Come si racconta il proprio tempo? Possono esserci diverse coniugazioni del “presente”: si può ricostruirlo su un arco temporale di anni, oppure in “presa diretta” cioè concentrandosi sul “qui ed ora” fino a farlo coincidere con il momento. Ci si può applicare a un problema, a un ambiente, a uno scenario attuali raccontandoli per linee generali o per vicende esemplari (autentiche o ricostruite) in cui chiunque possa riconoscersi e rispecchiarsi, ma si può anche raccontarli approfondendo in dettaglio usi, costumi, consuetudini, linguaggi di professioni, settori e ambienti sociali particolari, documentandone con estrema precisione la vita quotidiana, dentro e al di là della problematica generale e fuori da un’immediata riconoscibilità. Ad esempio: in Silkwood (1983) e in Sindrome Cinese (1979) , vediamo documentato l’ambiente di lavoro di una centrale nucleare, cioè qualcosa di talmente particolare da sfuggire alla nostra conoscenza diretta ed esperienza. Infine, ed è la via più praticata, si può ambientare un film nell’oggi, senza che la vicenda si occupi strettamente di attualità: un oggi riconoscibile, ma generico, che fa da cornice o da sfondo a una storia che avremmo anche potuto collocare in altro contesto temporale o geografico. Piccoli segnali (ad esempio l’uso o meno del telefono cellulare) restano legati al periodo, ma la dinamica della storia di per sé, il tipo di vicenda “eccezionale”, non tipicamente quotidiana, può continuare ad essere percepita come “ambientata nel presente” anche quando il presente del film è in realtà passato da qualche anno.
Dunque c’è da chiedersi: l’Attualità può essere considerato un genere a se stante? Parrebbe ovvio rispondere di no. Qualsiasi genere di storia (commedia, dramma, avventura, horror, love story…) può essere ambientata nel Presente. E può trattarsi anche di un Presente generico, imprecisato.
D’altro canto, la Narrativa di Attualità è anche un genere per certi versi a sé stante, nuovo e assolutamente moderno, che ha sviluppato nel tempo caratteristiche sempre più definite. Il teatro di Aristofane e di Plauto trattava sicuramente di temi e personaggi all’epoca attuali, però è estremamente difficile trovare nella narrativa antica ricostruzioni dettagliate degli ambienti sociali e in particolare degli ambienti di lavoro. Si dice che il tal personaggio è un servo oppure un nobile o un commerciante, e dunque vive, si comporta e parla di conseguenza, però si ritiene inutile raccontare in dettaglio la sua vita lavorativa quotidiana. Si raccontava il “ruolo sociale”, ma non i meccanismi intriseci di questo ruolo. Si descriveva l’esito (per esempio lo scudo prodotto da un artigiano), ma non la pratica materiale (il modo di forgiarlo). Si teneva anche in conto che di certi mestieri specifici il contenuto tecnico era spesso esoterico, cioè si tramandava all’interno del mestiere, ma lo si teneva segreto al mondo, guardandosi bene dal farlo diventare patrimonio collettivo. E’ soltanto a partire dal XVIII secolo, con l’Encyclopedie di Diderot e d’Alembert , che il mondo delle arti e delle professioni diventa davvero protagonista, con descrizioni minuziose e puntali di tecniche, procedure, know how di settore o specialistici, diremmo oggi, allo scopo di diffonderne la conoscenza in tutto il corpo sociale. Ed è con l’inizio del giornalismo che la narrazione della società diventa anche indagine minuta delle sue singole componenti. I romanzi di Emile Zola, sulla vita dei Mercati Generali di Parigi, piuttosto che su quella dei minatori, delle prostitute, degli agenti di Borsa, sono altrettante ricognizioni d’inchiesta. Zola va a vedere gli ambienti che si propone di raccontare. Riempie quaderni e quaderni di appunti su come sono le case delle persone, i luoghi e i modi di lavoro, le abitudini di vita. E questo non costituisce puramente e semplicemente lo sfondo della vicenda, ne diventa anzi la sostanza. Gli scrittori moderni si propongono di essere, come aveva profetizzato Jean Jacques Rousseau nel XVIII secolo, degli “occhi viventi”, che scrutano la società nei suoi angoli più oscuri, la descrivono con cognizione di causa, e la raccontano insieme con la partecipazione di chi si appassiona al vissuto altrui e con il distacco dell’osservatore esterno.
Il cinema esalta, senza ombra di dubbio, questo lato sociologico della scrittura, fin dai tempi del cinema muto. King Vidor nel suo capolavoro del 1928 The Crowd (La Folla) rappresenta con straordinaria aderenza la vita quotidiana di una coppia, in un ambiente urbano e massificato di piccoli impiegati. Già la narrazione anticipa non solo il cinema neorealista, ma persino tecniche di recitazione così immedesimata (soprattutto se confrontata con l’enfatica teatralità della recitazione dell’epoca) da sostituire (come nella scuola dell’Actor’s Studio) l’essere al simulare.
