L’ADATTAMENTO (II)

b) Il postino suona sempre due volte

Il romanzo di James Cain esce negli USA nel 1934 e ha un primo adattamento cinematografico in Francia nel 1939 (Le dernier tournant, di Pierre Chenal) . Viene successivamente riadattato nel 1942 in Italia (Ossessione di Luchino Visconti) con un film oggi considerato come il primo manifesto del neorealismo. In America viene portato sullo schermo solo nel 1946 (The postman always rings twice, di Tay Garnett ) e infine ripresentato a colori e in una nuova e differente versione nel 1981 (di Bob Rafelson, con sceneggiatura di David Mamet).

(NOTA- Non deve stupire che un classico della letteratura americana come il Postino di Cain sia stato adattato allo schermo per la prima volta in Francia. I francesi, oltre ad aver definito e codificato il genere noir di cui Cain è un Maestro riconosciuto, vantavano una robusta tradizione di storie di coppie criminali. In questo caso si può citare sicuramente Thérèse Raquin (1867) di Emile Zola, dal quale il romanzo di Cain prende chiara ispirazione. Si è anche scritto che a sua volta, quasi a chiudere il cerchio, al romanzo di Cain si sia ispirato Albert Camus per il suo L’etranger (1942). Questo secondo richiamo mi pare tuttavia piuttosto flebile in quanto, sul piano della vicenda, l’unico collegamento tra il romanzo di Camus e quello di Cain sta nel fatto che essi sono scritti in prima persona da un condannato a morte. E’ comunque interessante notare come nel romanzo criminale, e in particolare nel Noir, le singole e ben distinte opere di autori, anche di notevole rilievo e di grande personalità, tendano ad iscriversi, nella percezione dei lettori, in una sorta di comune flusso narrativo. Questo conferma quanto sia importante l’indagine delle caratteristiche dominanti dei generi che, come ho cercato di mostrare, non si poggiano soltanto su delle strutture di racconto, ma esprimono delle filosofie correnti, dei punti di vista ben riconoscibili da cui si guarda alla vita, cioè delle interpretazioni del mondo condivise, che in quanto tali, travalicano i singoli autori e le singole opere. Le persone avverse a un certo genere, che si tratti dell’Horror piuttosto che della Love Story, del Noir o del Porno, lo sono perché non ne condividono la filosofia, non per una valutazione di tipo estetico. La valutazioni estetiche riguardano infatti le singole opere e i singoli autori, non possono riguardare un Genere nel suo complesso).

Qui confronteremo tra loro due adattamenti del romanzo di Cain: Ossessione di Visconti (film interpretato da Massimo Girotti e Clara Calamai) e l’edizione del 1981 di Rafelson (interpretata da Jack Nicholson e Jessica Lange). Entrambi i film sono facilmente reperibili in DVD e ve ne raccomando la visione e lo studio, in modo da approfondire meglio e più direttamente ciò che qui, per esigenza di sintesi, mi limiterò ad accennare.

1. Il plot

Questa è la scaletta del romanzo, capitolo per capitolo. Vi sarà utile anzitutto come modello di riassunto “per tappe” di un romanzo ( cosa che dovrete sempre fare per preparare un adattamento) e poi come riferimento per confrontarlo ai due film sopraccitati.

Califonia, tra il confine con il Messico e Los Angeles. Frank Chambers, un vagabondo di 24 anni, si ferma a un distributore di benzina con autorimessa dotato anche di una bettola, proprietà e abitazione di Nick Papadakis, un grassone di mezza età, di origine greca. Questi, che ha bisogno di un garzone, offre subito a Frank di restare lì. Frank esita, finché adocchia, in cucina, Cora, la giovane moglie di Frank, una bruna formosa, non particolarmente bella, ma sfrontata e aggressiva, quanto basta per fargli subito bollire il sangue. Frank decide di restare.( Capitolo 1).

Frank aggiusta l’insegna luminosa del locale e conquista subito la fiducia di Nick. Con Cora le cose vanno molto rapidamente: sotto il reciproco atteggiamento di sfida c’è una chiara tensione sessuale che viene sfogata subito. Al primo bacio lei gli ribatte “Mordimi!” e lui le fa zampillare il sangue dalle labbra. Poi se ne vanno di sopra.( Capitolo 2).

