IlCorto.eu

♥ Cortometraggi

La musica da utilizzare nei cortometraggi

Riceviamo spesso email come queste:
1) Salve a tutti! Mi complimento con voi per il sito e i consigli. Ho provato a cercare nel vostro sito delucidazioni riguardo l'inserimento di musica commerciale all'interno dei cortometraggi. Vi spiego. Ho da montare un mio corto e vorrei mandarlo a qualche concorso, il mio problema sta nell'utilizzo della musica. Vorrei sapere se posso utilizzare musica commerciale e non originale: se no, perchè e poi vorre sapere i regolamenti per l'utilizzo e gli eventuali rischi. Si lavora in low budget agli inizi e si cerca di fare del meglio: aiutatemi per favore! Grazie mille.

2) Ho visto numerosi cortometraggi che usavano canzoni e musiche di film o autori famosi e quindi protette dal diritto di autore! Ora io sto girando un cortometraggio, ma mi è sorto il dubbio se sia possibile usare le musiche copyrighted senza pagare i diritti, pur inserendo i dovuti credits per la colonna sonora nei titoli di coda! Voi certamente siete le persone migliori a cui chiedere: è vietato usare le musiche non originali o si possono usare liberamente, mettendo i dovuti credits al termine? Grazie per la risposta!!!

3) ....ho scoperto da poco il vostro fantastico sito, Volevo avere un informazione riguardo ad un cortometraggio che sto girando. E' il mio primo lavoro in assoluto e sto utilizzando una colonna sonora non originale, ovvero presa da altri film, per quanto riguarda i diritti d'autore che problemi ci sono in un opera completamente amatoriale? ovvero il mio film non avrà scopi di lucro e sarà destinato solo alla visione su siti che si occupano di queste cose, vorrei sapere se il vostro sito accetta solo opere con musiche originali oppure non essendo un opera a scopi di lucro posso utilizzare musiche esistenti?
Spero di ricevere presto una risposta...

4) Abbiamo letto, con molto interesse e piacere, della rassegna de "il corto.it".
Una volta spulciato il regolamento ci siamo accorti di essere perfettamente in lina con le regole da voi decise ed elencate e vorremmo qualche informazione in più riguardo uno dei punti specificati (punto 12. Ogni Autore è responsabile dei contenuti dell'opera presentata e della diffusione di musica protetta da copyright).
Ci domandavamo se questa regola fosse per il semplice possesso di autorizzazione da parte delle case editrici di musiche protette da copyright, oppure se si trattasse della spesa che la messa in onda di queste musiche richiede.
Se si dovesse trattare della prima delle due ipotesi, ovvero le autorizzazioni, non ci sarebbero problemi perchè, pur avendo utilizzato musiche edite, siamo in possesso di tutte le carte in regola per la proiezione.
Se si dovesse trattare della seconda, ci farebbe piacere sapere a quanto ammonta la spesa, perkè, da voci di corridoio, costicchia il pagare la siae per musiche coperte da copyright... soprattuto da un privato. Proponendo noi un'opera di produzione indipendente, capirete che non ci sono chissà quanti soldi a sorreggerla e già tutto quel che abbiamo speso lo abbiamo inserito per ottenere un buon prodotto sotto il punto di vista visuale.


Noi vi diciamo che:

* Se il cortometraggio che realizzate lo fate vedere solo agli amici a casa vostra, potete usare tutta la musica commerciale (cioè per la quale sono dovuti i diritti alla SIAE) che volete... Basta che il corto venga proiettato entro mura domestiche o in luoghi non aperti al pubblico... In ogni caso per uso strettamente personale.

* Potete, invece, usare liberamente solo la musica composta da autori morti da oltre 70 anni: per esempio tutti i classici come Bach, Beethoven, ecc.

* Potete anche usare liberamente (come consiglia il nostro amico Mauro Cuchetti) musica rilasciata sotto copyright meno restrittivi che consentono l'impiego in cortometraggi e la riproduzione in pubblico senza ledere nessun diritto... Ovvero opere rilasciate sotto licenza "Creative Commons". Infatti nel sito perela.it egli scrive:
"Esistono invece autori che vogliono liberare da alcuni vincoli le opere che creano, ed utilizzano licenze meno restrittive per le loro canzoni, venendo così incontro a chi le acquista o le scarica liberamente da internet. Una di queste licenze meno restrittive che sta prendendo piede in questi ultimi anni è la Creative Commons. Molti artisti che rilasciano brani sotto questo tipo di licenza consentono la copia e il riutilizzo del brano mediante poche semplici e precise regole.
Esistono anche motori di ricerca su internet per il download di brani audio rilasciati sotto licenza Creative Commons, sui quali possono essere scaricati, ascoltati ed inseriti nei filmati che distribuirete senza infrangere nessuna legge..."

* Il problema sorge se volete far partecipare il vostro Corto che contiene musica commerciale (cioè per la quale sono dovuti i diritti) ad un concorso... Dovete leggere bene il bando: c'è (quasi) sempre scritto se dovete avere i diritti della musica, oltre che delle immagini (ma di questo parleremo in un'altro articolo). Il perché è presto detto: come già riportato nel capoverso precedente, se viene effettuata una proiezione pubblica, bisogna pagare (giustamente) i diritti all'autore della musica pubblicata tramite la SIAE. E normalmente questo costo non viene affrontato dall'organizzazione del concorso.

* Per poter utilizzare con tutti i permessi legali brani di musica commerciale, cioè già edita, ovvero pubblicata da qualche casa discografica, bisogna: scrivere all'autore ed all'editore musicale chiedendo loro la possibilità di utilizzare la musica prescelta nel vostro corto, pagare la cifra che viene richiesta, e successivamente pagare i diritti alla SIAE per ogni proiezione pubblica effettuata (queste sono le informazioni che vengono date dalla SIAE stessa).

* Attenzione, non pensate che se un Autore iscritto alla SIAE vi regala la sua musica la potete usare liberamente senza alcun pagamento... Forse lui non lo sa, ma i diritti alla SIAE sono anche in questo sempre dovuti...

* Quanto detto sopra è semplice a dirsi ma molto difficile a farsi, soprattutto per la quotazione da pagare all'autore ed alla casa editrice, quando il nostro è un cortometragio lowbudget...

* Il nostro Concorso accetta cortometraggi anche con musica commerciale, ma ripetiamo solo per il singolo concorso... Avremmo invece problemi se volessimo inserire il vostro corto ad esempio in una trasmissione televisiva... Ma nell'eventualità di questa situazione, vi contatteremo direttamente...

* Quale può essere il nostro consiglio? E' possibile che non avete amici che possano scrivervi 4 note musicali? Forse non sono belle come quelle che avete in mente... Potete allora provarci voi stessi con un programma low budget come il Music Maker della Magix... Con meno di 50 euro potete crearvi una musica libera da ogni diritto, e provarci tutte le volte che volete e per tutti i vostri corti. Non siete ancora soddisfatti? Oppure volete qualcosa di veramente bello? Allora dovete affidarvi a persone che con poche decine di euro vi compongono della bella musica creata appositamente per il vostro corto... Noi possiamo consigliarvi Stefano & Marco della musicfeel.it perchè li abbiamo testati personalmente... E per gli amici del sito www.ilcorto.it fanno anche dei prezzi speciali (basta dire che avete letto la loro offerta sulle nostre pagine).

* Ma credete proprio che il vostro cortometraggio diventi più bello se come colonna sonora ha quella certa musica commerciale che sentiamo spesso anche alla radio o che è nella hit parade? Ricordatevi che l'opera finale è fatta dall'unione omogenea di musica, immagini e parole... Avere una bella musica con riprese non troppo curate, senza una sceneggiatura ben studiata e naturalmente ben recitata, non serve a nulla. Secondo noi usare della musica commerciale è del tutto inutile!! Provate invece ad inserire una colonna sonora più omogenea alla qualità del vostro cortometraggio... Il risultato complessivo sarà vostro e solo vostro !!!!

E vi riportiamo integralmente anche quanto sta scritto sul sito della SIAE:

Domanda: Vorrei realizzare un film / documentario/ filmato, inserendo nella colonna sonora alcune musiche di repertorio. Quali sono gli adempimenti necessari?

Risposta: Per poter sincronizzare un'opera musicale preesistente nella colonna sonora di un film, filmato, audiovisivo, corto o lungo metraggio, ecc., è necessario acquisire preventivamente il permesso cosiddetto di “sincronizzazione”, per la prima fissazione della musica in abbinamento alle immagini e sequenze del filmato.
Il permesso deve essere richiesto direttamente agli editori musicali proprietari delle opere oppure, nel caso di opere di proprietà degli autori, al compositore. Le condizioni economiche vengono fissate di volta in volta dagli aventi diritto (cioè gli Autori ed Editori).
Nel caso di opere di dominio pubblico, naturalmente, non sono necessari permessi.
Inoltre, è necessario assolvere anche i diritti del produttore discografico, nel caso si faccia uso di una registrazione specifica. Si rammenta che le registrazioni fonografiche sono protette fino a 50 anni dalla data di fabbricazione.
Una volta legittimamente realizzato il prodotto audiovisivo, la SIAE provvederà alla riscossione del “compenso separato” spettante agli autori della musica (art. 46 legge 633/1941), per la proiezione pubblica del film o filmato nelle sale. Analogamente la SIAE interverrà a riscuotere il compenso spettante agli aventi diritto della musica per la diffusione televisiva e per la riproduzione su supporti destinati all' uso privato o al noleggio. Questi diritti vengono riscossi dalla SIAE rispettivamente presso la sala cinematografica, l'emittente televisiva, il produttore dei supporti.

Pensate che abbiamo scritto troppo? Le cose da sapere sono tante... Eccone un'altra (sempre tratta dalla SIAE):

Qualunque utilizzazione di un'opera cinematografica o assimilata su rete telematica deve essere autorizzata dal titolare del diritto, che in genere è il produttore o chi ha acquisito da lui i diritti in base ad un contratto. La stessa regolamentazione vale anche per le opere su supporti off-line (videocassette, DVD, CD-ROM, ecc.) e per l'utilizzo di frammenti in opere multimediali (CD-I). In tutti questi casi, l'autorizzazione del titolare del diritto non esonera l'utilizzatore dal pagamento dei compensi a favore degli autori di opere cinematografiche ed assimilate (regista, soggettista e sceneggiatore), da negoziare fra la SIAE e i singoli utilizzatori ( artt. 46bis e 18bis della L.d.A. n. 633/1941 e successive modificazioni ).

VIDEOCAMERA PER COMINCIARE

Il video digitale mette a disposizione di tutti noi una grande varietà di prodotti tra scu scegliere... e proprio il gran numero delle videocamere a disposizione, le diversità dei prezzi, marche più o meno conosciute ci mette a disagio.
Ci sono sul mercato apparecchi non troppo voluminosi e con zoom da 100x a 800x. Ci solleticano certamente. E poi costano poco. Poco più di una macchinetta fotografica digitale, e poi fanno pure le fotografie...
In linea di massima, sono tutte adatte a fare dei filmati durante le nostre vacanze estive o per la festa dei nostri figli o per girare un piccolo filmino con gli amici, per divertimento. E poco d'altro. Ma per iniziare vanno più che bene.

Ricordati che ci sono pure quelle usate, cioè comprate usate o imprestate dagli amici che non le usano più.

Cerchiamo di dare qui, come nelle altre pagine del sito, delle informazioni per iniziare con il piede giusto e continuare, senza dover buttare via ciò che abbiamo appena acquistato, se si desidera effettuare qualcosa di diverso, se vogliamo usare le nostre riprese, non sporadiche, per fare qualcosa di meglio.
Dobbiamo quindi sapere che con delle videocamere digitali di basso costo (tipo 200, 300 euro), possiamo sì fare delle belle riprese, ma non possiamo credere di poterci fare di tutto. Se vogliamo, se abbiamo altre finalità, dobbiamo cercare di avere più di un apparecchio che costa dai 500 ai 600 od 800 euro... La qualità si paga, sempre. Altrimenti ci dobbiamo accontentare... ma questa non è una cosa negativa: infatti rispetto a qualche anno addietro, quando c'erano le telecamere analogiche od ancora prima con le pellicole super8, siamo arrivati oggi ad un punto tale di evoluzione che con poca spesa possiamo ottenere un risultato sicuramente migliore!

Il minimo per incominciare è composo da una videocamera digitale (come, tanto per fare degli esempi: Canon MV930, Canon MV900, Canon MV860, Sony DCR-HC35, Sony DCR-HC23E, JVC GR-D340E, JVC GR-D320E, JVC GR-D240E, Panasonic NV-GS37, Samsung VP-D651, Samsung VP-D351, e così via) ed un computer con cui eseguire dei semplici montaggi delle scene che abbiamo ripreso. Basta un computer, meglio se con sistema operativo Windows, perchè al suo interno già troviamo un software che ci permette di fare i montaggi gratuitamente. Teniamo pure presente che molte volte insieme alla videocamera troviamo pure un semplice ma valido prodotto per il montaggio, spesso semplificato e di vari anni passati, come Pinnacle versione 9 o 10, Ulead Video studio 9, o simili.


 

REGISTA APPASSIONATO?

Tutto il nostro sito è costruito apposta per te, che vuoi diventare un REGISTA che vuole anche conoscere nozioni approfondite di REGIA, di MONTAGGIO, di VIDEOCAMERE, di SCENEGGIATURE,…. di FILM in generale, diventare quindi un FILMAKER a 360 gradi.

Hai solo l'imbarazzo della scelta da dove cominciare. Da parte nostra ti possiamo dire che hai trovato e sei sul sito giusto.
Leggi le pagine IL CORTO per sapere come si scrive una sceneggiatura (importante anche per il tuo breve cortometraggio), passa poi a conoscere i componenti del CAST e della TROUPE. Importante è avere anche conoscenze di TECNICA, se vuoi partecipare a qualche Concorso, per provare a farti le ossa... Ricordati che puoi guardare in streaming altri cortometraggi. Imparare dagli altri, vedere cosa fanno gli altri registi come te è importante e necessario per imparare.
Nel sito trovi anche informazioni su alcuni film classici che hanno fatto la storia del cinema, informazioni varie e di tutti i tipi sul mondo dei cortometraggi, notizie sugli eventi più importanti in Italia e nel mondo. Hai oltre molte pagine a tua disposiione.

E buona lettura !

Nota Bene: dalla PrimaPagina puoi trovare le pagine che parlano degli argomenti che ti interessano utilizzando il motore di ricerca interno.... usalo e troverai prima le pagine più interessanti per te.

 

Regista a 10 anni, così Gioele Callegari ha riadattato la saga di Star Wars in un corto

The young JediSi ispira a registi del calibro di George Lucas e Ridley Scott, ha presentato in anteprima al Festival del fumetto di Piacenza il trailer del primo cortometraggio della sua carriera – in mezzo a gente del mestiere da anni – nel quale ha riadattato la saga di Star Wars a una storia da lui ideata, e ha già in mente un supereroe tutto nuovo per la prossima pellicola. Fin qui sembra il profilo di uno dei molti giovani che cercano di farsi strada nel mondo del cinema. Il dettaglio che spiazza, però, è contenuto nella sua carta d’identità: Gioele Callegari è nato il 20 settembre del 2006. Ma a soli 10 anni e qualche mese il “ragazzo” sembra avere le idee chiare: “Non ho fatto questo film per soldi ma per imparare. Un giorno vorrei diventare un regista e arrivare a Hollywood”. Il percorso è ancora lungo. Certo è che i margini di miglioramento per chi si dimostra così precoce sembrano davvero molto ampi. Il lavoro in questione si intitola “The young Jedi” e parla di un bambino disabile che si ritrova nel bel mezzo di ingegnose peripezie in pieno stile Guerre Stellari. La trama è nata da una immagine ben precisa: “Un giorno, mentre ero in campeggio, ho visto un piccolo al quale mancava una parte del corpo e ho deciso di renderlo il protagonista. Questo bambino, mentre si trova a casa, ascolta la storia raccontata dal padre e immagina come lui stesso potrebbe vivere un’avventura da Jedi”.

In ogni modo, il baby videomaker piacentino non è solamente l’ideatore del cortometraggio ma anche lo sceneggiatore, il regista, il montatore e l’attore principale. “Ha fatto tutto lui – conferma il papà Alberto Callegari -, noi adulti ci siamo messi a disposizione per dargli una mano”. Qualche consiglio gli è arrivato dalla mamma, Elisabetta Astorri, grande appassionata di cinema. Il resto è frutto della sua fantasia e dell’aspirazione a diventare un giorno come i grandi maestri della macchina da presa. La prima telecamera gli è stata regalata per il sesto compleanno dai genitori. Da quel momento Gioele ha dedicato ogni momento disponibile a formarsi utilizzando semplici programmi di grafica e a presentare i suoi lavori attraverso il web. “Ha preso questa attività molto sul serio. Quando ha cominciato a girare brevi video e a pubblicarli su YouTube, in casa non si poteva parlare per non disturbarlo. E’ concentrato sull’obiettivo e lo ha dimostrato con questo cortometraggio, decisamente più elaborato, per il quale ha aperto una pagina Facebook che si chiama, appunto, The young Jedi” ha aggiunto il padre.
Si tratta di 12 minuti, che saranno proiettati integralmente a fine maggio al cinema Jolly di San Nicolò, nei quali si sono prestati come attori Michael Fortunati nei panni di Dart Fener e Laura Barbieri in quelli della Principessa Leila, con operatore di macchina Yuston Austoni e le musiche originali del fratello maggiore Elia Callegari. “Non aspettatevi chissà cosa” tiene a premettere Gioele con modestia, però subito dopo non riesce a nascondere il suo sogno nel cassetto: “Cerco di fare del mio meglio, ispirandomi a registi come Rydley Scott e George Lucas. Se potessi incontrarli vorrei stringergli la mano e chiedergli come fanno a realizzare delle scene così belle. Poi li inviterei a cena per fargli vedere il mio film”.

articolo di Gianmarco Aimi per ilfattoquotidiano.it

«La Regina di Cuori»: un corto per combattere l'assurdità delle challenge online

La Regina di Cuori il corto presentato a Venezia«Raccontare ai ragazzi un tema attuale come quello delle challenge online parlando il loro stesso linguaggio». Emanuele Malloru, Emalloru per gli oltre 311 mila follower su Instagram e 238 mila su Youtube, lo spiega così, l’obiettivo del social movie tratto dal corto mostrato a Venezia nel pomeriggio del 2 settembre. Emalloru, cui è stato chiesto di fare propria una «modalità che appartenesse per intero alla Generazione Z», ha saputo trasformare La Regina di Cuori in un viaggio breve quanto efficace. Il corto di Thomas Turolo, pensato per avere diverse declinazioni mediatiche, ha sposato così il linguaggio di Emalloru, che «attraverso interviste ai protagonisti e contenuti video», ha portato lo spettatore nel backstage del breve film, diciassette minuti dedicati per intero al tema complesso delle challenge online.

La Regina di Cuori il corto presentato a Venezia 2La Regina di Cuori, come il social movie che, in apertura, potete vedere in anteprima esclusiva, è la storia di Alice, di un bisogno di approvazione e appartenenza sfociato nella ricerca ossessiva del successo social. Alice ha cominciato per caso, nel tentativo di sfogare il protagonismo nel quale ogni adolescente, crescendo, finisce per imbattersi. Ma quel protagonismo venato di insicurezza ha finito per catapultarla al centro di un incubo, in un sottosopra governato dalle leggi assurde della comunità web. «Tagliati, Alice. Stringiti una cintura attorno al collo e sali sul parabrezza di un ponte. Salta, filmati, condividi online le tue sfide matte». A sussurrarle all’orecchio cosa avrebbe dovuto fare, è stata la voce di una fantomatica Regina di Cuori, versione ancor più cattiva della sovrana dalla testa enorme che si è vista in Alice nel paese delle meraviglie. La Regina ha comandato ed Alice eseguito, obbediente come il 15% degli italiani fra i 15 e i 19 anni che, secondo uno studio della European School Survey Project on Alcohol and other Drugs, ha sentito parlare di challenge durante il lockdown.

«Nel social movie, ho cercato di porre l’attenzione sugli inevitabili rischi, ma anche sulle infinite opportunità che i social network offrono, lasciando davvero un impatto nella vita – online e offline – dei ragazzi», ha spiegato Emalloru, parte di un progetto che a Venezia ha saputo accendere un faro su un argomento attuale e urgente. Le challenge online non sono (solo) la pagina di cronaca che, di tanto in tanto, si è costretti a leggere. Sono una realtà diffusa al punto da aver indotto un ragazzo su cinque a provare la Blackout Challenge, sfida demenziale in cui è chiesto di stringersi una cintura al collo e resistere senz’aria quanto più possibile. «Questa storia induce molteplici riflessioni: la fase del ciclo di vita dei preadolescenti e adolescenti contraddistinta dalla voglia di misurarsi con le sfide, e le challenge sono un modo di iniziare a sentirsi più grandi, autonomi e accettati dai coetanei. Un’ età in cui però non si ha cognizione e percezione dei rischi che si corrono. Il punto cruciale risiede nella capacità educativa, nel saper fornire regole e limiti. Nessuna demonizzazione degli strumenti o dei social in assoluto ma il loro utilizzo dovrebbe essere assolutamente regolato a seconda dell'età e comunque sempre sotto il controllo degli adulti», ha spiegato la psicologa e psicoterapeuta Maddalena Cialdella, consulente de La Regina di Cuori, un film corto nel quale hanno recitato Giuseppe Battiston, Cristiano Caccamo, Beatrice Vendramin e Mariasole Pollio.

di  CLAUDIA CASIRAGHI  per https://www.vanityfair.it/

 

Oscar 2022: uno dei produttori della cerimonia parla del “taglio” di 8 categorie

Con la premiazione degli Oscar 2022 alle porte, la cerimonia si terrà nella notte tra domenica 27 e lunedì 28, Will Packer produttore della 94a edizione degli Academy Awards, spiega la decisione controversa di tagliare otto categorie dalla trasmissione in diretta degli Oscar.

oscar 2022 tutte le nominationLa cerimonia di tre ore si svolgerà al Dolby Theatre di Los Angeles, in California, e per la prima volta dal 2018 la serata avrà un conduttore sul palco, anzi tre: Regina Hall, Amy Schumer e Wanda Sykes. Lo scorso febbraio è stato annunciato che otto categorie non sarebbero state trasmesse durante gli Oscar; corto documentario, montaggio, trucco e acconciatura, scenografia, corto animato, corto live action, sonoro e colonna sonora, con i premi presentati, consegnati e registrati al Dolby Theatre un’ora prima dell’inizio della trasmissione e poi rimaneggiati grazie al montaggio.

Questa forzatura voluta dalla ABC e frutto di un compromesso raggiunto con l’Academy non è stata indolore, con diversi professionisti del settore che hanno boicottato la cerimonia o si sono dimessi dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences.