I telefilm hanno ulteriormente approfondito questa ricognizione delle professioni, tre in particolare: avvocati, poliziotti e medici. Se confrontate le vecchie serie televisive a quelle nuove, per esempio Perry Mason con The Practice (Professione avvocati), Dragnet con C.S.I., il Dottor Kildare con Dr House, vi risulterà evidente come nel tempo sia cresciuto l’interesse riguardo agli aspetti più specialistici delle professioni, la precisione nella ricostruzione dell’ambiente di lavoro, del linguaggio tecnico e delle modalità operative. Nei libri gialli di Gardner (l’autore di Perry Mason) in realtà si dava grande spazio all’approfondimento delle procedure legali. Perry Mason non aveva soltanto fiuto, ma esibiva una capacità sorprendente di sfruttare qualsiasi cavillo, anche ai limiti della legalità. Nella versione televisiva, tutti i dettagli tecnici e le conoscenze specifiche del mestiere di avvocato venivano sacrificati, in quanto si riteneva che ciò avrebbe respinto uno spettatore a digiuno della materia. La stesso si può dire per il Dottor Kildare: era il suo atteggiamento umano ad essere posto in  primo piano, evitando di inoltrarsi nel territorio (ritenuto ostico per il grande pubblico) delle diagnosi e delle prognosi, della descrizione delle cause e del decorso di una certa malattia, della discussione delle possibili terapie. Nel Dr House, le caratteristiche psicologiche del personaggio e il suo atteggiamento, non sono più separabili dalla sua competenza tecnica. Le storie stesse sono costruite sulla base di una casistica medica possibile, sull’indagine delle cure, sui meccanismi di funzionamento dell’ospedale come istituzione. Certo, in queste serie, gli sceneggiatori possono avvalersi di consulenti esperti in un campo particolare, ma non possono esimersi essi stessi dall’acquisire una conoscenza specifica. E’ più semplice far intervenire il consulente in seconda battuta (per verificare e correggere eventuali errori) piuttosto che scrivere fin dal principio sulla base di un suggerimento tecnicospecialistico.
Nel cinema, uno sceneggiatore si trova poi spesso a dover descrivere, nello stesso film, ambienti molto diversi tra loro, e di ciascuno deve acquisire una certa competenza. Prendete ad esempio Fast Food Nation di Richard Linklater (2006), definito un poco impropriamente docu-fiction, ma certamente molto realistico nella ricostruzione sia della vita di alcuni giovani precari, che degli operai dei macelli, o dei dirigenti delle grosse catene commerciali.
Anche se oggi il cinema d’interesse squisitamente sociale non ha più la stessa preminenza di venti e passa anni fa, la precisione nella rappresentazione della società è in compenso di molto cresciuta trasversalmente in tutti i film, di ogni genere, ambientati nel presente, anche in quelli che non presumono affatto di raccontare le contraddizioni sociali.
Se dunque pensate che la documentazione sia indispensabile nel cinema che narra il passato, mentre sia un mero optional se si narra il presente, commettete un enorme errore. Lo sceneggiatore deve sempre conoscere molto bene ciò che narra, non al punto di diventare uno specialista, ma certo deve diventare più esperto nella materia dello spettatore medio.
Non è affatto necessario essere gay per scrivere un film ambientato nella comunità gay, ma è essenziale che lo sceneggiatore questa comunità la conosca molto bene, ne capisca le problematiche, ne visiti gli ambienti, ne approfondisca i riti.
Nelle prime lezioni ho già sottolineato quanto sia importante nella costruzione del personaggio delineare un tracciato della sua vita quotidiana, anche se poi nella storia che raccontiamo, molti aspetti di questa vita verranno tralasciati. Lo specchietto suggerito da Stuart Kaminsky, nel suo manuale di sceneggiatura per la TV, è anche più dettagliato e preciso di quanto suggerito, in riferimento al cinema, nelle lezioni di Syd Field. Stuart Kaminsky non si limita alla costruzione di una giornata tipo del personaggio (dal risveglio alla notte), ma di un anno o addirittura di una vita-tipo del personaggio, includendo informazioni sulla sua famiglia d’origine, sulla sua infanzia, sui suoi studi, e ancora: sul suo dentista, sul suo medico curante, sui diversi professionisti, d’ogni campo, con cui entra o potrebbe entrare in contatto nel corso della storia.