Frank approfondisce la conoscenza di Cora e apprende che viene dallo Iowa dove, eletta Reginetta di Bellezza, aveva vinto una trasferta a Hollywood. Qui però non era riuscita a superare i provini, a causa del suo accento rustico. Per un po’ si era prostituita, ma quel lavoro la disgustava, e dunque alla prima proposta di matrimonio, aveva accettato. Adesso però, è stanca di quel grassone del greco. Frank le propone di andarsene via insieme, ma Cora non vuole fare la vita della vagabonda. Invita piuttosto chiaramente Frank a far fuori suo marito. Frank non se la sente, anche perché lo trova un brav’uomo. D’altro canto, ormai non può più rinunciare a Cora. L’intesa non è più soltanto sessuale, con lei gli pare di stare in un’altra dimensione, come sospeso tra inferno e paradiso.
(Capitolo 3 ).

Frank ha ideato l’omicidio, in modo da farlo passare per un incidente (una caduta in bagno), ma è Cora ad eseguire il piano. In quel preciso momento però un agente di polizia si ferma al distributore, Frank lo intrattiene, mentre un guasto manda in tilt l’impianto elettrico e la casa resta al buio. Cora non è riuscita a completare l’omicidio. Il greco è esanime e probabilmente non s’è neppure reso conto di quanto è accaduto. Non si può far altro che chiamare un’ambulanza, ad evitare che il poliziotto possa nutrire sospetti. Al risveglio in ospedale, il greco non ricorda quanto è accaduto. Il poliziotto intanto ha trovato un gatto morto fulminato vicino alla cassetta delle valvole. Ogni possibile sospetto si è dissolto. Frank e Cora per il momento, l’hanno fatta franca.( Capitolo 4).

Frank e Cora, mentre il greco è ricoverato, passano una settimana felice. La tensione per quanto è accaduto sconsiglia loro di riprovarci in futuro. Decidono di partire, ma lei si ferma subito e scoppia in lacrime. Proprio non ce la fa a lasciare quel poco di sicurezza che si è guadagnata. Si commuove anche Frank. Si lasciano piangendo. (Capitolo 5).

Frank va a San Bernardino, per quindici giorni gioca a biliardo e spenna due tipi . Con duecentocinquanta dollari in tasca, se ne va a Glendale dove spera di incontrare di nuovo Cora e il greco che frequentano spesso il mercato locale. Gioca ancora a biliardo però stavolta viene spennato lui e si ritrova di nuovo senza un soldo. Al mercato incontra Nick, che è uscito dall’ospedale e sente la sua mancanza: i due garzoni che aveva assunto in sostituzione di Frank, erano un buono a nulla e un ladro. Frank torna con il greco. Con Cora tiene le distanze. Una notte la sente urlare in camera. Cora chiede a suo marito di allontanare Frank, sostiene che non lo sopporta. Frank intuisce che in realtà Cora voleva che lui ascoltasse la litigata, anche se non ne comprende i motivi. Più tardi, Cora gli rivela che il greco vuole un figlio da lei. Questo, Cora lo considera intollerabile. E’ in previsione una gita a Santa Barbara per una festa. Il greco si aspetta che in quell’occasione Cora dia il suo consenso. Cora implora Frank di accompagnarli e di approfittare del viaggio per ammazzare Nick. Altrimenti per lei non resterà altra strada che il suicidio. Non vuole un bambino dal greco, lo vuole da Frank. Si dichiarano il loro amore. (Capitolo 6).

Alla festa, il greco si ubriaca. Frank regge il gioco e simula ubriachezza. Nel viaggio di ritorno, è Cora a mettersi alla guida. Durate una sosta per un apparente disturbo al motore, Frank colpisce greco con una chiave inglese. I due amanti spingono l’auto in una scarpata e si fingono a loro volta vittime di un incidente, percuotendosi l’un l’altra. La violenza e la tensione sono tali che finiscono per possedersi sul posto. (Capitoli 7 e 8).