Il produttore Will Packer in una conferenza stampa ha cercato di spiegare la decisione di non includere le otto categorie nella trasmissione in diretta.

Sono nostri colleghi. Queste sono le persone con cui lavoriamo e le persone che amiamo. E vogliamo assicurarci che tutti abbiano il loro momento in questo show, e che sia gestito con la stessa riverenza ed eleganza che ci si aspetta dagli Oscar. E quindi uno dei malintesi è che le cose vengono tolte dallo show e non è così. Non lo è. Quando ho ottenuto il lavoro per la prima volta, ho detto: “Lo spettacolo in genere dura circa più di tre ore. Facciamo quattro ore quest’anno”, e la gente mi ha guardato e ha detto: “Oh dio, sapevamo che avremmo dovuto assumere questo tipo”. Ho detto, “troppo tardi”. Ma parte del pensiero era puntavamo ad avere uno spettacolo di quattro ore e lo avremo davvero e lo spettacolo inizierà al Dolby e vogliamo che tutti siano lì con i loro colleghi a fare il tifo per loro e lo spettacolo televisivo inizia un’ora dopo. E questo è come qualsiasi altro spettacolo dal vivo che prende decisioni su cosa andrà in onda e cosa sarà tagliato. Ma non commetteremo errori, senza dubbio, faremo in modo che tutti abbiano il loro momento perché alla fine della giornata è uno spettacolo divertente. Vogliamo essere celebrativi e divertenti, ma si tratta di celebrare le persone più talentuose del mondo e quello che fanno, e siamo determinati a farlo e a farlo nel modo giusto… Vogliamo che tutti siano celebrati e si divertano notte. E penso che una volta che tutti vedranno il modo in cui stiamo mettendo insieme lo spettacolo, vedranno che c’è una reale intenzionalità dietro tutte le decisioni che vengono prese. E questo è unire le persone per amore del cinema e celebrare queste persone.

Anche Glenn Weiss, il regista della notte degli Oscar è intervenuto al riguardo: “Oltre a quello che ha detto Will, voglio sottolineare questo punto, che le istruzioni che il team ha ricevuto su quei premi… è l’avere il massimo rispetto. Siamo qui solo per rispettare e onorare e so che tutti hanno la loro idea nella testa di ciò che pensano sia questo momento. Lo stiamo facendo per onorare le persone e rispettarle. Questo è quello che stiamo facendo qui”.

Questo intervento è stato imposto per abbreviare la cerimonia, che durante la messa in onda spesso toccava le quattro ore; purtroppo la scelta di determinate categorie da “sforbiciare” rispetto ad altre ha inevitabilmente creato malumore tra gli addetti ai lavori, a cui si potrà propinare qualsiasi giustificazione al riguardo, ma la sensazione di aver voluto creare, scientemente o meno, categorie di serie A e altre di serie B. è oltremodo evidente.

di Pietro Ferraro per https://www.cineblog.it/

Backstage del film “Qualcos’altro…che ancora non c’è”

Un film sulla pandemia realizzato da adolescenti

"Qualcosa che ancora non c'è.." è un film appena realizzato grazie ad un bando del Ministero dell'Istruzione, dal laboratorio cinematografico creato da Alveare Cinema e da alcuni studenti del Liceo Bramante di Roma. Un film girato durante il primo lockdown, scritto da adolescenti e realizzato interamente da adolescenti. I giovani autori con l'aiuto del regista Paolo Bianchini, mettono a nudo le proprie sensazioni, i propri tormenti ed emozioni vissute durante il terribile periodo passato in casa. Ne viene fuori la necessità, espressa anche dalla pedagogista Maria Rita Mancaniello, che si prenda spunto dal periodo della pandemia, di ripensare alle traiettorie dello sviluppo e ai modelli sociali a cui aspirarci.  

da www.raiscuola.rai.it/

Sa.Rà. un Musical – Qualcos’altro…che ancora non c’è

Il progetto “SaRà un Musical” ha previsto un percorso durato circa due anni, lungo e complesso, prima, durante e dopo la pandemia. Un percorso realizzato in presenza, a distanza e nuovamente in presenza nel rispetto di tutte le normative anti-covid. Un grande sforzo da parte della scuola, dell’Alveare Cinema e degli studenti, che ha portato i suoi risultati permettendo agli studenti di proseguire il proprio percorso, di avere un punto di riferimento e di non vedere traditi gli obiettivi del progetto.

Qualcosaltro che ancora non cè 15042022 180233 E’ stato realizzato un film di 100’ che ha coinvolto oltre 50 ragazze e ragazzi nell’ambito del programma PCTO ex “Alternanza Scuola Lavoro”. Si chiama “Qualcos’altro… che ancora non c’è“.
Le riprese sono iniziate il 16 novembre 2020 dopo mesi di lavoro dedicati alla sceneggiatura insieme agli sceneggiatori di Anac. I laboratori non si sono fermati durante il lockdown, ma sono proseguiti online. L’idea era diversa. Poi la quarantena ha fatto emergere la necessità di raccontare quello che stava accadendo. Così i personaggi si sono presentati agli autori in un’alternarsi continuo tra finzione e realtà. La storia ha preso una nuova direzione dando vita a più vicende parallele, unite dal filo rosso della prima trama e cucite insieme grazie alla super visione oltre che di Bianchini anche di Alessandro Rossetti e Alessandro Trigona di Anac Autori. I provini per il cast sono stati fatti online, poi i callback dal vivo, a scuola, con mascherine e distanziamento.
Il progetto abbraccia il mondo del cinema a trecentosessanta gradi. Per questo ha previsto laboratori legati a tutti i mestieri che ruotano intorno alla realizzazione di un lungometraggio: costumista, scenografo, fonico, fotografo, montatore ecc. Con la guida di esperti dei diversi settori, gli studenti hanno avuto l’occasione di sperimentare sul campo, nel rispetto di tutte le norme anti Covid.
Il film è stato presentato il 5 settembre 2021 all’interno di Isola di Edipo/ Giornate degli Autori sezione parallela del Festival del Cinema di Venezia.
Il progetto è stato oggetto di valutazione da parte della Prof.ssa Maria Rita Mancaniello, Pedagogista dell’Adolescenza – Università degli Studi di Firenze, che nella sua relazione ha dichiarato “Un Qualcosa che ancora non c’è, ma che si sente esplodere dentro di sé, una percezione, una brezza gelata che sfiora sottopelle, tanto silente, quanto dirompente. Un Qualcosa che ancora non c’è ma che ha la forma di un passato tutto da elaborare, patrimonio immateriale del proprio mondo interno, che attraversa l’adolescente senza possibilità di eluderne le sensazioni che suscita e senza possibilità di saltarlo “a piè pari”, come si desidererebbe tanto”.

Il progetto ha coinvolto complessivamente 50 studenti.

da cinemaperlascuola.it/

Gli studenti del Tufello raccontano pandemia e lockdown

Qualcosaltro che ancora non cè filmIl Tufello si trasforma in un set cinematografico, sotto l'attento sguardo del grande murale di Gigi Proietti. Con mascherine su naso e bocca, ben distanziati, gli studenti raccontano la pandemia e il lockdown: si chiama "Qualcos'altro... che ancora non c'è" ed è il lungometraggio scritto da 7 ragazze e ragazzi tra i 12 e i 23 anni.
Un progetto di Alveare Cinema con il supporto di Miur e Mibact e la collaborazione di Anac Autori e Roma Best Practices Award che coinvolgerà circa 50 studenti dell'istituto D. Bramante al Tufello nell'ambito del programma di "alternanza scuola lavoro" e i ragazzi del Liceo Ninni Cassarà di Palermo che realizzeranno i sottotitoli.  Le riprese partiranno lunedì 16 novembre dopo mesi dedicati alla sceneggiatura. I laboratori non si sono fermati durante il lockdown, ma sono proseguiti online. "L'idea iniziale - racconta il regista Paolo Bianchini - era diversa. Poi la quarantena è entrata nelle nostre vite e ci siamo resi conto che avevamo bisogno di raccontare quello che stava accadendo".  Così i personaggi si sono presentati agli autori e, mescolando finzione e realtà, la storia ha preso una nuova direzione. Più vicende parallele, unite dal filo rosso della prima trama, sono state cucite insieme grazie alla supervisione oltre che di Bianchini anche di Alessandro Rossetti e Alessandro Trigona di Anac Autori. Si parla di violenza, isolamento, diversità, paura di essere tagliati fuori, relazioni. Tutti temi sollevati e approfonditi dai giovani autori.
Qualcosaltro che ancora non cè film 2I provini per il cast sono stati fatti online, poi i callback dal vivo, a scuola, con mascherine e distanziamento.  Il progetto abbraccia il mondo del cinema a trecentosessanta gradi. Per questo prevede laboratori legati a tutti i mestieri che ruotano intorno alla realizzazione di un lungometraggio: costumista, scenografo, fonico, fotografo, montatore ecc.  Con la guida di esperti dei diversi settori, gli studenti avranno l'occasione di sperimentare sul campo il lavoro che sognano di fare. “Il progetto - commenta la dirigente della scuola D. Bramante Daniela Crestini - è un’occasione di grande rilievo sul piano esperienziale e professionale per i nostri studenti”.
"Qualcos'altro... che ancora non c'è" è il secondo film interamente realizzato con una scuola. Nel 2019 Alveare Cinema ha girato "Frammenti", presentato alla Mostra internazionale di Venezia e proiettato alla Festa del Cinema di Roma.“

Articolo da RomaToday.it

Vito Palmieri: "See you in Texas", al limite della finzione

See you in Texas 1“See you in Texas” nasce da un'idea del Direttore della Fotografia Michele D'Attanasio (VELOCE COME IL VENTO, LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT), amico e collaboratore del regista Vito Palmieri “Michele girava un film in Trentino, LA FORESTA DI GHIACCIO, dove ha conosciuto un giorno una coppia di giovani trentini che avevano voglia di svagarsi perché spesso impegnati a lavorare con le bestie, mestiere che ha dei ritmi particolari e comporta una grossa fatica fisica e mentale.”

L'idea colpisce Palmieri per il contrasto che la storia ha e decide di proporre il soggetto a Matteo Rovere, regista e produttore con cui è in contatto da anni. “Io e Matteo ci conosciamo da tempo: siamo della stessa generazione ed è capitato spesso di partecipare agli stessi festival con lavori propri. Matteo ha accettato subito e mi ha convinto a sviluppare il progetto come un film di finzione piuttosto che un documentario.”

See you in Texas 2Infatti il limite tra finzione e realtà in “See you in Texas” si percepisce appena grazie al lavoro del regista che in primis ha deciso di coinvolgere direttamente i due giovani allevatori senza prendere alcun attore che interpretasse le loro vite. Inoltre Palmieri decide di abbattere quello che è solitamente lo stereotipo delle stalle che in molti film vediamo sempre nella stagione primaverile o estiva, mentre in “See you in Texas” le riprese sono state fatte a febbraio con -10°, per di più con una troupe molto ristretta, proprio perché il regista voleva conservare un certo grado di intimità e spontaneità dei due principali protagonisti.

La bravura di Palmieri si percepisce e non è una casualità visti i suoi precedenti: una decina di lavori riconosciuti a festival nazionali e internazionali. A tal proposito il regista conferma che “il cortometraggio, così come il documentario, è un'ottima palestra per imparare cos'è il set, come raccontare una storia, anche se poi la vera sfida è il lungometraggio.”

E probabilmente questa sfida la sta vincendo visto che nel giro di pochi mesi “See you in Texas” è stato presente al Biografilm Festival, all'East Film Festival e al Mantova Film Festival, oltre che aver vinto il Gran Prix al Shanghai International Film Festival.

- Biografia

Vito Palmieri registaVito Palmieri, nato a Bitonto il 1º ottobre 1978, è un regista cinematografico italiano.

Si laurea nel 2004 in Filmologia al Dams di Bologna, città dove attualmente vive. Nello stesso anno inizia la sua carriera come regista con il cortometraggio "Al mare", che vince all'EcoVision Festival e al Laura Film Festival nel 2005.

Nel 2006 Palmieri gira "Tana libera tutti". Finanziato dal MiBACT, il corto, oltre a essere candidato ai David di Donatello viene selezionato al Festival Arcipelago, al Genova Film Festival, al Visionaria International Video Festival, al Festival Within the family a Novosibirsk in Russia, al NICE Festival, al San Paolo Film Festival in Brasile e all'International Children's Film Festival India a Hyderabad. In molti di questi si aggiudica un premio.

Tre anni dopo dirige "Se ci dobbiamo andare, andiamoci" che viene presentato al festival Human Rights di Bologna e vince un premio al Festival del cinema europeo. Il 2010 è l'anno di "Eclissi di fine stagione" selezionato in numerosi festival cinematografici italiani tra cui il Giffoni Film Festival, nella sezione Diritti umani, e vincitore del premio della giuria, presieduta dal regista Alessandro D'Alatri, al festival Cortoacquario. Il corto inoltre fa parte dei trenta titoli preselezionati per i Corti d'argento 2012, festival che si svolge a Cortina d'Ampezzo.

Nel 2010 Vito Palmieri approda al documentario con "Il valzer dello Zecchino - Viaggio in Italia a tre tempi" ultimato l'anno seguente. Il film vince nel 2011 il primo premio come miglior documentario all'Annecy cinéma italien, il premio speciale della giuria al Festival Internazionale Arcipelago e il primo premio nella sezione Frontiere (Premio Giuseppe Folchi) al Molise Cinema Film Festival. Nello stesso anno il documentario partecipa al Bif&st, alla Rassegna Italia vera al Palazzo delle Esposizioni di Roma e al Winter Film Festival a Montevideo in   Uruguay. Il film è stato in concorso anche a Les rencontres du Cinéma italien di Grenoble in Francia e al Festival del cinema italiano di Madrid.

Nel 2012 dirige il cortometraggio "Anna bello sguardo", un omaggio a Lucio Dalla, che viene proiettato in anteprima assoluta il 4 marzo 2013 (a circa un anno dalla scomparsa del cantautore bolognese) al Festival “Visioni italiane 2013” di Bologna.

Sempre il 2012 è l'anno di "Matilde" che partecipa nel 2013 alla 63ª edizione della Berlinale nella sezione Generation e al Giffoni Film Festival. Nel 2013 il corto vince il Riff-Rome independent film festival, il premio NociCortinfestival all'HollyShorts Film Festival di Los Angeles e la sezione Kids del Tiff-Toronto International Film Festival.

Articoli tratti da Manifesto0

Arriva in Italia Planet Earth II, il documentario naturalista più bello del mondo

Planet Earth IIIn Gran Bretagna è stato visto da 29 milioni e 700 mila persone, la metà circa della popolazione: si chiama «Planet Earth II», è il seguito della leggendaria serie tv prodotta dieci anni fa dalla Bbc e firmata da sir David Attenborough ed è arrivato su Retequattro. Sei ore circa di televisione divise in tre serate speciali, e dentro c’è un pezzo prezioso d’Italia: nella puntata dedicata alle città, l’esempio visionario del Bosco Verticale di Milano progettato da Stefano Boeri, un ecosistema che comprende 800 alberi, 5.000 arbusti di grandi dimensioni e 15.000 piante perenni e ricadenti, oltre a 20 specie diverse di volatili e agli umani che abitano nelle due torri, fa da simbolo alla possibile, auspicabile commistione fra natura selvaggia e ambiente urbano.

Una troupe della Natural History Unit della BBC guidata dal produttore Fredi Devas lo ha ripreso per due anni interi, usando il meglio della tecnologia oggi a disposizione e raccontandolo in ogni particolare: «Sono un esperto di deserti e il mio primo interesse sono stati i babbuini», racconta Devas, a Milano per presentare il programma. «Ma questo ambiente urbano mi ha conquistato per le prospettive fresche e inedite che ci offre, e per la speranza che apre verso il futuro. Oggi, attorno alla Torre Pelli che si trova poco lontano del Bosco, ho visto volare due falchi pellegrini, gli stessi che nidificano in massa a New York e che raccontiamo nel programma».  

Ma non di sole città è fatto «Planet Earth II», che ci conduce dalle Galapagos al Botswana, dalle Alpi francesi al Madagascar, dall’Antartide a Mumbai. Grazie ai progressi degli strumenti di ripresa, all’uso di droni, telecamere a sensore e stabilizzatori d’immagine a giroscopio, oggi l’invisibile è stato reso visibile e il punto di vista non è solo quello tradizionale. Strumenti sempre più piccoli e sensibili colgono ogni dettaglio degli animali e ci gettano nel cuore dell’azione: esemplare una sequenza di caccia incentrata su un’iguana marina inseguita dai serpenti che è subito diventata virale, registrando quattro milioni di visualizzazioni in Rete.

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dall'articolo di Egle Santolini  per lastampa.it

Il Linguaggio Cinetelevisivo

Un linguaggio è un complesso sistema di segni visivi e/o auditivi, ognuno dei quali si riferisce in maniera tendenzialmente univoca ad altrettanti significati. La parola “tavolo” non ha alcuna relazione fisica con l’oggetto cui si riferisce, eppure chi conosce quell’insieme di lettere o il loro suono, le associa immediatamente all’oggetto reale. I segni devono relazionarsi tra loro attraverso un codice, cioé un insieme di regole e caratteristiche comuni che ne assicurino il riconoscimento e il riferimento ai significati. I linguaggi verbali sono quelli più diffusi, e sono fondati su codici grammaticali, ma ve ne sono molti altri. Tra questi vi è il linguaggio cinetelevisivo.

Al pari di qualsiasi altro linguaggio esso è costituito da un insieme di segni che, relazionati tra loro attraverso un sistema di regole, è utilizzato per comunicare qualcosa a qualcuno.

Il linguaggio cinetelevisivo è una sorta di macrolinguaggio, risultante della fusione di più linguaggi costitutivi. Ognuno di essi è a sua volta una versione particolare di linguaggi più generali, preesistenti a quello cinetelevisivo. Si tratta di linguaggi con proprie autonome tradizioni, evoluzioni e "regole" e che, integrati nel più complesso linguaggio cinetelevisivo, si adattano e si trasformano dando vita a “varianti linguistiche”. La musica per film, ad esempio, è parte costitutiva del linguaggio cinetelevisivo, ma allo stesso tempo è una variante del vasto mondo del linguaggio musicale. Molti degli autori delle colonne sonore cinematografiche posseggono una formazione legata alla musica classica: anche loro scrivono sul pentagramma, cercano accordi, inventano melodie. Questi compositori devono conoscere i fondamenti del linguaggio della musica, ma, allo stesso tempo, sono tenuti ad adattarsi alle particolari caratteristiche del linguaggio cinetelevisivo. Per questo un direttore d’orchestra o un compositore di musica classica non necessariamente dispongono dell’inventiva o delle competenze necessarie ad eseguire o creare un accompagnamento per film. 

Le opere realizzate con il linguaggio cinetelevisivo hanno bisogno dell'apporto separato e convergente delle specifiche varianti di altri linguaggi. Per scattare una fotografia basta un fotografo, per scrivere un romanzo è sufficiente uno scrittore o al massimo l'intervento di un consulente o di un editor, ma per realizzare un film o un programma tv occorrono molte e diverse professionalità, spesso corrispondenti a diversi particolari linguaggi. 

Il concorso e l'equilibrio di questi contributi linguistici è ciò che rende la creazione dell'opera cinetelevisiva un’operazione straordinariamente complessa: spesso la qualità o il successo di un'opera cinetelevisiva sono conseguenza della minore o maggiore capacità di amalgamare i diversi linguaggi che concorrono alla sua sintesi finale. Una volta fusi nella scena, i vari linguaggi perdono la propria autonomia. Il linguaggio cinetelevisivo si presenta come unitario solo nella sua forma condensata e concreta: l'opera cinetelevisiva. Per giungervi ha bisogno però dell'intervento simultaneo e concertato di vari linguaggi. Con un'attenta analisi è possibile, a partire dall'opera, risalire ai diversi contributi linguistici ed anche a come essi hanno influito nell'equilibrio generale.

IL LINGUAGGIO CINETELEVISIVO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Michele Corsi per cinescuola.it

 

Proiezione del cortometraggio "Helena" ad Ascoli Piceno

Il Comune di Ascoli Piceno ospiterà la proiezione del cortometraggio "Helena" di Nicola Sorcinelli. Saranno presenti il regista, l'attrice Sandra Ceccarelli e dirigenti della produzione. L'appuntamento è domenica 13 Marzo 2016 alle ore 17:00 presso la Sala dei Savi di Palazzo dei Capitani.

 Sinossi


locandina corto HelenaHelena è un ufficiale delle SS cui è affidato il compito di smistare i prigionieri ebrei tra i campi di concentramento. I prigionieri che accompagna sono bambini. Svolge questo compito con assoluta fedeltà e adesione ai folli ideali del Reich, convinta che la vita sia dominata da un ordine rigorosissimo e infallibile. Ma, a causa di un agguato, il treno su cui viaggiano Helena e i bambini deraglia: sopravvive un solo bambino. Helena vuole portare a compimento la missione che le è stata affidata: il campo di concentramento è distante alcuni giorni di marcia, ma Helena persegue convinta nella sua totale adesione ai piani del regime, per consegnare quel bambino al suo ultimo destino. La Storia tuttavia, a volte, deve fare i conti con l'imprevisto, con un fattore che non si può pianificare in anticipo. Helena, sempre durissima e severa, a contatto con quell'umanità più fragile e delicata che il bambino personifica, progressivamente, muterà la sua disposizione d'animo. Helena e il bambino sono ormai vicinissimi al campo di concentramento, simbolo del male e di quell'atroce follia perpetrata da alcuni uomini contro altri uomini. La coscienza di Helena si risveglia e comprende appieno l'assurdità della missione cui si è votata. Ma un soldato nazista si para di fronte al loro cammino. È questo il momento decisivo della vita di Helena, quel momento in cui ogni uomo e ogni donna sono chiamati a schierarsi e a fare una scelta. La vicenda è rievocata tra le pareti di una cantina sotterranea in cui Helena disegna al carboncino alcune scene che, mano a mano, capiremo essere istanti di vita vissuta, la rievocazione di quella storia personale, così tragica ma altrettanto commovente e ricca di speranza. Perché una speranza è sempre possibile, anche di fronte ai mali più atroci.

Note


shoting corto HelenaLe riprese del cortometraggio, durate cinque giorni, sono partite da Ascoli Piceno, in Piazza del Popolo e al Teatro Ventidio Basso, che ha ospitato la ricostruzione dell'incidente al vagone ferroviario da cui la storia ha inizio. Le successive quattro giornate di riprese hanno interessato la provincia di Pesaro e Urbino, con gli esterni ed i paesaggi della Riserva Naturale della Gola del Furlo, toccando inoltre le città di Cagli e San Costanzo.

