I GENERI MODERNI (X)
FUTURO


Nel racconto del Futuro, il genere più diffuso è la Fantascienza, genere per eccellenza moderno, che nasce letterariamente nell’età illuministica come costola del romanzo filosofico e che pone al centro della sua attenzione i progressi della scienza, ma in particolare della tecnica. Queste restano le caratteristiche dominanti del genere: 1. La centralità della tecnologia e i suoi sviluppi futuri; 2. Una rappresentazione del futuro che in quanto prefigurazione ha un risvolto filosofico, illuminando il senso (la direzione) della Storia e dell’esistenza umana. Esaminiamo uno per uno questi due aspetti, nella versione che ne ha dato il cinema:

1. La tecnologia è al centro del racconto. Anche quando si rappresenta un futuro decaduto, di solito post-atomico, nel quale la tecnologia ha fallito la sua missione e l’umanità è regredita alla barbarie, la tecnologia resta comunque al centro del racconto: è la sua mancanza, la sua fine, a dare senso al film. Trattandosi di racconto per immagini, il primo problema è come rappresentare la tecnologia nei suoi futuri sviluppi. Il cinema ha in realtà mostrato una scarsa capacità di anticipazione. Se si guardano i film e telefilm degli anni 30/40/50/60 è facile notare come gli sceneggiatori si siano basati su tecnologie già esistenti nella loro epoca, ma attribuendo loro prestazioni superiori. In Star Trek, per la verità, la grande invenzione narrativa della macchina del Teletrasporto appare ancor oggi avveniristica, sogno irrealizzato di tutti gli appassionati del telefilm, ma se si considera la sala controllo dell’Enterprise , è facile vedere come sia strutturata sul modello di una normale sala di controllo del traffico aereo. Per di più il grande schermo “cinemascope” attraverso il quale i navigatori osservano lo spazio, assume un risvolto metaforico neppure troppo velato: gli esploratori spaziali guardano l’universo come noi normali spettatori guardiamo la televisione (in avveniristica, ma stavolta profetica versione maxi-schermo). Il Capitano Kirk, comandante dell’equipaggio, non siede al tavolo comandi, ma su una poltrona posta al centro della sala, da dove impartisce gli ordini. E’ una sorta di capofamiglia, signore indiscusso del posto più comodo e del telecomando. In altre parole, in modo geniale, gli sceneggiatori hanno creato una sorta di cortocircuito simbolico nel quale l’identificazione del pubblico è fortissima: ci troviamo, da spettatori, di fronte a uno schermo da cui attendiamo sorprese, esattamente come i navigatori spaziali, non più afflitti da tute ingombranti, caschi, ambienti ristretti e assenze di gravità, sono a casa loro, ospiti di un comodo e vasto salotto nel quale tutti stanno rivolti verso uno schermo. Il vero prodigio è che loro, con il teletrasporto, possono trasferirsi fisicamente nel luogo che appare sullo schermo, mentre ciò a noi non è dato. D’altro canto lo sviluppo della tecnologia interattiva , pur in mancanza di una macchina teletrasportatrice, si è mosso nella stessa direzione, consentendoci se non altro un trasferimento virtuale. Resta il fatto che tranne questa ed altre rare anticipazioni tecnologiche, i film di fantascienza, visti solo pochi anni dopo, risultano, proprio sul piano tecnologico, irrimediabilmente datati. Dagli anni 70 in avanti, subentra lentamente, nel cinema, un altro criterio, capace di ovviare a questo inconveniente consentendo a un film avveniristico di non apparire patetico e invecchiato dopo solo pochi anni. Le astronavi e le loro dotazioni tecnologiche vengono totalmente ripensate e ricreate sotto un profilo più estetico che funzionale. Noi fatichiamo a comprendere con quale criterio funzionale sia stata assemblata la colossale, infinita astronave di 2001 Odissea nello Spazio e ancor più misterioso ci appare l’interno dell’astronave di Alien, bizzarro assemblaggio di ambienti asettici e di infernali cantine neo-gotiche, piene di tubi, catene, arredi che fanno pensare più all’archeologia industriale che a una fabbrica del futuro. La tecnologia fantasticata rischia meno l’effetto invecchiamento di quella probabile. Per lo sceneggiatore la difficoltà risiede nel fatto che mentre un’azione rappresentata in un ambiente reale si appoggia su elementi quotidiani ben riconoscibili (una stanza ha porte e finestre, poltrone, divani, sedie, tavoli eccetera) , un’azione rappresentata in un ambiente totalmente inventato presume che quell’ambiente sia o reso funzionale all’azione che si vuole rappresentare, oppure che l’azione venga raccontata in funzione del tipo di ambiente che è stato inventato e che dobbiamo aver ben presente al momento di sceneggiare. Gli ambienti non vengono trovati sulla base di quanto abbiamo scritto in sceneggiatura, ma vengono ideati congiuntamente alla sceneggiatura e ne condizionano contenuti e sviluppi. Per di più, trattandosi di ambienti estetici per eccellenza, e dunque corrispondenti allo stile del film, molto difficilmente possiamo riferirci o copiare l’ambiente di un precedente film di fantascienza. Dobbiamo per forza di cose creare il nostro ambiente, de-scriverlo. Non è un lavoro che possa essere affidato esclusivamente allo scenografo, dobbiamo quanto meno essere a conoscenza del suo lavoro e relazionarci con lui, per poter raccontare. La progettazione d’insieme è indispensabile. Senza progettazione generale non è possibile sceneggiare.

