Che cosa ha fatto il cinema per Michael Tolkin? Chiedetevi piuttosto che cosa può fare Michael Tolkin per il cinema. Ha sceneggiato, per prima cosa. The New Age — Nuove tendenze (The New Age) Regìa: Michael Tolkin Orig.: U.S.A., 1994 Sogg. e Scenegg.: Michael Tolkin. Fotogr.: John H. Campbell. Musica: Mark Mothersbaugh. Mont.: Suzanne Fenn. Scenogr.: Robin Standefer. Costumi: Richard Shissler. Suono: Stephen Halbert. Interpr.:Peter Weller (Peter Witner), Judy Davis (Katherine Witner), Patrick Bauchau (Jean Levy), Corbin Bernsen (Kevin Bulasky), Jonathan Hadary (Paul Hartmann), Patricia Heaton (Anna), Samuel L. Jackson (Dale Deveaux), Audra Lindley (Sandi Rego), Paula Marshall (Alison Gale), Maureen Mueller (Laura), Tanya Pohlkotte (Bettina), Bruce Ramsay (Misha), Rachel Rosenthal (Sarah Friedberg), Sandra Seacat (Mary Netter), Susan Traylor (Ellen Sal-tonstall), Adam West (Jeff Witner). Prod.: Nick Wechsler e Keith Addis, per Regency Enterprises lAlcor Films Ixtlan Addis-Wechsler prod. Distr.: Warner Bros. Durata: 112 min. Due coniugi in crisi nella Los Angeles del jet-set. Lui perde il suo lavoro da mezzo miliardo all'anno per vivere, lei deve abbandonare la sua vita agiata. Per guadagnare e rimanere nell'alta società, aprono un pretenzioso negozio di moda dal nome "Hyppocratie". Dopo i primi successi, l'iniziativa ben presto fallisce e il buco nell'acqua li isola ancora di più nella crudele Beverly Hills. Non rimane altro da fare, allora, che affidarsi a santoni e medium e, forse, suicidarsi. Che cosa ha fatto il cinema per Michael Tolkin? Chiedetevi piuttosto che cosa può fare Michael Tolkin per il cinema. Ha sceneggiato, per prima cosa. Ha scritto un film ( Gleaming the Cube di G. Clifford) già atipico per un pubblico statunitense che non si aspettava quel tipo di film, figuriamoci in Italia dove è stato intitolato California Skate ed è passato quasi solo in Tv, confuso e contestualizzato alle serate dedicate al film giovanilistico (bikini-movies, skate-movies, la filmografia di Sam Firstenberg, etc.). Poi si è diretto il suo film, il cupissimo The Rapture, da noi uscito solo in videocassetta. Il titolo Sacrificio fatal e, dove il suffisso "-ale" serve a guadagnare tre o quattro spettatori stanchi che sperano nel solito innocuo giallo made-for-cable e a dare vaghe suggestioni mistico-omicide. Poi, l'incontro con Altman, per I protagonisti, dove il taglio antropologico/tribale del romanzo di Tolkin si è ben innestato nell'allegoria corale altmaniana. Tutta questa divagazione non dispiacerebbe comunque a Tolkin, visto che The New Age è un film su e per la divagazione, dove non c'è spazio per il centroflessismo, e la dinamica del divertimento e dell'hobby contamina ed "infetta" il mondo del dovere e del lavoro. La tensione dialettica su cui vive il film riguarda il dentro ed il fuori, il dentro per le tendenze neo-irrazionaliste e semi-pagane in cui si tuffano i protagonisti del film, alla ricerca di (fuga dalla) auto-coscienza (a proposito, in Italia il film ha come sottotitolo Nuove tendenze vanificando il senso sottilmente metastorico e ironico di "age"), che però somiglia terribilmente ad un cupio dissolvi (confermata dal finto suicidio finale, in fondo paradossalmente rito iniziatico attraverso l'assunzione di uno yogurt/veleno da società delle merci sofisticate); il fuori perché è in esso che i due coniugi protagonisti devono affermarsi, alla ricerca della monetizzazione del loro (alto) status sociale, da confermare pena l'espulsione di tipo tribale/ totemico dalla confraternita dei ricchi west toast. Il negozio che comprano (chiamato con lo straordinario neologismo di "ippocrazia") è una prigione e da dentro attendono clienti, continuamente spiando fuori, un marciapiede vago, anonimo, qualunque, quasi del tutto attanziale. Tolkin infatti, nel suo mondo polimorfo e mutante, non crede molto, mette in scena archetipi dell'orribile tempo contemporaneo (o futuro?) e chiude claustrofobicamente l'inquadratura attorno ai due coniugi. Nella sua Los Angeles non c'è isteria e foll(i)a, c'è solo una pan-nevrosi contaminante e assolutizzante. Quasi tutte le scene sono auto-sufficienti, viene eluso ogni movimento causa/effetto, come se fosse finita l'umanità e rimasto solo il delirio con due o tre sopravvissuti (anche i party assomigliano a funzioni religiose di tipo misterico, con pochi adepti, più che alle immense "macchine da cocktail" cui siamo abituati nel cinema americano). Lo spazio/libertà giunge solo durante la separazione della coppia (che sancisce peraltro soltanto l'inizio di una serie di esperienze sensoriali malriuscite nell'enorme tempio-Beverly Hills che contiene tutti i riti e tutte le confessioni) e poi si restringe di nuovo fino a minacciarne la vita (ancora il suicidio incombente). Quale impiego/ruolo migliore allora (per P. Weller) del venditore via telefono di falsi viaggi per false lotterie? (A differenza dei venditori incarogniti di Americani, nel new age anche fregare il cliente avviene per telefono o telefonino come ennesimo surplus finzionale). A fianco di attori dagli occhi così glacialmente blu da sembrare volutamente cyborg (che la ritualità delle neo-religioni sia l'unica via possibile alla coscienza per replicanti che Deckard non ha trovato?) riscopriamo l'ingrassato Patrick Bauchau già (e ancora) Fritz Munro/Monroe in Lo stato delle cose e Lisbon Story, nei panni di un santone belga che predica di seguire la propria strada e di "vivere con la domanda", vox clamantis ridicola e grottesca (più o meno il ruolo odierno del censore Wenders). Chiedersi quanto c'è di intenzionalmente grottesco e quanto di realmente malriuscito in questo film non avrebbe senso. E una onirica parabola americanologica, con una tale parade di stravaganze, tra guru mistico-psichedelici, orge tra tatuati, culti misterici da mitologia metropolitana, freaks e feste sulfuree da ricordare l'ultimo, abrasivo e raggelante, Bret Easton Ellis, solo più senile e meno disperatamente mortuario. Il paragone sia perdonato, visto che Tolkin, anche se poli-artista, fa pur sempre parte della scena letteraria nord-americana, innegabilmente però lontano dall'orizzonte di nascita dei neo-minimalisti Un'ultima annotazione: il produttore è Oliver Stone, evidentemente attirato dalla quantità di suggestioni para-buddiste, presenti nel film (c'è pure la solita sequenza da allucinogeni nel deserto, come in The Doors e NBK).
