IlCorto.eu

♥ Film e dintorni

Manifesti degli anni d'oro del Cinema (2)

I maniaci è un film a episodi del 1964, diretto da Lucio Fulci, interpretato tra gli altri da Walter Chiari, Enrico Maria Salerno e Barbara Steele.

I MANIACI

I magnifici tre è un film del 1961 diretto da Giorgio Simonelli. Con Vianello, Chiari e Tognazzi.

I MAGNIFICI TRE

Io, io, io... e gli altri è un film del 1966 diretto da Alessandro Blasetti.

IO IO E GLI ALTRI

Stasera niente di nuovo è un film del 1942 diretto da Mario Mattoli. Si tratta del quarto ed ultimo film della serie I film che parlano al vostro cuore, tutti diretti da Mattoli.

STASERA NIENTE DI NUOVO

Retroscena è un film del 1939, diretto da Alessandro Blasetti.

RETROSCENA

L'attore scomparso è un film del 1941 diretto da Luigi Zampa, che costituisce la prima prova registica della sua più che quarantennale carriera cinematografica.

LATTORE SCOMPARSO

 

 

Manifesti degli anni d'oro del Cinema

Se permettete parliamo di donne è un film a episodi del 1964 diretto da Ettore Scola, qui al suo esordio alla regia. Il film segna anche l'esordio cinematografico di Luigi Proietti.

SE PERMETTETE PARLIAMO DI DONNE

Amore all'italiana è un film del 1966 diretto da Steno. Il film è conosciuto anche con il titolo I Superdiabolici. Strutturato in 10 episodi, il film racconta gli usi, le consuetudini e i vizi dell'Italia in quell'epoca.

AMORE ALLITALIANA

La rimpatriata è un film del 1963 diretto da Damiano Damiani. La pellicola è stata presentata in concorso al Festival di Berlino 1963.

LA RIMPATRIATA

L'ultima carrozzella è un film del 1943 diretto da Mario Mattoli. Con Anna Magnani e Aldo Fabrizi.

LULTIMA CARROZZELLA

Gli onorevoli è un film comico italiano del 1963, diretto da Sergio Corbucci e interpretato da Totò, Peppino de Filippo, Gino Cervi, Walter Chiari, Franca Valeri, Stelvio Rosi e Aroldo Tieri.

GLI ONOREVOLI

 Due contro tutti è un film parodia del 1962 diretto da Alberto De Martino e Antonio Momplet. È una parodia dei film western statunitensi, girato in Spagna.

DUE CONTRO TUTTI

 

 Qui altri Manifesti degli anni d'oro del Cinema 

Maurizio Costanzo e il cinema: firmò la sceneggiatura del film "Una giornata particolare" di Ettore Scola

Una giornata particolare filmNon solo televisione, ma anche musica e cinema. Maurizio Costanzo, morto a Roma il 24 febbraio 2023, era poliedrico. E ha lasciato la sua impronta anche nel cinema. Il giornalista ha sceneggiato e cosceneggiato circa 25 film, tra cui l'indimenticabile "Una giornata particolare" diretto nel 1977 da Ettore Scola. La sceneggiatura era firmata dallo stesso Scola con Maurizio Costanzo e Ruggero Maccari.

E il film, interpretato da Sophia Loren e Marcello Mastroianni, divenne una pietra miliare della storia del cinema italiano. Presentata in concorso al Festival di Cannes, la pellicola ottenne vari riconoscimenti internazionali vincendo, tra gli altri, il Golden Globe quale miglior film straniero e ricevendo anche due candidature al Premio Oscar, per il miglior film straniero e per il miglior attore, a Marcello Mastroianni.

Una giornata particolare, la trama

Il film è ambientato a Roma, a Palazzo Federici (zona piazza Bologna, Municipio II) blocco residenziale di enormi dimensioni vicino al centro della città e si svolge interamente nell'arco di alcune ore di una singola giornata. Perché è una giornata particolare?

I protagonisti sono Antonietta, madre di sei figli e casalinga sposata con un impiegato ministeriale, convinto fascista, e Gabriele, un ex radiocronista dell'EIAR in aspettativa omosessuale. La giornata particolare è il 6 maggio 1938, data della storica visita di Adolf Hitler a Roma, quando Antonietta è costretta a rimanere a casa mentre tutti gli abitanti del palazzo accorrono alla parata in onore del Führer. Antonietta non è completamente sola. Nel palazzo c'è anche Gabriele, che sta meditando il suicidio ma incontra la donna. 

Maurizio Costanzo fu anche regista

Costanzo si cimentò, proprio nel 1977, anche nella sua unica regia cinematografica, dirigendo "Melodrammore", un film di metacinema, interpretato da Enrico Montesano nei panni dell'attore Raffaele Calone che, dovendo interpretare un melodramma decide di chiedere consiglio a un divo degli anni cinquanta ormai ritiratosi: il grande Amedeo Nazzari, che recitò nei panni di se stesso.

In diverse occasioni, Costanzo si cimentò anche nella recitazione. Fu nel cast di "FF.SS. che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?" di Renzo Arbore (1983). Poi divenne protagonista della fortunata sitcom di Canale 5 "Orazio" (1984-1986) e della successiva "Ovidio" (1989).

Tornò a recitare in 'Anni 90 - Parte IÌ di Enrico Oldoini (1993), in "Bodyguards - Guardie del corpo" di Neri Parenti (2000) e in "Caterina va in città" di Paolo Virzì (2003).

Articolo de IlMessaggero.it

«Un giorno di ordinaria follia» compie 30 anni: tutto quello che non sapete del film

giorno ordinaria follia Corriere WebLos Angeles. Appena scaricato da un’azienda di armamenti dipendente dal Ministero della Difesa statunitense, il cinquantenne Bill Foster (Michael Douglas) è affetto da un disturbo di personalità borderline che lo ha costretto a tornare a vivere con la madre (Lois Smith) dopo la separazione dalla moglie Elisabeth (Barbara Hershey) costatagli anche un ordine restrittivo che gli impedisce di avvicinare la piccola figlia Adele (Joey Hope Singer). Il suo disagio esplode la torrida mattina del compleanno di quest’ultima quando, dopo essere rimasto bloccato in un pazzesco ingorgo sulla freeway, abbandona la sua macchina (targata D-FENS) per l’ira degli altri automobilisti coinvolti tra i quali c’è anche l’anziano sergente LAPD, Martin Prendergast (Robert Duvall) che sperava di passare diversamente le sue ultime ore di servizio prima della pensione.

Da quel momento, la giornata di Foster diventa una personale discesa agli inferi parallela a un’escalation inarrestabile e parossistica di follia e violenza: perché Bill dapprima distrugge un minimarket gestito da un coreano dopo aver questionato per un futile motivo (il prezzo di una lattina di soda), quindi malmena due balordi ispanici dopo aver sconfinato nel loro quartiere, poi si incaponisce al telefono con l’ex moglie per portare a tutti i costi un dono alla sua bambina nonostante il provvedimento disciplinare che lo riguarda. Da quel momento, dopo altre manifestazioni di rabbiosa aggressività, “D-FENS” entra nel mirino proprio di Prendergast e della sua giovane collega Sandra Torres (Rachel Ticotin): e finirà con l’uccidere a sangue freddo un fanatico neonazista (Frederic Forrest) proprietario di un negozio di abbigliamento militare dopo che questi avrà distrutto il regalo di Adele al termine di una furiosa lite ideologica. Oltrepassando senza possibilità di redenzione o salvezza il suo punto di non ritorno.