Poi Frank e Cora si ripassano la versione da fornire alla polizia. Una caduta casuale, mentre Frank sta risalendo la china, lo spedisce nel mondo dei sogni. Intanto Cora ha fermato un’auto di passaggio ed è stata chiamata un’ambulanza. Ci sarà un’inchiesta,però. La polizia infatti non è affatto convinta della dinamica dell’incidente e Frank si trova ad affrontare un processo. C’è di mezzo un fatto di cui Frank non sospettava: Nick aveva stipulato un’assicurazione sulla vita. La polizia, su input degli agenti assicurativi che non vogliono pagare il premio, sospetta che Frank lo abbia ucciso con la complicità di Cora per tenersi la proprietà e incassare i soldi. Frank professa la sua innocenza, ma è sotto farmaci e approfittando della sua labilità mentale, la polizia gli fa firmare una dichiarazione nella quale accusa Cora ( Capitolo 9).

Frank si procura un avvocato piuttosto astuto. Cora, incattivita, vuole confessare tutto. Rinchiusa in carcere, detta la sua confessione a un dattilografo, convinta che il tipo le sia stato mandato dalla polizia, mentre in realtà è un emissario dell’avvocato di Frank che ha pensato bene di farla sfogare, per guadagnare il tempo necessario a sistemare le cose. L’avvocato tratta con l’assicurazione e con raffinati espedienti, ottiene che la denuncia contro Frank e Cora venga ritirata. I due amanti vengono liberati. (Capitolo 10 e 11).

Dopo il funerale del greco, Cora e Frank trovano modo di spiegarsi tra loro. Di nuovo, dalle parole passano ai fatti e si prendono con brutalità ( Capitolo 12).

Il rapporto tra Cora e Frank si trascina tra litigi e sbornie. Frank ha un’avventura fugace con un’artista di un circo. Lei si trova bene e con lui e gli propone di aggregarsi alla carovana. Ma Frank sente che ormai non può più fare a meno di Cora e torna da lei ( Capitolo 13).

Cora nel frattempo è stata in Iowa per il funerale di sua madre. Il rapporto tra lei e Frank pare rasserenarsi. Ma rispunta fuori il dattilografo dell’avvocato che dopo essere stato licenziato ha bisogno di soldi e vuole ricattare Cora, avendo conservato la sua confessione. Frank lo pesta a sangue, si impossessa della confessione e la distrugge. Cora lo deride: per lei la cosa era irrilevante, una volta assolta non poteva più essere processata per quel reato. Il rischio avrebbe riguardato solo Frank. E’ irritata con lui perché ha scoperto la sua avventura con la donna del circo, e ha una crisi isterica. Durante la notte, si calmano e si spiegano. Decidono di sposarsi. Lei rivela a Frank di aspettare un bambino da lui. Dopo il matrimonio vanno a fare un bagno in spiaggia. Mentre tornano a casa, hanno un vero incidente di macchina e Cora resta uccisa ( Capitoli 14 e 15).

Frank viene accusato d’aver provocato a bella posta la morte di Cora e stavolta l’avvocato non riesce a fare nulla per lui. Disilluso di tutto, sperando ormai solo di poter riunirsi a Cora nell’aldilà, Frank scrive la sua storia nel braccio della morte, dopodiché attende solo che lo vengano a prelevare (Capitolo 16).

I primi capitoli del romanzo sono brevi e rapidissimi. I fatti si susseguono a un ritmo bruciante. Il capitolo 9 è molto più lungo. La vicenda rallenta dando spazio all’inchiesta ,alle strategie processuali, insomma al lato più propriamente “giallo” della storia. Ma il rallentamento corrisponde anche al venir meno della furente tensione erotica tra i due personaggi, che seppure con alti e bassi, scarti e ritorni indietro, si trasforma in una storia d’amore segnata tanto dalla colpa quanto dal sogno di trovare stabilità: una casa, un reddito sicuro, un bambino, un futuro più sereno. Il finale è improvviso e tronca la storia con freddezza, proprio come se le forbici del destino ne spezzassero il filo di netto. Questa alternanza di ritmo, molto ben giustificata nel romanzo, presenta un problema dal punto di vista della trasposizione cinematografica. I ritmi in un film si possono certo alternare, ma bisogna sempre stare attenti che le diverse parti (grosso modo i Tre Atti) non abbiano tempi troppo diversi tra loro perché l’opera complessiva non risulti squilibrata. Nel caso, il Primo Atto potrebbe apparire troppo sbrigativo, il Secondo eccessivamente lungo e il Terzo Atto nient’altro che un brusco finale. Come è stato risolto il problema nei film di Visconti e di Rafelson?