da Segnocinema n.73
Titolo GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK (Idem - Francia/Giappone/G.B./U.S.A. - 2005) Regia: George Clooney Interpreti: George Clooney, David Strathairn, Alex Borstein, Robert Downey Junior Soggetto George Clooney, Grant Heslov Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov Fotografia: Robert Elswit Costumi: Louise Frogley Scenografia: James D. Bissell Montaggio: Stephen Mirrione Durata 1 h 30min
Il film La storia vera del conflitto tra Edward R. Murrow, un famoso anchor man del giornalismo TV, e il senatore Joseph McCarthy responsabile della "caccia alle streghe" contro i comunisti. Nonostante le intimidazioni e le minacce di morte, Edward riuscirà, anche grazie all'appoggio del produttore della CBS, a liberare l'America dal fanatismo del maccartismo.
Il regista Figlio del giornalista Tv Nick Clooney, George Clooney è più noto come attore che come regista. Nel 1994 viene scelto per interpretare il dottor Doug Ross nella serie "ER". Il telefilm ottiene un grande successo e l'attore diventa molto popolare. Ha fondato con Soderbergh una società di produzione (Section Eight) con la quale ha prodotto nel 2003 il suo primo film da regista (Confessioni di una mente pericolosa).
I commenti dei critici Un film corroborante. secco, quasi un esercizio di stile impeccabile (...) ti fa sedere e ti dice, dai su, guardami, con quel sax, quella notte, quel bianco e nero, quelle facce, quegli anni in America dei primi anni '50, e quel titolo "Good Night, and Good Luck", regia di George Clooney. Un omaggio a un giornalista, Edward R. Murrow, che si è battuto contro la caccia alle streghe del senatore McCarthy, un persecutore che sbandierava il comunismo come scusa. Da conservare nella memoria per l'interpretazione di David Strathairn (Coppa Volpi a Venezia), per la fotografia di Robert Elswit, perché è un buon atto d'accusa contro i modi sventati di fare tv e per questa frase: "la nostra storia sarà quella che vogliamo che sia". (Gianluca Favetto - la Repubblica - settembre 2005)
I commenti dei critici (...) Sulla base di sofferte esperienze familiari, Clooney immerge in un bianco e nero che si fonde perfettamente, e in qualche passaggio miracolosamente, con rari e preziosi inserti d'epoca la strenua campagna giornalistica che l'anchorman televisivo E. R. Murrow conduce contro le crociate del senatore Joseph McCarthy. Siamo tra il 1953 e il 1954. quando il grossolano presidente del famigerato Comitato per le Attività Antiamericane è all'apogeo della sua caccia alquanto paranoica a tutti coloro che potrebbero avere avuto dei contatti con il semiclandestino partito comunista locale. Mirabilmente interpretato dal segaligno David Strathairn (circondato da altri attori da applausi, tra cui lo stesso Clooney), il giornalista della CBS non nutre - come avvenne nella realtà - la minima simpatia per le idee dei sospettati (...) quello che gli sta a cuore e per cui è disposto a rischiare il posto e persino a destabilizzare i meccanismi commerciali nel network è l'inammissibilità delle persecuzioni senza prove, la tutela dei diritti civili e, soprattutto, il principio costituzionale del diritto al dissenso. (Valerio Caprara - Il Mattino - settembre 2005)
Note La virgola del titolo sta ad indicare la pausa che il conduttore del programma TV, Edward Murrow, faceva nel pronunciare le parole di saluto al termine della sua trasmissione.
Titolo: IN HER SHOES - SE FOSSI LEI (In Her Shoes - U.S.A. - 2004) Regia: Curtis Hanson Interpreti Cameron Diaz, Toni Collette, Shirley MacLaine Soggetto tratto dal Bestseller "A letto con Maggie" di Jennifer Weiner Sceneggiatura Susannah Grant Fotografia Terry Stacey Costumi Sophie De Rakoff Carbone!! Scenografia Dan Davis Musica Mark Isham Montaggio Craig Kitson, Lisa Zeno Churgin Effetti Speciali John C. Hartigan, Kirk Tedeski Durata 2h 10min Il film Rose e Maggie sono sorelle ma non potrebbero essere più diverse tra loro. Rose è un avvocato in carriera, sogna da sempre di incontrare un uomo che le sciolga i capelli, le tolga gli occhiali e le dica che è bellissima. Maggie, è più giovane di Rose, non ha un impiego fisso, ha un corpo perfetto e scarta gli amanti come fossero caramelle. Il regista Ha lavorato per la rivista 'Cinema' prima di dedicarsi alla sceneggiatura e alla regia. Nel 1978 ha scritto la sceneggiatura del film "L'amico sconosciuto". Nel 1982, con lo scomparso Samuel Fuller, ha scritto la sceneggiatura di "Cane bianco", e un anno dopo quella di "Mai gridare al lupo", di Carroll Ballard. Nel 1987 ha diretto "La finestra della camera da letto", di cui aveva scritto la sceneggiatura. Sono seguiti poi due thriller, "Cattive compagnie" (1990) e "La mano sulla culla" (1992). Nel 1994 ha diretto "River Wild - Il fiume della paura". Nel 1997 ha diretto, prodotto e scritto "L.A. Confidential", tratto dal romanzo di James Ellroy, vincitore, fra l'altro. di un Oscar per la miglior sceneggiatura e uno per la miglior attrice non protagonista (Kim Basinger). I commenti dei critici Curtis Hanson è tra i pochi registi che a Hollywood ancora crede nel cinema dei personaggi, delle storie, nel cinema che si costruisce lentamente (non significa praticare un cinema lento e tedioso), con dettagli, dialoghi, scene di paesaggio, raccordi che esplorano il plot. La complicità, l'interdipendenza, il dissidio, l'emulazione, lo scacco emotivo e la lacerazione tra due sorelle sono materie affascinanti e difficili per lo schermo. La fisiologia del rapporto sororale deborda facilmente nella patologia psicanalitica. È un tema che richiede una buona sceneggiatura, personaggi-modello strutturati e conosciuti, un cast credibile, una regia accorta sensibile a tenere sotto controllo la temperatura emotiva, a condensare e diluire gli slittamenti del rapporto. (...) (Enrico Magrelli - Film TV - novembre 2005) I commenti dei criticiConsigli per chi voglia gustare serenamente "Se fossi lei", titolo inglese più carino " In her shoes". Lasciare a