 

Presentato nelle sale americane il 26 febbraio 1993 e poi (troppo audacemente) invitato in concorso al Festival di Cannes qualche mese dopo, “Un giorno di ordinaria follia” (Falling Down) di Joel Schumacher è stato un film di grande successo (anche da noi, dove uscì immediatamente dopo la presentazione sulla Croisette) malgrado le sue qualità intrinseche fossero ben distanti da quelle del cinema “d’autore” hollywoodiano che pure qualcuno all’epoca fu pronto a riconoscergli. Interpretato da un cast di prim’ordine (Douglas era all’apice della sua carriera, dopo “Attrazione fatale”, “Wall Street”, “La guerra dei Roses” e “Basic Instinct”, e non si riesce a immaginare un altro attore coevo nel ruolo; Duvall già un mostro sacro), poggiava su una sceneggiatura (di Ebbe Roe Smith) volutamente in bilico tra un registro dichiaratamente grottesco e una volontà di fotografare le tensioni sociali e private dell’America che di lì a poco sarebbe stata “clintoniana” ma su cui ancora pesava la gestione di George Bush sr; ed è un film oggi forse giustamente dimenticato ma che resta suo malgrado un esempio limpido di cascame fuori tempo massimo del cinema mainstream più isterico e a suo modo irripetibile che ha caratterizzato tutti gli anni Ottanta e che sarebbe forse continuato se non fosse stato spazzato via definitivamente da Quentin Tarantino (“Pulp Fiction” è del 1994) e soprattutto dai suoi numerosissimi e impari epigoni.

Tuttavia, a voler ben vedere, come giustamente puntualizzava all’epoca il famoso critico Roger Ebert, le radici più profonde di “Un giorno di ordinaria follia” sono addirittura da ricercarsi nel decennio precedente, e in particolare in “Quinto Potere” (Network, 1976) di Sidney Lumet: dove l’anchorman squilibrato Howard Beale, al grido di “Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!” esortava i suoi spettatori a ribellarsi a un ordine delle cose pesantemente sfuggito di mano a scapito del cosiddetto “cittadino medio”. Nell’era della grande recessione Usa, il film di Schumacher fu effettivamente per i primi anni Novanta ciò che quello (parimenti retorico) di Lumet fu per l’era post-Watergate: uno strumento con cui valutare lo stato comatoso della Nazione uscita dalla presidenza Nixon e traghettata da Ford prima e Carter poi in un cambiamento analogo a quello promesso da Clinton, e quindi la pantografia di una “malattia dello spirito” che rifletteva tutti quei motivi per cui quel cambiamento era di fatto necessario e auspicabile.

Probabilmente, in mano a un regista meno (amabilmente) rozzo, “Un giorno di ordinaria follia” e il suo eroe Bill Foster/D-FENS sarebbero diventati il paradossale paradigma ideologicamente cortocircuitato di un (anti)eroismo certamente “sbagliato” ma in qualche misura “necessario”. E del resto, ad andare in scena tra le righe era anche l’epilogo di tre legislature repubblicane a fila e del loro pesante lascito sociale: diseguaglianza economica, orrore per l’altro da sé, rigurgiti fascistoidi, disoccupazione e disintegrazione capitalista della stessa etica del lavoro; nonché la dissoluzione dei confini tra ideologia “reazionaria” e semplice desiderio di rivalsa (come mostra benissimo la lite “teorica” tra il neonazista del negozio e Foster, che pur agendo “in opposizione” depreca la forma mentis perversamente odiante dell’uomo). Ma a quella dimensione beffardamente catartica para-eastwoodiana a cui il film avrebbe potuto ambire si sostituisce progressivamente una più cartoonesca (e cialtronesca) declinazione “diurna” della furia bronsoniana (leggi “Il giustiziere della notte”) sciolta con la più “naturale” ma qualunquista delle soluzioni.

Perché dapprima il film chiede quasi di parteggiare per l’everyman impazzito che reagisce a un mondo-giungla altrettanto fuori controllo, ma poi ci fa quasi sentire in errore o vergognarci per averlo fatto, quando l’inevitabile autodistruzione del protagonista viene oltretutto propiziata da una giustizia forse superiore che però ancora una volta si sostanzia nel distintivo di un tutore dell’ordine, seppur stanco e in qualche misura riluttante. Difficile dire a quali spettatori dell’epoca possa venir voglia, oggi, di celebrare il trentennale del film con una revisione, ma anche capire quale motivo d’interesse potrebbero avere i “giovani” che ne approccino una prima lettura: malgrado tutto, però, potrebbe non essere tempo perso né per gli uni né per gli altri.

Articolo di Filippo Mazzarella  per www.corriere.it/spettacoli

Mixed By Erry, il film diretto da Sydney Sibilia (uno che ha iniziato con i cortometraggi)

Mixed By Erry è un film di genere commedia del 2023, diretto da Sydney Sibilia, con Luigi D’Oriano e Giuseppe Arena. Uscita al cinema il 02 marzo 2023. Durata 110 minuti. Distribuito da 01 Distribution.

E scusate se è poco.... da un ragazzo che ha iniziato girando cortometraggi come Iris Blu e Noemi e partecipando a concorsi come il nostro!
(nota della redazione)

Data di uscita: 02 marzo 2023
Genere: Commedia
Anno: 2023
Regia: Sydney Sibilia
Attori: Luigi D’Oriano, Giuseppe Arena, Emanuele Palumbo, Francesco Di Leva, Cristiana Dell'Anna, Adriano Pantaleo, Chiara Celotto, Greta Esposito, Fabrizio Gifuni
Paese:Italia
Durata: 110 min
Distribuzione: 01 Distribution
Sceneggiatura: Sydney Sibilia, Armando Festa
Fotografia: Valerio Azzali
Montaggio: Gianni Vezzosi
Musiche: Michele Braga
Produzione: Groenlandia con Rai Cinema
 

Mixed By Erry Regia di Sydney SibiliaTRAMA MIXED BY ERRY

Mixed By Erry, film diretto da Sydney Sibilia, è ambientato nella Napoli degli anni '80, in quegli anni in cui nasce il mito di Maradona come dio del calcio campano. Racconta la storia di Enrico Frattasio (Luigi D’Oriano), noto a tutti come Erry, che mette su una vera e propria attività illegale. Aiutato dai fratelli Peppe e Angelo (Giuseppe Arena e Emanuele Palumbo), inizia a copiare mixtape per i suoi amici, allargando in seguito il giro fino a dar vita a una vera e propria impresa. La masterizzazione e la vendita delle musicassette contraffatte, però, si trasformerà in un'avventura internazionale, che trasformerà per sempre le loro vite.
Le mixtape note sotto "Mixed By Erry", come se fosse un marchio di fabbrica, non solo poeteranno la musica nelle case e nella vita di tutti giorni, ma daranno anche un nuovo senso al concetto di pirateria nel nostro Paese.

PANORAMICA SU MIXED BY ERRY

La vera storia dei fratelli Frattasio, il re delle musicassette contraffatte negli anni ’80, approda al cinema raccontata da Sydney Sibilia, che ha diretto la trilogia Smetto quando voglio e L’incredibile storia dell’Isola delle Rose. Mixed By Erry, film dal carattere piuttosto personale, nasce dall’esperienza diretta del regista e dal suo primo approccio con la musica: “Nella zona dove abitavo io a Salerno non c’era propriamente un negozio di dischi. Quindi andavi alla bancarella, dicevi l’album che volevi e il venditore ti chiedeva: ma la vuoi falsa, o la vuoi falsa/originale? E io preferivo quest’ultima che era appunto Mixed by Erry” - ha spiegato. Il film è stato girato principalmente a Napoli, (per le vie dei Tribunali, piazza Mercato, Forcella) con alcune scene a Roma e a Sanremo. Nel ruolo di Enrico c’è Luigi D’Oriano, al suo debutto sul grande schermo come protagonista (lo avevamo visto in Ma che bella sorpresa di Alessandro Genovesi nel 2015). Insieme a lui Giuseppe Arena (Peppe), che ha esordito ne L’imbalsamatore di Matteo Garrone (2002) ed Emanuele Palumbo (Angelo), che ha recitato in Californie (2021) e Nostalgia (2022).

