Cosa dire di uno sceneggiatore che si è inventato e ha scritto "La grande guerra" di Mario Monicelli, un capolavoro della nostra commedia che non solo vinse il Leone d'Oro a Venezia, ma fu anche campione d'incassi della sua stagione, "Il buono, il brutto, il cattivo" di Sergio Leone, forse il più grande western che si sia mai fatto in Italia, "Signori e signore" e "Sedotta e abbandonata" di Pietro Germi, "Crimen" di Mario Camerini, il primo thriller comico, "Un tranquillo posto di campagna" di Elio Petri? Cosa dire di un signore che ha scritto grandi spaghetti western come "Il mercenario" di Sergio Corbucci, "Da uomo a uomo" di Giulio Petroni, "Per qualche dollaro in più" e "Giù la testa" di Leone, che ha collaborato con Billy Wilder per "Avanti!", con Carlo Lizzani per "Il gobbo", "La vita agra" e "Roma bene", che ha dato vita a grandi film di successo come "I due nemici" di Guy Hamilton, "Briganti italiani" di Camerini, "Noi donne siamo fatte così" di Dino Risi, "Piedone lo sbirro" di Steno, "Il conte Tacchia" e "Il bestione" di Sergio Corbucci, "Miami Supercops", "Casablanca, Casablanca", perfino "Uomini duri" di Duccio Tessari, "L'orca assassina" di Michael Anderson o "Codice magnum" con Arnold Schwarzenegger?
Una settantina di titoli, quasi tutti di successo e grande successo, tra il 1956, l'anno del suo primo soggetto, "Hanno rubato un tram", diretto da Aldo Fabrizi, e il 2000, l'anno del suo ultimo soggetto, "Malèna", diretto da Giuseppe Tornatore e per lui causa di non pochi mal di pancia. In mezzo una vita avventurosa, passata tra Roma e Hollywood, perché è stato uno dei pochi sceneggiatori italiani davvero riconosciuti in America, grandi storie d'amore, come quella con Ava Gardner, grandi amicizie, come quelle con Pietro Germi, Sergio Leone, Sergio Donati, Billy Wilder, un libro di memorie, "Il falso bugiardo", uscito nel 2008.
LUCIANO VINCENZONI con BILLY WILDER
E, negli ultimi anni, un po' di malinconia per non vedere più un cinema italiano forte e rispettato internazionalmente come lo era fino agli anni 70. Luciano Vincenzoni, nato a Treviso nel 1926 e morto due giorni fa a Roma, aveva da subito pensato in grande. Anche quando, senza i soldi per pagarsi il taxi, si presentò da Dino De Laurentiis e in due ore gli raccontò tre soggetti, "La grande guerra", "I due nemici" e "Sacco e Vanzetti".
PIETRO GERMI Regista Attore
"Prese tutti i miei soggetti e mi chiese: quanto vuoi?", raccontava lo stesso Vincenzoni, "Io pensavo a due-trecentomila lire per tutti, ero in arretrato con l'affitto, ma non avevo il coraggio di dire una cifra, allora lui si è rivolto all'avvocato Borgognoni che era lì e gli disse: Intanto compriamo i soggetti a un milione l'uno e poi lo mettiamo sotto contratto per qualche anno a un milione al mese. La mattina dopo avrei firmato un contratto di tre anni e sulla porta mi sono ricordato che non avevo i soldi per pagare il taxi e dissi che avevo qualche problema di contante...
Lui chiamò un tale ragionier Bianchi (c'è sempre un ragionier Bianchi) e gli chiese quanto c'era in cassa, due milioni e trecentomila avanzate dalle paghe di Jovanka e le altre... Vabbé, piglia due milioni e dalli a questo ragazzo." Per Vincenzoni il cinema non è stato solo scrittura o produzione. Soprattutto grandi incontri e grandi progetti.
Aveva contatti con i grandi produttori del tempo, come Robert Haggiag, proprietario della Dear Film, eminenza grigia del nostro cinema del dopoguerra, col quale mise in piedi il suo film più personale, "Signori e signore" diretto da Pietro Germi, ma basato sulle storie e sui personaggi della sua città natale, Treviso.
O come Ilya Lopert, presidente della United Artists, col quale trattò per conto di Sergio Leone un film come "Il buono, il brutto, il cattivo", che è più o meno un remake del suo "La grande guerra". Geniale nel riciclaggio di storie precedenti, ma non è forse questo gran parte del gioco del cinema?, ritroviamo la sua trama de "I due nemici" con Alberto Sordi e David Niven in molti dei film di coppia che scrive per Corbucci negli anni successivi.
Vincenzoni mette insieme i progetti, fa da ponte tra produttori e registi, compone gruppi di sceneggiatori, come quando chiama Age e Scarpelli alla corte di Leone, offre all'amico Ennio Flaiano una co-sceneggiatura per Haggaig, ma gioca sempre tutto in prima persona. Come un producer americano.