casa: a) fidanzato, marito, amico, qualsiasi maschio e andare al cinema tra ragazze; b) ogni sovrastruttura critica, concedendosi una vacanza dai propri cinegusti intellettuali. Dopodiché, buon divertimento. Si parte infatti da una fiaba, diventata un mito molto cara alle donne, quella di Cenerentola: che qui raddoppia, perché le Cenerentole sono due, due sorelle di Philadelphia di buona famiglia ebrea. Una è Maggie. Cameron Diaz, sottile. molto graziosa, molto sexy e vestita succintamente: Cenerentola perché è dislessica, non trova lavoro e gli uomini la prendono e la lasciano come un oggetto. L'altra è Rose, Toni Collette, avvocato, gran lavoratrice, buon guadagno: Cenerentola perché è piena di complessi, è sovrappeso e non riesce ad avere una vita sentimentale. (...) Principi azzurri? ci vorrebbero, ma non contano, sono insignificanti, pretesti per battute. Come in tutti i film per signore, le quali non vogliono più sognare il bel divo ma immedesimarsi nei personaggi femminili. Prima perdenti e poi vincenti. (...) (Natalia Aspesi - la Repubblica delle donne - novembre 2005)
Titolo: THE INTERPRETER (Idem - G.B./U.S.A. - 2005) Regia: Sydney Pollack Interpreti: Nicole Kidman, Sean Penn, Catherine Keener, Yvan Attal Soggetto: Martin Stellman, Brian Ward Sceneggiatura: Charles Randolph, Scott Frank, Steven Zaillian Fotografia Darius Khondji Costumi Sarah Edwards Scenografia Jon Hutman Musica James Newton Howard Montaggio William Steinkamp Effetti speciali R. Bruce Steinheimer, Jon Farhat Jerry Pooler Durata 2h 8min Il film: Silvia lavora come interprete nella sede delle Nazioni Unite a New York. È una donna colta e raffinata, che ha girato il mondo, anche se nasconde tra le pieghe del suo passato qualcosa che le ha instillato un forte dubbio nei confronti della società. Un giorno, casualmente, ascolta una conversazione segreta e viene a conoscenza del complotto per assassinare il presidente di Matobo. Si trova a dover fare i conti con un poliziotto cinico, reduce da una dolorosa storia d'amore. I due provengono da mondi diversi e le loro idee sembrano essere inconciliabili ... Il regista: Regista. produttore e attore. E' un esponente del cosiddetto "New Hollywood". un filone artistico caratterizzato da una visione pessimistica della realtà. Nei suoi film viene accentuata la rievocazione amara del passato e il disinganno del presente. Viene considerato uno dei registi di successo culturalmente impegnati. I suoi film sono caratterizzati da un'accuratissima fotografia a colori. I commenti dei critici: (...) Così Sydney Pollack, uno dei più grandi registi americani di sempre, quando racconta come è riuscito ad ottenere ciò che anche ad Alfred Hitchcock era stato rifiutato: girare un film dentro il palazzo dell'Onu. E quel palazzo, in una zona periferica di Manhattan, è il terzo protagonista di "The Interpreter" (...) è una bella scommessa quella che il 71 enne Sydney Pollack gioca e vince con questo film: aggiornare le atmosfere inquietanti del "Condor" girando un film moderno, anzi, post-moderno; con tutti tic del cinema d'oggi. con lo stile nervoso e senza respiro imposto anche da una sceneggiatura molto piena, che fatica a stare dentro ai minuti canonici. Ottenendo un thriller che sembra classico e non lo è: quando lo vedrete, fate caso a come cambia continuamente ritmo, distendendosi nelle sequenze in cui Penn e la Kidman sono in scena insieme, e diventando frenetico quando si tratta di costruire la complessa trama che circonda il rapporto fra i due. Spesso il montaggio fa sì che ogni scena contenga un'altra scena (...) (Alberto Crespi - l'Unità - ottobre 2005) I commenti dei critici: (...) Un tentativo di fare del buon vecchio cinema e un perfetto gioiello dark. `The Interpreter" di Sydney Pollack è Nicole Kidman, con accanto Sean Penn; un'interprete, come dal titolo, dell'Onu e un agente dei servizi segreti. Lei traduce, lui indaga, il resto non importa tanto. Il resto serve a fare spettacolo: l'infanzia e l'adolescenza in Africa di lei, nonché la sua malinconia, la moglie di lui morta in un incidente automobilistico e il suo cinismo stanco, una conversazione ascoltata per caso. un crudele dittatore africano che dovrebbe finire al tribunale dell'Aja, un autobus che esplode a New York. Rimane il fatto che Kidman e Penn sono una bella coppia, e possono bastare. (...) (Gianluca Favetto - la Repubblica - novembre 2005) Note: In un centro linguistico inglese e' stata elaborata una nuova lingua tra lo swahili e lo shona, due lingue africane simili. La lingua di Matobo è stata chiamata "ku" e la Kidman ha imparato a parlare correntemente questa lingua che non esiste.
A volte capita che, per la versione in video i film vengano modificati: si tagliano scene di sesso, violenza, dialoghi eccessivamente offensivi.
Se pensiamo alla versione TV de “Il silenzio degli Innocenti”, (Jonathan Damme, 1991) contiene ad esempio scene diverse rispetto a quella distribuita al cinema.
Viene utilizzata la Compressione dei Tempi, che accelera impercettibilmente la velocità del film al fine di inserirvi al suo interno spot pubblicitari.
Alcune scene vengono ridoppiate…
Spesso anche film destinati al noleggio di videocassette vengono revisionati; le colonne sonore possono essere sostituite a causa dell’impossibilità di negoziarne i diritti.
Differenze notevoli si notano tuttavia nel formato d’immagine adattata allo schermo televisivo.
Solo in casi rari infatti la versione video rispetta il formato originale disponendo bande nere sopra e sotto l’immagine: si tagliano cioè porzioni dall’immagine originale, spesso sino al 50%.
E’ il tecnico che decide quali porzioni dell’immagine eliminare.
A volte decide di ricavare inquadrature distinte da quella che in origine era una inquadratura unica alterando così la versione originale del film.
Per questa ragione alcuni registi girano già in funzione del formato televisivo, concentrando l’azione importante nell’area che resterà intatta poi per la versione in video.