NOTE DI REGIA di Sydney Sibilia
È una storia entusiasmante, incredibile ma vera, piena di musica e ambizione, e soprattutto ispirata a eventi realmente accaduti. Sono felicissimo di poter finalmente raccontare la storia di Erry e dei suoi fratelli, una storia che ho vissuto in prima persona da ragazzo, e che mi ha sempre fatto pensare a come talento e passione non abbiano nazionalità e superino ogni confine. Del resto anche a Forcella possono nascere i DJ ! (Sydney Sibilia).

CURIOSITÀ SU MIXED BY ERRY

Le riprese del film, durate otto settimane, si sono svolte tra Roma, Napoli e Sanremo.

FRASI CELEBRI DI MIXED BY ERRY

Dal Trailer Ufficiale del Film

Uomo: Chi di voi tre è Mixed by Erry?
Erry (Luigi D’Oriano): Tecnicamente tutti e tre, soprattutto se parliamo in termini siciliani.
Uomo: Guaglio’! Erry chi ca**’ è?
Erry: È lui!

Erry: Questi ci vogliono fare la guerra, e noi ci prepariamo a vincerla mo la guerra!
 

FOCUS SU MIXED BY ERRY

Chi erano davvero i fratelli Frattasio? Tutto ha inizio tra i vicoli di Forcella negli anni ’80 quando a Napoli Maradona diventa quasi un dio. È in quel periodo che Enrico Frattasio, per tutti dj Erry, inventa un fenomeno destinato a durare per anni: la pirateria. Il giovane, insieme ai fratelli Peppe e Angelo, mette su una vera e propria industria musicale, registrando i dischi sulle musicassette, che poi venivano vendute sulle bancarelle per strada. Quello che era iniziato all’interno di un negozio, diventa in poco tempo un’attività conosciuta in tutto il mondo, raggiungendo persino il continente asiatico.
Il successo fu così grande da spingere altri contraffattori a creare delle false copie delle cassette dei Frattasio. Tanto che questi decisero di creare un marchio dal nome Mixed by Erry, la dimensione ideale per un ascolto pulito. Coniando addirittura un nuovo termine nel gergo musicale: quello del “falso originale”, ossia creato da Erry. Nel 1997 viene arrestato insieme ai fratelli con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e al falso.

INTERPRETI E PERSONAGGI DI MIXED BY ERRY

AttoreRuolo
Luigi D’Oriano
Enrico Frattasio aka Erry
Giuseppe Arena
Peppe Frattasio
Emanuele Palumbo
Angelo Frattasio
Francesco Di Leva
Fortunato Ricciardi
Cristiana Dell'Anna
Marisa Frattasio
Adriano Pantaleo
Pasquale Frattasio
Chiara Celotto
Francesca
Greta Esposito
Teresa
Fabrizio Gifuni
Arturo Maria Barambani

 

... dall'articolo di comingsoon.it

Quali film si svolgono in un cimitero

Ci sono diversi film, sia di genere horror sia di altro tipo, che utilizzano i cimiteri come sfondo principale o come location chiave per alcune delle loro scene più memorabili. Questa scelta è spesso dovuta al fascino misterioso e all'atmosfera inquietante che i cimiteri possono evocare, rendendoli perfetti per storie di fantasmi, horror, ma anche per narrazioni che esplorano temi di lutto, morte e oltre.

Leggi tutto: Quali film si svolgono in un cimitero

Metti una Roma a cena: la città (ri)scoperta di Ferzan Özpetek

Ci sono quartieri che vivono in disparte, zone della città dimenticate.

E poi c’è Ferzan Özpetek, il turco di Roma, che fa della sua arte una serenata alla nostra città. La Roma che ritrae è poetica, antica e melanconica, è la città di tutti i giorni, attenta testimone dei nostri umori e delle nostre fragilità.

Non ci credete? Andate al cinema in questi giorni e lo scoprirete. Dopo alcuni film girati in trasferta, Ferzan torna a casa e ambienta gran parte della sua Dea Fortuna a Roma. I due protagonisti, Edoardo Leo e Stefano Accorsi, vivono in via della Lega Lombarda, nel quartiere Nomentano, poco distante dal Cinema Jolly.

la danza sotto la pioggia sulla terrazza affacciata su Roma in una scena de La Dea Fortuna di Özpetek | screenshot dal film originale

Capire perché Özpetek abbia scelto questa Roma è davvero semplice: nel palazzo-location troviamo terrazze spioventi di un mondo scomparso che collega e intreccia vite e vicinato. E segna una cifra stilistica inconfondibile.

Volevo un quartiere come quello delle Fate ignoranti, dove vivo da anni, ma che non ha più il carattere che aveva una volta. Appena siamo entrati in casa ho detto subito che andava bene, senza nemmeno vedere le altre proposte. Era stupendo, l’ideale… Io stesso vorrei una casa cosi nella mia vita.

Ferzan Özpetek

Tra i siti scelti nella pellicola una menzione speciale spetta al Tempio della Fortuna Primigenia a Palestrina, che dà il titolo al film. Il luogo viene introdotto con una preghiera da Sandro, il figlio minore di Jasmine Trinca, durante un picnic a Villa Pamphili, e trova la sua massima espressione nella cavea teatrale.

Il santuario fu costruito alla fine del II secolo a.C. sulle pendici del monte Ginestro e si articola su sei terrazze artificiali, collegate tra loro da rampe e scalinate di accesso. Sopra il portico di fondo e la nostra cavea troviamo il palazzo Colonna Barberini, ricostruito nelle forme attuali da Taddeo Barberini nel 1640 e dal 1956 sede del museo archeologico prenestino.

La Dea Fortuna è solo l’ultimo tassello di una lunga storia d’amore tra il regista e la sua città d’azione. Quindi prendete posto e mettetevi comodi: lo spettacolo di Roma sta per iniziare!

la Roma di Ferzan Özpetek

uno sguardo diverso: il quartiere Ostiense tra archeologia industriale e pranzi corali

Sono stati fatti talmente tanti film su questa città, che sento forte l’esigenza di posarvi uno sguardo diverso da quello degli altri.

Il suo sguardo diverso è rivolto a Ostiense, un quartiere corale e di antica solidarietà, ripreso sul filo di un’intima dolcezza. Un quartiere che il suo cinema ha contribuito a salvare.

Tutto ha inizio nel 2001 con le riprese de Le fate ignoranti. Nel suo primo film made in Italy, Özpetek racconta luoghi, suoni e profumi familiari, caseggiati brutti e scheletri di vecchie fabbriche rimasti in piedi come occasioni perdute.

dettaglio di un macchinario della Centrale Montemartini, set de Le fate ignoranti di Özpetek

Il film si apre con Margherita Buy in abito da sera mentre passeggia per le sale della Centrale Montemartini. Straordinario esempio di archeologia industriale, la Centrale nasce come impianto pubblico per la produzione di energia elettrica.