In Ossessione, Visconti parte in quarta, con lo stesso ritmo incalzante e provocatorio del romanzo. Poi elimina dei passaggi. Cancella del tutto il primo tentativo di omicidio, passando subito all’omicidio riuscito. Nella parte centrale del racconto, evita le alternanze e gli andirivieni tra l’ambiente reclusorio e statico della trattoria e le escursioni en plein air alle città vicine. Lascia la trattoria e si affida alla dinamica del viaggio, degli ambienti sociali e degli spazi aperti, potenziando la dinamica degli eventi, ravvicinandoli temporalmente, in modo che pur aprendo lo spazio del racconto, il ritmo non rallenti troppo. In questa sezione, Visconti inserisce un personaggio di sua invenzione: il protagonista incontra infatti un suo simile, un ex vagabondo che fa l’imbonitore da fiera, che lo aiuta, gli procura un lavoro, per quanto poco gratificante, e da amico ne ascolta lo sfogo e gli consiglia, senza successo, di tenersi ben lontano dalla donna che gli ha fatto perdere la testa. E’ un inserimento brillante. Il romanzo infatti è narrato in prima persona e il protagonista può dunque raccontare i suoi dubbi direttamente al lettore, ma in un film deve esteriorizzarli a un interlocutore, qui genialmente rappresentato nella figura di un alter-ego. Inoltre in questo modo, si mostra che il protagonista ha avuto a disposizione un’alternativa, una scelta diversa, e questo rende drammaturgicamente più efficace il fatto che la rifiuti, a dispetto di ogni evidenza. Tutta la lunga fase processuale viene eliminata. La polizia agisce sul campo, segue e insegue i sospetti, che fuggono e si sfuggono, si tradiscono, cedono ai nervi, si ritrovano, vivono permanentemente braccati dagli altri e da se stessi, finché l’incidente fatale durante l’ultima e apparentemente liberatoria fuga, diventa la fine inevitabile della corsa. Lui è ancora chino sul cadavere di lei, quando la polizia lo raggiunge. Tutto si conclude lì. Ma non è un finale brusco. E’ una finale predestinato. Non c’è più nulla da spiegare, perché la vicenda si è spiegata da sola, nel suo svolgersi.

Nel Postino suona sempre due volte di Rafelson, la prima parte viene invece rallentata, l’incontro sessuale tra i due protagonisti è frutto di un corteggiamento più cauto che esplode con furia proprio perché rimandato. In uno sforzo di maggiore rispetto del romanzo, nessun passaggio narrativo viene trascurato o eliminato, anzi se ne aggiungono altri. Ad esempio nel romanzo la festa del greco uscito dal ricovero in ospedale non viene affatto raccontata, mentre nel film è rappresentata in una scena di parecchi minuti nella quale il greco ha un rilievo, come personaggio, del tutto assente nel romanzo. Le partite a biliardo (eliminate da Visconti) diventano un gioco d’azzardo stradale e vengono così sbrigate più velocemente, ma restano comunque un passaggio poco incisivo. La parte processuale è così ampia da diventare un film nel film e il personaggio assolutamente minore dell’avvocato assume un ruolo ingiustificato da co-protagonista. L’unico taglio, tra tante aggiunte, è nel finale, dove Frank resta prostrato e sconfitto di fronte al cadavere di Cora, senza che ne segua l’arresto e la sedia elettrica, che a quel punto sarebbero un’appendice drammaturgicamente forzata e inutilmente punitiva. La critica cinematografica, che in genere tende a premiare lo sforzo di maggiore fedeltà a un’opera narrativa, in questo caso è stata compatta: il film è insopportabilmente lento.