Ad esempio, James Cameron ha girato il “Titanic” (1997) tenendo conto della distribuzione in videocassetta in modo tale che le scene più intime soffrissero meno delle sequenze più spettacolari.
Da qualche tempo tuttavia, la diffusione dei DVD fornisce allo spettatore sempre più opzioni; e così all’interno dell’inquadratura è possibile vedere o meno le bande nere.
articolo di Diana Rodi
NEMICO MIO Regia di Wolfgang Petersen. Un film con Louis Gossett Jr., Brion James, Dennis Quaid, Richard Marcus, Carolyn McCormick. Cast completo Titolo originale: Enemy Mine. Genere Fantascienza - USA, 1985, durata 108 minuti.
UN FILM ORMAI INTROVABILE, ASSOLUTAMENTE SOTTOVALUTATO, MA UN CULT ED UN INNO AL PACIFISMO
Siamo nella seconda metà degli anni Duemila. Il terrestre Davidge, incurante degli ordini, si scaglia con la sua astronave all'attacco di una navetta entrata nell'orbita della stazione spaziale, ma dopo un furibondo scontro, precipita con il suo nemico sul pianeta Fyrine IV, abitato da mostriciattoli carnivori. Il nemico di Davidge è un Dracon, essere unisex proveniente da una lontana galassia: ben presto i due naufraghi dello spazio capiscono che l'unico modo per sopravvivere è cessare le ostilità e allearsi. Dopo essersi salvati la vita a vicenda, Davidge e il Dracon si rifugiano in una grotta, nella quale il Dracon muore dopo aver partorito un piccolo Drac. Film rarissimo, praticamente disperso banché sia stato girato da Petersen già autore de La Storia Infinita, La Tempesta Perfetta, e Troy tra i tanti blockbuster. Tratto da un toccante racconto breve di Barry Longyear, pubblicato nel 1980 in Italia da Mondadori nella Rivista di Isaac Asimov, il film - girato con pochi mezzi - perde qualcosa rispetto al testo originale. Sottovalutato dalla critica e accolto tiepidamente dal grande pubblico, viene tuttavia tenuto in grande considerazione dagli appassionati del genere. È un vero inno alla pace uno di quei film che ci hanno fatto credere che l'Occidente fosse vaccinato contro la guerra
Titolo: A HISTORY OF VIOLENCE (Idem - U.S.A. - 2005) Regia: David Cronenberg Interpreti: Viggo Mortensen, Maria Bello, Ed Harris, William Hurt Soggetto: tratto dal fumetto "Una storia violenta" di John Wagner disegnato da Vince Locke (Ed. Magic Press) Sceneggiatura: Josh Olson Fotografia: Peter Suschitzky Costumi: Denise Cronenberg Scenografia: Carol Spier Musica: Howard Shore Montaggio: Ronald Sanders Effetti: Neil Trifunovich, Aaron Weintraub, Mr. X Inc Durata: 1h 35min. Il film: Tom Stall vive tranquillo e felice con la moglie e i suoi due bambini. Ma la loro idilliaca esistenza va in pezzi quando una notte Tom sventa una rapina nel suo ristorante uccidendo i due criminali. La vita di Tom cambia dopo quella notte, tutti lo considerano un eroe, ed inutilmente Tom cerca di ritornare alla vita normale ... ma non è detto che tutto sia come appare. Il regista: Figlio di un giornalista-scrittore e di una pianista, si laurea in letteratura inglese presso l'Università di Toronto dopo aver abbandonato gli studi al Dipartimento Scientifico. Fin da bambino scrive brevi racconti intrisi di mistero. E' considerato il maestro assoluto di un cinema mutante e visionario, è stato anche definito come un "depravato, un sovrano dell'horror venereo, un barone amante del sangue". In realtà è un inventore di visioni cinematografiche nuove nello stile e nella scelta dei soggetti. I commenti dei critici: Se il plot ricorda i vecchi western dove l'eroe in ritiro si trova faccia a faccia con lo proprio passato, Cronenberg fa subito piazza pulita di ogni giustificazionismo per mettere in scena una parabola sulla natura ontologica, genetica della violenza. Ogni tipo di violenza -legittima, sessuale, scolastica, mentale - è descritta con un approccio minuzioso, quasi clinico; cui corrisponde l'estrema precisione di ogni dettaglio della messa in scena, dalle singole inquadrature ai movimenti di macchina, dall'illuminazione al montaggio. (...) (Roberto Nepoti - la Repubblica - dicembre 2005) I commenti dei critici: Un film da non perdere. Dal grande Cronenberg ancora un discorso sui difficili traslochi di identità, travestito da western di serie B, ma che sembra scritto da Camus dopo aver visto "La legge del Signore" (...) Harris e Hurt sono una super coppia di vilain, il finale con la famigliola pronta alla felicità è crudele, Mortensen ha una dose perfetta di ambiguità. Da vedere. (Maurizio Porro - il Corriere della Sera - marzo 2006) I commenti dei critici: (...) " A History of Violente" traduce sullo schermo un romanzo grafico, una sorta di fumetto. elevandolo al rango di letteratura. (...) Cronenberg usa, come mai aveva fatto prima, gli stilemi del cinema di genere, che alcuni ritengono erroneamente incompatibile con i canoni di autorialità. Il genere è quello del noir, che Cronenberg usa in modo piuttosto libero, rinunciando agli effetti neo-espressionisti, importati in America dai cineasti tedeschi, emigrati all'avvento di Hitler. Se un paragone col noir classico vale, riguarda tutt'al più i film che Fritz Lang girò a Hollywood, vicini alla tragedia classica. Sulla vicenda regna un senso quasi matematico di ineluttabilità. che trascende la moralità dei personaggi (...) Un ineluttabilità che imporrebbe, come nelle tragedie e nei film di Lang, l'esito infelice della vicenda. Invece Cronenberg adotta un finale in apparenza lieto, che rifiuta la catarsi. Quindi molto più inquietante. (Callisto Cosulich - Avvenimenti - marzo 2006) Note: Nella maggior parte dei film di Cronenberg, i costumi sono curati da sua sorella Denise.
da ilclubdelcinema.com
Contrariamente al luogo comune sulla perenne crisi del cinema, quello di film è, da diverso tempo, il principale consumo culturale e ha superato abbondantemente quelli di musica, libri, teatro, sport, musei e mostre, ecc. In crisi è il sistema delle sale cinematografiche. Secondo una ricerca del 2018, Sala e salotto, patrocinata dall’Anica, la principale associazione delle imprese cinematografiche e audiovisive, in Italia solo il 2% degli atti di visione di un film avviene in una sala cinematografica e rappresenta la piccola punta della piramide stratificata della visione. Di fatto il 98% dei film si vede sulle tv generaliste o su canali digitali gratuiti, sulle tv a sottoscrizione, tramite piattaforme online, in abbonamento o con pubblicità, ricorrendo alla pirateria, mediante dvd o acquistando singoli spettacoli. Questa è la situazione. La chiusura delle sale dovuta alla pandemia ha quindi accentuato non provocato un fenomeno già esistente da anni per cui, nel 2020, è quasi certo che la percentuale di visioni di film in sala sarà attestata sotto l’1%.