Oggi è il secondo polo espositivo dei Musei Capitolini e ospita una considerevole parte delle sculture classiche rinvenute durante gli scavi di fine Ottocento. I grandiosi ambienti della Centrale e la Sala Macchine conservano gli arredi Liberty, le vecchie turbine, i motori diesel e la colossale caldaia a vapore. Una scenografia unica di surreale eleganza per tutti i marmi antichi che qui trovano casa.

Moltissime scene del film sono girate in interni, ma Özpetek non rinuncia a mostrare il suo quartiere imperfetto e lo spia da una terrazza, confine di un mondo ideale, libero e colorato. Dove? Al civico 35 in via del Porto Fluviale, accolta da una struttura fatiscente vestita per l’occasione come spazio esterno all’appartamento.

la terrazza de Le fate ignoranti, oggi parte degli spazi del centro culturale Industrie Fluviali 

Oggi su questa terrazza visitabile (ebbene sì!) trova spazio il centro culturale Industrie Fluviali, una combinazione di ambienti lavorativi condivisi, sale expo, eventi, bistrot a km zero e orti urbani. Il centro, sintesi perfetta di accessibilità, integrazione, rigenerazione urbana e sostenibilità, fa parte dell’ex Lavatoio Sonnino, costruito agli inizi del ‘900 come sito di lavorazione della lana. Un luogo senza muri, dove tutto è accessibile in nome del fare cultura e dell’inclusione.

Inclusione? Nessun posto unisce e riunisce come la tavola, Özpetek lo sa bene: come nella vita reale, qui il regista fa confrontare i suoi personaggi, li sovrappone, li mescola. Tutto sullo sfondo del Gazometro. Credetemi, non c’è ragazza cresciuta a pane&Accorsi che non sospiri vedendo il profilo di questo Colosseo d’acciaio!

Simbolo di un quartiere a metà tra antichità e modernità, la struttura in via del Commercio fa parte di una vecchia centrale del gas in disuso. Fino agli anni ’60 i gasometri venivano usati per accumulare il gas di città, una miscela di monossido di carbonio, idrogeno, metano e anidride carbonica sfruttata sia per usi domestici, che per l’illuminazione pubblica. La diffusione del gas metano ha condannato all’oblio i gasometri di Roma e i loro scheletri d’acciaio.

Fino all’arrivo delle nostre Fate e di un invito a cena, s’intende.

cornetti impastati alla Pasticceria Andreotti 

A tal proposito, per la serie anche questa è arte, nella nostra to do list non può mancare una tappa fondamentale dell’Ostiense ozpetekiana. La storica Pasticceria Andreotti, che per fortuna è rimasta com’era, in via Ostiense 54: da qui provengono i cornetti impastati da Elio Germano in Magnifica presenza e le torte artigianali di Giovanna Mezzogiorno ne La finestra di fronte.

una finestra aperta sul centro di Roma

Giovanna Mezzogiorno e Raoul Bova in una scena de La finestra di fronte girata nel parco di Monte Caprino a Roma | screenshot dal film originale

Nonostante l’amore dichiarato e contraccambiato per il suo quartiere d’adozione, lo sguardo di Özpetek su Roma non si ferma alla periferia, ma con La finestra di fronte del 2003 procede verso il centro. A influenzare l’ambientazione e la scenografia del film sono le pareti della città, impregnate di ricordi e di energia.

Da una parte il Ghetto Ebraico, che si estende da via Arenula fino alla rive del Tevere, da via del Portico d’Ottavia a Piazza delle Cinque Scole; dall’altra Piazza dell’Emporio e le case popolari A.T.E.R. di via di Donna Olimpia a Monteverde, quartiere già noto alla romanità per i Grattacieli dei Ragazzi di vita di Pasolini.

Due facce della stessa medaglia, due anime di Roma che si sovrappongono come le vite clandestine dei protagonisti: lì qualcuno si è amato, qualcun altro è stato ammazzato.

Sono gocce di memoria, per dirla tutta.

Mentre Roma è ancora stordita per la scomparsa di Alberto Sordi, arriva un film che è una specie di lettera d’amore alla nostra città, ‘La finestra di fronte’. È una lettera esigente, come ogni vero messaggio d’amore, perché non solo dichiara i propri sentimenti ma chiarisce l’origine, la portata e le condizioni grazie alle quali quei sentimenti potranno crescere e fiorire oppure spegnersi e appassire.

Fabio Ferzetti su Il Messaggero, 28 febbraio 2008

Se il Gazometro è il simbolo de Le Fate Ignoranti, la fontana del parco di Monte Caprino è il luogo chiave de La Finestra di Fronte. Proprio qui, tra le fessure del marmo, Simone e Davide nascondono biglietti d’amore, mentre Giovanna e Lorenzo scambiano pensieri, ricordi e un bacio appassionato.

il giorno perfetto di Özpetek a Roma

Melania G. Mazzucco, Un giorno perfetto, edito da Einaudi, 2017 | qui un estratto

Il viaggio romano più lungo e articolato di Özpetek si svolge in Un giorno perfetto. Il film, tratto dal romanzo di Melania Mazzucco, racconta la Roma bene del centro storico e la Roma popolare con le periferie di ultima generazione.

La grande, la tanto amata Roma si risvegliava alla realtà nuda del primo
mattino, tutta di strade, piazze, chiese, così come appare ai passeggeri del
primo autobus, ubriachi di sonno, e ai nottambuli, ubriachi di musica, che
escono dalle discoteche – la città dopo la battaglia che affiora dalla marea
della notte.

Melania Mazzucco

In Un giorno perfetto troviamo una Roma caotica e contraddittoria, capace di togliere il fiato con le sue dimore e di trasmettere angoscia tra i canneti del Tevere. Fra le immagini proposte riconosciamo l’Isola Tiberina con l’ospedale Fatebenefratelli, palazzo Sacchetti, ponte Duca d’Aosta, piazza Colonna e i vecchi Mercati Generali dove ritorna l’inconfondibile sagoma del Gazometro (sospirone).

Per gli interni abbiamo girato in case e ville private mai utilizzate dal cinema, i cui proprietari ci hanno aperto la porta solo perché amanti e appassionati del cinema di Özpetek.

Giancarlo Basili, scenografo

Tre le case protagoniste: l’appartamento di Antonio al numero 17 di piazza Vittorio, quella di Adriana nel quartiere di Torrevecchia e quella centralissima dell’onorevole Fioravanti, che si affaccia sulla chiesa di Sant’Andrea della Valle.

La facciata che domina le inquadrature fu realizzata da Carlo Rainaldi nella seconda metà del XVII secolo. Costruita in travertino, presenta due ordini di colonne, nicchie con statue, cornici in aggetto e un finestrone centrale. Il fasto degli interni lascia a bocca aperta! Ma aspettate di vedere la cupola! Seconda solo al Cupolone di San Pietro per grandezza, è affrescata da Giovanni Lanfranco che realizza un capolavoro d’illusionismo barocco: il cielo in una chiesa.

un’ultima magnifica replica: il Teatro Valle

Vittoria Puccini ed Elio Germano in una scena di Magnifica presenza al Teatro Valle | screenshot dal film originale

Nel 2012 Özpetek ritorna a Monteverde per Magnifica presenza: a via Cavalcanti, Elio Germano trova il suo posto nel mondo e la sua nuova casa, antica e misteriosa, diventa il centro di tutta la narrazione. Solo nel finale c’è un cambio di scena: il tram numero 8 attraversa Trastevere e conduce i protagonisti al Teatro Valle per l’ultima pièce.