2. I protagonisti
Ho già sottolineato nelle prime lezioni, quanto sia fondamentale in un film presentare con efficacia i personaggi, in modo da esprimerne subito, visivamente, non solo il carattere, ma il momento emotivo in cui si trovano. La presentazione che Visconti fa della coppia protagonista è esemplare. Lui, scoperto addormentato sul retro di un carro, viene svegliato e si avvia alla trattoria, entra e si avvicina al banco, senza che il pubblico possa mai vederlo in volto. Sente una donna cantare dalla cucina. Si avvia da quella parte, sempre di spalle, e si ferma sulla soglia. Davanti a lui ora c’è l’altra protagonista, ma nemmeno lei vediamo: lui la impalla lasciandocene scorgere soltanto le gambe nude e dondolanti. Stacco su di lei che si sta limando le unghie seduta su un tavolo e solleva lo sguardo, smettendo di cantare, con espressione più sfrontata che sorpresa. Solo a quel punto vediamo il volto di lui, che si incanta e si accende. Ricordo che il film è del 42. Il protagonista presentato di spalle anticipa di molti anni lo stile di presentazione dei personaggi di Brando e di James Dean. La protagonista, preceduta dal suo canto, e rappresentata come una sensuale apparizione, vi ricorda nulla? E’ la sequenza di presentazione di Gilda, di cui abbiamo già parlato. Solo che Gilda è un film di quattro anni dopo! L’intensità di questo primo incontro tra i personaggi, che è anche il nostro primo incontro con loro (si scoprono con uno sguardo, nell’istante stesso in cui noi li scopriamo), esprime già il loro distinto carattere e insieme il rispecchiamento dell’uno nell’altra, la reciproca intesa.
Nel film di Refelson l’incontro è invece rimandato. Tutta la rappresentazione è più debole. Prima entra in scena Jack Nicholson e ci viene mostrato immediatamente, affidandosi semplicemente a lui. Non è il personaggio che entra in scena: è Jack Nicholson. Jessica Lange la vediamo dal suo punto di vista: una presenza femminile che traffica in cucina e gli dedica solo uno sguardo distratto. Inoltre la precisione drammaturgica e l’esibita fedeltà al romanzo vanno entrambe a farsi benedire a priori e indipendentemente dalla volontà dello sceneggiatore, in virtù della stessa scelta degli attori che non corrispondono per nulla ai personaggi del romanzo: Jack Nicholson non è un ragazzo di ventiquattro anni apparentemente innocuo, è un uomo adulto e con la faccia da gangster. Non c’è alcun motivo logico per cui il greco possa fidarsi di lui e offrirgli un lavoro da garzone, né si capisce perché Cora dovrebbe sentirsene attratta e insieme giudicarlo abbastanza ingenuo da poter essere manovrato. Jessica Lange inoltre non è certo il tipo della ragazzotta rustica ex-miss scolastica di uno sperduto borgo dello Iowa e infatti, forse proprio per evitare l’implausibilità, nel film non ci rivelerà nulla del suo passato. (Se infine si considera che originariamente il ruolo di Cora era stato offerto addirittura a Maryl Streep , appare evidente quanto il film fosse fuori strada prima ancora di venire realizzato). Forse si confidava che la scelta di attori di grande richiamo avrebbe reso più esplosive le scene calde (quasi hardcore, non solo per la furia, ma per l’insistenza su certi dettagli, come la mano e la faccia di Nicholson tra le cosce di Lange). Anche queste scene paiono forzate, troppo volute, ed esse stesse deboli (non ci sono i morsi e il sangue del romanzo). Era del resto piuttosto ingenuo pensare che potessero ancora apparire forti nel 1981, cioè ben otto anni dopo Ultimo Tango a Parigi. Non c’è dunque da stupirsi troppo se, completamente fuori ruolo, sia Nicholson che Lange hanno offerto una delle interpretazioni peggiori della loro brillante carriera.