Il regista  Nicola Sorcinelli


Nicola Sorcinelli nasce a Cattolica e vive la sua infanzia nel paesino di San Costanzo (PU). Regista, inizia il suo percorso artistico durante l'infanzia tra i banchi di scuola organizzando assieme ad amici i primi esperimenti/corti, che lo porteranno a realizzare le prime opere e a vincere i primi premi all'età di 13 anni. Qualche anno dopo inizia una vera e propria collaborazione con gente tecnicamente molto più esperta nel settore, gente appassionata della stessa arte, grazie alla quale realizza diverse opere vincendo numerosi premi nazionali ed internazionali (Ricordiamo Los Angeles Movie Awards, Cannes Courtmetrage, Premio Francesco Passinetti a Venezia, Fano International Film Festival, Florida Film Festival, Premio Agis). Lavora anche su vari set italiani come assistente alla regia e aiuto regia. Il Resto del Carlino lo inserisce nella classifica dei 100 orgogli della Regione Marche. I suoi ultimi lavori: La Neve non fa Rumore del 2009, Il Viaggio del Piccolo Principe del 2011, Prima della Pioggia del 2012, L'Attimo di Vento del 2013, la serie I 7 giorni della fine del mondo del 2014/2015 e ancora in lavorazione ed Helena del 2015.

L'attrice - Sandra Ceccarelli


attrice Sandra Ceccarelli in Rai1Sandra Ceccarelli è un capolavoro imperdibile della recitazione per tutti gli amanti dell'arte della sottrazione in questo difficile, ma fantastico, mestiere. Non la si poteva di certo ignorare quando si è lanciata con passione nell'avventura di Giovanni De' Medici scritta da Ermanno Olmi ne Il mestiere delle armi e di certo è stata una scoperta di grande bravura nelle pellicole drammatiche di Giuseppe Piccioni e Cristina Comencini. Rigida, semplice, marmorea. Figlia di Franco Ceccarelli, chitarrista degli Equipe 84, è ancora un'adolescente quando Giuseppe Bertolucci la sceglie per impersonare la figlia di Stefania Sandrelli nella pellicola Segreti segreti (1984). Dopo qualche anno dedicato al teatro, entra in contatto con registi come Piergiorgio Gay e Giuseppe Piccioni che la impiegheranno nelle loro pellicole. Piccioni in particolare sarà funzionale al successo della sua carriera. È proprio grazie alla sua pellicola Luce dei miei occhi, dove la Ceccarelli ha il ruolo della protagonista, che l'attrice si guadagna la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile alla Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia (premio che, in passato prima di Sandra, aveva visto trionfare un'attrice italiana solo con Anna Magnani, Sofia Loren, Laura Betti, Valeria Golino) ed il Premio Pasinetti, senza contare la nomination ai David di Donatello nella stessa categoria, poi replicata con La vita che vorrei che le porterà anche una candidatura all'European Film Award. Schiva e riservata, nel 2003, sarà la protagonista di un documentario a lei dedicato da Piccioni: Sandra, ritratto confidenziale. Con Il più bel giorno della mia vita, diretta da Cristina Comencini, condivide il Nastro d'Argento come miglior attrice non protagonista con Virna Lisi e Margherita Buy. Stimata notevolmente anche all'estero, lavora con John Malkovich in Klimt.

La produzione - Hundred Dreams Production


La Hundred Dreams Production, casa di produzione cinematografica, nasce a Roma nel 2014, fondata da Alberto De Angelis e Marco Trabucchi, entrambi ascolani. Nei propri progetti si impegna nella valorizzazione cinematografica del territorio e delle eccellenze marchigiane.

Trailer


https://www.youtube.com/watch?v=3zL5hK2Imow
In descrizione, sotto la schermata del trailer, sono riportati i titoli di coda.

Il cortometraggio è stato patrocinato da:
Provincia di Pesaro e Urbino
Riserva Naturale Statale della Gola del Furlo
Comune di Ascoli Piceno
ANPI - Comitato Provinciale di Ascoli Piceno

Il cortometraggio è stato inoltre sostenuto da:
Fainplast Compounds SRL
Sabelli SPA
Opera Light SRL
Officina Meccanica Sorcinelli Carlo

OSSERVARE – PERCEPIRE - INTERPRETARE

Bisogna osservare, cioè guardare ed analizzare con attenzione tutto quello che ci passa davanti agli occhi. Non è facile. Non siamo abituati a farlo. piramidi di seraE se lo facciamo adoperiamo spesso superficialità. Invece dovremmo utilizzare la sensibilità che è in noi per osservare le forme, la luce, i colori, captare ed immagazzinare tutte le sensazioni che l'ambiente circostante genera in noi. Spesso ci fermiamo agli stereotipi, e non approfondiamo le nostre osservazioni. Spesso utilizziamo solo la parola “bello” per esprimere tutto ciò che sentiamo. Non siamo educati a farlo. 

Leggi tutto: OSSERVARE – PERCEPIRE - INTERPRETARE

Un pluripremiato thriller dove niente è come sembra

"Il Serpente", un inseguimento nella notte dove niente è come sembra. “Quante volte ci siamo trovati a immaginare che qualcuno ci stia pedinando o spiando? In una piazza vuota nella notte, nel parcheggio sotterraneo di un centro commerciale, in casa, all’alba, un rumore anomalo in salotto. Oppure per strada, una macchina sembra seguirci, a debita distanza, ma sempre più vicina… Ed proprio da questa ultima suggestione che prende spunto Il Serpente, corto tutto italiano interamente girato nel comune di Sutri, nel viterbese, che mette in scena, con qualche variazione, quella che pare essere – dicono gli autori – una “urban legend” che circola da qualche anno negli USA. Il canovaccio del film: dopo una lunga chiacchierata con un cliente abituale, Marta, la protagonista del corto, finalmente stacca dal suo turno e si avvia verso casa. Il suo tragitto viene però interrotto da un albero caduto nel mezzo della strada, che la costringe a scendere dalla macchina per spostarlo. Mentre sta per ripartire, una macchina appare alle sue spalle e sembra inseguirla. Marta non sa cosa pensare, e via via si fa prendere dal panico. Inizierà così una lunga corsa piena di tensione.', '

L’intero corto ruota intorno all’idea che niente è mai come sembra. Questa massima viene suggerita all’inizio dal cliente del bar che racconta la storia di una sua conoscente ignara del pericolo in cui si trovava quando non era in grado di ‘leggere’ gli strani comportamenti del serpente lasciatole dall’ex marito. Ovviamente non vi riveliamo oltre per non rovinarvi la sorpresa…

Il corto, una produzione “low budget” ma ben girato (notevole la fotografia), ha il suo punto forte nella sceneggiatura, e applica alla perfezione la regola della suspense hitchcockiana: quando lo spettatore viene informato del vero pericolo che incombe sull’ignaro protagonista, la tensione è mantenuta ai massimi livelli per tutta la durata del film, in questa storia notturna di incomprensioni e paura. I due livelli della narrazione funzionano benissimo, grazie ad una regia e un montaggio dinamici, e un cast brillante capace di rendere credibili e naturali tutti i personaggi. Il risultato è una storia avvincente e abbastanza anomala nel panorama corti italiano, che raramente si cimenta nel genere thriller.

Il Serpente è il primo cortometraggio diretto dal napoletano Nicola Prosatore, sceneggiato da Carlo Salsa, Roberto de Paolis e Prosatore, e prodotto da Briciola.tv, società di produzione con base a Roma che realizza pubblicità e contenuti per la televisione e il web con particolare attenzione ai più recenti linguaggi (branded-content). Vincitore di premi e nelle selezioni di molti festival del circuito Italiano e internazionale, il corto si avvale di un cast importante, tra cui Cesare Bocci (Montalbano) e Francesco di Leva, nominato al David di Donatello per “Una vita tranquilla”, Giovanni Ludeno e Antonia Truppo, attrice teatrale che lavora anche per il cinema e la TV (La Squadra). La colonna sonora è stata realizzata dalla band romana Thegiornalisti.

da huffingtonpost.it

 

I vincitori del 1° Calitri Sponz Film Fest

La giuria del 1° Calitri Sponz Film Fest, composta dal regista Luigi Di Gianni, dagli attori Neri Marcorè e Sabrina Impacciatore, dal giornalista Alberto Nerazzini, da don Vinicio Albanesi e dal produttore cinematografico Alessandro Contessa ha assegnato i seguenti premi per il concorso internazionale di cortometraggi dedicati al tema del matrimonio e dell’unione. La giuria ha espresso grande apprezzamento per l’elevata qualità dei corti selezionati, segno di vitalità delle produzioni italiane ed internazionali.

Ad ogni premiato sarà consegnata anche una fede appositamente creata dall’orafo calitrano Luciano Capossela, celebre in tutto il mondo per le sue creazioni che hanno ricevuto numerosi premi.

I premi vanno ai seguenti titoli:

1° PREMIO A NO KISSING di Manuel Arija (Spagna) – consistente in 1.500 € e una fede d’oro

Con la seguente motivazione:

Realizzato in un unico ambiente senza orpelli cinematografici, intensamente drammatico e coinvolgente, il film è interpretato in modo straordinario dai due attori che restituiscono i personaggi in tutta la loro umanità e fragilità.

In una condizione estrema di solitudine e disperazione prevale il bisogno di comunicare e di incontrarsi. Da sottolineare la scelta appropriata della macchina a mano, che scivola con pudica sensibilità sui corpi nudi e imperfetti dei due protagonisti.

2° PREMIO A QUAL QUEJO VOCE’ QUER di Cintia Domit Bittar (Brasile) – consistente in una fede d’argento

Con la seguente motivazione:

Percorso da un sottile filo d’ironia, ambientato in pochi scorci domestici, nel giro di pochi minuti, il film, grazie a un testo estremamente intenso e all’interpretazione di due grandi attori, restituisce il senso più profondo della vita e delle angosce dei due anziani protagonisti, i tentativi di ribellione da parte della donna, la passiva e dolente presenza del marito, il naufragare conclusivo nella quotidiana piccola e rassegnata accettazione della vita.

3° PREMIO A METROS UTILES di David Cervera (Spagna) – consistente in una fede di bronzo

Con la seguente motivazione:

Il film si distingue per la sua originalità. Lo sguardo del regista non è mai didascalico e si rivela drammaticamente ironico. Un piccolo film cinematograficamente solido, sobrio e sorprendente.

 

I vincitori del 1° Calitri Sponz Film Fest

La giuria del 1° Calitri Sponz Film Fest, composta dal regista Luigi Di Gianni, dagli attori Neri Marcorè e Sabrina Impacciatore, dal giornalista Alberto Nerazzini, da don Vinicio Albanesi e dal produttore cinematografico Alessandro Contessa ha assegnato i seguenti premi per il concorso internazionale di cortometraggi dedicati al tema del matrimonio e dell’unione. La giuria ha espresso grande apprezzamento per l’elevata qualità dei corti selezionati, segno di vitalità delle produzioni italiane ed internazionali.

Ad ogni premiato sarà consegnata anche una fede appositamente creata dall’orafo calitrano Luciano Capossela, celebre in tutto il mondo per le sue creazioni che hanno ricevuto numerosi premi.

I premi vanno ai seguenti titoli:

1° PREMIO A NO KISSING di Manuel Arija (Spagna) – consistente in 1.500 € e una fede d’oro

Con la seguente motivazione:

Realizzato in un unico ambiente senza orpelli cinematografici, intensamente drammatico e coinvolgente, il film è interpretato in modo straordinario dai due attori che restituiscono i personaggi in tutta la loro umanità e fragilità.

In una condizione estrema di solitudine e disperazione prevale il bisogno di comunicare e di incontrarsi. Da sottolineare la scelta appropriata della macchina a mano, che scivola con pudica sensibilità sui corpi nudi e imperfetti dei due protagonisti.

2° PREMIO A QUAL QUEJO VOCE’ QUER di Cintia Domit Bittar (Brasile) – consistente in una fede d’argento

Con la seguente motivazione:

Percorso da un sottile filo d’ironia, ambientato in pochi scorci domestici, nel giro di pochi minuti, il film, grazie a un testo estremamente intenso e all’interpretazione di due grandi attori, restituisce il senso più profondo della vita e delle angosce dei due anziani protagonisti, i tentativi di ribellione da parte della donna, la passiva e dolente presenza del marito, il naufragare conclusivo nella quotidiana piccola e rassegnata accettazione della vita.

3° PREMIO A METROS UTILES di David Cervera (Spagna) – consistente in una fede di bronzo

Con la seguente motivazione:

Il film si distingue per la sua originalità. Lo sguardo del regista non è mai didascalico e si rivela drammaticamente ironico. Un piccolo film cinematograficamente solido, sobrio e sorprendente.

 

Filmaker: come fare Cinema

Svegliare le idee

I video maker devono soffermarsi su tutte quelle opere che raccontano qualcosa, qualunque sia il linguaggio utilizzato, quindi opere di scrittori, poeti, registi  che hanno filmato storie loro, fotografi, pittori e scultori e architetti, tutti insomma quegli artisti che “ hanno cose da dire “.  Gli aspiranti registi dovrebbero imparare a risalire dalle storie alle idee che ne sono alla base, discutere sulle idee, discutere sulle storie. Formarsi una cultura delle idee e delle storie che possono esprimerle. Se questa fase di autoformazione è carente, il rischio è grave. I registi continueranno ad andare alla ricerca di idee e di storie altrui. E c’è un rischio ancora più grave. Un regista non abituato a risalire dalla storia all’idea, abituato invece a soffermarsi alle vicende, alla trama,  può non comprendere e travisare per esempio un romanzo. Una cosa del genere è accaduta, ne sono stato osservatore impossibilitato a intervenire. E’ accaduto che non venisse colto il senso  di un  racconto proprio di un autore noto per essere un indagatore dell’animo umano. Una buona cultura di base avrebbe potuto mettere in guardia il regista che si apprestava a realizzare un film da quel racconto e gli avrebbe evitato di  ridurre una storia di profonda introspezione psicologica a una vicenda senza spessore.

 Andare alla ricerca di film che hanno un’idea forte. Mi riferisco al grande cinema. Il contatto con questo cinema è più facile, i film delle case produttrici sono a portata di sguardo. Conviene frequentare le sale, si impara dal bene e dal male.

Avevo sentito parlare di un film “da vedere” e l’altra sera l’ho visto. Gli Acchiappafilm ( Be Kind Rewind, 2008 )  scritto e diretto da Michel Gondry. Fa al caso mio perché in sostanza parla di video maker. Sposta l’attenzione dal cinema al fare cinema. A chi piace raccontare c’è qualcosa che può piacergli di più del semplice narrare una storia? Sì. Il narrare una storia interpretandola. Inventare i personaggi e realizzarli con la propria persona. Vivere insomma la storia che si è fantasticata. E che succede se si coinvolge un intero quartiere?

Michel Gondry ci racconta la storia di due giovani sconclusionati che si improvvisano video maker per rimediare a un danno. Uno dei due è commesso in una videoteca, il cui proprietario, al momento assente, ha perso l’entusiasmo per il lavoro perché le videocassette non vanno più e perché è imminente uno sfratto per demolizione del palazzo che lo ospita. L’altro giovane, che per un incidente è rimasto “magnetizzato” e non lo sa, involontariamente smagnetizza tutte le videocassette. Se ne accorgono perché la gente riporta indietro le cassette senza più film e rivuole i soldi. Una ragazza, a cui tengono, vuole il film Gli acchiappafantasmi. Ma anche questo è smagnetizzato. E così hanno un’idea brillante! Rifare un corto in quattro e quattr’otto copiando alla meglio questo film… E il giorno dopo glielo consegnano. Il film è esilarante, assurdo, pazzo e hanno successo. Sono costretti a rifare tutti i film della videoteca, classici, celebri, di successo. E coinvolgono altre persone. Più i film sono demenziali, più hanno successo. Perché sono girati lì, tra quelle case, quella gente. E perché sono tutti comunque divertenti.

La videoteca rivive affittando semplicemente a un dollaro questi film, pazzi remake di capolavori. Il proprietario, al ritorno, può riprendersi dallo scoramento. Ma un tale successo disturba chi detiene il potere culturale ed economico. Sono accusati di plagio e tutte le video cassette finiscono sotto una macchina schiacciasassi.

La gente del quartiere non ci sta, rivuole i film. O meglio vuole che il gruppo si rimetta a fare film. E c’è una storia, completamente inventata dal proprietario della videoteca per incantare il commesso quando era bambino. La storia di un cantante che era vissuto in quel quartiere e che era diventato famoso, una leggenda! Il proprietario deve avvisare che è completamente inventata. Meglio! Si urla da più parti. Ognuno di noi inventerà un personaggio della propria storia familiare. Sarà una nostra storia!

Il film si gira, tutto il quartiere partecipa. E quando è terminato, si proietta in piazza e c’è tanta altra gente, persino coloro che devono demolire il palazzo, i quali con le lacrime agli occhi per le risate non possono che prendere atto della situazione e fare marcia indietro sulle loro decisioni.

 La formazione del regista deve partire dallo stimolare e sviluppare la capacità di pensare e scrivere soggetti. Fare da soli è possibile solo se c’è consapevolezza di ciò che ci occorre. Faccio un esempio e prendo me stesso. Io so che non sono un video maker completamente autonomo. Per fare i miei film ho bisogno del fotografo del cinema ( cinematographer ), il direttore della fotografia per intenderci. Non sono nelle condizioni per poter apprendere un uso abile della videocamera. E dunque a me i film costano di più. E l’eventuale merito lo condivido con il fotografo. Ora se non avessi questa consapevolezza e fossi presuntuoso e convinto che per fare un film basta un’idea e una storia valida…farei da me e da solo il film ma… con che risultato?

Così molti giovani pensano che per diventare registi basta imparare a usare la videocamera. Imparano, anche ad usarla bene, fanno un film, ma… con che risultato?

Consapevolezza dei limiti, soluzione per superarli. E la crescita come registi può essere autogestita.

 di Maurizio Mazzotta - www.essereuomo.it

 

Fare cinema. Il cinema povero e la pagina bianca

 

 

Qualcuno mi ha chiesto: secondo te quali sono, al di là dell’ovvio, le differenze tra il grande cinema e il cinema povero, quello tuo, insomma dei videomaker? Ho risposto più o meno così.

Considerando i film che popolano le sale (che ovviamente piacciono ai produttori ), si può dire che il grande cinema mira allo spettacolo, agli effetti visivi e sonori, mentre il cinema povero, che non può permettersi rifacimenti storici, ricostruzioni scenografiche, imprese stupefacenti, avventure mirabolanti, si dà da fare con le idee, le immagini, la ricerca stilistica. Fatte salve le eccezioni dell’uno e dell’altro cinema, e considerando non tanto i risultati quanto soprattutto le intenzioni degli autori, la prima differenza sta nelle idee, nella storia. Dunque nel soggetto. Di più non posso e non voglio dire, perché io sono nelle condizioni di fare il cinema povero, e non di scegliere quale dei due cinema fare.  Potrei essere di parte. Mi interessa invece parlare del cinema povero, di come arricchirlo. E comincio dalla…pagina bianca, cioè per l’appunto dalle idee, dalla storia da raccontare.

Le idee nascono dalla realtà. Guardiamoci intorno, osserviamo, ascoltiamo. Leggiamo. La lettura è una  modalità di osservazione della realtà. Si legge per comprendere gli altri. Il germe dell’idea viene posto sia dalla realtà concreta offerta dalla vita e dall’ambiente che ci circonda, sia dalla realtà rarefatta e mediata proposta dalla lettura. Scegliamo le idee che ci toccano e coltiviamole. Lasciamo che queste idee percorrano in lungo e in largo il cervello alla ricerca di altre idee con cui creare associazioni illuminanti. Senza accorgercene ci ritroveremo il nucleo di una storia. A questo punto indirizziamo il pensiero a creare un’idea più complessa, ossia la  storia, fino a quando saremo pronti a sviluppare e a precisare scrivendo.

E’ importante che il nucleo sia emotivo. Deve toccarci. Ci sarà più facile veicolare un’emozione se questa stessa emozione è prima di tutto nostra. L’arte esprime idee su onde di emozioni.

Il mio primo film, che in seguito ho tradotto in romanzo perché la storia narrata era stata molto apprezzata, è nato da un fatto, che mi toccava da vicino: il progetto di costruzione di un’autostrada che avrebbe stracciato una piana di vigneti, avrebbe sfiorato o tagliato in due la campagna dove da bambino, ragazzo e adulto mi sono sempre rifugiato per fantasticare prima e fare l’amore poi. La possibilità che un tale evento si realizzasse mi sconvolgeva. E non c’era nulla da fare! Quando ho cominciato a rassegnarmi, l’idea di questi immensi vigneti sventrati ha cominciato ad andarsene in giro per la testa finché non si è imbattuta in un’altra idea forte, preesistente. Una fantasia ricorrente. Ho sempre immaginato la presenza nei vigneti di esseri particolari, che chiamavo gli uomini delle vigne. Questi esseri rappresentavano i bisogni autentici dell’umanità. L’esigenza di comunicare, di contatto intenso, soprattutto fisico, quindi anche erotico… Cosa sarebbe successo a questi esseri se il loro territorio, e quindi la loro esistenza fosse stata compromessa da un’autostrada? A poco a poco ho elaborato una trama e poi mi sono messo a scrivere la sceneggiatura.

La pagina bianca ci blocca perché è lì a giudicare qualunque cosa noi stiamo per scrivere. Si rifiuta, non la vuole. Scriviamo due parole e accartocciamo il foglio, via!

Dobbiamo invece pensare l’opposto. La pagina non ci giudica, anzi ci invita a non avere paura, tanto possiamo riscrivere, non ci impegniamo con nessuno, non fa nella se sbagliamo, se dobbiamo riscrivere venti volte. Chi ci insegue? Ecco una differenza tra il grande cinema e il cinema povero.

Quanta tensione, ansia, disturbante per il soggettista, al quale un produttore ha dato il compito di scrivere una storia su una certa idea o ( peggio ) per una star! Lo paga bene, ma gli ha dato pure delle scadenze. Invece chi scrive per se stesso, per una sua idea, senza essere pagato…( ahimè! ) e senza scadenze, non deve preoccuparsi.

Dico questo perché ho conosciuto tanti giovani scrittori che avevano l’angoscia della pagina bianca e del come riempirla. Certo dobbiamo metterci al computer solo dopo aver elaborato in qualche modo l’ idea.  Quando comincio a scrivere un soggetto, io ho già in testa la storia. E di fronte alla pagina nuda, “rompo il bianco” ( simile a “rompere il ghiaccio” ) scrivendo, senza preoccuparmi di come sto scrivendo né di cosa. Se non mi piace ricomincio.

Qualcuno pigro  potrebbe dire, ma se bisogna scrivere quando la storia è già in testa che bisogno c’è di scrivere? E’ sufficiente prendere appunti. Chi fa una domanda del genere e conclude che basta prendere appunti, è persona che non ha mai scritto una storia in vita sua. Perché scrivere una storia è la migliore occasione per precisarla, svilupparla, aggiustarla, migliorarla…cambiarla.