Trecento anni di storia fanno del Valle il più antico teatro moderno di Roma. Il suo palcoscenico ha visto passare i più grandi, da Goldoni a Rossini, Totò, Anna Magnani, Eduardo de Filippo e Pirandello, che qui ha messo in scena la prima assoluta di Sei personaggi in cerca d’autore.

Costruito da Tommaso Morelli e Mauro Fontana, il Teatro è stato oggetto di restauri e migliorie,come la splendida facciata neoclassica a opera del Valadier. Dal 2011 al 2014, un gruppo di attori, attivisti e liberi cittadini hanno occupato il teatro per impedirne la vendita, ma l’11 agosto 2014 è stato pacificamente riconsegnato alle autorità comunali.

Che i luoghi parlino è cosa risaputa e a Roma le voci del passato riecheggiano nel presente. Ci sono luoghi che urlano e luoghi che sussurrano col rumore antico dei tacchi sui sanpietrini, il suono dei calici a festa, il ciak a fine riprese. Roma è tutto questo e molto di più, Ferzan Özpetek lo sa e regala ai suoi spettatori uno sguardo diverso, il suo sguardo diverso.

Non resta che dire buona visione a tutti!

dall'articolo di  Veronica Verzella  per https://www.design-outfit.it

 

10 location cinematografiche del rione Testaccio a Roma

Testaccio continua a mantenere una forte identità e quella genuina romanità che è da sempre tratto distintivo dei quartieri popolari. La sua veracità e i suoi scorci differenti ed innumerevoli hanno fatto sì che il rione Testaccio sia stato utilizzato spessissimo dal cinema nostrano.

Qui raccontiamo le 10 location cinematografiche più famose.

1. I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli

Candidato ai premi Oscar 1959 come miglior film straniero, questo film sancisce l’esordio ufficiale di un nuovo genere cinematografico, in seguito ribattezzato Commedia all’italiana che segnerà la fortuna del cinema italiano degli Anni Sessanta. La Commedia all’Italiana racconta la gente comune, la periferia degradata, il sottoproletariato urbano, ma – a differenza del neorealismo – lo fa con toni comici, divertenti, ironici tagliati sottilmente da una vena drammatica, amara, lo fa con un sorriso un po’ triste. “I soliti ignoti” racconta le gesta della miserabile banda del buco, dipingendo con maestria un mondo di povertà urbana che resiste nei suoi valori tradizionali all’attacco della nuova società di massa della quale però sente un’attrazione sempre più forte.
Cosimo, interpretato da Memmo Carotenuto, apprende da un altro detenuto un piano per un colpo di facile realizzazione presso il Monte di Pietà, piano che gli viene letteralmente scippato da Vittorio Gassman. Nel frattempo Cosimo, uscito dal carcere grazie a un’amnistia, raggiunge la banda per vendicarsi, ma viene tramortito da un pugno di Peppe che gli offre di partecipare al furto alla pari con gli altri. Cosimo rifiuta per orgoglio e da solo tenta di rapinare il Monte di Pietà, dove l’impiegato allo sportello gli toglie di mano la vecchia pistola con cui era minacciato e, poiché crede che Cosimo la voglia impegnare, dopo averla esaminata offre allo sbalordito rapinatore 1.000 lire. Andata fallita la rapina, Cosimo ormai terribilmente affranto, per racimolare qualche soldo si ritrova in bici a girovagare proprio nel rione Testaccio, tra via Benjamin Franklin e via Manuzio finchè adocchia la sua vittima, una donna con una borsetta. Lo scippo andrà malissimo, con tragico finale sotto un tram di passaggio: il tram viene da via Galvani e lo schianto avviene all’angolo con via Franklin. La zona non è facilmente riconoscibile perchè sulla sinistra c’è tutta una zona di caseggiati, i cosiddetti “villinetti”, che è stata abbattuta ed è sparita da decenni. Tuttavia, l’indizio ce lo fornisce in fondo la scritta “Da Checchino”: si tratta del famoso ristorante storico, ai piedi del Monte Testaccio, che contribuì alla nascita della cucina popolare romana e che esiste tuttora.

2.Accattone (1961) di Pier Paolo Pasolini
Anche in questo film si scorgono i cosiddetti “villinetti” di Via Benjamin Franklin. Primo film diretto da Pier Paolo Pasolini, e può essere considerato la trasposizione cinematografica dei suoi precedenti lavori letterari. Accattone è il soprannome di Vittorio, interpretato da Franco Citti, un “ragazzo di vita” romano il cui stile di vita è improntato al vivere alla giornata, al sopravvivere. Il film è una metafora di quella parte di Italia costituita dal sottoproletariato che vive nelle periferie delle grandi città senza alcuna speranza per un miglioramento della propria condizione. Come anche in tutti gli altri film che seguiranno, quest’umanità reietta, disperata, tenta un riscatto sociale, un salto in avanti, ma ogni soluzione sembra concretizzarsi solo con la morta. Anche Accattone morirà, e morirà proprio nel rione Testaccio.
E’ la scena finale che chiude la pellicola, che comincia inquadrando via Gian Battista Bodoni, poi si passa a via Benjamin Franklin con Accattone e i suoi compagni di furti, Balilla e Cartagine, che si preparano al furto dei salumi nascosti in un carretto di fiori, l’ultimo furto del protagonista.
La scena, poi, ci mostra i carabinieri che stanno per salire sulla loro Seicento con la quale andranno ad intercettare Accattone. Sullo sfondo, dietro al motociclista di passaggio, Pasolini inquadra i “villinetti” di via Aldo Manuzio, in cui si nota un caseggiato che oggi non esiste più. Infine, durante la corsa in moto di Accattone che cerca di fuggire, si inquadra nuovamente via Benjamin Franklin.

Da via Franklin c’è un salto, una di quei giochi tipiche del cinema, ed Accattone si ritrova magicamente al Ponte Testaccio, che in realtà è più distante, su cui troverà la morte, compiendo così il destino che pesa su di lui sin dall’inizio. Guarda l’intera scena.

3. Così parlo Bellavista (1984) di Luciano De Crescenzo
Sempre in Via Franklin, ma con i “villinetti” ormai scomparsi, è girata una famosa scena di un film in realtà ambientato a Napoli, “Così parlo Bellavista” di Luciano De Crescenzo. Ebbene si, la magia del cinema fa anche questo: un film che esalta la napoletanità è stato girato per gran parte nella Capitale. Nello specifico nel rione Testaccio è stato girato l’episodio iniziale, quello famosissimo dell’ingorgo a croce uncinata.
La strada del bar dove il milanese Cazzaniga, interpretato da Renato Scarpa, sceso dal taxi a seguito ingorgo del traffico, trova prima il vigile intento beatamente a sorseggiare un caffè e successivamente deve scappare perchè assalito da una ressa di persone che gli chiedono un’assunzione in quanto incautamente gli è scappato che è il nuovo capo del personale dell’Alfa Sud è via Beniamino Franklin a Roma.

4. “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (1970) di Elio Petri

Oscar per miglior film straniero nel 1971. Nato con all’origine l’idea dostoevskiana dell’assassino che sfida la giustizia, il film risente del clima politico dell’epoca: Gian Maria Volontè, promosso da capo della Sezione Omicidi a capo della Sezione Politica, uccide, sgozzandola, l’amante con cui aveva un rapporto sadomasochistico e che lo tradiva con uno studente appartenente alla contestazione attiva. Invece di cercare di occultare le prove le rende sempre più evidenti, convinto che il potere in suo possesso gli possa consentire di continuare ad essere al di sopra di ogni sospetto. Il poliziotto assassino, in virtù della vittoria dell’ordine costituito, finisce per agognare la propria punizione, cadendo in un groviglio di psicosi che sfocia in un finale kafkiano: il protagonista oramai deciso sulla sua posizione autopunitiva, consegna una lettera di confessione ai suoi colleghi. L’ufficio postale da cui l’insospettabile commissario spedisce prove della sua colpevolezza è quello di Via Marmorata: un gioiello di architettura razionalistica realizzato tra il 1933 ed il 1935 da Adalberto Libera e Mario De Renzi.