3. L’ambiente

Gli anni 30 e il desolante sud California di Cain immergevano la vicenda criminale nella giusta cornice della Depressione, nella quale le illusioni e le speranze dei due giovani protagonisti non potevano che richiedere il prezzo del delitto e andare drammaticamente deluse. Le trasposizioni europee, sia quella francese che quella italiana, trovarono sicuramente un punto di grande forza espressiva nel dipingere un quadro di campagna degradata a puro territorio di attraversamento, luogo di marginalità assoluta rispetto alle grandi città. Visconti sceglie un’ambientazione molto insolita, nel cinema italiano di tutte le epoche, e cioè le Marche, che sono per tradizione una sorta di territorio “a parte”, sufficientemente neutro da non richiedere caratterizzazioni troppo pronunciate in termine di usi locali e di dialetto, come sarebbe stato invece scegliendo il Veneto o la Campania. Questa felice scelta impedisce al contesto di inghiottire la vicenda. La vicenda, tanto accuratamente ambientata, quanto spaesata, mantiene così una sua esemplarità al di là dell’ambiente, come è caratteristica di un vero dramma, che in quanto dramma umano, deve riguardare tutti, e non apparire mai come pretesto per raccontare una realtà sociale specifica. Tanto per chiarire: L’Oro di Napoli non può ovviamente venire ambientato altrove, le sue storie si inscrivono in un ritratto della città, di quella città e della sua cultura. Le dinamiche di un noir invece debbono serbare una loro astrattezza. Il luogo non è certo indifferente, né il momento, ma non deve mai prevalere sul destino dei protagonisti che anzi ci vengono narrati come “estranei”, irriducibili alla realtà che li circonda, in disperato conflitto con essa, in cerca di riscatto e di fuga, nomadi perpetui e predestinati, trascinati come rifiuti dal fiume della vita. L’ambiente giusto è dunque quello che meglio consente di rappresentare questa loro condizione vissuta di estraneità.
Nel film di Rafelson invece il contesto, spostato in una terra di nessuno del centro america, incrocio di tutte le direzioni possibili, e negli anni 40, è una cornice d’epoca di mero contorno, resa meno miserabile e più patinata da una fotografia flou chiaramente orientata ad alleggerire, quasi si pensasse che il film fosse già di per sé sufficientemente crudo da non dover venire aggravato da immagini di degrado. Pesava sicuramente il confronto con la precedente edizione americana, la quale trasferiva la storia in un bianco e nero, gioco perpetuo di luci ed ombre, che la rendeva assolutamente astratta e la impreziosiva con il caratteristico glamour del film noir: Frank, un duro attraente, Cora una bionda platinata. Rispetto a questa attrattezza totale, probabilmente Rafelson intendeva dare maggior peso al realismo d’ambiente, pur serbando uno stile elegante che preservasse il film dal rischio opposto, quello di precipitare nel trucido. Si resta così a metà strada, in una caratterizzazione che non caratterizza a sufficienza, né in direzione dell’astratto, né in quella del concreto. Lo stesso per le scelte di dialogo, che nel romanzo è costituito da una lingua frammentaria e incerta, a volte esibizionisticamente sferzante, altre volte ingenuamente sentimentale e ridondante di luoghi comuni. Cioè la lingua di due ragazzi immaturi. Il linguaggio usato da Nicholson e Lange è scarno e funzionale, nemmeno questo ci aiuta a capire chi sono. Il risultato è che tutto appare ancor più finto e nulla ci aiuta a capire perché i protagonisti ragionino e agiscano in quel modo.