Chi vuole sperimentare, e pure esercitarsi, faccia questa prova. Ottimo allenamento per la fantasia. Mettetevi al computer SENZA IL TIMORE  DELLA PAGINA BIANCA. Cominciate a scrivere cose strampalate e andate avanti. Se va male  - e le prime volte andrà male - non salvate il file, se va bene scoprirete il piacere nella testa.  Il piacere di andare a ruota libera e di far vivere la pagina con personaggi e vicende nati sulle righe.

 

Fare cinema

di Maurizio Mazzotta
www.essereuomo.it

 

TUTTO BRILLA di Massimo Cappelli

  Un giovane venditore di aspirapolvere capita la vigilia di Natale nelle mani di tre annoiate signore di mezza età che passano il loro tempo a prendersi gioco dei rappresentanti. Ma questa volta le cose andranno diversamente perchè il venditore ha in serbo per loro un modello di aspirapolvere davvero stupefacente…

INTERPRETI: Paola: Paola Tiziana Cruciani - Lunetta: Lunetta Savino - Carla: Carla Signoris - Venditore: Edoardo Leo

 Dichiarazione del regista

 Penso che se si vuole far arrivare un messaggio, non lo si debba circoscrivere al solo momento della visione, ma fare in modo che gli spettatori se lo portino dietro, a casa, a scuola, con gli amici, in famiglia. Solo così il tema può essere razionalizzato, discusso e “digerito”. Secondo quest’ottica la commedia diventa allora uno strumento di riflessione indispensabile per affrontare qualsiasi  tipo di problema e, in particolare, questo che si radica su un terreno così infido e scivoloso come il rapporto tra i ragazzi e la tossicodipendenza.

Io e Federica Pontremoli abbiamo voluto ribaltare il problema, cioè non considerare il classico caso di genitori alle prese con i figli che si drogano, bensì provare a vedere cosa accade quando sono gli adulti ad avere un approccio, per quanto drammaticamente comico, con la droga. Questo ribaltamento dei punti di vista, mi ha offerto lo spunto per affrontare in un’ottica inedita situazioni un po’ logore e abusate.

Massimo Cappelli

 

Candidato sindaco usa i corti per la campagna elettorale

cortometraggio MommascoltiIl cortometraggio "Mommascolti" è il primo esempio di fiction utilizzato in campagna elettorale. Il candidato sindaco di Roma Alfio Marchini ha realizzato una serie di corti che presenta nel corso del suo tour nella città. Pietro e Martina, i due volontari protagonisti dei corti, sono stati scelti dalle principali scuole di teatro di Roma. I corti sono stati scritti e diretti da Luca Manzi, scrittore e sceneggiatore, che è stato direttore editoriale della Lux Vide, produttore creativo della fiction Don Matteo e tra gli ideatori della serie di culto Boris. Attualmente sta scrivendo il suo primo film con David Seidler, lo sceneggiatore premio Oscar del film “Il Discorso del Re”.

da https://www.ilmessaggero.it/

 

Binomi al cinema. Analisi di alcuni film che mostrano la relazione cane-proprietario (parte 2)

hachiko film vero 1Hachiko – Il tuo migliore amico è un film del 2009 diretto da Lasse Hallström, interpretato da Richard Gere, basato sulla storia del cane giapponese Hachikō e sul film giapponese del 1987 Hachikō Monogatari. Quella di Hachiko, cane di razza Akita Inu, è una storia vera. Egli era solito accompagnare il suo padrone, un professore universitario di nome Hidesaburo Uero alla stazione ferroviaria di Shibuya ogni giorno. Ogni sera, puntualmente, tornava alla stazione per aspettarne il ritorno. Quando Uero morì sul posto di lavoro, Hachiko continuò a recarsi alla stazione per circa dieci anni. Il cane morì poi a tredici anni. Questa è una storia di incomparabile fedeltà e grande intesa fra cane e proprietario. Il film riesce a incentrare tutta la sceneggiatura sul rapporto fra Uero e Hachiko lasciando tutti gli altri personaggi sullo sfondo. Bellissima la trasformazione del serio professore davanti alla figura di un cucciolo, vederlo a quattro zampe che cerca di insegnare al cucciolo a prendere e riportare la palla, senza grandi risultati. Dietro alla retorica della fedeltà si crea un rituale molto forte che porta Hachiko nel film a non accettare passivamente le situazioni di adozione successive alla morte di Uero, per scappare e tornare alla stazione invano ad aspettare l’arrivo del suo proprietario. I silenzi, le foglie dell’autunno che cadono, lo sguardo fiero e paziente dell’Akita, riescono a scrollare l’hollywoodiana pretesa dal film e creare atmosfere possibilmente nipponiche.

Un cane non se ne fa niente di macchine costose, case grandi o vestiti firmati… Un bastone marcio per lui è sufficiente. A un cane non importa se sei ricco o povero, brillante o imbranato, intelligente o stupido… Se gli dai il tuo cuore, lui ti darà il suo. Di quante persone si può dire lo stesso? Quante persone possono farti sentire unico, puro, speciale? Quante persone possono farti sentire… straordinario? (John Grogan, Io e Marley, Sperling & Kupfer editori, 2006)


Io e Marley 1Io e Marley, David Frankel, 2008
E così Marley, il Labrador Retriever del film Io e Marley, uscito nel 2008, girato da David Frankel, dall’omonimo romanzo di John Grogan, ci insegna che un cane riesce nel suo essere completamente inadattabile e “ineducabile” ad essere il miglior compagno di vita che un’intera famiglia può avere. Marley combina un disastro dopo l’altro, mettendo anche in crisi il rapporto fra i coniugi ad un certo punto del film, sconvolgendo piacevolmente la loro vita. Il film leggero e divertente prende una piega triste e malinconica nel momento in cui Marley, diventato ormai anziano, dopo varie torsioni gastriche non cammina più e risulta necessario pensare all’operazione di soppressione. John il proprietario lo accompagna in quei momenti delicati e toccanti, ricordando che non è mai stato “perfetto” se per perfezione si intende un cane educato, ma è stato il cane migliore del mondo per loro.
Nell’apparente semplicità di un film per famiglie, Io e Marley risulta interessante proprio per questo aspetto di semplice accettazione del cane, senza pretesa di “modificare” il suo carattere anarchico ed esuberante (salvo una scena esilarante in cui un’addestratrice, tutt’altro che cognitiva cerca di mettere in riga Marley durante una lezione di condotta di gruppo, venendo poi strascinata a terra dallo stesso).


Belle Sébastien 1Belle & Sébastien, Nicolas Vanier, 2013
Belle & Sébastien è un film del 2013 diretto da Nicolas Vanier, che descrive il rapporto fra un bambino orfano di otto anni, Sébastien, e una femmina di cane da montagna dei Pirenei, Belle, ricercata da tutto il villaggio perché ritenuta pericolosa per la sicurezza della vita umana e delle pecore appartenenti ai pastori. Belle per questo sarà costretta a vivere esperienze di paura e inseguimento da parte delle autorità e dei nazisti. La cagnona è conosciuta da tutti come “la bestia” e sarà proprio Sébastien a difenderla nelle situazioni più avverse e lei ad occuparsi del bambino con la più grande delicatezza e devozione possibile. Interessante come nel film venga analizzato il rapporto cane-bambino in un contesto naturale, dove i silenzi e le distanze giocano un ruolo indispensabile per l’equilibrio di entrambi che spalleggiandosi e proteggendosi riescono a sopravvivere alla realtà fatta di persecuzioni, pregiudizi e verità scoperte.

I film da me, purtroppo per mancanza di spazio, superficialmente analizzati sono soltanto alcune delle moltissime produzioni cinematografiche che coinvolgono i cani nella sceneggiatura e nella vita dell’uomo come protagonisti, amici, guide, esempi di fedeltà o semplici spalle nella vita degli umani. Ho scelto questi tre film perché nella ricerca di trame che maggiormente mostrassero un rapporto di binomio fra un umano e un cane. Difficile fare un’analisi approfondita senza cadere in tecnicismi e senza dilungarsi oltremisura.

Spero intanto che questo articolo possa aver dato modo ad alcuni di voi di conoscere produzioni non ancora viste e capirne, in alcuni casi, gli aspetti più interessanti.

 di Stephania Giacobone per www.siua.it

(Link alla prima parte dell'articolo)

Stephania GiacoboneL’autrice: Stephania Giacobone
Nasce nel 1987 a Ginevra. Passa i primi anni della sua vita a Courmayeur, Valle d’Aosta con i suoi primi due cani: Holly, un barboncino e Maurice, un boxer. Dopo gli studi universitari umanistici e teatrali a Torino e un master biennale di scrittura alla Scuola Holden, torna a vivere in Valle d’Aosta, con il suo cane, un Amstaff di nome Yannick. Inizia a collaborare a tempo pieno con Laurent Pellu nel loro Centro Cinofilo Yagolandia dal settembre 2014. Frequenta il Corso per Operatori di Zooantropologia Didattica SIUA. A febbraio 2017 entra a far parte della sua vita il suo secondo cane, Maya, una meticcia mix Amstaff/Cane Corso. Conclude il Corso Educatori Cinofili SIUA nel novembre 2016 e un anno dopo inizia il Corso Istruttori Cinofili SIUA. Quotidianamente divide il tempo fra le sue due passioni/lavori: la cinofilia e la scrittura.

Binomi al cinema. Analisi di alcuni film che mostrano la relazione cane-proprietario

vita da cani di charlie chaplinVita da cani è un mediometraggio di Charlie Chaplin uscito nel 1918. È la storia di Charlot, vagabondo disoccupato, che nel suo girovagare incontra un cagnolino abbandonato, attaccato da altri cani. Charlot e il cucciolo meticcio si assomigliano nella disgrazia della vita da strada e condividono le difficoltà che la loro condizione comporta. Randagi che cercano le soluzioni per sopravvivere, ma insieme diventano branco unito nelle asperità. Il finale vede finalmente Charlot, la sua compagna e il cane vivere in serenità. Trovo nel mediometraggio una grande empatia e tenerezza nel rivelare due identità, ridotte ai margini, due personaggi di strada che con leggerezza, uno accanto all’altro, riescono a trovare il lato comico e divertente dell’essere liberi, randagi e autentici.

 Questo articolo non ha il fine di giudicare trame, competenze attoriali, sceneggiature o scelte registiche. Questo articolo non ha neanche la pretesa di prendere posizione positiva o negativa sul coinvolgimento del cane nel mondo cinematografico né di valutare se durante le riprese i soggetti animali siano stati o meno vittime di coercizione, anche perché per valutare tutti questi aspetti ci andrebbe tanto altro spazio che non voglio rubare agli altri articoli. Questo articolo non vorrebbe divagare sul triste epilogo frutto dell’uscita di questi film, ovvero le nostre città invase da razze canine lanciate da produzioni cinematografiche, cani di razze impegnative o ai più sconosciute nelle loro caratteristiche motivazionali, acquistate in allevamento solo perché “l’ho visto al cinema ed era tenero/bello/simpatico”. Su questo argomento sarebbe bello avere la possibilità di scrivere un secondo articolo.

Questo articolo ha la semplice funzione di valutare brevemente e in pochi accenni in alcuni film, di periodi diversi, la relazione cane-proprietario, come è stata sviluppata e come si evolve.

 
vita da cani di charlie chaplin 2Vita da Cani, Charlie Chaplin, 1918
Vita da cani è un mediometraggio di Charlie Chaplin uscito nel 1918. È la storia di Charlot, vagabondo disoccupato, che nel suo girovagare incontra un cagnolino abbandonato, attaccato da altri cani. Charlot e il cucciolo meticcio si assomigliano nella disgrazia della vita da strada e condividono le difficoltà che la loro condizione comporta. Randagi che cercano le soluzioni per sopravvivere, ma insieme diventano branco unito nelle asperità. Il finale vede finalmente Charlot, la sua compagna e il cane vivere in serenità. Trovo nel mediometraggio una grande empatia e tenerezza nel rivelare due identità, ridotte ai margini, due personaggi di strada che con leggerezza, uno accanto all’altro, riescono a trovare il lato comico e divertente dell’essere liberi, randagi e autentici.

Bombón El Perro Carlos SorinBombón El Perro, Carlos Sorin, 2004
Coco alla guida, accanto Bombón, sguardi che si intrecciano, nella Patagonia più sconfinata e scarna, silenziosa, come loro, esseri fieri l’uno dell’altro e liberi, forse, finalmente, da qualsiasi strumentalizzazione, ai margini, inetti, non produttivi, non asserviti alle logiche di profitto e mercato. Questa l’immagine che più mi è rimasta impressa di un film, Bombón el perro, 2004, diretto da Carlos Sorin, dove purtroppo vediamo il cane in primis come strumento per fare soldi. Juan Villegas, detto Coco, è un uomo argentino sulla cinquantina, disoccupato che tenta invano di vendere coltelli e vive in un piccolo appartamento con la figlia e i suoi figli. Un giorno Coco incontra per strada una donna con l’auto in panne e la aiuta a ripararla. Per ringraziarlo di questa gentilezza la madre della donna gli regala un dogo argentino con pedigree, figlio di un grande campione di bellezza che allevava il marito prima di morire. Bombón era legato a catena in un angolo del giardino di quella casa. È lui il Bombón che Coco chiama Lechien, non sapendo che significa semplicemente “cane” in francese. È l’incontro di due solitudini quello fra l’uomo e il cane. Coco viene cacciato da casa dalla figlia per la sua decisione di tenere quel cane, così Coco e Bombón iniziano a girare in Patagonia con la macchina dell’uomo il quale da personaggio mediocre inizia ad acquisire fama e clamore grazie a Bombón, suo biglietto da visita nel mondo delle esposizioni canine, vincendo il terzo posto alla prima expo. L’allenatore di Coco e Bombón vede nel cane una buona macchina da profitto e cerca di coinvolgerlo in monte con femmine di dogo alle quali però Bombón si mostra disinteressato. Deluso, l’allenatore propone a Coco di lasciargli il cane ed andarsene. Coco, senza riuscire a dimostrare in quel momento l’amore che prova per Bombón, glielo lascia e continua il suo giro per la Patagonia a vendere coltelli. Dopo poco tuttavia Coco si sente malinconico e perso senza il suo cane e torna a cercarlo. Bombón però è scappato da casa del suo allenatore e Coco inizia a cercarlo. Quando lo ritrova Bombón si stava accoppiando con una meticcia nera in una fabbrica a cielo aperto di mattoni. Coco accetta di nuovo Bombón e ripartono in macchina insieme e finalmente sereni e senza vincoli.
Dentro di sé Coco sente l’affezione verso Bombón ma si fa trascinare dall’allenatore in questo mondo di strumentalizzazione e sfruttamento del cane, solo alla fine capisce che sia lui che Bombón sono davvero felici nel momento in cui sono liberi e insieme, senza ambizioni o esiti grandiosi.
Un film delicato, ritmi lenti, minimalista.

Un road movie dai ritmi lenti come sono i pensieri di Juan che – silenzioso – osserva il mondo disincantato e crudele che lo circonda e come Bombòn, il cane che tutti giudicano forte e aggressivo e che, invece, non riesce ad avvicinarsi ad una femmina. Dicono che i Dogo non provano neanche dolore. Ma non è così: Bombòn, come il suo padrone, è semplicemente estraneo all’insensibilità e alla volgarità.. Bombòn, Juan e tutti quelli come loro sono davvero di “un’altra razza” (mymovies.it)

Sorridono Coco e Bombòn, seduti l’uno accanto all’altro nell’inquadratura che chiude il film, sereni e appagati dal non avere una meta e dall’essere semplicemente uno vicino all’altro.

( Fine Prima Parte - Link alla 2° parte )

di Stephania Giacobone per www.siua.it 

Analisi di un film: come analizzare un film in 5 passi

L’analisi di un film si può fare in mille modi: dividendolo, scomponendolo, analizzandolo nel suo complesso ecc.. Io personalmente ho inventato un modo veloce diviso in cinque punti: Storia, Inquadratura e montaggio, Fotografia, Musica e Recitazione.

La storia.
Prima di tutto valuto se la storia mi è piaciuta e in che modo è raccontata: in modo “classico” o “incasinato” con salti nel tempo stile Le iene? (a mio pare uno dei pochi capolavori di Quentin Tarantino). Poi osservo l’originalità, lo spazio, il tempo, i personaggi e lo sviluppo della narrazione. (Potete dirmi quanto Avatar sia bello, ma a mio parere la storia è banalissima; straordinari, però, gli affetti speciali).

Inquadrature e montaggio.
Le inquadrature e il montaggio sono importantissimi in un film perché scandiscono il ritmo alla storia. Se si usano tagli veloci durante il montaggio il film sarà molto movimentato, probabilmente di genere “Azione”; se i tagli sono lenti si tratterà di un film drammatico o di una storia d’amore. Sicuramente in una commedia le inquadrature e il montaggio saranno realizzati in maniera “classica”.
Un film interessante da questo punto di vista è Requiem for a Dream (di Darren Aronofsky): pur gran parte della pellicola i momenti sono molto, molto lenti, per dare suspense e mettere in attesa lo spettatore… e poi, improvvisamente, dettagli veloci quando i protagonisti assumono droga. Ogni film ha il suo ritmo e il suo stile. Un altro film che vi consiglio di analizzare, dal punto di vista delle inquadrature e montaggio, è Crank.
Se inquadrature e ritmo del montaggio sono così importanti, sorge spontaneo chiedersi: perché il film mi ha dato un’emozione proprio in quel preciso momento? Che cosa mi ha fatto vedere? Il ritmo era lento o veloce? In questa inquadratura funzionerebbe meglio un primo piano o un dettaglio?

Fotografia.
La fotografia altro elemento molto importante. In varie scene di Barry Lyndon (di Stanley Kubrick), per riprodurre la luce in modo naturale, sono state usate molte candele per creare la giusta atmosfera.
Mi è rimasta impressa anche la scena nella quale Brad Pitt balla con la donna che ama nel film Il curioso caso di Benjamin Button: una composizione di inquadrature e luci perfette. Se volete un esempio di luce da studiare, analizzate i quadri di Caravaggio poiché luce/ombra sono la base dei suoi capolavori. La luce mette in evidenza alcune cose e la mancanza della luce le nasconde. Che cosa si vede e che cosa si nasconde? Per quale motivo? (domande da porsi).

Musica.
La musica suscita tantissime emozioni, da quella classica alla metal, all’elettronica. La prima volta che sentiamo il motivo del film Lo squalo non capiamo completamente che cosa avviene, ma quando risentiamo la stessa musica, uniamo il motivo musicale all’attacco dell’animale.
A volte si usa il “contrasto” per dare fastidio allo spettatore, come ad esempio nel film Arancia Meccanica dove si vedono immagini violente con in sottofondo una dolce melodia di Beethoven. All’opposto in Funny Games le immagini sono statiche, ma la musica è un metal assordante. Che scopo ha la musica? Quale emozione vuole suscitare?

Recitazione.
Ultimo punto, non meno importante degli altri, è l’interpretazione degli attori. Possiamo vedere un film con una storia originale, avvincente, regia, fotografia, montaggio e musica da Oscar, ma se gli attori recitano male ecco che tutto è rovinato. Nei film americani è difficile trovare attori scarsi, anche perché i registi sono molto severi riguardo al cast. Se l’attore è bravo, entriamo subito in contatto con il film e la sua essenza, altrimenti rimaniamo spaesati e confusi. Una delle interpretazioni più belle viste nei film recenti è quella di Oliver Masucci nel film Lui è tornato, dove interpreta Adolf Hitler. (Un consiglio se si vuole analizzare un’interpretazione attoriale appieno, si deve gustare il film in lingua originale).
Domande da porsi: Ci sono stati momenti in cui non ho creduto che l’attore fosse il protagonista, antagonista ecc.? Se ci fosse stato un altro attore al suo posto sarebbe stato meglio o peggio? O proprio lui/lei che ha reso questo film un bel film?

di Giulio Siboni su ilblogger.it

Come diventare regista di cortometraggi

Molte persone che vogliono lavorare nel mondo del cinema e dello spettacolo iniziano facendo gli attori all’interno di cortometraggi. Ma anche per avere un buon cortometraggio è necessario affidarsi ad un buon regista. Oltre ai registi tradizionali esistono anche registi che si dedicano essenzialmente a questa forma di arte. Il regista di cortometraggi si distingue da quello tradizionale per alcune caratteristiche. 

regista di cortometraggiUn regista di cortometraggi deve avere le idee molto chiare sul tipo di scena che vuole riprendere, ma deve anche avere le idee chiare sul come farlo nella maniera ottimale, perché le produzioni dei corti sono in genere produzioni a basso budget che non possono finanziare tutte le figure e le competenze presenti nel mondo della regia tradizionale.

Un buon regista di cortometraggi deve così conoscere le principali tecniche di ripresa e di montaggio ma molto spesso deve figurare anche come direttore della fotografia, perché quest’ultimo non sarà presente. Inoltre, in genere, il regista di un cortometraggio è anche produttore del corto che sta girando, poiché si tratta di produzioni con un budget limitato.

Fotografia, linguaggio e tecnica del cinema saranno quindi i campi di maggiore competenza raggiunti da una persona che vuole lavorare con successo all’interno di questo settore come regista di cortometraggi. Ma ecco altri consigli e suggerimenti per tutti coloro che aspirano a svolgere questa professione.

Come diventare regista di cortometraggi

Per capire se questa è la professione che fa al caso vostro provate a pensare come farebbe un regista di cortometraggi. Un regista di questo tipo parte sempre da una idea, che sia originale e che possa essere sviluppata in diversi modi. Una volta individuata questa idea provate a svilupparla e a farne il vostro soggetto.

Il soggetto di un cortometraggio deve essere qualcosa di diverso da quello di un film di due ore. Deve essere immediato, comunicare un messaggio, più che suscitare riflessioni che danno luogo a altri pensieri e meditazioni. In un cortometraggio poche sequenze devono essere dimostrative di quello che volete rappresentare. Nella creatività non ci sono regole ferree ma adattate sempre il messaggio al mezzo. Se non avete individuato una idea brillante, scegliete un punto di ispirazione, magari un libro o una lettura che avete fatto e rielaborate questa idea.

Anche per i corti deve essere sviluppata una sceneggiatura. Quest’ultima dovrà essere descritta inquadratura dopo inquadratura, facendo attenzione all’ambientazione, alla prossemica – le movenze e gli spazi –  e ai dialoghi dei protagonisti. Si può in minima parte anche lasciare un piccolo spazio all’improvvisazione. Anche nel caso si scriva una sceneggiatura per un corto sarà necessario conoscere i principi fondamentali della scrittura cinematografica, in genere diversa da quella tradizionale.