Parlando di cinema ci sono altri due dati di cui in genere non si tiene conto: il 98% dei titoli potenzialmente disponibili in Italia non può essere visto in una sala cinematografica (perché non ha distribuzione) e il 92-95% di tutti i film prodotti dal 1895 a oggi fa parte del patrimonio cinematografico, cioè di tutti film prodotti esclusi quelli degli ultimi 10 anni (definizione utilizzata negli studi e ricerche dell’Ue). Il primo dato è stato ribadito da Gianluca Guzzo, amministratore della piattaforma online Mymovies, in occasione di un recente incontro pubblico per festeggiare i primi vent’anni della piattaforma stessa. L’altro è un calcolo per approssimazione basato sui dati disponibili. Entrambi dimostrano che la maggior parte dei film prodotti sono finora inaccessibili, sia per il consumo commerciale che per quello culturale, e non sono certamente accessibili tramite le sale.
Posto che la pandemia ha accentuato una crisi delle sale già esistente, ha però privato il sistema cinema di un potente veicolo di promozione, in quanto era a principalmente a partire delle proiezioni in sala che il sistema dei media era organizzato per parlare di cinema. La vera rivoluzione prodotta dalla pandemia, oltre al boom delle piattaforme online, che ha modificato la rilevanza dei vari strati della piramide della visione di cui sopra, è stata quella dei festival. Costretti a trasformarsi in manifestazioni online, hanno acquisito una visibilità che prima non avevano, stanno scoprendo nuovi pubblici, da locali diventano fruibili a livello nazionale e, a volte, europeo e mondiale, e incrementano il loro valore come strumenti per la promozione dei film, che ormai passano direttamente dalla presentazione in un festival alla fruizione casalinga, senza il passaggio in sala.
L’effetto però più sorprendente, dovuto al Covid-19, di questa rivoluzione del sistema cinematografico e audiovisivo, alla quale tutti noi assistiamo e partecipiamo, è la nuova vita delle cineteche. Archivi, sconosciuti e ignorati dal grande pubblico, che curano quel 90% di cinema che è il patrimonio cinematografico, frequentati finora da studiosi o da autori in cerca di materiali da inserire in film e documentari, hanno cominciato durante il periodo della clausura a rendere disponibile gratuitamente il loro patrimonio, organizzando vere e proprie rassegne. In pochi mesi hanno acquisito familiarità con l’uso delle tecnologie dello streaming. Sono adesso in grado di trasformarsi e gestire canali tematici alternativi e di qualità che si potrebbero inserire in poco tempo in quella piramide della visione dei film che ha alla base ancora le televisioni generaliste e i canali digitali gratuiti e al vertice le sale.
La Cineteca di Bologna è da anni la più importante cineteca italiana, a parte, forse, la Cineteca Nazionale di Roma. Dispone di uno dei più prestigiosi laboratori a livello mondiale per il restauro dei film, L’immagine ritrovata, che ha ormai persino delle sedi all’estero. Ogni anno organizza uno dei più importanti festival internazionali italiani Il Cinema Ritrovato, giunto nel 2020 alla 34a edizione, dedicato particolarmente ai film del e sul patrimonio cinematografico. Il festival nel 2020 è stato il primo festival importante che si è svolto in presenza dopo la riapertura delle sale, a fine agosto invece che a fine giugno, subito prima della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
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Il paradosso, poi, continua perché, dopo l’esperienza online, la Cineteca di Bologna, consapevole che la maggior parte dei film della storia del cinema è introvabile e che anche titoli famosissimi sono misteriosamente non reperibili in rete o visibili solo attraverso copie illegali e di ignobile qualità, ha deciso di rendere, da effimero che era, permanente Il Cinema ritrovato, avviando il progetto Il Cinema ritrovato fuori sala.
Ogni mese Il Cinema ritrovato fuori sala arriverà nelle case degli spettatori grazie alla piattaforma mymovies con un programma di non meno 15 film di lungometraggio. Tutti i film saranno presentati nella migliore versione possibile e introdotti da critici, esperti, registi e testimoni. Il primo programma è disponibile fino al 17 gennaio 2021 e comprende 16 lungometraggi e un totale di 142 titoli tra lungometraggi, corti, documentari e introduzioni ai film.
Si comincia con le versioni restaurate di due film italiani del 1950 ambientati entrambi nel mondo dell’avanspettacolo: il primo film di Federico Fellini, co-diretto con Alberto Lattuada, Luci del varietà, e Vita da cani diretto da Mario Monicelli, con Aldo Fabrizi che praticamente interpreta se stesso.
Saranno disponibili le versioni integrali e non censurate di due film di Marco Ferreri con Ugo Tognazzi, L’ape regina, dove Marina Vlady consuma letteralmente il marito pur di rimanere incinta, e La donna scimmia, nel quale un marito sfrutta la pelosità della moglie per esibirla a pagamento. Di quest’ultimo film si potranno vedere tre finali diversi, quello della versione italiana censurata, quella non censurata e la versione francese.
Per Natale verrà presentata una selezione di materiali d’archivio della Cineteca di Bologna, dalla star del muto Cretinetti, alle immagini del Natale italiano degli anni Sessanta e Settanta.
Dalla Francia provengono due opere con Jean Gabin, un film da riscoprire, Le Plaisir di Max Ophuls e un noir, tratto da un romanzo di Simenon, La verità su Bèbé Donge, firmato da Henri Decoin.
Non potevano mancare, visto il periodo natalizio, due classici con Charlie Chaplin, Gold Rush – La febbre dell’oro e City Lights – Luci della Città.
La biografia del pittore Toulouse-Lautrec ambientata nella mitica Parigi della Belle Époque è raccontata in Moulin Rouge diretto da John Huston, ancora oggi un esempio straordinario di sofisticata utilizzazione del colore al cinema.
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In occasione del compleanno del cinema (28 dicembre) Thierry Fremaux, direttore del Festival di Cannes, illustrerà i primi film dei fratelli Lumière restaurati da L’Immagine ritrovata. Per il pubblico italiano: la voce narrante è quella di Valerio Mastandrea.