5. “Brutti, sporchi e cattivi” (1976) di Ettore Scola
Presso lo stesso edificio postale di Via Marmorata avviene l’esilarante sequenza del ritiro della pensione “de nonna” del capolavoro di Ettore Scola, “Brutti, sporchi e cattivi”, che vinse il 29° Festival di Cannes.  Al centro del film sono la periferia romana dei primi anni settanta e le sue baracche, raccontate impietosamente con tutte le loro miserie, morali e materiali. La pellicola, infatti, racconta di una famiglia di baraccati – circa venticinque persone tra genitori, figli, consorti, amanti, nipoti e nonna – al cui capo c’è il vecchio e dispotico Giacinto Mazzatella, mirabilmente interpretato da Nino Manfredi. Festa grande per tutta la famiglia è il giorno della pensione della nonna, in cui, come una caotica tribù, si reca l’intera famiglia a ritirarla facendo spingere ai più piccoli la carrozzella dell’anziana. Una volta che però il denaro è nelle loro mani viene diviso e ognuno si avvia per la propria strada, lasciando l’anziana sola con i bambini che hanno il compito di riportarla a casa.

6. Ferzan Ozpetek: “Le fate ignoranti” (2001) e “La finestra di fronte”(2003)

Il regista turco romano che ha eletto il quartiere Ostiense come sua dimora e come set di innumerevoli pellicole, non poteva fare qualche capatina nell’adiacente rione Testaccio. Lo troviamo, infatti, sul retro dell’ufficio postale di Via Marmorata, che – come abbiamo visto – è stato teatro di varie scene del cinema italiano. Proprio nei giardinetti retrostanti l’edificio di Libera e De Renzi, i due protagonisti de “Le fate ignoranti”, Margherita Buy e Stefano Accorsi, mangiano spensieratamente un cono gelato.

A Testaccio Ozpetek torna due anni più tardi con una scena de “La finestra di fronte”: è sera e la protagonista Giovanna, interpretata dalla Mezzogiorno, entra in un bar portando dei dolci e fa la conoscenza di Lorenzo, interpretato da Raoul Bova. Il bar è l’attuale Rec42 e si trova in Piazza dell’Emporio a Roma. Subito dopo, infatti, vediamo uscire dal bar Giovanna e Lorenzo e ritrovarsi, appunto, su Piazza dell’Emporio alla ricerca di Simone, il signore che ha perso la memoria e che la ragazza sta provando ad aiutare: lo ritroveranno subito, seduto affranto sugli scalini della Fontana delle Anfore, fontana che ora non può più essere ammirata in loco perchè è stata risistemata nel fulcro del rione Testaccio, ossia in Piazza Testaccio.

7. Elsa Morante e “La Storia”
All’esterno dell’edificio, una targa ricorda che qui la scrittrice Elsa Morante visse i primi dieci anni della sua vita. Elsa Morante, nata a Roma nel 1912 e morta nel 1985, è considerata una delle più importanti autrici di romanzi del dopoguerra. Elsa Morante nasce a Roma nel 1912, e trascorre la sua infanzia nel rione Testaccio. Fuori l’ingresso della sua abitazione in Via Amerigo Vespucci, una targa ci ricorda la grande scrittrice italiana abitava qui. Nel cortile, sulla parete della Scuola dei bimbi, un’altra targa recita una frase della scrittrice: «Solo chi ama conosce». La sua realizzazione è opera dell’architetto Massimo Iannuccelli.
Proprio a pochi metri da qui vagabondavano i protagonisti del romanzo “La storia”, Useppe e la sua compagna inseparabile, la cagna Bella, “in libera uscita nel quartiere Testaccio e dintorni”, tra via Bodoni, via Marmorata, il Lungotevere, ponte Sublicio nella primavera-estate del 1947.

Elsa Morante scrisse il romanzo “La storia” tra il 1971 e il 1973. Ambientato per lo più nella Roma della seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra, il libro narra la tragica vicenda di Ida Ramundo e dei suoi due figli. I tre si trasferiscono da San Lorenzo, distrutta dai bombardamenti, in una camera ammobiliata in via Mastrogiorgio, poi dopo la guerra prendono un appartamento in via Bodoni.
Il romanzo “La storia” ha avuto una sua trasposizione cinematografica: nel 1986 Luigi Comencini gira “La Storia” per la televisione, anche se ne è stata distribuita anche una versione ridotta destinata al circuito cinematografico. Il film non è in grado di rilasciare le stesse atmosfere, i particolari, i dettagli, gli infiniti intrecci del romanzo, però dobbiamo sottolineare l’estrema difficoltà di adattare l’opera cinematografica al testo complesso della Morante. Il risultato, dunque, non è dei migliori, ma dobbiamo riconoscere a Luigi Comencini almeno il merito di averci provato.

8. Fantozzi e Fracchia
Anche il ragioner Ugo Fantozzi, personaggio creato e interpretato da Paolo Villaggio, ha abitato nel rione Testaccio nel terzo film della saga, “Fantozzi contro tutti” (1980) di Paolo Villaggio e Neri Parenti. Tutte le scene dell’abitazione di Fantozzi sono state girate a Roma in via Giovanni Battista Bodoni n. 79, nel quartiere Testaccio. Questo grande stabile ospiterà non solo la scala da cui sale Fantozzi, e quindi il suo appartamento, ma anche il forno del panettiere Cecco, di cui si innamorerà perdutamente la Pina.
Il panificio, che è sopravvissuto fino a poco tempo fa con il nome de “La contea del pane”, in cui lavora dal rozzo Cecco, interpretato da Diego Abatantuono, è ubicato nella medesima via a poche centinaia di metri dall’abitazione in direzione di Lungotevere Testaccio dove Fantozzi abita. Il forno notturno, teatro della storica scena con Villaggio, Abatantuono e Ennio Antonelli, l’incontenibile “zio Antunello”, in cui Fantozzi va a “insultare” il panettiere, reo di avere una tresca con la moglie è stata girata proprio all’interno del forno del citato panificio, che è all’interno dello stesso stabile di via Bodoni.
Concludiamo con il finale del film: avviene il rientro di Fantozzi e Pina a casa, accompagnati dalla scritta in cielo “Fantozzi è stronzo”.

Paolo Villaggio e Neri Parenti torneranno l’anno successivo a Testaccio per girare “Fracchia la belva umana” (1981)
La casa del ragioniere Giandomenico Fracchia è ubicata sul Lungotevere Testaccio 11; la vediamo nella scena di apertura del film, quando Fracchia esce di casa facendo jogging.

9. Acqua e sapone (1983) di Carlo Verdone
L’esterno della tintoria dove Rolando, interpretato da Carlo Verdone, si reca di corsa a prendere il vestito da prete che la nonna, la Sora Lella, ha lasciato a lavare è nel rione Testaccio, più esattamente in Via Ghiberti 35, accanto allo storico Roma Club, il primo di Roma. Rolando, poi, troverà la tintoria chiusa causa morte del proprietario, il sor Gino.