2. Il senso dell’esistenza. La caratteristica che accomuna film molto diversi tra loro come 2001 Odissea nello Spazio, Solaris, Blade Runner e Matrix (per citarne solo alcuni) è che l’avventura che vi si racconta “corteggia” significati metafisici. L’apparato filosofico non è qui un mero accessorio, né un modo per farci capire le opinioni dei personaggi, è invece connaturato al racconto. Creando un mondo futuro, noi esprimiamo anche una concezione del mondo attuale e delle sue tendenze. Ciò che oggi ci appare mescolato e confuso, nel futuro (depurato dall’obsoleto e dall’occasionale) si manifesta come tendenza compiuta e disvelata. Il futuro ci rivela la verità. Questa propensione filosofica non è generalizzabile a tutti i film di fantascienza, tuttavia ha segnato le punte espressive più alte di questo genere di cinema. Ed è anche un elemento perfettamente in linea con le origini stesse del racconto fantascientifico che, come sopra ricordato, è parte del romanzo filosofico del secolo XVIII. Anche in film di anticipazione in cui la tecnologia non è posta al centro, non possiamo perdere l’occasione per rappresentare situazioni di forte impatto simbolico e filosofico.
Guardatevi ad esempio lo splendido Rollerball (1975) di Norman Jewison che inventa un violentissimo sport in una società del XXI secolo dalla quale la violenza sociale è bandita. Tuttavia quando assistiamo alla distruzione di una fila di alberi per puro spasso a una festa di ricchi, è evidente che questa scena, da cui si potrebbe dal punto di vista del plot prescindere, è invece fondamentale dal punto di vista del racconto, per esemplificare in modo spettacolare il modo in cui e contro cosa in quel futuro la violenza viene praticata, senza neppure venire riconosciuta per tale. Similmente quando nel film ci viene detto che “nessun giocatore può essere più grande del gioco” (altrimenti il gioco viene distrutto), si pronuncia una massima filosofica di cui il racconto cinematografico è illustrazione. Insomma: se pensate che un racconto fantascientifico vi consenta di mettere in scena qualunque avvenimento in barba al senso narrativo, e senza necessità di “apologo”, vi sbagliate alla grande. Soprattutto con la fantascienza è fondamentale avere qualcosa da dire, con coerenza e con un orientamento ben definito, per esprimere attraverso il racconto un punto di vista forte sullo stato delle cose nel mondo e sui suoi possibili sviluppi futuri. Il futuro lo si racconta bene se impariamo a leggere il presente, ad identificarne le tendenze e ad interrogarci sui possibili sviluppi.

Consideriamo ora in breve i due principali filoni narrativi della fantascienza letteraria e cinematografica.

a) La Space Opera

2001 Odissea nello spazio di Kubrick, chiarisce già nel titolo la contiguità tra il viaggio di Ulisse per il Mediterraneo e quello di un equipaggio nello spazio. Da questo punto di vista, la Fantascienza non può essere considerato un genere a se stante, ma la trasposizione in altro scenario, dell’avventura come racconto d’esplorazione e come narrazione mitologica. Valgono dunque le stesse cose dette per il racconto epico: dev’esserci sempre uno stretto rapporto tra il carattere del protagonista (le sue qualità e le sue debolezze), e gli eventi e le situazioni affrontate, che da un lato rappresentano il Destino di cui l’eroe è ostaggio, ma dall’altra sono le occasioni attraverso le quali le doti del protagonista e la sua ricerca anche spirituale, trovano espressione.

