruoli iniziale.

Si tratta di escogitare situazioni divertenti a catena, secondo un meccanismo che è identico a quello che Hitchock usò per i suoi film di suspense. Cioè: lo spettatore conosce cose che i personaggi ignorano. Ridiamo della loro ignoranza e dalla facilità con cui cadono vittime dell’apparenza.
Nel caso di Tootsie, per esempio, lo spettatore sa che Tootsie è in realtà un uomo, mentre tutti gli altri personaggi credono che sia una donna.
Hitchock usa questo meccanismo tipico da commedia, ma lo stravolge e lo capovolge in pura tensione: in Psycho, noi sappiamo che la madre pazza di Norman Bates è stata chiusa in cantina e dunque tremiamo quando un altro e inconsapevole personaggio, cercando di nascondersi, va a rifugiarsi proprio in cantina. Però in Psycho il pubblico non sa e non deve sapere la cosa fondamentale e cioè che la madre pazza è lo stesso Norman Bates travestito.
Insomma: come si è accennato nella scorsa lezione, il “racconto del mistero”, anche quando rivela molto agli spettatori, si fonda su un segreto che non deve venire assolutamente rivelato se non nelle ultime scene. Nella commedia invece tutto deve essere rivelato e trasparente al pubblico. Il pubblico dovrà solo chiedersi: come diavolo farà il protagonista a uscire da un tal ginepraio di equivoci?
Il protagonista suscita la nostra simpatia perché passando attraverso una serie infinita di peripezie spesso si smarrisce nel finto ruolo che impersona fino a non sapere più che parte giocare e come liberarsi dalla sua stessa trama di inganni. Tutti questi passaggi psicologici del protagonista sono inscindibili da ciò che accade, devono essere raccontati . Ciò che accade insomma non è l’unica cosa che dobbiamo raccontare, ma anche come ciò che accade cambi il nostro protagonista, rendendolo una persona migliore e finalmente accettata dagli altri.
In genere il finale di commedia ci mostra che la salvezza del protagonista non starà nel continuare a nascondersi, ma proprio nello svelarsi di fronte a tutti. Solo allora, quando il suo castello di carte rischia di crollare miseramente, lui potrà davvero vincere e farsi accettare. In una commedia, fin dai tempi di Plauto, la simulazione e l’inganno producono un successo, una vittoria. Sono il modo attraverso cui si può giungere alla giustizia e alla verità, cioè alla fine degli inganni reciproci. In un thriller, invece, l’inganno teso dall’assassino agli altri personaggi e allo spettatore, in genere fallisce e viene punito. (Dico in genere perché non sono pochi i film , come ad esempio il recente Saw , in cui invece l’ingannatore vince e resta impunito).
La Commedia, che pare prendere in giro dal principio alla fine i “valori”, le “certezze”, la presunta saldezza dei ruoli sociali, ha quasi sempre una soluzione morale. Questa soluzione morale non sta nel punire, ma nel comprendere, non sta nel rimettere ordine, ma nel cambiare l’ordine.

Insomma attraverso il divertimento, la Commedia ci propone l’utopia di una società più mite, più disponibile, che sappia felicemente trasgredire ai ruoli prestabiliti. Se la morale comune, prestabilita, si fonda sul moralismo, la vera moralità si fonda sul riconoscimento delle nostre debolezze e della nostra capacità di cambiamento. Non dipende dai ruoli, ma da come sappiamo interpretarli. Questa verità deve trasmettersi dal protagonista a tutti gli altri personaggi (e ovviamente al pubblico). L’utopia non sarebbe tale se non diventasse patrimonio pubblico. Ecco perché l’epilogo di una Commedia è quasi sempre una scena collettiva, in cui compaiono tutti i personaggi.

Questo non significa che la Commedia non possa avere anche un andamento e un esito meno “buonista” e più disturbante. La Commedia come abbiamo visto, nasce da una sorta di brodo primordiale di generi “dionisiaci”, che con il tempo si distinguono: alcuni diventano indipendenti e autonomi ( il Comico, l’Horror, il Porno, il Musical), altri restando all’interno dei confini della Commedia, ne sviluppano però un’infinita serie di varianti e di sfumature.

d) La Commedia è una cosa seria

“La Commedia funziona così: si crea una situazione, poi si fanno agire e reagire i personaggi alla situazione e tra di loro. In una commedia, i personaggi non scherzano, non vogliono far ridere: devono credere a ciò che fanno, altrimenti la situazione diventa forzata, troppo voluta, e spesso, poco divertente.” (Syd Field). L’esempio offerto a questo proposito da Syd Field è Divorzio all’italiana (1961) di Pietro Germi, premio Oscar per la sceneggiatura. Field lo definisce “ a classic film comedy”. Per la verità si tratta di un film molto poco classico, anzi del tutto fuori dagli schemi, una “black comedy” inabituale per il cinema italiano. La “Black Comedy” è una sorta di variante grottesca della Commedia , che mette al centro della narrazione eventi più degni di una tragedia: tradimenti, complotti, conflitti coniugali e famigliari, crimini e omicidi anche efferati. Appartengono a questo sotto-genere film come Arsenico e Vecchi merletti (1944) di Frank Capra, La signora Omicidi (1955) di Alexander Mackendrick, Getta la mamma dal treno (1987) e La guerra dei Roses (1989) di Danny DeVito. Field però si serve dell’esempio, e in particolare dell’interpretazione di Mastroianni , per sottolineare che in una Commedia “i personaggi sono intrappolati in una rete di circostanze e svolgono il loro ruolo con esagerata serietà.” In proposito, Field cita anche questa “sentenza” di Woody Allen : “In una commedia recitare in modo divertente è la cosa peggiore che puoi fare.”