Dopo  aver scritto la sceneggiatura si può passare alla fase di realizzazione, in cui si metteranno in pratica tutte le indicazioni. Per girare un corto si lavora in genere con una sola telecamera e non con più macchine, ma nel caso se ne avessero di più non guasterebbe. In ogni caso tutti i problemi si risolveranno in fase di montaggio digitale, che permette di legare piani e sequenze girate in tempi diversi.

da gazzettadellavoro.com

Filmaker in erba

Sono giovani, ovviamente, indipendenti, ovviamente sempre lontani dai luoghi istituzionalizzati: tramano, si aggregano, propongono, producono, mostrano. Voglia di fare cinema inventare cinema: storia, finzione, documento, arte, figura. E lo spirito è quello, quasi violento e carnale che si era dimenticato: comunicazione visiva, gestuale, favola, gioco.

Filmmaker in erba 1Un po' underground. ma sempre tendente al classico, un po' sperimentale, ma senza troppi eccessi: silenziosamente, senza destare scalpore, si anima, prende forma, si muove: Il sottobosco del Cinema Italiano incomincia a far parlare di sé. E' forse l'unico segnale positivo nel panorama alquanto disarmante del malato Cinema Italiano, che dietro al rifiorire dell'ultima generazione di registi (Salvatores, Risi. Tognazzi. Rubini, Soldini...) nasconde un vuoto veramente preoccupante. Nella quasi completa mancanza di strutture. nella più totale assenza di punti di riferimento, si parla di Cinema solo "per sentito dire". E così accade che due dei più importanti appuntamenti sul cinema nazionale sanciscano in fondo la sua scomparsa. FilmMaker a Milano: ovvero videomaker. televisione. telecamera video-amatoriale, più comoda, tutto meno costoso. tutto più facile: "Anteprima per il Cinema Indipendente Italiano" a Bellaria: ovvero in Italia non esiste un cinema indipendente (e su 27 opere in concorso un solo lungometraggio in pellicola (fondi del famoso articolo 28...) e 16 video!).

Eppur si muove... In mezzo alle ceneri, e alle chiacchiere, in mezzo al disinteresse generale, c'è qualche brace ancora accesa. Un mormorio appena avvertito, un passaparola sussurrato all'orecchio, quasi fosse l'unico modo per rimanere fuori dallo sgretolato fondale ormai fatiscente. Sono giovani, ovviamente, indipendenti, ovviamente sempre lontani dai luoghi istituzionalizzati: tramano, si aggregano, propongono, producono, mostrano. Voglia di fare cinema inventare cinema: storia, finzione, documento, arte, figura. E lo spirito è quello, quasi violento e carnale che si era dimenticato: comunicazione visiva, gestuale, favola, gioco. Ed il mezzo è ancora, per fortuna la pellicola, il fotogramma, il taglio con la forbice, l'immagine, la troupe. La forma è l'unica consentita, ma questa volta finalmente rivalutata restituita a sé: la storia breve, il racconto, il punto di partenza: Cortometraggio, short-film, Cinema Corto: l'anticamera al film-lungometraggio trasformata a "cosa-a-sé", ad oggetto identificato, a traguardo realizzativo.

Cortometraggio: che cos'è?
Durata: non più di 30 minuti;
Formato: possibilmente 16mm.;
Autore: preferibilmente giovane;
Produzione: rigidamente indipendente; anzi, autogestita.
Piccolo Cinema? No, grazie: Cinema Corto. Da sempre dimenticato dall'usuale circuito cinematografico, completamente sconosciuto alla larga parte del Filmmaker in erba 2pubblico, aveva vissuto, boccheggiando, inseguendo qualche spazio in Festival con sezione apposita, per servire quasi sempre da biglietto da visita da porgere al "signor Produttore di Roma", ingresso obbligato per entrare alla corte del Grande Cinema. Ed ora finalmente qualcosa sembra muoversi, e la situazione lentamente cambiare. Pur ancora lontani da una vera disiribuzione, nascono focolai spontanei, diffusi a ragnatela: si organizzano rassegne, si ritagliano spazi in un palinsesto ormai troppo sclerotizzato. Da Bellaria, dove il Cinema ha unicamente parlato "corto", via Palermo, Rimini, Bologna, Roma, Milano, un rifiorire di proiezioni, per giungere, naturalmente a Pordenone. La SalaPasolini. a Cinemazero, ospiterà infatti dal 2 all'11 Dicembre l'evento "NonSolo-Film", rassegna di cortometraggi italiani in 16mm e video: 16 opere, la maggior parte opere prime, nomi pressoché sconosciuti alla ribalta, molta voglia di parlare, spesso protestare, gridare, altre riflettere, pensare, raccontare. Vengono da Torino, Palermo, Milano, Roma, Rimini, Bologna, Pordenone (due i cortometraggi prodotti quest'anno: quasi un record) a dimostrazione che fare Cinema e vedere Cinema sono due cose strettamente a contatto, quasi che l'una presupponga l'altra e viceversa, dove parlare e ascoltare, fare e vedere, sono i due lati della stessa medaglia, la voglia di comunicare. Ed è forse proprio la comunicazione, o la mancanza di comunicazione, la linea conduttrice, il filo comune, la pellicola che si srotola. Dalle telefonate alla radio di un programma notturno di Dimmi qualcosa di te (pluripre-miata opera del torinese Tava-relli) alla telecamera fissa sul binario di una stazione (la realtà che non si mostra?) di Passaggi del milanese Scarzella, di un tempo del quale non rimangono che rifiuti (Tempo da buttare della milanese Roberta Torre) fino ad arrivare al cinico iper-realismo di Ciprì e Maresco (gli ormai famosi palermitani lanciati verso la "soluzione finale") o alla altrettanto definitiva scelta del silenzio di Sette quadri per lo zen del riminese Angelini. Il tutto racchiuso tra due "vere chicche": il ritorno alla macchina da presa di Sergio Staino (ma questa volta in video e con un occhio alla televisione) con Io e Margherita, che aprirà la rassegna, ironico racconto di una svolta-non svolta di una generazione (il pretesto è l'occupazione di una scuola da parte dei partecipanti ad un concorso pubblico), ed il reperto Tempi moderni di Luca Gasparini, documento-finzione sul gruppo musicale dei CCCP, solitari portavoce in tempi che ancora non riescono ad essere moderni.
Cercasi pubblico, a questo punto: un film non visto è un film non fatto. Film... scusate, cortometraggi.

articolo di STEFANO BIGI 

da CINEMAZERO anno XI Dicembre 1991
in: NonSoloFilm: rassegna a Cinemazero di cortometraggi a...lungo respiro

 

Questi nostri film così privi di anima

Con puerile vittimismo, il nostro cinema preferisce tacere sulla propria parte di responsabilità; soprattutto per quanto riguarda il vuoto e le assenze estetico-creative che hanno progressivamente disamorato e allontanato il pubblico dalle sale dove si programmano film italiani. E non per diseducazione o esterofilia: questo cinema proprio non piace. Non piacciono la monotonia tematica, l'inconsistenza e l'improponibilità delle storie che i nostri film raccontano. Non piacciono i linguaggi usati, così poveri e consueti. Non piacciono i continui ammiccamenti a cliché rassicuranti e stucchevoli, non piacciono il didascalismo, l'appiattimento, l'omologazione a codici e stereotipi serial-televisivi.

Da molti anni stiamo esercitando una vera autocensura: per scarsa fiducia in noi stessi e nelle storie che più amiamo. Ci s'interroga, ormai da tempo, sui motivi della crisi che ha investito il nostro cinema. Molto si è detto a proposito dei fattori esterni: invasione e strapotere del cinema americano, assenza di una nuova legge, inosservanza delle norme CEE sulla programmazione obbligatoria. Ma molto meno si è detto o si è voluto dire riguardo ai fattori interni.
Con puerile vittimismo, il nostro cinema preferisce tacere sulla propria parte di responsabilità; soprattutto per quanto riguarda il vuoto e le assenze estetico-creative che hanno progressivamente disamorato e allontanato il pubblico dalle sale dove si programmano film italiani. E non per diseducazione o esterofilia: questo cinema proprio non piace. Non piacciono la monotonia tematica, l'inconsistenza e l'improponibilità delle storie che i nostri film raccontano. Non piacciono i linguaggi usati, così poveri e consueti. Non piacciono i continui ammiccamenti a cliché rassicuranti e stucchevoli, non piacciono il didascalismo, l'appiattimento, l'omologazione a codici e stereotipi serial-televisivi. Non piaccono le sentimental-melensaggini che, elargite in "punta di penna" ma in quantità industriale in qualsiasi storia, hanno dato vita alla categoria più prodotta e - purtroppo - celebrata dell'ultimo decennio: quella dei film carini.
Paradossalmente, anche a chi il cinema italiano lo scrive e lo realizza, non piacciono i film italiani. E proprio per gli stessi motivi per i quali essi non piacciono al pubblico. Questa apparente schizofrenia può avere una spiegazione. Capita infatti che molti dei soggetti e delle idee non realizzate, le "storie nel cassetto", siano spesso più affa-scinanti, originali e belle dei film prodotti. Perché?
"Perché non le capiscono..."
"Perché non vendono..."
"Perché non abbiamo gli attori adatti..."
"Perché costano troppo..."
Sono queste le risposte che ci diamo. E sono questi i motivi per i quali molti, troppi bei progetti vengono accantonati, trascurati e dimenticati proprio dagli stessi autori, a favore di altri. Ed è questa, io credo, la nostra colpa più grave: la scarsa fiducia che riponiamo in noi stessi, il poco amore per le idee e le storie che ci sono più care e affini, la poca voglia di batterci e faticare per esse. E la conseguente, automatica e cronicizzante autocensura con cui pian piano estirpiamo da noi, preventivamente, ogni sprazzo che devii da tracciati noti e accettabili. Per timore di non riuscire a realizzare un film , ci siamo allontanati dalle nostre storie, abbiamo disimparato ad ascoltarle, conoscerle e narrarle in modo originale. Abbiamo imparato a vergognarcene e a privilegiare invece a tal punto le presunte esigenze di pubblico, mercato e produzione, da smarrire del tutto le nostre peculiarità espressive.
Ed eccoci qua, oggi, noi e i nostri film, privi di anima. Quell'anima va ritrovata. Intendo l'anima creativa, quella che ha a che fare con l'atmosfera interiore, con l'entusiasmo e le ispirazioni. Invece di affannarci nella ricerca di nuove e più giuste regole; invece di dibatterci nelle pastoie di annosi dilemmi (Sarà meglio il cinema d'Autore o quello di genere? Quello europeo o quello americano?), perché non cerchiamo di ridar voce ai nuclei narrativi e alle zone espressive che più ci appartengono? Lasciamo pure che esse s'impossessino di noi, lasciamo che divengano la nostra ossessione, che ci assorbano in modo totalizzante; facciamone il nostro progetto, la causa da raggiungere; e concediamoci il faticoso lusso dell'irrazionalità, mettendo in secondo piano i prevedibili e innumerevoli ostacoli esterni. Quest' anno (1994), alla Mostra del Cinema di Venezia, è stato assegnato il Premio Speciale della Giuria a "Bad Boy Bubby", un film australiano la cui storia, bellissima e terribile, di un uomo emarginato intellettualmente e socialmente, e del suo "viaggio nella normalità", aveva sulla carta poche o nessuna chance non dico di essere premiata, ma addirittura di essere prodotta. Ma l'autore, Rold de Heer, voleva raccontare proprio e solo quella storia. Per farlo, ha rinunciato per anni a progetti più facili e ai relativi guadagni; e per non essere, assieme al suo protagonista, "corrotto dalla spinta di uniformarsi", si è obbligato per lungo tempo a non guardare la televisione e a non andare al cinema. Rolf de Heer è riuscito a realizzare il suo film - che è costato meno di un miliardo - grazie alla sua ostinata volontà di non tradirsi e al coraggio, cosa che dovrebbe farci riflettere, di un produttore italiano, Domenico Procacci.
Purtroppo la convinzione e la tenacia possono essere confusi con l'egocentrismo e la presunzione. Ed è per questo che non pochi autori italiani, vittime di questo equivoco, hanno sviluppato una sindrome da onnipotenza, perdendo il senso di sé e della realtà: invece di cercare di superare i propri limiti concentrando la propria ricerca al di dentro, e in profondità, essi oggi si spingono ancor più in fuori, per affrancarsi da argini e controlli.
Accade così che gli sceneggiatori divengano registi e produttori, i registi attori, sceneggiatori e produttori... I ruoli, invece di definirsi, si confondono; l'improvvisazione prende il posto della specializzazione, il pressapochismo della precisione. E il vuoto invece di colmarsi si amplifica, si cristallizza. Non sarebbe più costruttivo difendere e rafforzare identità e autonomia nella dialettica? Pensiamo a Tornatore e al suo incontro con Cristaldi. I riconoscimenti di Cannes e l'Oscar, non sono forse il risultato della capacità di coniugare il talento, l'ostinatezza e la determinazione di un regista con la sensibilità, la sapienza e l'accortezza di un produttore? Non possiamo continuare a barcamenarci ancora per molto nelle incertezze e nei quesiti, e a fare dello smarrimento e del dubbio un manifesto. Oggi che anche lo scenario politico è così radicalmente cambiato, è assai ridicolo pensare di rivendicare il diritto alla libertà di espressione, se quest'espressione ancora non sappiano quale sia.

Articolo di CHIARA TOZZI da Le opinioni in VIVI IL CINEMA Aprile-maggio 1994

 

Consigli per registi indipendenti dal budget limitato

Consigli per registi indipendenti dal budget limitato Ecco dei nuovi interessanti consigli per registi indipendenti dal budget limitato, di quelli provenienti dalle piccole province e che proprio non hanno soldi per affittare scenografie e oggetti di scena. Nuovi imprescindibili consigli per i novizi, stavolta da parte del giovane David Beltoft, regista indie attualmente su Kickstarter in cerca di finanziamenti per completare la post-produzione di un horror low budget intitolato Here Alone. Prendete carta e penna per gli appunti:

CONCEPITE LA VOSTRA PELLICOLA CON CIÒ CHE VI CIRCONDA: Non tutti hanno la fortuna di abitare in una metropoli come New York, Los Angeles, Hong Kong, Tokyo o Londra. A volte, tutto ciò che abbiamo è la nostra piccola provincia situata in qualche paesello semi sperduto nel nulla. Questo, però, non deve affatto scoraggiarci: Lena Dunham ha realizzato gran parte di Tiny Furniture nella camera da letto dei suoi genitori, mentre in Mulberry Street, Jim Mickle ha optato per l'appartamento di un suo amico. In sostanza, cercate di conoscere bene le risorse a vostra disposizione, le località vicine, i luoghi utilizzabili. Solo dopo averlo fatto, potete iniziare a pensare a che tipo di film girare.

LE SCENOGRAFIE E GLI ARREDAMENTI DA USARE SONO QUELLI SOTTOMANO: Sei un cineasta indie, non hai assolutamente soldi da spendere in noleggi di oggetti o arredamenti particolari, quindi dovrai assolutamente usufruire di tutto ciò che hai sottomano. Avete presente la lama di Napoleon Dynamite? Apparteneva alla mamma del regista Jared Hess. E il registratore all'inizio di La casa di Sam Raimi? Era del papà di Bruce Campbell. Vi sembrerà impossibile, ma in verità gran parte delle cose che vorrete usare nella vostra pellicola è ottenibile in maniera gratuita e senza fatica. Basta informarsi bene, chiedere ad amici, amici di amici, parenti, etc etc.

CHIEDETE FAVORI: Il giardino del vostro vicino di casa è così sfavillante che non riuscite proprio a immaginare il vostro film senza almeno una scena girata lì? Allora bussate alla sua porta e imparate – nella maniera più gentile e convincente possibile – a chiedere un favore. E nel farlo, date tanti dettagi sull'opera e sul perché state supplicando questo favore. Col giusto approccio, vi si potrebbe aprire un mondo intero di possibilità.

COINVOLGETE LA COMUNITÀ: Soprattutto se state girando in una piccola provincia, condividete l'entusiasmo e lasciate che i suoi abitanti possano godere della medesima eccitazione. Lo zio del vostro amico vi ha appena prestato un divano? Invitatelo sul set e trattatelo come vostro ospite. C'è un poliziotto appostato e curioso di sapere cosa state girando per strada? Spiegategli tutto con cortesia: se ci sta, fategli fare un cameo. Tutto questo potrebbe anche aprire un ciclo: la prossima volta che farete un film nel vostro vicinato, magari saranno direttamente loro a contattarvi per chiedere se avete bisogno di questo o quell'altro. Fatevi voler bene.

Articolo di Redazione di FareFilm.it 

Il cinema italiano specchio del nostro paese

cinecitta entrataNiente più del cinema in Italia ha saputo dare l’idea della straordinaria articolazione di differenze che formano il nostro Paese. Visconti andava da Milano in Sicilia e nascevano La terra trema e il Gattopardo, Fellini dalla Romagna arrivava a Roma e la reinventava, Rossellini rendeva il viaggio in Italia un’esperienza di rivelazione dell’anima, Pasolini ci restituiva le periferie nel rapporto con la grande pittura dei secoli passati. E Antonioni, che trasfigurava il delta del Po in un emblema dell’inquietudine contemporanea? E Rosi, senza il cui cinema non si potrebbe capire Napoli? Mentre Olmi faceva vibrare la vita nelle brume del Nord, De Seta filmava quella estrema dei pescatori siciliani. Vediamo formarsi l’Italia nuovissima degli anni ’70 con i film di Bertolucci, di Bellocchio, di Ferreri. Nell’intimità delle famiglie italiane penetriamo con Monicelli, Pietrangeli, Germi, Comencini.
cinecitta entrata 2L’esplorazione della complessità del nostro paese non ha fine, considerando i così tanti nostri registi di ieri e di oggi. C’è chi ci ha portato in viaggio attraversandola, l’Italia, come Risi nel Sorpasso, correndo su un’automobile prepotente, che oggi leggiamo come una prefigurazione dell’Italia dei nostri tempi. Ma c’è chi ci ha portato su un treno fra gli emigranti, come Ettore Scola in Trevico-Torino. A proposito di Ettore Scola: un amico appena tornato da Parigi mi ha detto di aver visto una lunghissima fila per entrare in un cinema dove si proiettava La famiglia, al modo in cui si accorre a vedere nei musei i capolavori della pittura di tutti i tempi: ecco, si va nel mondo a vedere i film di un maestro come Scola per tuffarsi in una Italia amata e ammirata, facciamolo ben presente a chi vuole mortificare le politiche di sviluppo del nostro cinema. Ma voglio tornare a quel film di Scola ambientato, come recitava il sottotitolo, nel Fiat-nam, per proiettarmi da lì verso Lamerica di Gianni Amelio di vent’anni dopo, su quella indimenticabile nave gremita di migranti albanesi. Qualche settimana fa il Presidente della Repubblica Napolitano ha voluto ricordare il nostro trascorso di emigranti, così grande e sofferto. E allora consideriamo che anche i Coppola, gli Scorsese, i Tarantino, figli di italiani approdati negli Stati Uniti, con l’Italia nel cuore hanno fatto grande il cinema americano. Se è vero, come è vero, che le differenze sono il sale e non l’ostacolo della nostra unità, confidiamo in un Paese unito il cui cinema venga arricchito nel prossimo futuro da registi italiani dai nomi tunisini, libici, bengalesi, rumeni. Desideriamo un grande Paese che sostenga e valorizzi la propria cultura sapendo che essa è viva quando è aperta, quando non ha paura, quando ha il coraggio di non piegarsi alle abitudini e convenzioni più stanche. L’Italia unita è stata sognata dai poeti e per essa si sono battuti dei ragazzi. E’ dunque un sogno di apertura, di vitalità, di democrazia. Il cinema italiano, coi suoi mille meravigliosi volti di attrici e di attori, di questo sogno è come fosse lo specchio.

Discorso di Mario Martone alla cerimonia dei David di Donatello

 

Fare cinema - I festival di Maurizio Mazzotta

Che esistano festival di cinema importanti come quello di Venezia, Torino, Milano, Roma  lo sanno tutti, ma che in tutto il territorio nazionale ce ne siano un centinaio, senz’altro meno importanti,  lo sanno in pochi, anche perché molti festival sono sorti proprio per dare spazio e visibilità al cinema povero e il cinema povero lo frequentano pochi spettatori. La funzione di questi festival è stata ed è quella di promuovere il cinema povero.

E’ passato qualche decennio dalla nascita dei primi festival del cortometraggio, erano pochi e intraprendevano una via in salita. Alla lunga il cortometraggio ha svegliato l’attenzione e da qualche anno la via da percorrere è diventata agevole se si pensa che ormai tutti i grandi festival internazionali, e nazionali, danno spazio ai corti e alle produzioni indipendenti. Le conseguenze? La prima: molti giovani si fanno conoscere e cominciano a lavorare. La seconda: la nascita di un mercato, per ora timido, prudente. Avaro! Il mercato si sveglia anche per il fatto che esistono emittenti televisive con programmi di ventiquattrore. Non chiedetemi quanto viene pagato mediamente un corto, ancora si è lontani dal recupero dei costi. Per fortuna non si chiede l’esclusiva. Si può dire che è meglio di niente e che è positivo se qualcosa si muove.

Ci sono festival quanto a importanza e frequentazione grandi, medi, piccoli. Vuol dire che al MilanoFilmFestival, per esempio, vengono iscritti tremila film tra italiani e stranieri; un festival agli esordi raccoglie poche centinaia di iscrizioni. Le selezioni durano mesi in genere; al termine dei lavori di selezione solo un dieci per cento degli iscritti concorrono. Essere selezionati è già un successo perché il video maker raggiunge un obiettivo importante, quello di dare al suo film visibilità. Solo i film selezionati infatti vengono proiettati durante le giornate del festival. In queste giornate tra gli spettatori c’è una categoria di persone invisibili, gli osservatori, che hanno criteri di valutazione differenti da quelli delle giurie e che, tramite gli organizzatori dei festival, contattano e contrattano con i registi dei film che hanno svegliato la loro attenzione.

Arrivare nella rosa dei finalisti, addirittura vincere, è certamente un successo. Ma capita che un film che ha vinto in più di un festival, in altri non venga nemmeno selezionato. Come avviene questo? Quot capita tot sententiae, tante sono le teste e altrettanti sono i modi di pensare e quindi i giudizi. Il valutare qualcosa che non è quantificabile è operazione soggettiva, perché sono molte le variabili che influenzano le persone che valutano. Se tra due atleti uno supera l’asticella posta a due metri e l’altro no, vince il primo, e tutti i giudici sono d’accordo; ma se la superano tutti e due ecco che i giurati devono tener conto di tanti aspetti del modo di saltare dei due atleti, e qui si osserva che un giurato esprime un giudizio differente da quello di un altro. Per questo si definisce cosa altro bisogna valutare, per esempio l’esecuzione, forse divisibile in altri micro aspetti… Diciamo che i giudici sportivi sono facilitati perché il risultato è quantificabile o comunque l’esecuzione può essere analizzata per definire dei criteri cui attenersi, e per quest’ultimo aspetto le valutazioni tra i giurati si differenziano di poco. Ma per quanto riguarda la valutazione di prodotti artistici, che non sono quantificabili, anche se si stabilissero dei criteri sarebbe oltremodo difficile mettere d’accordo le persone. Se poi si pensa che le persone, cioè gli organizzatori dei festival del mondo, sono veramente tanti, allora si comprende che è impossibile.