Sono anche in programma dieci documentari di Vittorio De Seta, definito da Martin Scorsese “un antropologo che si esprime con la voce di un poeta”, che descrisse con la sua cinepresa un mondo in via di estinzione nel Sud Italia.
Lo stesso Martin Scorsese sarà presente con un documentario del 2014, provocatorio, eccentrico ed incendiario, The New York review of books, nel quale ripercorre la storia letteraria, politica e culturale della celebre rivista.
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Oltre alle qualità delle copie dei film, integrali e restaurate, uno dei valori aggiunti del programma sono le presentazioni dei film, curate dallo stesso Gianluca Farinelli, da Thierry Fremaux o da critici ed esperti come Paolo Mereghetti e Goffredo Fofi.
Il Cinema ritrovato fuori sala è un esperimento che durerà sei mesi. Saranno mesi cruciali per scoprire come evolverà ulteriormente il mondo del cinema, quello dei festival, che potrebbero cominciare a distribuire i film, e quello delle cineteche, che non si limiteranno a conservarli.
Articolo di Ugo Baistrocchi per IlSussidiario.net
Foto: una scena del film "Vita da cani"
Arruolare, mettere in uniforme, ovvero uniformare l'aspetto, la materia fisica e cerebrale di un giovane uomo. Denudandolo, ovvero togliendogli ogni difesa, e mettendolo sull'attenti, allineato all'infinita schiera del reclutamento; quindi mitragliarlo con un turpiloquio "macho" impietoso, assordante come un'esplosione, sibilante come i proiettili (Kubrick ha curato personalmente il doppiaggio per garantire il ritmo e la sonorità esplosiva della recitazione).
Uscirà prossimamente nelle sale italiane e poi sulle principali piattaforme digitali Brividi d’autore, che segna il rientro sul grande schermo del regista romano Pierfrancesco Campanella, recentemente riscoperto dai cinefili ed assurto al ruolo di “autore di culto”, dopo che le vecchie pellicole da lui dirette sono state divulgate nuovamente grazie ai moderni sistemi di fruizione.
Brividi d’autore narra le inquietanti vicende di una regista cinematografica “sui generis”, Louiselle Caterini, la cui carriera è in declino, che riesce a sfuggire, dopo giorni di prigionia, alle ripetute violenze di un misterioso maniaco mascherato da Frankenstein che l’aveva sequestrata.
La donna è molto traumatizzata, al punto da essere preda di terrificanti incubi che la inducono a farsi seguire da un ambiguo psichiatra.
Scrive nel contempo nuovi soggetti nella speranza che uno di questi possa trasformarsi in un film in grado di rilanciarla. Ma le sue proposte vengono sistematicamente rifiutate.
Finchè, esasperata, decide di torturare e uccidere il produttore che ritiene maggiormente responsabile delle sue frustrazioni. La “mattanza”, ripresa dalle telecamere, si trasforma nell’opera-verità del ritrovato successo.
Ma la realtà non è mai come appare: una serie incredibile di colpi di scena e di ribaltamenti di situazioni accompagnano lo spettatore fino allo svelamento dell’incredibile verità.
Questo nuovo lavoro del cineasta di Bugie rosse e Cattive inclinazioni è prodotto da Sergio De Angelis per Cinemusa srl e Cinedea srl e si avvale di un avvincente script elaborato da Lorenzo De Luca e dallo stesso Campanella. Oltre alla Cucinotta, recitano Franco Oppini, Emy Bergamo, Nicholas Gallo, Adolfo Margiotta e Chiara Campanella, con la speciale partecipazione di Sebastiano Somma. Da menzionare inoltre il ritorno davanti alla macchina da presa della sensuale e conturbante Gioia Scola, icona del cinema di genere degli anni ottanta. Si segnala infine un simpatico cameo da attore per il noto ingegnere informatico Paolo Reale, spesso opinionista televisivo nei più importanti talk-show di cronaca nera.
La fotografia di Brividi d’autore è di Francesco Ciccone, il montaggio di Francesco Tellico, le musiche di Fabio Massimo Colasanti, le scenografie e i costumi di Laura Camia.
La location principale dell’opera è l’Hotel Ospite Inatteso, di proprietà dell’imprenditore Giuseppe Simonelli, presso Montalto di Castro, un vero e proprio museo della settima arte, dove ha trascorso gli ultimi anni di vita lo storico produttore cinematografico Alfredo Bini, a cui si debbono i maggiori capolavori di Pierpaolo Pasolini ed altri grandi maestri del cinema.
La seconda guerra mondiale è finita. Nel campo 119, un campo di prigionia USA in California, un gruppo di prigionieri di guerra italiani, di ogni zona della penisola italiana, rinchiusi ed in attesa della liberazione attendono giorno dopo giorno il ritorno in patria e si preparano a festeggiare un altro triste Natale lontani dalle loro famiglie. Per dare un po' di sfogo alla loro nostalgia, si raccontano episodi e ricordi del passato prebellico e della nostalgia del Belpaese lontano.
Dopo aver dato un grosso impulso al cinema italiano del dopoguerra, pioniere del genere peplum, Pietro Francisci esordisce con una commedia neorealista dalla struttura a flashback per ricordare il dramma bellico e celebrare la solidarietà e l'unità tra gli italiani. Nonostante i vincoli imposti dagli stereotipi e dalle inflessioni regionali - che per alcuni è il punto debole della sceneggiatura, caratteristico invece per altri - il cast è eccellente in ogni fila: dal marito Fabrizi vessato dalla moglie-padrona Ninchi al finto cattivone sergente americano Celi, dal nobile squattrinato De Sica all'umanissimo cappellano Campanini. Mario Bava è direttore della fotografia, e si vede.
COLONNA SONORA: Angelo Francesco Lavagnino
FOTOGRAFIA: Mario Bava, Ferrer Tiezzi
PRODUTTORE: Giuseppe Amato
PRODUZIONE: Italia
GENERE: Drammatico, Commedia (bianco e nero)
DURATA: 90 minuti
------------ da wikipedia.org
Trama
Subito dopo l'armistizio, alcuni soldati italiani, provenienti da varie parti del paese, sono reclusi nel campo di prigionia statunitense 119, sotto la custodia di un antipatico sergente e di un maggiore, viceversa, molto umano. Lì trascorrono le loro giornate, svolgendo varie piccole attività, svagandosi con l'ascolto dei dischi o della radio militare, improvvisando dei banchetti di fortuna, e narrandosi dei tempi passati.