( NOTA- Come si vede, non sempre la quantità di mezzi a disposizione, l’eccellenza del cast, la forza d’impatto della promozione, riescono a salvare un film dal flop e, ciò che più conta, da un modesto risultato espressivo. Ho già accennato a come Jerry Lewis nella sua scuola di cinema facesse studiare i film brutti in modo da far capire bene agli allievi i possibili errori. Ma film brutti non significa necessariamente film realizzati dilettantisticamente, anzi i film non riusciti che allo studio ci rivelano gli errori più sorprendenti, sono proprio quelli realizzati con i migliori professionisti. Il professionismo di per sé non preserva dagli errori. Non si sbaglia soltanto quando si è alle prime armi, si può sbagliare sempre, anche ai massimi livelli. Studiare gli errori è fondamentale per evitarli. Ma non commettere mai più errori è praticamente impossibile, soprattutto in un lavoro complesso e collettivo come quello del cinema. Se restate frustrati di fronte a un vostro errore, tanto da sentirvi spinti a rinunciare, non siete fatti per questo lavoro. L’errore è oltre che difficilmente evitabile, fondamentale, se si impara a riconoscerlo, per crescere ed affinare la propria espressività. Il vero problema casomai è che oggi l’industria cinematografica non consente più come un tempo la possibilità di sbagliare ai registi, agli attori e, in misura certo minore, anche agli sceneggiatori. O si ottengono risultati immediati o continuare diventa difficile. Questo però non è colpa di chi lavora come regista, come attore o come sceneggiatore. E’ un errore dell’industria, che riconosciuto o meno, crea danni strutturali e di lunga durata.)

In conclusione: molti sono gli elementi da soppesare in una trasposizione da romanzo a film.
Il primo è la scelta di cosa mantenere e di cosa eliminare. Un film non si appoggia soltanto sul linguaggio verbale: ci mostra le cose, ci fa ascoltare suoni, rumori, musiche o silenzi, e da questo punto di vista è una narrazione globale, più ampia di quella della letteratura. Ma un film ci racconta tutto questo in un tempo dato, che è tempo narrativo (format e scansione ritmica del racconto, che in un romanzo non corrispondono a regole predeterminate) e tempo di ricezione (uguale per tutti gli spettatori, mentre il tempo di lettura di un romanzo è differente per ogni singolo lettore). Sotto questo profilo, la narrazione di un film è molto più breve e sintetica. Mostrando di più, può però raccontare meno, se vuole raccontare bene. Una digressione in un film pesa molto di più che in un romanzo e tra l’altro in un romanzo possiamo anche prenderci il lusso di saltarla e passare oltre, mentre in un film no (in genere ci ritroviamo dormienti prima che sia finita). Le scelte che eliminano sono dunque in un adattamento cinematografico più opportune e premianti di quelle che aggiungono. In particolare gli snodi della vicenda vanno semplificati. Le aggiunte si rivelano necessarie non solo e non tanto per potenziare l’aspetto spettacolare (esempio: l’aggiunta dell’animata scena di ballo e di festa in onore del greco), ma per poter esprimere in linguaggio cinematografico, cioè mostrando in azione, ciò che in un romanzo viene semplicemente narrato a parole e in una dimensione psicologica distinta dagli eventi (esempio: i tormenti interiori di Frank, da lui confessati in Ossessione a un altro personaggio).
Il secondo elemento fondamentale è la rappresentazione dei personaggi, rispetto alla quale il cinema è certo più erede delle tecniche di scrittura teatrale che di quelle romanzesche. In un film il personaggio fin dal suo primo apparire deve trasparire, cioè comunicare la sua fisicità, il suo ruolo, la sua essenza e il suo stato d’animo. Una presentazione casuale o sbagliata finisce per pesare negativamente sul personaggio, sulla sua identità e sul suo sviluppo drammaturgico.
Il terzo elemento è la scelta dell’ambientazione. Bisogna valutare molto bene se in un romanzo i personaggi e la storia sono inseparabili dal loro ambiente (abbiamo ad esempio visto come si sia in prevalenza scelto di non separare Jekyll dalla Londra vittoriana, e del resto sarebbe ben più arrischiato separare Sandokan dalla Malesia ), o hanno invece sufficiente autonomia da poter essere trasportati in altro contesto e in altra epoca (ad esempio Emma Bovary in quanto personaggio-simbolo di un certo tentativo di evasione/riscatto femminile è stata spesso dislocata senza soffrirne troppo). Tuttavia bisogna anche valutare attentamente come e quanto il mutato ambiente si presti a mettere in luce (meglio se in nuova luce) quel personaggio e quella storia, a meno che non si voglia farne un adattamento così libero da rendere pretestuosa l’origine letteraria.

23° Lezione di Gianfranco Manfredi  by www.gianfrancomanfredi.com