10. L’ex-Mattatoio nel cinema

Nel cinema l’ex-Mattatoio è stato molto sfruttato. Lo troviamo per la prima volta in “Domenica d’agosto” (1950) di Luciano Emmer, il film che ha aperto la strada al vituperato neorealismo rosa ed anche al filone del cinema balneare, poi ripreso, anche troppo, negli anni Sessanta. La pellicola racconta una tipica domenica d’agosto in cui persone di diverse estrazioni sociali si dirigono verso la spiaggia per sfuggire alla calura cittadina. Tutti tranne dei rapinatori che approfittando della città deserta per fare il colpo nel Mattatoio. In questo modo possiamo vedere il Mattatoio al suo interno.

Due anni più tardi al Mattatoio fa capolino anche Roberto Rossellini con il suo film “Dov’è la libertà” (1952) con Totò. Si tratta di uno dei film più travagliati di Totò, poiché, dopo aver girato alcune scene, Rossellini si disinteressò della pellicola. L’opera fu completata dopo circa un anno principalmente da Mario Monicelli; le inquadrature finali risultano essere state girate da Federico Fellini.
Il protagonista Salvatore Lojacono, un modesto barbiere, esce di galera dopo aver scontato 22 anni di prigione per aver ucciso un suo amico che insidiava sua moglie. Spaventato, come chi è ormai abituato alla protezione del carcere, trova una realtà completamente stravolta, una giungla in cui non riesce ad adattarsi e, schiacciato dai sensi di colpa per un destino beffardo, vaga per la città alla ricerca di un alloggio e di un lavoro che lo faccia rientrare nel tessuto sociale. In questa scena, vaga per Roma con la sua valigetta senza sapere bene dove andare. “Dopo aver contato 20 chiese, 18 monumenti e 35 fontane” si imbatte in una mandria di buoi e si ritrova davanti al macello. Guarda la scena.

Infine, un utilizzo molto anomalo dell’ex-Mattatoio operato da “La leggenda del pianista sull’oceano” (1998) di Giuseppe Tornatore, ispirato al monologo teatrale dello Baricco “Novecento”. E’ la storia di un pianista, nato a bordo di una nave, che decide di spendere tutta la sua vita sulle rotte dell’Atlantico, avanti e indietro fra Europa e America, senza mai scendere a terra, diventando un pianista mirabile, e che diventa metafora del nostro secolo. La nave, la Virginian del film, ha avuto una triplice location: la vera nave si trovava nel porto di Odessa, dove hanno girato per cinque settimane. Ma l’ex-Mattatoio ha ospitato per diversi mesi la sagoma della Virginian, alta 35 metri, imponente, maestosa, che si poteva scorgere da vari punti della città. Intorno a quella sagoma che condensa tutta la magia del cinema e’ stato ricostruito il porto di New York, il Pier n. 3, con i magazzini, i carri carichi di botti, i sacchi, la gente vestita come negli anni ’30.
Infine, l’ultimo set: Cinecittà, dove e’ stata costruita la sala da ballo del piroscafo. Il Teatro 5 è diventato il sontuoso salone delle feste della nave Virginian, tutto luci, boiseries e motivi floreali, dominato da una grande cupola scintillante di vetrate Liberty, da cui pende un immenso lampadario a gocce.

 

di GABRIELLA MASSA per romaslowtour.com

La mia famiglia afgana

MY AFGHANE FAMILY
France, Slovakia, Czech Republic, 2022, 1h20, Animation, drama, VOstf French, Czech, Farsi
Di Michaela Pavlatova
La storia
Una giovane donna di origine ceca decide per amore di lasciarsi tutto alle spalle per seguire l'uomo che diventerà suo marito a Kabul (Afghanistan). Diventa quindi testimone e attore degli sconvolgimenti che la sua famiglia afghana vive quotidianamente. Prestando la sua prospettiva di donna europea, in un contesto di differenze culturali e generazionali, vede allo stesso tempo la sua vita quotidiana scossa dall'arrivo di Maad, un insolito orfano che diventerà suo figlio.
Il film e la sua regia
Il primo lungometraggio della regista ceca Michaela Pavlatova, “My Afghan Family”, è tratto dal libro della giornalista Petra Prochazkova che racconta la storia della sua vita e della sua scelta di andare a vivere a Kabul. Evoca gli sforzi delle donne afghane per vivere libere in Afghanistan sotto il regime talebano. Il film è anche, come dice Michaela: "Una storia universale di coppie, amanti e amici, tutti alla ricerca della felicità e del riconoscimento di fronte a eventi inaspettati".
Artista dal talento riconosciuto da tempo, in particolare con il suo cortometraggio "Tram" nel 2012 selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes e vincitore del Cristal (Gran Premio) al Festival di Annecy, Michaela è anche regista di lungometraggi filmati dal vivo.
Per Jean-Paul Commin, monegasco, produttore-distributore e specialista di film d'animazione che presenterà la proiezione al Cinema Beaulieu, "Il film di Michaela è commovente e spesso toccante ma soprattutto pieno di umanità, e lei riesce a mantenere un umorismo, spesso agrodolce, che dona una relativa leggerezza a questa storia con episodi spesso intrisi di gravità. "
L'animazione si rivela una tecnica cinematografica e una modalità espressiva particolarmente adatta ad affrontare questi temi seri e, come cita Michaela, ci permette di essere più vicini ai personaggi e al loro ambiente, di capirli e condividere la loro vita quotidiana.
Selezionato e premiato al Festival di Annecy nel 2021

I migliori film sullo Spazio

La sfida ricorrente di mettere in scena nella maniera più realistica possibile il luogo più difficile da  rappresentare. Lo Spazio è la sfida per eccellenza del cinema di fantascienza. Più del design degli alieni o dei mezzi spaziali, lo spazio è la sfida più ardua di ogni film per via delle sue dinamiche uniche (in primis la mancanza di gravità). Ogni film che abbia davvero voluto prendere di petto lo spazio, seriamente, ha dovuto creare qualcosa che prima non c’era.

............. Necessariamente i 10 film che hanno raccontato lo spazio nella maniera più realistica sono quasi tutti moderni o modernissimi, perché è anche una questione di tecnologia. Ma accanto ad effetti speciali di volta in volta nuovi e più evoluti ognuno ha necessitato di un’idea.

10. Una donna sulla Luna
Fritz Lang, regista di Metropolis, negli anni ‘20 tenta di bissare il successo nella fantascienza con questo film dall’ambizione smisurata: raccontare lo Spazio senza mezzi e senza conoscenze sufficienti. I dettagli che poi si sono rivelati sbagliati sono tantissimi, dalla gravità fino all’assenza di ossigeno (accendono un fiammifero nell’atmosfera della Luna), eppure tantissimo di quel che riguarda razzi, viaggi e problemi di un’ipotetica astronave che marci verso la Luna erano stati azzeccati.

9. Gravity
È probabilmente il film sullo Spazio più odiato da chiunque ne sappia qualcosa di Spazio, perché quasi nulla di quel che vediamo è fedele a come potrebbe accadere nella realtà. Gravity è deliberatamente pieno di errori e imprecisioni o deliberate falsità. Eppure questo film (bellissimo) di Alfonso Cuaròn poteva stare anche in cima a questa lista, perché è il primo a svolgersi al 99,9% nello Spazio con una libertà di messa in scena che fa paura. È il primo che sembra non porsi limiti e potersi muovere come vuole in uno Spazio che (visivamente) è perfettamente realistico.