b) L’anticipazione sociale

Qui l’ambientazione non è lo spazio, ma la Terra. E’ il futuro dei rapporti sociali che ci interessa. Una società dominata dai tecnocrati o al contrario una società post-tecnologica e neo-primitiva, com’è strutturata? Quali differenze presenterà rispetto alla nostra? La robotica,nella letteratura e nel cinema di fantascienza, è uno degli snodi essenziali di questa trasformazione. I robot sognano? Possono imparare ad amare? Possono sviluppare un’autonomia e una capacità di contro-programmazione? Gli interrogativi aperti su questo tema specifico dalla narrativa fantascientifica hanno dato luogo a una serie ricchissima di soluzioni diverse e alternative. Ma una delle difficoltà che si trovano in sede di sceneggiatura, nel prefigurare la società futura, sta nello scegliere non tanto gli elementi di cambiamento, quanto quelli di permanenza. Ad esempio nel film La Decima Vittima (1965) di Elio Petri, tratto dal racconto The Sixth Victim di Robert Sheckley si rappresenta una società futura in cui il delitto è legalizzato e organizzato come un’infinita partita di caccia reciproca. Nel tentativo di trasferire il racconto in uno scenario italiano, Petri suppone con evidente intento sarcastico, che in quel lontano futuro italiano il delitto sarà autorizzato, ma il divorzio no. Come dire: l’Italia non si emanciperà mai dalla tutela della Chiesa. Visto ai tempi, il film, nel suo esplicito paradosso, poteva anche apparire stimolante, seppure sul piano di una commedia grottesca. Visto oggi la previsione, così clamorosamente smentita dai fatti, più che grottesca pare insostenibile e più che provocatoria, pare arretrata. Il film è invecchiato esattamente come la tecnologia esibita dai film di fantascienza degli anni 50. Non si pensa, vedendolo “gli italiani non cambieranno mai” , casomai si pensa “gli italiani sono così legati al loro presente da non riuscire a immaginarsi il futuro” e in particolare “gli italiani non sanno fare la fantascienza.” (Il che sarà anche un luogo comune, ma attende ancora d’essere smentito). E’ bene che uno sceneggiatore consideri con estrema attenzione gli elementi rappresentati come permanenti, che sono certamente fondamentali per la narrazione, perché non tutto nel futuro che mostriamo può essere nuovo, strano e sorprendente: anche sull’astronave di Alien si fa colazione e si beve caffè in normalissime tazze. Ma quando si narra di organizzazione sociale cosa possiamo dare per immutabile? Che anche nell’epoca di Robocop la polizia abbia un’organizzazione gerarchica è sostenibile senza troppi rischi, ma che ad esempio la famiglia monogamica e mono-etnica sia ancora imperante è già questione realisticamente più esposta al dubbio. Lo scenario di cambiamento deve accentrarsi su un punto di particolare forza, non può dilagare in ogni zona del racconto, ma le permanenze è bene che passino quasi inavvertite, perché se incentriamo il racconto su di esse, si scivola nel campo rischiosissimo dell’anticipazione sociologica e politica nel quale la rappresentazione del futuro può venire, molto più rapidamente di quanto non possiamo pensare, smentita e travolta dalla realtà attuale e dai suoi sviluppi immediati. Il cambiamento centrale che abbiamo individuato e attorno al quale gravita il nostro racconto, quali cambiamenti a catena comporta? Questa è la prima questione da considerare. Gli elementi di permanenza fino a che punto possiamo sottolinearli? Se sono quotidianità pura e semplice passeranno inosservati, se sono organizzazione sociale, non tutti gli assetti sociali, non tutte le classi e le categorie professionali, non tutte le istituzioni hanno lo stesso grado di persistenza. E infine vanno considerati gli elementi scomparsi, non più esistenti. Ad esempio, i libri in una società che non produce più libri. Potrebbero essere un elemento di nostalgia e di rimpianto oppure oggetti talmente desueti da essere divenuti ormai indecifrabili. Lo stesso può valere per il cibo, e per mille altri aspetti consustanziali al nostro modo di vivere, alla nostra scala di valori e al nostro gusto, anche estetico. Tra novità, permanenze e mancanze va stabilito un equilibrio: ogni esasperazione in una direzione o nell’altra, ogni mix poco accorto, può portarci alla confusione narrativa. Di nuovo: non è vero che possiamo raccontare tutto quello che ci pare, dobbiamo dare vita a una visione del futuro che abbia una sua interna coerenza. E’ fondamentale saper costruire il futuro per differenza dal presente, ma anche in continuità con le linee di tendenza che individuiamo nel presente. Senza conoscenza del presente, ripeto, non riusciremo mai a raccontare bene il futuro che di questo presenze è proiezione ipotetica e insieme svelamento.

28° Lezione di Gianfranco Manfredi