Altrettanta attenzione dev’essere dedicata al “tema” che volete trattare. Sforzatevi di vederlo nel concreto, non in astratto. Non pensate mai di conoscere un argomento solo perché ne avete sentito parlare e vi siete formati un’opinione, un punto di vista, in merito. Non potete sostenere alcuna opinione senza conoscenza dell’ambiente, delle circostanze, dei luoghi, dei costumi delle diverse “tribù” di cui è composto l’insieme sociale. Che stiate lavorando a un film del filone cosiddetto “alla Vanzina” o che stiate scrivendo una storia di giovani delle periferie metropolitane tipo Fame chimica, dovete assolutamente conoscere di chi e di cosa state parlando, e farne esperienza diretta, non da tavolino.
Mentre in un film storico nessuno nota la poca aderenza all’epoca di certi comportamenti o di certi termini, in un film contemporaneo un’eccessiva disinvoltura e imprecisione nella descrizione della vita reale, e nella raffigurazione dei tipi sociali, dei loro vezzi linguistici, della loro esperienza professionale, balza immediatamente agli occhi. Certo se scrivete un episodio della serie Carabinieri, potete fregarvene tranquillamente di qualsiasi approfondimento documentario, perché la serie è costruita così, a prescindere da qualsiasi aderenza a un contesto realistico, ma casi come questo ormai sono rarissimi, sopravvivono per inerzia, si potrebbe dire, e si tratta di commediole che usano la polizia solo come riferimento di comodo e di maniera. Ma oggi non si può scrivere una police story degna di questo nome senza avere la più pallida idea di come sia realmente la vita di un poliziotto, sul posto di lavoro e nella quotidianità. I migliori scrittori di Gialli conoscono i poliziotti, ci parlano, ne studiano le indagini, esplorano le tecniche che mettono in atto e gli ostacoli che si trovano di fronte, considerano l’organizzazione degli uffici, le pratiche da sbrigare, la burocrazia cui fanno riferimento, si preoccupano anche di capire cosa fanno fuori dal lavoro, fino a che punto i loro comportamenti e i loro gusti siano “categoriali” oppure possano esprimere personalità soggettive, sorprendenti e persino stravaganti. E’ importante nella costruzione della figura di un detective identificare tanto la corrispondenza alla funzione e il suo “far parte di una categoria”, quanto ciò che dalla categoria (e dagli altri detective) lo distingue e lo contraddistingue. Ma se non conoscete i requisiti professionali, il comportamento tipico, gli usi e i costumi, il gergo stesso della categoria, non riuscirete a raffigurare bene ciò che rende il vostro protagonista unico e diverso. L’individuazione della specificità, nasce per differenza.
La stessa cosa vale per qualunque mestiere o occupazione. Se raccontate la storia di una cubista, dovete parlarci con le cubiste, sentire le loro storie, vedere le discoteche dove lavorano, capire da dove vengono, quale città, quale casa, quale ambiente. Una volta compreso chi sono “le cubiste” come categoria, poi vi sarà più facile creare il vostro personaggio inventato e dotato di una personalità esemplare della categoria, oppure particolare e distinta. Ma se per voi una cubista è solo una tipa che balla su un cubo, cui credete di poter far fare qualsiasi cosa sulla base delle mere esigenze della vostra storia, allora non darete vita a un personaggio, animerete una marionetta.
Oltre all’esperienza diretta, vi sarà anche molto utile approfondire la materia che intendete trattare leggendo inchieste giornalistiche, testi di riferimento usati nelle professioni, persino manuali aziendali o tecnici. Da queste letture non solo acquisterete maggiore dimestichezza con gli ambienti professionali che dovete raccontare, ma potrete anche trarre preziosi spunti per la vostra storia o anche solo per singole scene.
I film qui suggeriti (a partire da Silkwood) studiateli, per capire come l’ambiente e le condizioni di lavoro siano determinanti nella scrittura della vostra storia. Cercate sempre di farvi un’idea di una giornata di lavoro tipo del vostro protagonista e di come le svolte narrative possano diventare più concrete, efficaci, credibili, se messe in rapporto con l’ambiente sociale che state raccontando, invece che “a prescindere” dall’ambiente. In cinema è difficile poter prescindere dall’ambiente, perché l’ambiente è , che lo si voglia o no, parte dominante della rappresentazione.
L’ambiente fa narrazione. Non è mero contesto o scenario. E questo è tanto più vero, quanto più si racconta l’ambiente, gli ambienti, che ci circondano. Quelli del passato, possiamo ricostruirli. Quelli presenti dobbiamo rappresentarli. E per rappresentarli dobbiamo conoscerli e imparare a vederli come sono, non come supponiamo che siano o vorremmo che fossero.

LEZIONE XXVII di Gianfranco Manfredi