Il romano Giuseppe Mancini racconta agli altri di quando un pomeriggio ha portato i suoi cinque figli a passeggiare ai Fori imperiali. Lì ha conosciuto una giovane maestra torinese. Per far colpo su di lei, Giuseppe finge di non essere il padre dei ragazzini che, nel frattempo, si scatenano sotto lo sguardo disperato del custode dei Fori. Solo quando il piccolo Giulio cade da un muro e si mette a piangere, il bluff di Giuseppe viene svelato. L'uomo ritorna a casa e subisce il rimbrotto della moglie.
Don Vincenzino, un nobile rampollo amante del gioco che ha dilapidato tutte le sue fortune, ricorda quando venne salvato da Gennarino, che simulò il suo funerale, usando la sua carrozza bardata a lutto per convincere i creditori che l'uomo si fosse appena suicidato.
Guido invece racconta del suo amore per la bella Fiammetta. I due si erano appena fidanzati a Firenze subito prima che scoppiasse la guerra. Dovettero quindi separarsi, e fu un distacco doloroso. Tempo dopo, Fiammetta scoprì di essere rimasta incinta di Guido. Saputo che il suo amato si trova internato in un campo di prigionieri di guerra, decide comunque di sposarlo per procura.
Nane, gondoliere veneziano di bella presenza, racconta agli altri di quando gli capitò di adocchiare e poi sedurre una bella signora straniera, sposata. La donna si faceva portare da lui per tutti i canali di Venezia fino a quando, dovendo rientrare nei ranghi, fu costretta a ripartire col marito.
Incassi
Incasso accertato nelle sale sino al 31 dicembre 1952 £ 345.000.000 (la produzione del film non costò neanche 100 milioni)
Maestro indiscusso dello spaghetti-western, Sergio Leone dedicò quasi tutti i suoi film da regista all'immaginario americano. Terminata l'ultima pellicola che poté dirigere, rilasciò questa intervista, dove attraverso il racconto di anni di lavoro, traccia anche un ritratto di sé. Festival di Cannes 1984. Il regista, sceneggiatore e produttore italiano presenta, fuori concorso, 'C'era una volta in America', la pellicola che completa la cosiddetta trilogia del tempo, in sospeso dopo 'C'era una volta il west' (1968) e 'Giù la testa' (1971). Tratto dal romanzo 'Mano armata' di Harry Grey, è la storia di una banda di giovani malviventi -cresciuti nel Lower East Side a New York nel primo dopoguerra, poi gangster all'epoca del proibizionismo- e in particolare di uno di essi, detto 'Noodles', che si immagina ritornare in città oltre quarant'anni dopo.
Nella primavera del 1984, anno di uscita del film nelle sale, Sergio Leone concede alla Televisione svizzera RSI una lunga intervista, nella quale descrive il suo cinema "fatto di immagine, fantasia, racconto". Il regista parla a Gino Buscaglia della scelta degli attori: una volta scritturato Robert De Niro, gli altri sono stati scelti "in funzione di Bob". Riconosce che la durata del film (3 ore e 49 nelle sale italiane) è importante, ma "ci sono film cortissimi che sembrano interminabili", commenta.
Rievoca anche i luoghi in cui è stato girato (New York, Tampa, Venezia, Parigi, Cinecittà), il rapporto instaurato con gli abitanti di alcuni quartieri "blindati" dal set e di come a Montréal abbia trovato la metà, delle "location" annotate nei primi sopralluoghi. L'intervista a Sergio Leone fu trasmessa originariamente il 5 maggio del 1984 nella trasmissione 'Grande schermo'.
tvsvizzera.it/ri con RSI (Teche)
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C’era una volta in America (Leone, 1984) Universalmente considerato (e mi sento di condividere appieno il giudizio) uno dei più bei film di tutti i tempi, se non il migliore di sempre in assoluto , è un film epico che si svolge in tre epoche differenti e che proprio di questa trama intrecciata fa il suo punto di forza. Un film che parla dell’infanzia, dell’amicizia, del tempo e dei ricordi, e la storia di gangsters che ne rappresenta il soggetto sembra solo una scusa per trattare tutti questi temi. Negli Stati Uniti la sceneggiatura venne stravolta perché ritenuta troppo complicata, e portata così da 229 a 139 minuti, in ordine cronologico, rendendo il film incomprensibile e realizzando un fiasco. Nella versione originale (recentemente restaurata dalla Cineteca di Bologna con l’aggiunta di scene ulteriori inizialmente tagliate) rimane un capolavoro assoluto, impreziosito dalla recitazione di due mostri sacri come De Niro e Woods, e soprattutto dalla colonna sonora di Morricone (a modesto avviso dello scrivente, il migliore compositore di colonne sonore di sempre e tra i più grandi artisti dell’epoca contemporanea).
di Marco Scognamiglio per it.quora.com
Sono passati 40 anni dalla morte di Hitchcock. Una delle più importanti personalità della storia del cinema, ironico e brillante, maestro della messa in scena e della suspense. Le iconiche scene dei suoi film thriller hanno reso celebre il genio del regista britannico. La carriera: Lo spartiacque nella carriera di Hitchcock è rappresentato dal suo trasferimento da Londra a Hollywood, avvenuto nel 1940. In base a questa data, gli studiosi suddividono la sua produzione in due grandi periodi: quello britannico – durante il quale ha diretto ventitré film, di cui nove muti – e il periodo statunitense, nel quale ha diretto trenta film, fra i quali si annoverano i più conosciuti. Non è un caso se molti dei registi contemporanei come Scorsese, Spielberg e Tarantino hanno reso omaggio alla maestria tecnica di Hitchcock, oltre ad essere stato reale modello per i cineasti del giallo e noir come Dario Argento e Brian De Palma.
Lo stile registico
Hitchcock ha mescolato, spesso, commedia e suspense e le sue sceneggiature sono ricche di battute brillanti. Il suo intento era quello di presentare avvenimenti molto drammatici con un tono leggero. La suspense è stata, però, lo strumento tecnico che il regista ha saputo usare meglio. A detta sua, la suspense è migliore dell’effetto sorpresa, che regala un’emozione in modo troppo breve. Lo spettatore è a conoscenza di qualcosa che è oscuro al personaggio sulla scena e viene, così, messo in uno stato di ansiosa attesa. Temi musicali, ombre e luci particolari e, soprattutto, la dilatazione del tempo e della rapidità delle scene contribuiscono nei suoi film ad intensificare il pathos.
La durata di un film dovrebbe essere direttamente commisurata alla capacità di resistenza della vescica umana. Se vediamo un uomo con una mazza sopraggiungere alle spalle di una persona innocente, sappiamo qualcosa che quella persona non sa. E così si crea la suspense.
