Luciano Muratori fonicoPier Paolo Pasolini, Alberto Lattuada, Steno, Luigi Zampa, Carroll Ballard, Lina Wertmuller, Franco Zeffirelli, Klaus Kinski, Francis Ford Coppola, Michele Placido, Anthony Minghella: solo alcuni nomi della lunga lista di registi con i quali ha lavorato Luciano Muratori, fonico di presa diretta, un vero e proprio artigiano del cinema. Quella di Muratori è la storia di una famiglia praticamente nata e cresciuta a Cinecittà, dove prima della guerra i nonni gestivano la mensa, e dove poi papà Primiano, anche lui tecnico del suono, ha lavorato per tutta la vita.
Abbiamo incontrato Luciano a Roma nel quartiere Quadraro dove vive da sempre, per parlare insieme a lui del suo mestiere e delle sue esperienze: «Quello di tecnico del suono è un mestiere come tanti altri, nello specifico il termine con il quale si indica la mia professione è fonico di presa diretta cinematografica. A differenza delle altre tipologie di questo mestiere, quello della presa diretta cinematografica non è cambiato molto con il passare degli anni, questo perché a differenza degli altri fonda le sue radici negli anni 1930 (con la sincronizzazione del cinema) e ha sempre richiesto grande specializzazione fin dall’inizio, arrivando ai giorni nostri con gli stessi sistemi e protocolli tecnici di una volta, che non sono mai cambiati nemmeno con l’avvento del digitale».
Per seguire gli aggiornamenti e per rappresentare la categoria è nata nel 1986 l’Associazione Italiana Tecnici del Suono, di cui Luciano Muratori è stato alla guida per otto anni: «l’associazione esiste ancora e si è ampliata, sono entrati nuovi fonici, e continua la sua rappresentanza di questa categoria, anche se al giorno d’oggi rappresenta soltanto il 40 per cento dei fonici Italiani”.
A proposito di alcuni grandi registi con i quali Muratori ha collaborato, il fonico ci ha parlato di Pasolini, Coppola e Minghella: «Pasolini (conosciuto nel 1971 per il film “I racconti di Canterbury”) era una persona di estrema gentillezza e rispetto per chiunque, “dava del lei anche ai cani”, come disse una volta Ninetto Davoli. In tre mesi di faticose riprese in Inghilterra non l’ho mai visto nervoso o arrabbiato. Tra l’altro voleva girare il film senza fonici, poiché per sua esperienza lo riteneva inutile, ma alla fine per questione di regole sindacali io e mio padre fummo chiamati a lavorare sul set: a film montato Pasolini ci fece i complimenti per quel sonoro. Per quanto riguarda Coppola e Minghella mi sono sembrati simili, essendo tutti e due di origine italiana: quando venivano a girare in Italia prendevano troupe italiane invece che portarle dall’America. Ambedue dei grandi maestri, credo che lavorando in mezzo a noi si sentissero più italiani che americani. Ci terrei a citare l’organizzatore, lo stesso per tutti e tre i film che ho fatto con questi grandi registi: Alessandro Von Norman, per noi semplicemente Sandy, che non è più fra noi ma è stato uno dei più grandi organizzatori del cinema italiano e non solo, una di quelle figure professionali alle quali il
cinema americano vi si affidava come un punto di riferimento».
Per concludere, una riflessione sul cinema italiano di oggi e su Cinecittà: «Il Cinema Italiano attuale a differenza delle altre nazioni si è troppo plasmato alle necessità della TV; inoltre da noi non si è mai fatta una legge antitrust sulla distibuzione e questo significa che oggi le sale sono proprietà di pochi soggetti privati e pubblici: questo penalizza i produttori indipendenti, che non trovando distribuzione hanno cambiato mestiere.
Come tutte le cose anche il cinema cambia, l’importante è carpirne le buone prospettive e scartare quelle fallimentari, però per far questo ci vuole grande competenza e non è certo materia della politica. Riguardo a Cinecittà, oggi in questi stabilimenti c’è un tentativo di rilancio, tramite l’EIG con a capo Luigi Abete, che con un contratto del 1997 acquisì la gestione degli studios, ma non gli stabilimenti che rimangono pubblici e sotto tutela del MIBAC.
Solo un 20% della gestione è ancora in mano pubblica tramite l’ente Cinecittà Luce. Il brutto di questa vicenda è che solo apparentemente vuol passare come un rilancio per il cinema ma in realtà il piano prevede licenziamenti dei lavoratori interni, la costruzione di un nuovo teatro e di un albergo, un parcheggio per migliaia di posti auto e altro ancora. La domanda è d’obbligo: “Ma voi sapete come si gira un film?”. Da qui tutte le dimostranze e gli scioperi che la scorsa estate hanno visto i lavoratori di Cinecittà, gente di cultura, registi, autori, arrivare al presidio fuori lo stabilimento per dimostrare il loro disappunto. Non so come andrà a finire questa storia ma più volte ho spiegato loro che Cinecittà è conosciuta in tutto il mondo come l’ingresso del Cinema Italiano e se qualcuno la distuggerà dovrà prendersi le responsabilità nei confronti di chi verrà dopo di loro, e non credo che saranno encomiati sui libri del Cinema e della nostra cultura Cinematografica».

di Alessio Trerotoli per DiariCineClub n.3

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