A cosa serve allora parlare dei film premiati, delle giurie e degli organizzatori dei festival dal momento che è tutto così fluttuante? Serve per individuare le tendenze. In un festival dai film premiati si evince se la giuria e gli organizzatori che scelgono i giudici sono per i film a ritmo rapido o per quelli la cui narrazione procede lenta e misurata; se si dà più importanza all’innovazione del linguaggio filmico o se si prendono in considerazione tutti gli aspetti: dalla storia, e quindi al messaggio che essa veicola, alla fotografia al ritmo. Se i giudici e gli organizzatori che li scelgono sono “coraggiosi” e “rischiano” o se si muovono su un terreno sicuro. Intendo dire che premiare un regista, un interprete o un altro artista di cinema, che è già affermato come tale, significa appunto non esporsi, non rischiare, significa essere sicuri di non sbagliare.  Premiare invece un artista sconosciuto significa avere il coraggio di dire “per noi questo attore è veramente bravo”, significa quindi proporlo, farsi garanti per il fatto che lo si sostiene con il premio.

Recentemente ho assistito a premiazioni assai “timide”. In un festival tra i film finalisti c’erano corti straordinari, eppure il premio massimo è stato dato a un film, dignitoso nella fattura, la cui storia era un contenuto “di moda”, come potrebbe essere per esempio il bullismo a scuola, l’integrazione sociale eccetera. Per un altro corto il premio come migliore attore è stato elargito a un attore già affermato, all’apice della carriera, eppure c’erano alcuni interpreti, sconosciuti, bravissimi, ai quali il premio sarebbe stato un riconoscimento e uno stimolo a proseguire.

Invito tutti i giovani video maker nel loro interesse a seguire i festival, cominciando col considerare i film selezionati. Spesso la grande selezione è a opera degli stessi organizzatori, e si comprende, non potrebbe essere diversamente, se i film da visionare sono parecchie centinaia o qualche migliaia. Li invito a osservare attentamente ciò che succede durante le premiazioni, a scoprire le tendenze di un festival. Tranne alcune eccezioni, gli organizzatori, per la fase finale, scelgono giudici che hanno schemi di riferimento simili ai loro e si muovono all’interno di una stessa visione del cinema e del linguaggio filmico. 

Fare cinema 

di Maurizio Mazzotta

 I festival

 

Archeologia del Montaggio

Siamo agli inizi degli anni '20, e Kulesov decise di costruire una specie di "teorema": inquadrò, in primo piano, il volto di Mozzuchin (un noto attore dell'epoca), poi riprese un piatto di minestra, un bambino allegro e, infine, una donna morta (come si vede questi tre elementi sono, visivamente e concettualmente, molto distanti tra loro). Non restava che accostare l'inquadratura del volto dell'attore alle tre riprese girate per "creare senso", e così fece Kulesov. Sebbene l'espressione dell'attore rimanesse identica, essa sembrava assumere connotazioni differenti a seconda che venisse accostata al piatto di minestra (fame), al bambino allegro (paternità, affetto) oppure alla donna morta (lutto, dolore).
Il montaggio cinematografico assume significati diversi in relazione alle tecniche con le quali si esplicita. Queste ultime hanno fatto sì che assumesse una sua precisa consapevolezza estetica, permettendogli di esplicitarsi al meglio parallelamente al progresso tecnologico.Prima dell'avvento del sonoro era l'immagine ad assumere su di sè tutte le potenzialità comunicative, era l'unica "forza creativa della realtà filmica" (Pudovkin), non c'erano altri elementi in gioco.Con l'introduzione del suono si vennero a delineare nuovi campi d'azione, nuovi orizzonti espressivi. Il senso del racconto filmico veniva influenzato non solo dalle immagini, come era stato fino ad allora, ma anche dalle parole (ecco farsi strada l'importanza della dizione, pressochè sconosciuta agli attori del primo cinema muto), della musica (che venne a creare nuove tensioni drammatiche) e dai rumori di fondo (che conferivano maggiore realismo alla rappresentazione).
Prima di avventurarsi in dissertazioni teoriche intorno ai primordi del montaggio occorre tenere ben presente che, ai primordi del cinema, era l'immagine sola ad essere veicolo della comunicazione filmica. Certo, c'era l'accompagnamento al pianoforte, ma non era direttamente collegato alle immagini sullo schermo e, anche se avesse voluto esserlo, probabilmente non avrebbe potuto (troppe erano le variabili ingioco non direttamente controllabili meccanicamente: dalla variabilità della velocità di scorrimento del nastro - a manovella, quindi mai perfettamente identica in diverse proiezioni - alla rumorosità degli apparecchi, dalla socialità aperta e rumorosa del pubblico alla conseguente interazione tra i singoli componenti di esso).

Tra gli ultimi anni del 1800 e i primi del 1900 i fratelli Lumiere partorivano i loro film. Si trattava di pellicole generalmente corte (non superavano i 31 metri, per una durata totale di un minuto scarso) e prive di qualsiasi forma di montaggio. Si limitavano a riprendere un soggetto qualsiasi, continuando a girare fino a qiando non avevano terminato la pallicola.Tra i loro film ricordiamo "La colazione del bebè" (Le dèjeuner du bèbè, 1895), "L'arrivo di un treno alla stazione di Ciotat" (L'arrivèe d'un train à la Ciotat, 1896), "Una nave salpa dal porto".Lo scopo principale di queste pellicole era solo quello di registrare il movimento, poco importava il soggetto della rappresentazione.
Il primo esempio di una precisa volntà narrativa si ha nel 1897 con "L'innaffiatore annaffiato" (Arroseur et arrosè), dove si può individuare una trama ben precisa:

1 - un giardiniere innaffia un giardino;
2 - un ragazzino mette il piede sulla canna interrompendo il getto d'acqua;
3 - il giardiniere osserva l'estremità della canna;
4 - il ragazzino toglie il piede;
5- l'acqua spruzza in faccia al giardiniere;
6 - il giardiniere da un ceffone al ragazzino.

Ne "L'innaffiatore innaffiato" non si limita a riprendere una situazione reale, ma si esplicita una precisa, seppur semplice, volontà narrativa. Interessante notare anche l'assenza di didascalie, non era necessario, tutto si capiva da sè, grazie alla sola forza delle immagini.

Un importante passo in avanti per la teoria del montaggio cinematografico è insito nell'opera di George Melies.Le sue pellicole erano più lunghe di quelle dei fratelli Lumiere (circa 128 metri) e narravano non un solo episodio, ma una vera e propria storia costituita da più episodi.
Melies veniva dal teatro e preferiva girare in studio, non all'aperto come i fratelli Lumiere. Inoltre la sua messinscena era fortemente fantastica e anti-naturalistica. Le sue storie parlavano di fantastici viaggi verso la luna ("Viaggio sulla luna", Voyage dans la Lune - 1902 -), si intrecciano con elementi di magia bianca e magia nera ("I 400 scherzi del diavolo", Les 400 farces du diable - 1906 -, in cui la parte di mefistofele è interpretata dallo stesso Melies).

Tra gli altri suoi film ricordiamo "La conquête du Pôle", "Les illusions fantaisistes", "Les hallucinations du Baron d" (1909),,"Il palazzo delle Mille e una notte"(1905).

Nel 1902 Edwin S. Porter realizzò "The life of an american fireman". Per questa pellicola il cineasta decise di avvalersi di materiale documentaristico precedentemente girato. Questa era una vera e propria novità: partire da una certa ripresa che, se considerata nella sua unicità, non ha alcun senso narrativo, per poi accostarla con altre, in modo da formare un senso. In questo modo un evento di lunga durata viene "compresso" in pochi minuti e in un unico rullo, senza che ci siano situazioni di continuità: vengono considerati solo gli elementi utili allo svolgersi del racconto, in relazione al contributo che essi danno allo sviluppo logico della narrazione. Porter, pur non usando ancora un'ampia varietà di piani (ogni scena è ripresa in campo medio), aveva dimostrato che l'unità minima del racconto filmico è l'inquadratura: nasce il cinema narrativo. Il film racconta una vera e propria "storia", quella della madre e di un bambino avvolti dalle fiamme che saranno salvati da un coraggioso pompiere. Nel successivo "L'assalto al treno postale"(The great train robbery, 1903) non privilegia più la successione logica degli avvenimenti, ma la libertà di movimento dell'azione. Perfezionando il concetto di continuità dell'azione riuscì a dimostrare che era possibile sviluppare la narrazione con il solo mezzo filmico. L'intreccio è molto semplice:

1 - l'arrivo dei banditi alla stazione in cui farà fermata il treno;
2 - la rapina;
3 - la fuga dei malviventi;
4 - l'allarme e l'inseguimento dei banditi;
5 - la cattura dei malviventi.

La rappresentazione non è altro che un mero pretesto per organizzare spazialmente la vicenda, una sorta di esperimento sul carattere dinamico di "personaggi inseguiti" (i banditi) e "personaggi inseguitori" (gli immancabili tutori della legge). Porter, insomma, ha realizzato una sorta di "film-tipo", anticipando ed influenzando quelle che saranno le tendenze cinematografiche degli anni successivi; le sue pellicole, infatti, possono essere considerate come veri e propri "prototipi".

"Life of an american fireman": film realistico-drammatico, di suspance;
"The great train robbery": film western;
"The capture of yegg bank burglas": film gangster;
"The ex-convict": dramma sociale.

David Wark Griffith, nacque nel 1875; figlio di un alto ufficiale sudista si dedicò al cinema dopo aver fatto diversi mestieri (giornalista, pompiere, operaio e attore). Il suo è un cinema chiaramente di consumo, ma allo stesso tempo formalmente elaborato e tecnicamente nuovo. Griffith elaborò, ampliandole e perfezionandole dal punto di vista visivo e narratologico, le semplici sceneggiature di Porter, tenendo sempre in massima considerazione la tensione drammatica.

IL CINEMA È ARTE, MA L'ARTE DEL CINEMA È IL MONTAGGIO

"Tutto quanto precede il montaggio è semplicemente un modo di produrre una pellicola da montare" Stanley Kubrick

"Lo scopo del montaggio è conferire alla rappresentazione cinematografica significato e logica narrativa" (enciclopedia Garzanti). Ma non solo; per il cineasta William Dieterle:"Il montaggio non è semplicemente un metodo per mettere insieme scene e frammenti distinti; in realtà, è un metodo per guidare, in modo deliberato e forzato, lo spettatore". Dunque, con il montaggio, l'autore organizza la sua opera articolando immagini in modo da condurre lo spettatore, secondo il proprio punto di vista, in un percorso espressivo e concettuale personalissimo. Più semplicemente il montaggio è lo stile del film e, pare chiaro, che organizzare la semplice concatenazione delle inquadrature e la loro sequenzialità ne è lo scopo meno rilevante; con il montaggio il cineasta predispone un'esperienza emotiva ma anche e soprattutto intellettuale di straordinario impatto.

Nel periodo del muto, per il russo Vsevolod I. Pudovkin,"ll montaggio è dunque il vero linguaggio del regista  ...); l'atto creativo cruciale nella produzione di un film (...); per giudicare la personalità di un regista cinematografico non si deve far altro che osservare i suoi metodi di montaggio. Quello che per uno scrittore è lo stile, per il regista è il suo modo particolare ed individuale di montaggio". E ancora, l'autore attraverso il montaggio può"costringere lo spettatore a guardare non come egli è abituato a vedere". Un cinquantennio più tardi poco è cambiato; Jean-Luc Godard, regista del sonoro sostiene:"Dire regia è automaticamente dire, ancora e di nuovo, montaggio. Quando gli effetti di montaggio superano per efficacia gli effetti di regia, la bellezza della regia stessa ne risulterà raddoppiata"; e per George Lucas infine: "... è la quintessenza del cinema come forma d'arte".

Ma torniamo ad inizio secolo: storicamente si ritiene che Georges Méliès con "Il viaggio della luna" del 1902 e "Il viaggio attraverso l'impossibile" del 1904, sia stato il primo ad introdurre la narrazione cinematografica: le sequenze, riprese con piano fisso, venivano collegate tra loro con il montaggio-incollaggio di spezzoni di pellicola (rulli o bobine). Ma è solo da quando, da questo semplice incollaggio, si è passati al montaggio cinematografico vero e proprio, che si è avuta la "liberalizzazione" della macchina da presa: da piani fissi e statici, responsabili di riprese di "teatrali", si diventa improvvisamente capaci di esprimere un linguaggio artistico. Il montaggio cinematografico in quanto tale, lo si deve, in forma embrionale, soprattutto a Edwin S. Porter in "Vita di un pompiere americano" del 1902 e "La grande rapina al treno" del 1903. David Wark Griffith seguendo la strada intrapresa da Porter e da altri pionieri, intuì che in una sequenza le singole inquadrature dovevano essere montate tra loro in base ad esigenze di necessità drammatica. Si deve a lui, principalmente, l'invenzione del linguaggio cinematografico e la sperimentazione dei vari aspetti. Per la prima volta ha impiegato magistralmente il primo piano, considerato per l'epoca un'audace novità, il flashback, con cui fu possibile rompere la linearità del tempo filmico proiettando alcune scene cronologicamente antecedenti e il montaggio alternato, che ha permesso le cosiddette sequenze di «salvataggio all'ultimo minuto» che, staccando continuamente dalle sequenze dedicate al salvato a quelle del salvatore, ci tengono continuamente con il fiato sospeso. Ma se a D.W.Griffith, di cui ricordiamo almeno "La nascita di una nazione" del 1915 e "Intolerance"del 1916, si deve gran parte della nascita del cinema in quanto arte, a Vsevolod I.Pudovkin e Sergej M.Ejzenstejn, per il muto, ed a Orson Welles per il sonoro, se ne deve gran parte dell'evoluzione.

Karel Reisz e Gavin Millar scrivono: "Fin dagli inizi della carriera Griffith si rese conto che riprendere un'intera scena a distanza fissa imponeva grossi limiti alla narrazione.Volendo mostrare allo spettatore
il pensiero o le emozioni di un personaggio, capì che il modo migliore per farlo, era quello di avvicinare la macchina da presa, registrando così con più precisione l'espressione del viso (...); la scoperta fondamentale di Griffith è stata quella di rendersi conto che una sequenza deve essere composta da singole inquadrature incomplete, scelte ed ordinate in base a motivi di necessità drammatica". E sostengono ancora che:"Il cinema, attraverso il montaggio si è trasformato da semplice mezzo per registrare l'attualità in un mezzo estetico di grande sensibilità". Dunque il lavoro di montaggio è rilevante sia sul piano pratico, in quanto dà struttura e ritmo al film, sia su quello estetico, poiché influisce inevitabilmente anche sulla recitazione. La sua importanza è prioritaria e molti lo considerano l'essenza stessa del cinema,"L'elemento peculiare (specifico filmico) che permettere al cinema di assurgere ad autonoma espressione artistica". L'introduzione del sonoro consentì al cinema di raccontare storie più complesse di quanto non fosse possibile ai tempi del muto: non solo le scene risultarono più realistiche, ma la musica, i rumori e soprattutto i dialoghi, ne accentuarono l'impatto drammatico. Per questo, ma anche per problemi di natura tecnica, il linguaggio basato sul montaggio, per qualche tempo non progredì; ma ben presto, insieme alla recitazione ed alla stesura dei dialoghi, tornò ad essere "Il principio fondamentale dell'arte cinematografica". È intuitivo, infatti, che consente una profondità della narrazione, che in teatro per esempio è quanto mai impossibile; una rappresentazione teatrale si potrebbe paragonare ad una scena ripresa in campo lungo con macchina fissa. Frammentando l'avvenimento in brevi inquadrature di diversa durata, angolo e piano di ripresa, si può controllare in modo più efficace l'intensità drammatica dei fatti mentre la narrazione avanza, riuscendo a comunicare un senso di movimento altrimenti impossibile con un piano sequenza, un campo lungo o anche con un montaggio invisibile; inoltre le inquadrature sui particolari descrivono la storia in modo completo e convincente, quindi più vicino alla realtà di quando non possa fare un'unica inquadratura in campo lungo.

Il montaggio invisibile è particolarmente usato nel cinema classico e in quello americano (John Ford e Frank Capra); è funzionale alla trasparenza della storia e la macchina non rivela mai la sua presenza a vantaggio della fluidità visiva e della narrazione, più continua ed omogenea. In parole povere la regia, durante la visione, non si avverte mai. Nel cinema europeo e in quello d'avanguardia, invece, il cineasta solitamente lascia il segno della propria personalità con un montaggio che si discosta da norme e convenzioni, imponendo il suo ritmo con continui cambi d'inquadrature sia nelle angolazioni che nei piani. La macchina da presa allora diventa parte attiva della narrazione (non occhio distaccato come accade in una scena fissa generalmente in campo lungo). In genere il responsabile del montaggio è il produttore e/o il regista. È da notare però che soltanto alcuni cineasti di grande successo possono permettersi il controllo e la supervisione del montaggio, il cosidetto the last cut (il taglio finale)!

Il montatore ha il compito e la possibilità di scegliere vari fotogrammi della stessa inquadratura per trovare il punto in cui lo stacco risulta drammaticamente più efficace: non solo riordina la successione delle sequenze, ma ne interpreta e valorizza i particolari. Walter Murch, il solo ad essere stato premiato con un doppio Oscar per il montaggio sia dell'immagine che del suono dello stesso film ("Il paziente inglese",1996, di Anthony Minghella), ha montato tra l'altro "Apocalypse Now", "La conversazione" e l'intera saga de Il Padrino di Francis Ford Coppola; sostiene che una delle responsabilità fondamentali del montatore è: "Costruire un ritmo interessante e coerente di emozioni e di pensieri, sulla piccola e grande scala, per consentire al pubblico di lasciarsi andare, di darsi al film". E sugli stacchi: "... oltretutto la discontinuità ci permette anche di scegliere la migliore angolazione per ogni emozione e ogni particolare della storia, per poi montarle insieme con un impatto complessivo maggiore. Se fossimo limitati da un continuo flusso d'immagini, sarebbe più difficile e i film sarebbero meno precisi e dettagliati".

In questi cento anni di cinema il montaggio ha subito una sola rivoluzione, consumata a cavallo degli anni ottanta-novanta, con il passaggio da quello meccanico a elettronico digitale. Le consolle per il montaggio meccanico della pellicola, che hanno imperversato per settantanni, e cioè le conosciutissime Moviola e Kem e le meno conosciute ma altrettano valide Steenbeck, Prevost e Moritone, sono ormai state quasi  completamente pensionate dai sistemi per il montaggio elettronico-digitale, basati su computers capaci di memorizzare in alta risoluzione l'intero girato su pellicola, e cioè i sistemi AVID e Lightworks. Con le consolle digitali è possibile montare una sequenza senza tagliare materialmente il rullo, cosa che aveva comportato l'impossibilità di rivedere l'originale filmato. Al conseguente risparmio di tempo e denaro si aggiunge anche una maggiore velocità di lavorazione con un incredibile aumento delle possibilità creative. Terminato il montaggio con l'Avid, per esempio, si passerà direttamente a quello meccanico sulla pellicola. Il primo film montato interamente in digitale ad aggiudicarsi l'Oscar per il Montaggio (a Walter Murch) è stato "Il paziente inglese" di Anthony Minghella.

Il montaggio,"È il solo aspetto specifico della sola arte del film" (Stanley Kubrick).

 Archeologia del montaggio cinematografico - di Francesco Ippolito

 

Piccole lezioni di tecnica cinematografica

LA SCENEGGIATURA

In pratica la sceneggiatura non è altro che il romanzo del film, un racconto che narra ciò che si vedrà poi sullo schermo. Un racconto che, invece di essere diviso in capitoli, è diviso in scene. Ogni scena inizia con un titolo, che ne definisce il tempo ed il luogo. Si specifica se l’azione si svolge all’aperto (Est. – Esterno) o all’interno di una qualche costruzione (Int. – Interno).

In fase di sceneggiatura, soprattutto se non dovrete essere il regista del film, non è conveniente immaginare come girare la scena, anche per evitare di restare troppo delusi per la riuscita finale sullo schermo. Quindi se una scena si svolge in casa verrà sempre definita come “Int.”, anche se pensiamo sia una buona idea riprenderla da fuori la finestra.

La stessa cosa vale per le scene ambientate in auto. Nel titolo si specifica anche il luogo preciso in cui una scena si svolge (camera da letto, strada, sottoscala…) ed il momento del giorno (mattina, giorno, sera, notte).

Anche se la cosa appare contestabile il modo migliore per dare un buon ritmo alla storia è dividere lo sviluppo dell’azione in tre parti, in tre capitoli:

- un’introduzione, in cui vengono presentati i personaggi principali, in cui si fa capire come e dove vivono e si inizia a presentare il problema che dovranno affrontare nel corso del film; 

- una parte centrale dell’intreccio, in cui questo problema si sviluppa, sconvolgendo la vita dei personaggi. In pratica è il momento di sviluppare la vostra “grande idea”; 

- un finale, in cui i personaggi risolvono (o forse no) la situazione in cui si erano venuti a trovare e si concludono anche le sottotrame, le idee secondarie che avevate inserito nel film.

Esistono tre modi diversi per scrivere una sceneggiatura. Derivano dalle abitudini in uso in tre paesi tra i più “cinematograficamente sviluppati” del mondo.

Nella forma italiana il foglio viene diviso in due colonne: nella colonna di sinistra vengono date tutte le indicazioni relative alla parte visiva, le azioni dei personaggi e le descrizioni degli ambienti. In quella di destra ci sono quelle relative al sonoro, cioè i dialoghi, i rumori ed alle volte anche le musiche. Succede spesso, in Italia, che il regista collabori alla scrittura della sceneggiatura, quindi in questo caso si decide subito il modo in cui si dovrà girare e montare una scena, indicando il tipo di inquadratura da usare, numerando ogni scena e spesso anche ogni inquadratura.

138 – EST. RETRO DEL TEATRO – NOTTE
(C.M.) – Plissken esce in strada e da un’occhiata alla radiobussola, poi si guarda intorno e cammina verso la mdp, fino ad una rampa di scale che scende. Inizia a scendere. Musica proveniente dall’interno del teatro.
Si sente sbattere la porta del teatro.
(P.M.) – Plissken si volta di scatto a fucile spianato.
(P.M.) – Cabbie fa un passo verso Plissken con le mani in alto. È tranquillo.
CABBIE: Ehi… Sei Iena Plissken, è vero?
(P.M.) – Plissken lo fissa senza abbassare il fucile.
PLISSKEN: Che cosa vuoi?
CABBIE (f.c.): Niente.
Plissken abbassa il fucile.
(C.M.) – Cabbie sorride.Si avvicina a Plissken, ma questi ricomincia a scendere le scale.
Cabbie si avvicina alla rampa e lo guarda.
CABBIE: Io ti credevo morto.
CABBIE: Ehi… Non vorrai gironzolare là sotto, Iena.