Questa è un’indicazione molto importante per lo sceneggiatore. Il protagonista di una commedia non deve essere necessariamente un comico, anzi questo è un pericolo. Non dobbiamo pensarlo come personaggio comico. Sono le circostanze, la situazione che costruiamo, a produrre divertimento, ma il protagonista non si diverte affatto, è troppo coinvolto, non sta giocando , sta cercando di salvarsi la reputazione e persino la pelle. Analizzeremo in un’altra lezione la specificità del cinema comico, qui ci limitiamo a richiamare il modello Susarione, cioè la serie di gag senza capo né coda. Il genere comico è totalmente anarchico, non sopporta strutture troppo vincolanti di racconto, la storia è solo un lieve pretesto per unire un numero comico al successivo, il protagonista entra ed esce dalla parte e a volte persino dal suo ruolo di attore/interprete con assoluta libertà, con l’unica preoccupazione di sostenere un certo ritmo: come avviene per un solista jazz, insomma. La Commedia invece costruisce degli intrecci molto complessi, il protagonista deve affrontare problemi molto seri, salvarsi da situazioni estreme che possono travolgerlo da un momento all’altro. E’ dunque lui stesso, come scrive Field, esageratamente serio.

L’esempio limite che si può fare è Oltre il Giardino (1979) di Hal Ashby. Peter Sellers che interpreta il ruolo di Chance, un giardiniere mentalmente ritardato che viene scambiato per un grande esperto di economia, mantiene per tutto il film un’espressione stralunata, da alieno gentile. Mentre scorrono i titoli di coda, il regista ci mostra dei ciak non riusciti nei quali si vede Sellers che non riesce a frenarsi e scoppia a ridere. Nella conduzione del suo personaggio, ciò non era in alcun modo possibile, sarebbe stato un errore. Chance alla fine, con il suo totale candore, si rivela una sorta di creatura metafisica ( cammina sulle acque). Il film fa molto ridere, senza che nessuno rida mai sullo schermo. Anzi, i personaggi, tutti i personaggi, agiscono, parlano con una serietà estrema. Tutte le battute che si pronunciano, non sono umoristiche per chi le pronuncia, lo sono per noi spettatori, perché la situazione,il contesto, ciò che sappiamo (e che i personaggi ignorano) ce le fa apparire tali. Dicevo che siamo ai limiti estremi della Commedia, quasi inarrivabili (anche se un film come Forrest Gump è andato molto vicino a questo risultato).

Per riassumere: dal brodo primordiale dei generi non-tragici esce una forma di spettacolo più costruita che dagli spunti puramente farseschi degli inizi, sviluppa una costruzione e una struttura quasi ferrea. Questa struttura però consente di liberare toni, stili, sfumature diversissime tra loro.
La Commedia può essere molto popolare, anche esplicitamente volgare (tipo American Pie, per intenderci) , può essere indirizzata alla satira di costume, alla polemica politica e sociale, può anche arrivare ad esprimere una filosofia di vita, e persino un sentimento poetico dell’esistenza, come in Oltre il Giardino. La scelta del tono è dunque fondamentale. Il protagonista e gli eventi che scegliamo di mettere in scena costruiscono uno stile e insieme vengono condizionati da questa scelta di stile, cioè tutti gli elementi della rappresentazione devono restare coerenti.

ESERCIZIO – Tra i tanti film citati in questa lezione, vi suggerisco di vedere più volte e di smontare nelle sue singole parti, Tootsie (1982) di Sydney Pollack .
Distinguete anzitutto i Tre Atti (prologo e presentazione del protagonista/ nascita e sviluppo della complicazione/ Epilogo).
Di ogni singolo atto, appuntatevi gli episodi che scandiscono la narrazione. Insomma ricostruite la scaletta del film, evento per evento.
Scrivete su due colonne, da un lato le situazioni, dall’altro l’evoluzione psicologica del protagonista, cioè uno specchietto comparativo di come la sequenza di eventi influenzi il suo carattere.
Scegliete una scena esemplare, quella che preferite, e ricostruite il gioco degli equivoci, il modo in cui lo sceneggiatore li accumula, come li fa arrivare vicini alla zona di rischio (per il protagonista) e come riesce ad allontanarsene. Distinguete, in questa scena, gli equivoci verbali da quelli fisici o di fatto (dovuti alla situazione).
Studiate attentamente l’epilogo cioè la scena dello smascheramento finale, di fronte a tutti.
So che in genere nelle scuole di scrittura, si parte subito da esercizi di scrittura che possono essere efficacemente discussi in gruppo , ma insisto che questo lavoro andrebbe sempre accompagnato allo studio strutturale dei film, cosa che di solito viene troppo trascurata. Quando si sta scrivendo una Commedia questo studio di struttura non può assolutamente essere considerato secondario. Come ho cercato di mostrare, ciò che costituisce una commedia è il passaggio da una struttura fissa e quasi obbligata, a uno stile, cioè al nostro modo di usare questa struttura, in coerenza con il tipo di protagonista e con ciò che abbiamo scelto di raccontare. Prima di poter compiere queste scelte stilistiche è necessario che la struttura di base ci sia diventata famigliare.

12° Lezione di Gianfranco Manfredi  by www.gianfrancomanfredi.com