Attraversa i generi, peplum, commedia, western, con assoluta tranquillità, e al tempo stesso passa da Petri a Corbucci, da Leone a Lizzani, da Germi a Steno, da Salce a Castellari, credendo sempre nel cinema come arte popolare. Il più hollywoodiano dei nostri sceneggiatori e l'unico in grado di fare del cinema epico (non si chiamava Epic la sua piccola casa di produzione che aveva messo in piedi quando aveva solo 22 anni?) anche con budget ridicoli. Pronto a riscrivere generi dati per morti, come accadde per "I paladini" di Battiato, o a buttarsi di peso in generi emergenti, come per "L'orca assassina".
Il più grande dei revenge movie dei nostri western, "Da uomo a uomo", che funzionerà da soggetto-base per un capolavoro come "Kill Bill", gli deve tutto. Storia e sceneggiatura, ma anche la struttura leoniana, che altri non è, lo sappiamo bene, che una rilettura all'italiana del capolavoro di Raoul Walsh, "Notte senza fine". Ma è lo spaghetti western di Vincenzoni e Petroni che ha in mente Quentin Tarantino quando scrive "Kill Bill", non quello di Walsh. Tarantino inserirà poi tra i suoi spaghetti western più amati altri due film scritti da Vincenzoni, cioè "Il mercenario" diretto da Corbucci e, ovviamente, "Il buono, il brutto, il cattivo".
Personaggio mitologico e forse per questo ingombrante e non facile da trattare, Vincenzoni era per Dino Risi, col quale lavorò per un solo film, una specie di star del cinema internazionale. Nel suo libro, "I miei mostri", ne racconta un'avventura assolutamente travolgente che trascriviamo, perché sarebbe un peccato non riportarla integralmente. Anche se, come sempre coni racconti di Dino Risi, sarà non poco sceneggiata. E poi, ma fino a che punto lo sapranno solo i diretti interessati, somiglia moltissimo a un episodio di Risi con Virna Lisi e Nino Manfredi.
LA TELEFONATA DI AVA GARDNER
Luciano V., bell'uomo sui quaranta, sceneggiatore cinematografico, tombeur de femmes, ebbe un incontro ravvicinato con Ava Gardner, che allora abitava a Roma. Era estate, la invitò a Capri per un week-end. Luciano parlava bene l'inglese, era brillante, ne aveva di cose da raccontare, e le raccontava bene: come quando una sera, in trattoria, con De Laurentiis, gli raccontò una novella di Maupassant, e il produttore gli staccò subito un assegno.
A Capri Ava e Luciano scesero all'Hotel Quisisana (e dove se no?). Appena entrati nella suite, un mazzodi rose attendeva a bella americana. Che si attaccò subito al telefono e chiamò Frank Sinatra a Los Angeles. Passò così una mezz'ora. Intanto era arrivato un cameriere con due whisky. Ava sorseggiava il suo e parlava. Luciano bevve il suo. Quando la telefonata si fece più intima Luciano, per discrezione, pensò bene di allontanarsi. Uscì, comprò i giornali, andò in piazzetta, bevve un caffè seduto, lemme lemme tornò in albergo. Ava era ancora al telefono. Luciano non nuotava nell'oro.
Quella telefonata cominciava a preoccuparlo. La Gardner stava raccontando a Sinatra il soggetto del film storico che stava girando a Roma. A un tratto cadde la linea. Ava si alzò per andare in bagno, disse: "Luciano, caro, mi ordineresti un gin-tonic? E per favore, di' all'operatore se mi richiama Frank. Non vorrei che pensasse che gli ho buttato giù il telefono". Dal bagno si fece risentire la voce di Ava: "Luciano, caro, tu hai il numero di Walter Chiari?". In quella suonò il telefono. Era Sinatra. L'operatore aveva ristabilito il contatto. La conversazione aveva preso un tono drammatico: "Adesso me lo dici? Ma non è possibile! L'ho visto due settimane fa, stava benissimo...".
Luciano guardò l'ora. Da quando erano entrati in albergo era passata un'ora e un quarto, un'ora e venti. Ava Gardner diceva: "Ma certo che la chiamo. Ta a New York? Hai il numero?". Fece un cenno a Luciano, che le desse qualcosa per scrivere. Luciano le passò la sua Parkerd'oro. Poi andò in anticamera, dove aveva lasciato la sua ventiquattrore con dentro una camicia, il nécessaire e un costume da bagno. Raccolse la valigia, aprì la porta senza fare rumore. Dieic minuti dopo era al porto in attesa del primo vaporetto per Napoli.
di Marco Giusti per Dagospia - dagospia.com