La  forma americana è quella che, graficamente, si avvicina di più ad un romanzo. Si riempie il foglio dal margine sinistro a quello destro, e si cerca di dare al racconto una scorrevolezza letteraria. I dialoghi sono scritti al centro della pagina, leggermente rientranti su entrambi i lati rispetto al testo normale, in modo da permettere di capire, già ad un primo colpo d’occhio, se nella pagina sia raccontato un dialogo od una scena d’azione. Non ci sono indicazioni tecniche di alcun tipo, per non rendere troppo “pesante” la lettura a persone che non hanno una perfetta conoscenza della tecnica cinematografica.

EST. RETRO DEL TEATRO – NOTTE

La grande porta si apre e Plissken esce chiudendosela alle spalle.
Da un’occhiata alla radiobussola, poi osserva la strada e cammina fino a che non raggiunge una rampa di scale che scende.
Da un’occhiata giù, poi inizia a scendere.

D’improvviso la porta del teatro si apre!

Plissken si volta di scatto a fucile spianato.

Cabbie cammina verso di lui, con le mani alzate. Non sembra per niente spaventato.

CABBIE
Ehi… Sei Iena Plissken, è vero?

Plissken lo guarda, un po’ sorpreso.

PLISSKEN
Che cosa vuoi?

CABBIE
Niente.

Plissken abbassa il fucile.

CABBIE
Io ti credevo morto.

Plissken si volta e riprende a scendere le scale.

Cabbie si avvicina e lo guarda.

CABBIE
Ehi… Non vorrai gironzolare là sotto, Iena.

Nessuna risposta

In Francia i registi tendono ad improvvisare notevolmente durante le riprese, come si nota chiaramente guardando il film “Effetto Notte” di François Truffaut, così le sceneggiature spesso riportano solo la traccia dei dialoghi, le frasi più importanti che i personaggi dicono ed il senso generale dei loro discorsi. Sarà proprio il regista a completare le battute durante le riprese, seguendo l’ispirazione del momento. Proprio per questo la lunghezza delle sceneggiature “francesi” può variare notevolmente, a differenza di quella americana e quella italiana, che per un film di durata normale in generale si aggirano intorno alle 90-100 pagine. Ovviamente di indicazioni tecniche neanche parlare…

138 – EST. RETRO DEL TEATRO – NOTTE

Plissken esce dal teatro seguendo la traccia della radiobussola. Percorre la strada fino a che non arriva ad una rampa di scale che scendono. D’improvviso un rumore lo fa voltare, a fucile spianato. È Cabbie, che avanza verso di lui, tranquillo, con le mani alzate. L’ha riconosciuto, è per questo che ha deciso di seguirlo.

CABBIE: Io ti credevo morto!

Plissken non gli presta attenzione e si mette a scendere le scale. L’idea non piace a Cabbie che, urlando, cerca di dissuaderlo dall’andare là sotto. Ancora una volta Plissken lo ignora.

In linea generale la sceneggiatura è scritta al tempo presente, come se le cose stessero avvenendo in questo momento. Imparate a fare una forza di questo fatto, perché scrivere al tempo presente può dare al lettore l’impressione di essere dentro la vicenda.  Usate sempre frasi corte; date al lettore la possibilità di prendere mentalmente fiato e tenete presente che se usate troppo spesso la congiunzione ‘e’ la vostra prosa risulta probabilmente sgraziata e poco scorrevole. 

Buona scrittura a tutti…


INQUADRATURA

Inquadrature della figura umana

E’ possibile classificare le inquadrature in campi e piani.
I campi sono inquadrature in cui si da maggiore risalto allo spazio in cui si muove l‘attore (se presente).
I piani sono invece inquadrature concentrate sull’attore, dalla sua totalità ai dettagli.
Primo piano (abbr. in: PP)
La figura è ripresa dal collo in su. Il primo piano è usato per far risaltare alcuni momenti del dialogo ed è un’inquadratura “intima”, perchè avvicina in qualche modo lo spettatore al personaggio.
Il primo piano non crea un rapporto con lo spazio, per questo evidenzia lo stato d’animo e e intenzioni del protagonista,  tendendo ad escludere il resto
 Primo piano
Primissimo piano (abbr. in: PPP)
In questo caso, il volto occupa l’intera inquadratura. Le dimensioni del soggetto superano quelle del quadro. Fronte e mento vengono tagliati dall’inquadratura.
Questa inquadratura rivela lo spessore psicologico del personaggio e crea intensità emotiva: è lo specchio del personaggio.
Primissimo piano tomas milian
Mezzo primo piano (abbr. in: MPP)
Si riprende il personaggio dalle spalle in su. L’inquadratura racchiude le spalle, la parte superiore del petto e l’intera testa. È un piano che permette di far vedere parte dell’ambiente. 
Vi è un certo equilibrio tra ambiente e figura umana.
Mezzo primo piano alex delarge
Piano americano (abbr. in: PA)
L’inquadratura è dalle ginocchia in su sino alla testa. In genere viene lasciata un po’ d’aria sopra il personaggio. Il volto non è più il protagonista, ma viene sostituito dal corpo.
Il piano americano è un’inquadratura molto dinamica, utilizzata molto nei western; permette di gestire allo stesso tempo più personaggi all’interno del campo.
Piano americano
 

Figura intera (abbr. in: FI)

Il personaggio viene inquadrato in maniera completa, dai piedi alla testa. Lo spazio è un elemento fondamentale, ma è ancora il personaggio, che occupa un’altezza pari a due terzi o più della verticale dell’immagine, a ricoprire un ruolo centrale rispetto all’ambiente
Figura intera
I CAMPI
Campo medio (abbr. in: CM)
È visibile la figura umana posta in una ambientazione chiara e riconoscibile; sul personaggio vengono soprattutto fornite indicazioni visive.
È un’inquadratura abbastanza ravvicinata in cui l’attenzione è rivolta ai personaggi presenti nell’ambiente in cui agiscono, ma anche al luogo stesso
Campo medio
Campo lungo (abbr. in: CL)
L’ambiente è dominante e circonda il paesaggio.
È un’inquadratura che convoglia uno spazio particolarmente esteso dove la figura umana è molto ridotta rispetto all’ambiente.
Se il primo piano ha una funzione “intimista”, il campo lungo ha uno scopo puramente descrittivo
Campo lungo
Campo lunghissimo (abbr. in:CLL)
La figura umana è lontanissima ed è immersa nel paesaggio circostante, non ha alcun rilievo nell’insieme dell’inquadratura.
 Lo spazio è dominante
Campo lunghissimo
 

Buona inquadratura a tutti…


FOTOGRAFIA

Tecniche di illuminazione per le riprese video

La base per una buona illuminazione è quella che si compone di 3 punti luce.

La luce chiave serve per illuminare il soggetto e solitamente viene posizionata in un angolo del set; è caratterizzata da una forte intensità.

La seconda luce è quella di riempimento e serve per attenuare le ombre create dalla sorgente luce principale.

La terza e ultima luce è detta “di controluce” e viene posizionata sul retro del soggetto principale per dare profondità e staccarlo dal fondo, cosi da metterlo ulteriormente in evidenza.

illuminazione 3 punti schema

Se si hanno a disposizione poche luci, cerchiamo per prima cosa di illuminare il soggetto, quindi: evitate le luci frontali (nella stessa posizione della telecamera) per evitare l’”effetto flash” abbastanza fastidioso. Cercate di mettere almeno due luci puntate sul soggetto, quindi una a destra e una alla sinistra della telecamera ( almeno ad un metro di distanza da quest’ultima).

Non mischiare le luci calde con le luci fredde.

Le luci calde, sono quelle gialle e di solito molto fastidiose. Le luci fredde invece, sono le luci più azzurre che la maggior parte delle volte vengono visualizzate come bianche, decisamente più piacevoli perché danno al video una colorazione più naturale.

Evitate quindi, di usare lampadari e luci casalinghe che la maggior parte delle volte sono gialle e deboli e fanno perdere di qualità il vostro video. Se potete, utilizzate solo luci bianche, quindi luci fredde. La cosa importante, è non mischiare le due luci, assolutamente. Il video altrimenti, date le due diverse temperature di colore, prenderà in alcune zone una colorazione blu e in altre una colorazione gialla; decisamente cosa sbagliata.

Per una ripresa di alta qualità è necessario lavorare in un ambiente ben illuminato.

La potenza delle lampade per un video professionale dovrà aggirarsi intorno ai 2 Kwatt mentre per le riprese cinematografiche arriviamo ai 10 Kwatt per le riprese diurne e 20 Kwatt per le riprese notturne

Esistono diversi tipi di lampade ma le categorie principali sono:

1) Le lampade a luce diffusa hanno uno specchio posto dietro la lampada che produce una luce morbida

lampada 1

2) I faretti a fascio concentrato hanno davanti alla lampada un vetro chiamato “lente di fresnel” con il quale è possibile regolare la direzione della di luce, per diametro e intensità.

lampada 2

Tanti gli accessori disponibili per direzionare la luce e controllarne l’intensità, tra questi ci sono i pannelli riflettenti, usati  per ammorbidire i contrasti generati dalle alte luci. Sono costruiti in PVC, elastico e consentono di riflettere la luce su una superficie che può essere di vari colori bianco per una luce uniforme e neutra

argento nei casi in cui è necessario schiarire mantenendo però un buon contrasto oro per dare una tonalità calda all’ambientazione e ai toni della pelle, traslucido per diffondere e generare una grande quantità di luce intorno al soggetto Nero per  proteggere l’inquadratura da riflessi indesiderati o per aumentare i toni drammatici  di una scena.

filtri

 

Buona luce a tutti….

da http://www.lofacciobenecinefest.eu/per-farlo-bene-piccole-lezioni-di-tecnica-cinematografica/

 

Scrivere il pitch per un film documentario: come, cosa, perché

Pitch e significato

Il pitch in ambito cinema e doc è la parola inglese che si traduce in italiano con progetto documentario o proposta di un documentario. Venendo al significato: il pitch di un film è appunto una proposta sotto forma di documento scritto attraverso cui documentaristi e videomaker cercano di ottenere fondi per finanziare i propri progetti, sia nell’ambito documentaristico che non. 

Nella maggior parte dei casi il pitch di un film viene scritto con questo scopo, mentre ci sono altre situazioni in cui viene scritta una proposta per contattare un produttore cinematografico con un progetto già completato.

Se cerchi maggiori informazioni sulla distribuzione, puoi leggere l’articolo Vendere un documentario: da dove partire? La guida per distribuire un film oppure visitare la sezione del nostro blog dedicata alla distribuzione cinematografica. Abbiamo anche un corso GRATUITO per imparare a vendere un documentario ed alcune risorse free per aiuitarti a monetizzare un documentario.

Fin qui sembra tutto lineare. Il problema è che non è così scontato scrivere un progetto documentario che venga preso in considerazione. Questo non dipende solamente da come è stato scritto il pitch del film, ma anche da tutta una serie di fattori come la notorietà nel settore, la storia e così via. Tuttavia, è necessario scrivere un documento a regola d’arte per partire con il piede giusto. 

Perché scrivere il pitch per un film documentario

Come ti dicevo nel paragrafo precedente, il pitch di un film viene scritto con l’intento di raccogliere fondi per finanziare il proprio lavoro e coprire tutte le spese di realizzazione del film. Viene per lo più scritto durante la pre produzione di un nuovo progetto, ancor prima che vengano cominciate le riprese vere e proprie. Molti sfruttano l’occasione per realizzare un teaser che sia un’ulteriore fonte di convincimento per i finanziatori. 

Se vuoi leggere cos’altro è importante fare durante la fase di pre produzione di un documentario, ti consiglio di leggere l’articolo: Pre produzione di un documentario: cosa devi sapere prima di cominciare

Quale modo migliore di trasmettere le proprie idee artistiche e informazioni pratiche se non attraverso una proposta scritta? Ricordati che nei primissimi stadi potresti non avere ancora materiale visuale da mostrare e quindi devi convincere i finanziatori a parole.

Ci sono ogni anno delle iniziative nazionali ed internazionali portate avanti da associazioni e fondazioni che mettono a disposizione fondi per i progetti più promettenti. Una primissima occasione per scrivere il tuo pitch e metterti in gioco. Questi contest sono certamente competitivi, ma non è il solo contesto in cui destinare la proposta per il tuo documentario. 

Un’altra strada molto percorsa è la raccolta fondi attraverso campagne di crowdfunding. Anche in questo caso il pitch del film documentario risulta fondamentale perché i tuoi sostenitori non ti cederanno mai soldi senza una giustificazione del progetto. Avrai bisogno di convincerli che la tua storia è valida, che è fattibile economicamente e tutti i tuoi obiettivi in termini artistici e di distribuzione cinematografica.

Scrivere il pitch adatto al tuo progetto

Non esiste una ricetta standard dove con un facile copia incolla si ottiene un pitch di un film da presentare a tappeto. La redazione di una proposta richiede prima alla base uno studio approfondito della storia, del tema centrale e dell’idea artistica. 

Inoltre è necessario redigere un budget delle spese totali per la realizzazione del documentario che sarà un tassello fondamentale della proposta che condizionerà i finanziatori. Questo non significa che bisogna puntare al ribasso, ma giustificare in modo coerente i costi da sostenere nella produzione.

Questo è importante perchè non bisogna mai dimenticare lo scopo per cui stiamo scrivendo il pitch. Vogliamo ottenere finanziamenti e per riuscirci è necessario convincere persone che si ritrovano a leggere centinaia di proposte tutte con delle idee alla base originali e valide. 

Quindi hai bisogno di trovare il modo di distinguerti e scrivere tutto il necessario perché le persone si innamorino della tua storia. Inoltre, avrai certamente bisogno di essere molto preciso nell’esprimere quelli che sono i costi reali di produzione del progetto e le tue intenzioni per la distribuzione. 

Queste informazioni dipendono molto da dove si realizza il documentario e dalla complessità stessa della storia. 

Dove trovo un esempio di progetto documentario?

Bella domanda! È una delle cose più difficili da trovare, nonostante le nostre disperate ricerche per il web non abbiamo trovato niente che potesse essere interessante da scaricare. Quindi abbiamo deciso di risolvere la cosa a modo nostro: pubblicando i nostri progetti.

Infatti nel corso per imparare a scrivere la sceneggiatura del documentario abbiamo caricato il pitch del documentario “50 Liters Life” che abbiamo realizzato in Sudafrica ed è lo stesso pitch che ci ha permesso di distribuirlo a livello mondiale come puoi leggere in questo articolo.

Nel corso puoi trovare alcune cose davvero interessanti che ti elenco qui:

  • La checklist per scrivere un progetto documentario
  • 11 Workbook per approfondire punto per punto tutto il pitch
  • L’esempio del progetto del documentaio 50 Liters Life per capire come noi lo abbiamo scritto

Un corso semplice, veloce ma dalla grande utilità. Se sei interessato ti consiglio di scaricare la brochure del corso e di visitare la pagina dedicata.

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Caterina Tarducci e Riccardo Sartori e siamo due documentaristi indipendenti

10 film che un imprenditore deve vedere (e perché)

Più d’impatto di un corso, più divertente di un libro, più rapido di uno stage. Il film adatto può darci l’idea giusta. Regalarci una consapevolezza. Farci svoltare.

«La visione di un film dà grandi benefici. Il linguaggio cinematografico è per lo più metaforico, quindi è facile per un imprenditore trovare la soluzione ai suoi problemi osservando le sfide dei protagonisti sullo schermo. Ma se dovessi indicare un solo beneficio, sceglierei l’ispirazione. Un film smuove emozioni profonde che fanno agire, anche nella finzione» spiega Virginio De Maio, 42 anni, autore del libro Filmatrix. Cambia la tua vita grazie al potere nascosto dei film.

Ecco i 10 film da vedere:

1. The Founder: per fare il grande salto

(Usa 2016, di John Lee Hancock, con Micheal Keaton) La storia vera di Ray Kroc, 50enne venditore di frullatori, che nel 1954 si imbatte nell’occasione in grado di cambiargli la vita. La riconosce e la prende al volo. Il fast food dei fratelli McDonald, a San Bernardino, ha molti punti di forza: velocità ed economicità su tutti. Così Ray si mette al lavoro per perfezionare la formula e replicare il business. Battagliero, disinvolto e caparbio, non si ferma davanti a niente e nessuno. «Gli affari sono come la guerra» dice.

CHE COSA INSEGNA. Una buona idea conta, ma non basta per il successo. Per fare il vero salto di qualità servono visione, lavoro, caparbietà e… pelo sullo stomaco!

2. Flash of Genius: lottare per un’idea

(Usa 2008, di Marc Abraham, con Greg Kinnear) La storia vera di Robert Kearns, professore universitario, e della sua battaglia per vedersi riconosciuta la paternità dell’invenzione dei tergicristalli a intermittenza. “Scippato” dalla Ford, ingaggiò una battaglia legale contro le multinazionali dell’auto, che alla fine lo vide vincitore. A suo attivo un risarcimento di circa 50 milioni di dollari (ne aveva spesi 10), la paternità del brevetto e la solidarietà dei sei figli. Ma il prezzo da pagare fu alto: salute compromessa, l’abbandono della moglie e 12 anni di battaglie.

CHE COSA INSEGNA. È giusto combattere per le proprie idee e la giustizia, ma bisogna sempre chiedersi fino a che punto ne valga la pena.

3. Una squadra da sogno: campioni nella vita

(Francia 2016, di Thomas Sorriaux, con Gérard Depardieu) Maxime è un calciatore, campione sul campo, ma non nella vita. Presuntuoso e arrogante, si rompe una gamba per un gesto di ira. Per riabilitarne l’immagine, la sua manager lo spedisce al paese di origine. Qui ritroverà se stesso e una dimensione più sana, allenando i ragazzini e riallacciando i rapporti con il padre.

CHE COSA INSEGNA. Parafrasando una vecchia pubblicità, il talento è niente senza umanità. Il gioco di squadra e la generosità sono qualità indispensabili per un campione, sul campo e in azienda.

4. New Town. Una single in carriera: per chi innova

(Usa 2009, di Jonas Elmer, con Renée Zellweger) Lucy è una manager ambiziosa mandata da Miami nel Minnesota, per chiudere uno stabilimento che dà lavoro a tutto il Paese. Riuscirà a rilanciare l’azienda e… innamorarsi del sindacalista!

CHE COSA INSEGNA. L’innovazione di prodotto può essere usata per rilanciare un’azienda.

5. Non è un paese per giovani: molla tutto e riparti da zero

(Italia 2017, di Giovanni Veronesi, con Filippo Scicchitano) Il film, nato sull’onda della trasmissione omonima di Radio 2, racconta la storia di due ragazzi brillanti e istruiti che in Italia hanno trovato solo un lavoro da camerieri. Così i due decidono di mollare tutto e andare a Cuba, dove vogliono gestire una spiaggia con il Wi-Fi. Ma non tutto andrà come loro sperano.

CHE COSA INSEGNA. C’è tutto un mondo al di là dell’Italia, terra di conquista per imprenditori capaci e ambiziosi. Ma bisogna informarsi bene, perché ogni Paese ha le sue regole e ogni passo va ponderato con grande attenzione.

6. Drift. Cavalca l’onda: impresa per passione

(Australia 2013, di Morgan O’Neill e Ben Nott, con Sam Worthington) «Racconta la storia di due fratelli che abbandonano il posto fisso per costruire tavole da surf. Tra mille difficoltà per ricevere i finanziamenti, riusciranno a realizzare un brand di successo» dice Virginio De Maio.

CHE COSA INSEGNA. Trasformare la propria passione in un’attività remunerata è un processo lungo e irto di difficoltà. Ma fare ciò che si ama è già una ricompensa.

7. Franca. Chaos and Creation: il coraggio di osare

(Italia 2017, di Francesco Carrozzini, con Franca Sozzani) Docufilm su Franca Sozzani, indimenticabile direttore di Vogue, girato dal figlio. «Il mio primo ricordo è mio padre che mi dice di lanciarmi dal baule, che mi insegna a non avere paura». E non ha paura Franca, nei suoi 28 anni alla guida di Vogue. «Ho sempre fatto il contrario di quello che mi hanno detto le ricerche di mercato. Ogni numero rischiavo di essere licenziata, ma ero tranquilla perché capivo che il lavoro che stavo facendo era per il futuro» ha dichiarato.

CHE COSA INSEGNA. Solo chi va controcorrente e ha il coraggio di osare riesce a fare qualcosa di grande. E solo chi mette caos e rischio nel suo processo creativo è in grado di innovare davvero.

8. Gifted. Il dono del talento: genio o normalità?

(Usa 2017, di Marc Webb, con Chris Evans) Frank sta crescendo da solo la nipotina di sette anni Mary, orfana della sorella. Tutto va liscio, finché la bambina non manifesta un talento eccezionale per la matematica. E il dilemma è fra assecondare la sua genialità o regalarle un’infanzia normale.

CHE COSA INSEGNA. Tutti dobbiamo scendere a patti con ciò che siamo. Decidere cosa fare con i nostri talenti che, se “esagerati”, possono rivelarsi anche degli handicap.

9. Chef. La ricetta perfetta: per chi si deve reinventare

(Usa 2014, di e con Jon Favreau) Stroncato da un critico di grido e licenziato dal suo boss, lo chef Carl Casper si reinventa a bordo di un furgone con cui porta lo street food sulle strade degli Usa. Nel film Il sapore del successo simile la parabola di Adam Jones, chef geniale ma indisciplinato, che solo riportando in primo piano la sua passione per la cucina, supera le sue dipendenze. E conquista la terza stella Michelin.

CHE COSA INSEGNA. «Bisogna avere chiaro il difficile equilibrio tra manager e leader e l’importanza della negoziazione in tutti i ruoli dell’azienda» dice De Maio.

10. Sully: evviva la coerenza con i propri valori

(Usa, 2016, di Clint Eastwood, con Tom Hanks) La storia vera del pilota di aerei Chesley Sullenberger, detto Sully. Con entrambi i motori in avaria, nel 2009 compie un atterraggio “impossibile” sul fiume Hudson,salvando tutti i passeggeri. Per la gente è un eroe, ma le autorità lo mettono sotto processo per aver contravvenuto agli ordini. Disponibile anche il libro omonimo.

CHE COSA INSEGNA. A essere coerenti con i propri valori. E non dimenticare il “fattore umano”.

Tratto dall’articolo “10 film che un imprenditore deve vedere (e perché)” pubblicato su Millionaire di novembre 2017. Per acquistare l’arretrato, scrivi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Da   Lucia Ingrosso
 

Hai un’idea per un film o una serie? potresti vederla realizzata grazie ad una nuova startup italiana

UNA STARTUP PER LO SCOUTING DI IDEE PER UN FILM! PERCHÈ? 
Da qualche parte nel mondo ci sono quelle persone, anche non professioniste, che hanno in mente l'idea perfetta per un film o una serie di successo, ma non sanno a chi rivolgersi per rendere quella idea una realtà o semplicemente non riescono a dimostrare quanto l'idea sia valida.
Noi vogliamo trovare queste persone e queste idee e portarle al tavolo delle produzioni cinematografiche. Con questa mission abbiamo dato vita a Cinescouter.