Le sue trame, fitte di mistero, mostrano come possa essere precario l’equilibrio quotidiano. Eventi casuali sconvolgono la vita di un uomo ordinario e non è facile distinguere il vero dal falso. Hitchcock ha utilizzato molti modi per comunicare l’ansia e l’angoscia insita nell’animo umano, dando molta espressività ai luoghi, creando effetti di allucinazioni o attribuendo significato agli incubi.
L’uso funzionale e inverosimile di suoni e rumori
All’epoca della loro uscita, molti film di Hitchcock furono criticati per l’inverosimiglianza delle situazioni. Al regista, infatti, non interessava tanto riprodurre realisticamente eventi e personaggi, quanto suscitare emozioni tramite un racconto. Per fare un esempio, ne La finestra sul cortile, il protagonista, Jeff, è costretto su una sedia a rotelle con una frattura alla gamba, a causa di un incidente. Il film è basato su quello che vede e sente Jeff dalla sua stanza e che, in termini di stretto realismo, risulta inverosimile.
Invece di sovrapporsi gli uni sugli altri, i suoni si succedono saggiamente. La cantante canta solo quando tace la radio di un altro appartamento; il compositore si rimette al suo pianoforte solo quando la radio e la cantante hanno smesso di emettere suoni. Utilizzando pienamente l’effetto audiovisivo di estensione, Hitchcock apre e chiude liberamente il rumore del cortile, a seconda se gli serve attirare l’attenzione del protagonista e anche, ovviamente, dello spettatore, verso l’esterno o al contrario, chiudere la scena sul piccolo teatro del soggiorno. Hitchcock fa, dunque, un abile uso dei suoni. Clacson e rumori della strada servono ad allargare il campo percettivo del mondo al di fuori della stanza e che non vedremo mai.
Le sue scelte registiche di strumentalizzare il sonoro sono evidenti anche in Psycho, nella celeberrima scena dell’omicidio nella doccia. La musica copre le urla ma le coltellate non hanno risonanza. La scena, in realtà, non è cruenta. La costruzione audiovisiva, col famoso stridere dei violini, crea l’illusione della violenza, fomenta il senso d’ansia e tensione.
Curiosità
Caratteristica comune a quasi tutti i film di Hitchcock è la sua presenza in almeno una scena. Nato come bisogno di prestarsi come comparsa, le sue apparizioni cammeo divennero una consuetudine scaramantica e, infine, una specie di gioco per gli spettatori, che, a ogni uscita di un nuovo film, dovevano cercare di individuare in quale inquadratura si fosse nascosto.
A 40 anni dalla morte di Hitchcock, sappiamo che il suo film preferito, tra quelli da lui girati è L’ombra del dubbio perché contiene alcuni riferimenti alla vita privata del regista.
Il padre di una ragazza scrisse ad Hitchcock una lettera, lamentandosi che la figlia dopo aver visto I Diabolici rifiutava di fare il bagno, e dopo aver visto Psycho rifiutava di fare la doccia. Hitchcock rispose semplicemente “la mandi al lavasecco”. Anche Janeth Leigh da allora, evita di fare la doccia nei motel.
Sembra che la sequenza in cui Kim Novak si tuffa nel fiume, ne La donna che visse due volte, venne ripetuta più volte da Alfred Hitchcock solo per divertimento.
Articolo di Martina Bonanni per UltimaVoce.it
Pietro Francisci, nato a Roma il 9 settembre 1906, è stato un regista e sceneggiatore italiano. A cavallo tra gli anni '30 e '40 realizza una serie di documentari e cortometraggi per conto dell'Istituto Luce che gli valgono diversi riconoscimenti in Italia e all'estero. Nel contempo gira anche film ben distanti dalle mode del tempo come NATALE A CAMPO 119 (del 1948 con Aldo Fabrizi, Vittorio De Sica, Peppino De Filippo, Massimo Girotti) che non appartiene alla corrente neorealista e tanto meno allo strascico che i telefoni bianchi hanno lasciato. Negli anni '50 si dedica ai peplum, allora genere molto in voga, anche grazie ai suoi film, con protagonisti personaggi mitologici come Maciste, Ercole, Sansone e Ursus. La consacrazione internazionale avviene con il film LE FATICHE DI ERCOLE diretto nel '58 con
Ennio De Concini, che incassa cifre spaventose e che vede protagonista Steve Reeves considerato uno dei più grandi del culturismo statunitense. La pellicola ottiene successo anche grazie ad un'attenta strategia di marketing, attraverso un battage pubblicitario martellante. Inoltre l'uscita in contemporanea di cartoni animati aventi il medesimo titolo del film e il doppiaggio statunitense fatto da Mel Brooks aumentano la pubblicità e la curiosità nel pubblico. Certo non è stato un kolossal come quelli prodotti negli Stati Uniti, ma quel il direttore della fotografia Mario Bava apporta delle trovate incredibili per quanto riguarda gli effetti speciali: è stato utilizzato per la prima volta in Italia il cinemascope. Con la caduta del peplum, Francisci durante gli anni '60 gira ancora qualche pellicola di genere, senza però ottenere un forte riscontro.
Muore nella sua città natale il 1° marzo 1977.
FILMOGRAFIA
1934 - RAPSODIA IN ROMA (regista)
1935 - LA MIA VITA SEI TU (regista e sceneggiatore)
1941 - EDIZIONE STRAORDINARIA (documentario)
1945 - IL CINEMA DELLE MERAVIGLIE (regista)
1946 - IO T'HO INCONTRATA A NAPOLI (regista)
1948 - NATALE AL CAMPO 119 (regista e sceneggiatore)
1949 - ANTONIO DI PADOVA (regista e sceneggiatore)
1950 - IL LEONE DI AMALFI (regista e sceneggiatore)
1951 - LE MERAVIGLIOSE AVVENTURE DI GUERRIN MESCHINO (regista)
1952 - LA REGINA DI SABA (regista e sceneggiatore)
1954 – ATTILA (regista)
1956 - ORLANDO E I PALADINI DI FRANCIA (regista)
1958 - LE FATICHE DI ERCOLE (regista e sceneggiatore)
1959 - ERCOLE E LA REGINA DI LIDIA (regista e sceneggiatore)
1960 - SAFFO, VENERE DI LESBO (regista e sceneggiatore)
1960 - L'ASSEDIO DI SIRACUSA (regista e sceneggiatore)
1963 - ERCOLE SFIDA SANSONE (regista e sceneggiatore)
1966 - 2+5 MISSIONE HYDRA (regista e sceneggiatore)
1973 - SIMBAD E IL CALIFFO DI BAGDAD (regista e sceneggiatore)
da Manifesto0
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