COME SPIEGHERESTE VELOCEMENTE CINESCOUTER?
Cinescouter è una social app per amanti di film e serie TV che ha tutte le caratteristiche di un social ma in cui esiste una sezione innovativa. La sezione “Scouting” (che nell'immagine ha il simbolo del binocolo). Questa sezione si divide i due sottosezioni, CONCEPT e PROGETTI:
Nella sottosezione concept tutti gli utenti possono proporre brevemente e senza alcuna struttura le loro idee per un film o serieTV. Chiamiamo questi utenti, “creator”.
Nella sottosezione progetti invece gli utenti che si registrano come sceneggiatori possono proporre la trama del loro soggetto o se sono interessati al concept di un creator possono farsi carico di scriverne il soggetto cinematografico ed eventualmente la sceneggiatura, rendendo visibile solo la trama su Cinescouter.
Si tenga presente che per gli utenti-sceneggiatori che propongono un progetto non è necessario avere un soggetto definitivo o un trattamento. E' sufficiente una trama provvisoria, scritta brevemente e strutturata in INTRO - CORPO - CONCLUSIONE.
 
 Fantastico. Avete detto che volete presentare alle produzioni le idee migliori. Ma come stabilite quali sono le migliori?
In realtà non lo facciamo noi, ma la community di Cinescouter. Infatti tutti gli utenti possono votare i concept e i progetti che preferiscono attraverso il sistema UP (freccia in alto) tipo il sistema di Reddit. Possono inoltre diventare follower dei vari concept e progetti, commentarli e dare dei suggerimenti ai creator e agli sceneggiatori. Noi ci occupiamo di acquisire tutti questi dati e gli associamo al resto delle informazioni ottenibili da una social app. Quindi identifichiamo i progetti più rilevanti e desiderati, comprendiamo qual è il target più interessato e portiamo i progetti migliori ai produttori cinematografici.
 
Ma come fate a portare le varie idee alle produzioni cinematografiche?
Il team di Cinescouter sta lavorando costantemente per strutturare un network fatto di produzioni molto importanti sia a livello nazionale che internazionale. A gennaio abbiamo stretto degli accordi con una delle produzioni italiane più note, e siamo fiduciosi che entro le prossime settimane avremo l'ok da parte di almeno altre due produzioni leader. Anzi adesso sono anche le produzioni che hanno cominciato a contattarci per discutere la possibilità di collaborare.
 
È tutto gratuito?
Certo! L'app è free. Non ci sono spese. Le nostre entrate deriveranno dal servizio offerto alle produzioni soltanto qualora queste decidessero di comprare un soggetto o una sceneggiatura di un progetto pubblicato su Cinescouter.
 
E l'utente non professionista che propone un'idea invece? Guadagna anche lui?
Certamente. Se un utente-sceneggiatore decidesse di creare un progetto sviluppando il concept proposto da un utente-creator, allora nel caso di cessione di quel progetto ad una produzione cinematografica, al creator sarebbe riconosciuta una percentuale sul valore di cessione.
 
Straordinario. Bè io vorrei proporre qualche mia idea su Cinescouter allora. Dove posso trovare l'app?
In realtà dovrai aspettare ancora un po' prima di vederla negli store. In questo momento stiamo testando la versione beta dell'applicazione. Però puoi già proporre le tue idee sul nostro sito. Anzi a tutti i lettori interessati consigliamo di proporre le loro idee sul sito al form “CONCEPT” o, se hanno già un soggetto più strutturato potranno proporne la trama sul form “PROGETTI”. Se lo fanno adesso, appena l'app sarà online, i primi concept e progetti visibili saranno quelli caricati sul sito http://www.cinescouter.com/ (quindi saranno maggiori le probabilità che divengano concept e progetti rilevanti).
 
Inoltre gli utenti interessati a testare l'app possono unirsi al gruppo telegram @cinescouter_community o scriverci sui social alla pagina Instagram o Facebook 

Quando l'importante è saper guardare

Quando l'importante è saper guardare.

 

Gli è mancata la terra sotto i piedi quando si è sentito paragonare all’amato Tarkovskij: «Adesso non esageriamo…». Matteo Ricca, classe 1985, laureando in Filologia alla Cattolica di Milano, lo scorso 25 agosto ha vinto il primo premio del concorso internazionale di cortometraggi What’s in your city? Tell me a story organizzato dal Meeting di Rimini, in collaborazione con Made Officina Creativa, la School of Visual Arts di New York, Televisione e Nuovi Media della Fondazione Scuole Civiche di Milano e la rivista di cinema Best Movie. «Non me l’aspettavo proprio, io volevo solo partecipare. Gli altri corti in concorso avevano dietro una vera e propria produzione, il mio invece l’ho realizzato solo con l’aiuto di amici e parenti…». Eppure il suo video intitolato La città nell’uomo è stato quello che più è piaciuto perché «suscita delle domande – questa la motivazione del premio – attraverso una poeticità che scorre via bene, come quell’acqua continuamente inquadrata che ricorda i film del grande Andrej Tarkovskij».
«Volevo realizzare qualcosa che avesse a che fare con il tema della Comunione dei Santi nell’istante in cui non si può più barare, quello della morte; volevo raccontare come niente di quello che una persona fa nella vita va perso, ma arriva a toccare, anche senza saperlo, altre vite».
Ripreso in bianco e nero, un uomo sta morendo nell’erba e ripensa alla propria vita, ai peccati compiuti. Nella solitudine dell’ultimo istante si trova a domandare che qualcuno gli venga incontro, perché “«L’uomo non può stare solo, ha paura di lasciare tutto finché non vede qualcuno che lo sta aspettando». Immagini a colori di acqua che scorre si alternano a immagini ancora in bianco e nero della vita febbrile dell’uomo nella città: «Non c’è contrasto tra la natura buona e il lavoro dell’uomo cattivo; ma nell’una c’è già una perfezione che invece l’uomo cerca di raggiungere nel fermento della città. Per questo ho voluto alternare colore e bianco e nero». Ma l’uomo continua a morire, come se non facesse parte di questa perfezione: una sigaretta diventa il suo ultimo desiderio, il suo ultimo motivo di attaccamento alla vita. Ma… Chissà se qualcuno sta pregando per me…. Lontano un uomo piange e un bambino prega. Tutto diventa a colori, tutto viene unito in quel segno di Croce. Quanto vorrei che qualcuno venisse a lavare con acqua i miei peccati. Gocce d’acqua cadono sul viso dell’uomo: ora non è più solo, qualcuno sta pregando anche per lui, Qualcuno ha versato la salvezza anche su di lui. Ora può morire, sapendo di essere amato e atteso.
Grazie all’aiuto degli amici che hanno offerto il loro contributo alla realizzazione – in particolare Francesco Paci per il montaggio, Pietro Beltrani per le musiche e Andrea Soffiantini come voce narrante – e il coinvolgimento dei parenti che si sono improvvisati attori, Matteo potrà frequentare la prossima estate un corso alla School of Visual Arts di New York. «Per ora voglio imparare bene ad usare la telecamera, a posizionare le luci. Insomma la tecnica, poi si vedrà…», dice prima di tornare alle sue occupazioni quotidiane. Una cosa di certo non dovrà impararla, perché con il suo limpido corto ha già dimostrato di saperla fare: guardare. E scusate se è poco quando si parla di cinema…

di Luca Marcora

da http://www.tracce.it

 

L'11 settembre 2001 in 11 cortometraggi

11 autori per ricordare l'11 settembre in 11 cortometraggi di poetico dolore

SCHEDA DEL FILM

11 settembre 2001 (2002)
Un film di Ken Loach , Samira Makhmalbaf , Mira Nair , Danis Tanovic , Alejandro Gonzalez Inarritu , Youssef Chahine , Amos Gitaï , Claude Lelouch , Idrissa Ouedrao

Il film è stato presentato a Venezia, dove ha suscitato polemiche. Nei titoli viene detto che ciascun autore si è espresso liberamente e secondo la propria storia.

Se si toglie la committenza francese e l'identica durata (11´, 9´´ e 1 fotogramma), nulla in apparenza lega gli 11 registi di nazionalità, culture, religioni diverse che hanno lavorato in modo autonomo, ignorando che cosa stessero facendo gli altri. Il risultato è quello di undici sguardi che destrutturano in modi radicalmente diversi l'attacco al World Trade Center, l'evento più documentato della storia mondiale. Soltanto 3 registi ricorrono alle immagini televisive: C. Lelouch, S. Penn e M. Nair; i primi due mettendole fuori campo, la terza in modo più convenzionale. In 4 episodi (D. Tanovic, I. Ouedraogo, S. Makhmalbaf, A. Gitai) la notizia arriva per radio. In altri 3 episodi l'attentato è tutto fuori campo, estendendo la riflessione dello spettatore al passato: K. Loach lo collega all'11-9-1973, al colpo di Stato cileno, appoggiato da Washington; Y. Chahine mescola onirismo e melodramma per dar fastidio agli integralisti islamici e a quelli yankee; S. Imamura, potente entomologo, fa un apologo sgradevole e terribile sulla guerra, rievocando quella dove, alla fine, gli americani furono i carnefici. Il messicano A.G. Iñarritu è il solo che – su uno schermo nero, attraversato dai lampi dei corpi che si gettano nel vuoto e dalla colonna sonora – affronta direttamente le Twin Towers. Sarebbe ingiusto liquidare il film come un manifesto ideologico: "La molteplicità di sguardi e, soprattutto, la sua ricchezza di rielaborazioni tematiche e stilistiche appaiono stimolanti di per sé ..." (Michele Marangi). È il caso più unico che raro di film a episodi in cui nessuno è sotto il decoro, e non pochi sono quelli di alto livello espressivo/emotivo. Ciascuno si faccia una personale classifica di gradimento.

REGIA

Ken Loach

Nome: Ken Loach

Data e luogo di nascita: 17 giugno 1936, Nuneaton

Informazioni

Biografia » Filmografia »

Samira Makhmalbaf

Nome: Samira Makhmalbaf

Data e luogo di nascita: 15 febbraio 1977, Teheran

Informazioni

Biografia » Filmografia »

Mira Nair

Nome: Mira Nair

Data e luogo di nascita: 15 ottobre 1957, Bhubaneshwar

Informazioni

Biografia » Filmografia »

Danis Tanovic

Nome: Danis Tanovic

Data e luogo di nascita: 20 febbraio 1969, Zonica

Informazioni

Biografia » Filmografia »

Alejandro Gonzalez Inarritu

Nome: Alejandro Gonzalez Inarritu

Data e luogo di nascita: 15 agosto 1963, Città del Messico

Informazioni

Biografia » Filmografia »

Youssef Chahine

Nome: Youssef Chahine

Data e luogo di nascita: 25 gennaio 1926, Alessandria d'Egitto

Informazioni

Biografia » Filmografia »

Amos Gitaï

Nome: Amos Gitaï

Data e luogo di nascita: Haifa

Informazioni

Biografia » Filmografia »

Claude Lelouch

Nome: Claude Lelouch

Data e luogo di nascita: 30 ottobre 1937, Parigi

Informazioni

Biografia » Filmografia »

Idrissa Ouedraogo

Nome: Idrissa Ouedraogo

Data e luogo di nascita: 21 gennaio 1954, Banfora

Informazioni

Biografia » Filmografia »

Shohei Imamura

Nome: Shohei Imamura

Data e luogo di nascita: 15 settembre 1926, Tokyo

Informazioni

Biografia » Filmografia »

Sean Penn

Nome: Sean Penn

Data e luogo di nascita: 17 agosto 1960, Santa Monica

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Biografia » Filmografia »

CAST

Dzana Pinjo interpreta Selma

Nome: Dzana Pinjo

Data e luogo di nascita:

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Biografia » Filmografia »

Keren Mor interpreta Il reporter

Nome: Keren Mor

Data e luogo di nascita:

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Biografia » Filmografia »

Tanvi Azmi interpreta Talat Hamdani

Nome: Tanvi Azmi

Data e luogo di nascita:

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Biografia » Filmografia »

Vladimir Vega

Nome: Vladimir Vega

Data e luogo di nascita: Molina

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Biografia » Filmografia »

Maryam Karimi interpreta L'insegnante

Nome: Maryam Karimi

Data e luogo di nascita:

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Biografia » Filmografia »

Nour El-Chérif

Nome: Nour El-Chérif

Data e luogo di nascita: 28 aprile 1946,

Informazioni

Biografia » Filmografia »

Lionel Zizréel Guire interpreta Adama

Nome: Lionel Zizréel Guire

Data e luogo di nascita:

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Biografia » Filmografia »

Sean Penn

Nome: Sean Penn

Data e luogo di nascita: 17 agosto 1960, Santa Monica

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Biografia » Filmografia »

Ernest Borgnine

Nome: Ernest Borgnine

Data e luogo di nascita: 24 gennaio 1917, Hamden

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Tomoro Taguchi

Nome: Tomoro Taguchi

Data e luogo di nascita:

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Biografia » Filmografia »

Emmanuelle Laborit

Nome: Emmanuelle Laborit

Data e luogo di nascita: 18 ottobre 1971,

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FILMMAKERS

Ken Loach

Nome: Ken Loach

Data e luogo di nascita: 17 giugno 1936, Nuneaton

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Samira Makhmalbaf

Nome: Samira Makhmalbaf

Data e luogo di nascita: 15 febbraio 1977, Teheran

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Mira Nair

Nome: Mira Nair

Data e luogo di nascita: 15 ottobre 1957, Bhubaneshwar

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Danis Tanovic

Nome: Danis Tanovic

Data e luogo di nascita: 20 febbraio 1969, Zonica

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Alejandro Gonzalez Inarritu

Nome: Alejandro Gonzalez Inarritu

Data e luogo di nascita: 15 agosto 1963, Città del Messico

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Youssef Chahine

Nome: Youssef Chahine

Data e luogo di nascita: 25 gennaio 1926, Alessandria d'Egitto

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Amos Gitaï

Nome: Amos Gitaï

Data e luogo di nascita: Haifa

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Claude Lelouch

Nome: Claude Lelouch

Data e luogo di nascita: 30 ottobre 1937, Parigi

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Idrissa Ouedraogo

Nome: Idrissa Ouedraogo

Data e luogo di nascita: 21 gennaio 1954, Banfora

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Shohei Imamura

Nome: Shohei Imamura

Data e luogo di nascita: 15 settembre 1926, Tokyo

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Sean Penn

Nome: Sean Penn

Data e luogo di nascita: 17 agosto 1960, Santa Monica

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da http://cinema-tv.corriere.it

 

La discarica diventa un cortometraggio

Sant'Arcangelo: la discarica diventa un cortometraggio del regista Umberto Rinaldi.   La discarica di Sant’Arcangelo Trimonte fa parlare ancora di sé. Questa volta, però, è la protagonista di “Greetings from Sant’Arcangelo” , un cortometraggio di 5 minuti realizzato da Umberto Rinaldi, 34enne videomaker di San Giorgio del Sannio. L’opera è stata selezionata dal Milano Film Festival (dall’11 al 20 settembre), a seguito di un concorso di idee lanciato dal FAI (Fondo Ambiente Italiano) sui luoghi da salvare e caratterizzati da impatti ambientali particolarmente significativi.

Una sottile linea ironica lega il progetto di Rinaldi. E’ la storia di un'agenzia di viaggi che propone a un cliente di andare a visitare una singolare montagna luccicante in provincia di Benevento. La voce “promozionale” del tour operator, alternata con immagini dei luoghi e testimonianze degli abitanti, accompagnano lo spettatore in questo insolito luogo di villeggiatura. Il video, girato in alta definizione, farà parte di un dvd del FAI e, insieme ad altri dieci selezionati, entrerà in un circuito di distribuzione del Festival.

Due attrici hanno interpretato il soggetto di Rinaldi: Elena Maffei, già protagonista di alcuni video e Francesca Martino, alla prima esperienza. Anche Nicola Colangelo, presidente del Codisam (Comitato difesa salute e ambiente) del paese, ha partecipato al clip. Il regista, durante un colloquio con il Quaderno.it, ha anche raccontato le difficoltà nel reperire attori il mese di agosto e i tanti impedimenti durante le riprese.

“Il corto vuole essere una cartolina da Sant’Arcangelo, dei saluti da inviare fuori per far capire la situazione in cui ci si trova. Ho cercato di raccontare soprattutto i fatti piuttosto che impressioni, percezioni e critiche della gente. E’ difficile comprendere a pieno il fenomeno per chi non vive con la discarica, bisogna evitare di far trasparire le accuse e le divisioni interne, altrimenti il messaggio non sarebbe recepito”.

L’impiegata dell’agenzia elenca tutte le caratteristiche che solitamente si dicono per decantare un luogo turistico. In questo caso, assumono un significato narrativo completamente diverso. Il direttore della fotografia è il 32enne Giovanni Bocchino, la colonna sonora è tratta dall’album “Kimica” di Alessandro Tedesco - Alkèmik Quintet.

Rinaldi e Bocchino hanno partecipato anche al progetto “Istant Movie” sulle tradizioni della Ciociaria con un corto sul malocchio, usanza molto diffusa nella zona. Tanti anziani sono stati i protagonisti di quest’opera premiata dai giurati. Il regista sannita lavora nell’area comunicazione di una società di San Giorgio del Sannio ed è anche il direttore artistico per un festival di cortometraggi a Venticano.

Lorenzo Palmieri

da http://www.ilquaderno.it

 

Voglio fare l’intellettuale snob

...La sera del 10 luglio eravamo al massimo dieci persone a gustare quattro o cinque imperdibili “corti”; italiani, belgi, spagnoli; con l’aria di essere fatti in casa, ma con il senso profondo dell’artigianato artistico. Dieci persone al massimo, in un cortile scavato tra alti muri di tufo, e sopra le stelle di luglio. Pochi ma buoni, vorrei dire senza modestia.
...Sarà stato, come si dice oggi, un difetto di comunicazione; sarà stato che pochi erano informati del gradevole appuntamento con il “corto”. Ma qualcosa mi dice che, se anche la manifestazione fosse stata pubblicizzata come il G8, le presenze sarebbero state poche. Quasi che un pizzico di intellettualismo, magari anche snob, sia da considerarsi un peccato in questa civiltà di cervelli all’ammasso. Pochi ma buoni, e divertiti, ed attenti.
...Mi è tornata alla soglia della memoria una fetta di storia culturale locale: quando, nel posto ora occupato da un supermarket, viveva ancora il cinema Roma; che dopo essere stato un cinema di terza categoria, si trasformò per qualche tempo in un cinema d’éssais. Dove era possibile vedere pellicole che non sarebbero apparse mai sui circuiti normali. E dopo si commentava il film, si faceva una specie di dibattito: cinema d’éssais allora voleva dire cinema impegnato.
...E c’era il gusto di considerare il cinema come uno strumento di crescita politica e culturale; perché, a quel tempo, la politica sapeva essere anche cultura. E viceversa.

di Fausto Cerulli
da: orvietosi.it
 

 

E' la verità che fa difetto...

“Non credo che in Italia occorra servirsi di scenografie per costruire un film.... È appunto la verità che fa difetto ai nostri film. Bisogna gettarsi per strada, portare la macchina da presa nelle vie, nei cortili, nelle caserme, nelle stazioni.  Basterebbe uscire di strada, fermarsi in un punto qualsiasi e osservare quel che accade per mezzora, con occhi attenti e senza preconcetti di stile e fare un film italiano naturale e logico.”

Questo è quanto scriveva Leo Longanesi, nel 1933.

Almodovar ha girato un cortometraggio

Cannes 2009, gli abbracci spezzati di Pedro Almodovar. Il regista spagnolo partecipa in concorso al Festival di Cannes con Los abrazos rotos, film drammatico in cui non può mancare la sua musa Penelope Cruz.

Leggi tutto: Almodovar ha girato un cortometraggio

Le Basi delle Riprese

Le inquadrature forse più utilizzate nelle riprese dai principianti sono il paesaggio ed il ritratto, inteso come riprese di persone in movimento (familiari, amici, ecc). Soprattutto il paesaggio è il soggetto considerato più semplice da riprendere poichè, ai nostri occhi, quando stiamo per riprenderlo, è sempre bellissimo. Ma quando lo rivediamo a casa, ci accorgiamo che tutta la sua bellezza è svanita. Perché?

Leggi tutto: Le Basi delle Riprese

Perchè si scrive?

Spesso ci vien voglia di scrivere, di trascrivere le nostre idee, vogliamo realizzare qualcosa che è la nostra creatività. E talvolta, vogliamo creare qualcosa anche visivamente, non fotografie, ma una storia viva, che si muova, che parli....  Allora prendiamo la nostra telecamera ed inizimo a girare.... dopo cerchiamo di dare un filo logico a quello che abbiamo ripreso... ci uniamo la musica che sentiamo tanto alla radio.... un bel titolo, un veloce monaggio al computer... ed il gioco è fatto! Siamo registi anche noi. Ecco come non bisogna agire.

Leggi tutto: Perchè si scrive?

COME FARE UN FILM SENZA SOLDI

E’ spontaneo, per chi come me agli inizi e ha la passione di realizzare video, chiedersi cosa ci vuole per realizzare un film. La domanda che mi sono posto inizialmente è stata: Come fare un film? Pensandoci e ripensandoci mi son elencato mentalmente tutte quelle persone e cose che ci vogliono per mettere in piedi una piccola produzione cinematografica. Senza parlare della scenografia e delle locations necessarie e come si sarebbe dovuto fare per distribuirlo.

Leggi tutto: COME FARE UN FILM SENZA SOLDI

MARTIN SCORSESE ha girato un cortometraggio in quarantena

Martin Scorsese sul setIn tempi di quarantena dovuta alla pandemia da Coronavirus Martin Scorsese non si è preso una pausa e ha girato un cortometraggio per la BBC.  Il nuovo corto di Martin Scorsese verrà presentato  durante l'episodio di finale di Lockdown Culture with Mary Beard, talk show dell'emittente televisiva britannica che analizza il ruolo della cultura durante l'isolamento forzato causato dalla pandemia.  Nelle intenzioni di Martin Scorsese il corto - per il quale si è ispirato a classici della Storia del Cinema - vuole essere una riflessione sul significato che il lockdown ha avuto per lui.

Leggi tutto: MARTIN SCORSESE ha girato un cortometraggio in quarantena

  1. Lo sviluppo di un film: dall'idea fino allo SCRIPT
  2. Il Cinema. Cosa non è
  3. Come Farsi Venire delle Buone Idee per un Corto (4)
  4. Gli errori che un aspirante regista non dovrebbe mai fare
  5. Come Farsi Venire delle Buone Idee per un Corto (3)

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