....................

il resto dell'elenco su  Wired.it

"Secretary" di Steven Shaimberg

"Secretary" di Steven Shaimberg

Un'affascinante ragazza dal sorriso compiaciuto e sornione, vestita da perfetta segretaria in gonna al ginocchio, camicetta castigata e tacco alto, si aggira per l'ufficio svolgendo le sue mansioni quotidiane: prepara un caffè per il suo capo, sistema delle pratiche. Cammina per l'ufficio con le braccia a mò di croce tenute in quella posizione da una specie di gogna che le cinge collo e polsi in una posizione innaturale.
Rapido rewind di qualche mese e ritroviamo la stessa ragazza bruttina, sciatta e spenta appena uscita da una clinica per disturbi psicologici. Soffre, ma non vuol darlo a vedere e l'unico sollievo lo prova nel tagiuzzarsi le cosce con le forbicine da cucito.
Sua madre pensa che un lavoro potrebbe distrarla, ma non sa che quel lavoro sarà per lei la salvezza, la luce. La consapevolezza che c'è un modo per non nascondersi, per portare la propria voglia di sottomissione verso gli apici del piacere, intrecciandola con un vero amore.
Da vedere assolutamente... geniale e giustamente esplicito.

Ho visto “Mi chiamo Sam”

Folgorata! Ho visto “Mi chiamo Sam”. Bello, commovente. Colorato e triste. Pieno di vita come di drammaticità. Lineare e controverso. Dolce e nervoso. Non può lasciare indifferenti, non credo. Ti butta addosso talmente tante emozioni e tante sfumature che non puoi non captarne almeno una, e rifletterci.

Leggi tutto: Ho visto “Mi chiamo Sam”

IL J’ACCUSE del grande SCENEGGIATORE OTTAVIO JEMMA

Accade soprattutto in Italia, che una suicida politica assistenzialistica incoraggi la produzione di film vecchi che hanno scarsi contatti con i profondi mutamenti della società contemporanea […] e vengono quasi sempre rifiutati dal pubblico. Il nostro cinema sopravvive attorno a contenuti e a modelli estetici superati dai tempi. E alla lunga, come constatò Angelo Guglielmi ai tempi in cui dirigeva l'Istituto Luce, le piccole storie finiscono per ucciderlo.

Gli autori italiani hanno gli occhi sulla nuca, ma non lo sanno e credono di interrogarsi sul nostro futuro anche quando in realtà guardano soltanto indietro. I loro personaggi – ha ragione Bertolucci – parlano e si comportano come se su di essi non fosse mai passata la travolgente ondata di “novità” tecnologiche, ideologiche e mediatiche che negli ultimi trent’anni ha spazzato brutalmente usi e consuetudini secolari, non soltanto nel nostro vivere privato quotidiano, ma anche e soprattutto nel nostro modo di pensare.Il mondo di sentimenti, di rapporti e di problemi che esprimono nel loro lavoro sembra ancora immerso in un’atmosfera, in un profumo da tardo Ottocento o da primo Novecento.
…
Ma non è del tutto colpa degli autori. Nel nostro paese esiste un clima, si respira un’aria, vorrei dire una consuetudine, una tradizione di censura che, al di là o al di qua delle leggi vigenti e della loro applicazione, è ormai penetrata nel loro stesso DNA. Le idee si formano nella loro mente già mutilate da una sorta di congenito spirito di sudditanza, una sorta di istinto che funziona come un freno automatico e li avverte che si possono spingere fino a quel punto e non oltre.

I veri poteri forti, i “grandi” poteri che controllano la nostra vita sociale e politica – ma anche la nostra vita privata e dunque la cultura, lo spettacolo, – non sono mai stati chiamati in causa dal nostro cinema. Argomenti come il mondo dei grandi affari, delle multinazionali, delle banche, delle assicurazioni, del traffico d’armi e di droga, la grande corruzione della politica e quella delle “carriere” costruite sulla corruzione della politica, sono rimasti fuori, o quanto meno appena sfiorati, ai margini del nostro cinema, anche di quello migliore.
Con qualche eccezione, certamente. Ne voglio citare un paio a solo titolo indicativo, per spiegare meglio cosa intendo: Il caso Mattei, di Francesco Rosi e Tonino Guerra, e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, di Elio Petri e Ugo Pirro, due opere che in qualche modo si sono sollevate da una dimensione angustamente “dialettale”, e hanno almeno tentato e in parte raggiunto un respiro più ampio. Potremmo trovarne, forse, un’altra dozzina. Piuttosto poco per oltre cinquant’anni di cinema.

E avete notato che, a giudicare dal cinema e dalla TV, solo gli autori statunitensi dispongono di una così fertile fonte di materiali narrativi come quella fornita dalla corruzione degli organi di polizia? In Europa siamo sfortunati: possiamo contare solo sulla incrollabile efficienza ed onestà di personaggi come l’ispettore Derrick, il maresciallo Rocca, il commissario Maigret. Che sventura sarebbe stata per il povero James Ellroy nascere, chessò, a Napoli, o a Marsiglia, o ad Amburgo, invece che a Los Angeles. Cosa diavolo avrebbe mai potuto raccontarci?

Anche ammesso che vi passassero per la mente, storie come quelle narrate nei film citati – o in altri come Wargames, Affari sporchi, Traffic, Virus letale, Codice d’onore, Full Metal Jacket, La conversazione, Insider, Liberty Stands Still, Indagini sporche, La figlia del generale e ne potremmo elencare ancora moltissimi – belli o brutti che siano, qui in Italia non vi potreste sognare di proporle a nessuno. E non per una mera questione di budget. Piuttosto (e se non ci arrivate da soli qualcuno vi aiuterà ad arrivarci) per una questione di opportunità. Farei meglio a dire: di “opportunismo”?

Un esempio tra tutti. In Scarface (1983), scritto da Oliver Stone e diretto da Brian De Palma, c’è una scena in cui l’ispettore dell’antidroga Mel Bernstein (l’attore Harris Yulin) avvicina in un locale pubblico il gangster Tony Montana (Al Pacino) per ricattarlo e costringerlo a pagare una tangente sul giro d’affari della droga. Gli offre i suoi servigi e nello stesso tempo lo minaccia dicendo: “… Ho otto killer col distintivo che lavorano per me…” Riuscite a immaginarvelo voi, un autore italiano che metta in bocca ad un commissario della nostra polizia una battuta del genere? Io no.

Certo, si può obiettare che nel nostro giocondo e illibato Paese certe cose non succedono. Ma ne siamo sicuri?
Ciò di cui possiamo essere assolutamente sicuri è che nel nostro giocondo e illibato Paese vi sono argomenti tabù anche a prescindere dalla loro concreta “possibilità di accadere”; argomenti sui quali è assolutamente sconsigliabile lavorare di fantasia.
Se per caso vi frullasse nel cervello la tentazione di raccontare addirittura – come negli Stati Uniti hanno fatto con Potere assoluto David Baldacci, autore del romanzo, e Clint Eastwood regista del film – che un ipotetico presidente della Repubblica, durante un appuntamento erotico con la moglie di uno dei suoi più importanti finanziatori elettorali, la uccide e tenta di soffocare il delitto e lo scandalo con l’aiuto dei servizi segreti, state attenti: ammesso che troviate un produttore disposto a produrlo, un noleggiatore disposto a distribuirlo e un circuito di sale disposto a programmarlo, in Italia rischiereste seriamente di finire in galera.
Ci è invece permesso di vedere tranquillamente il film di Baldacci e Eastwood perché il presidente di cui vi si parla, non è quello della Repubblica Italiana, ma quello degli Stati Uniti.

Sul presupposto che vi fossero in Italia alcune centinaia di creature chiamate da una prepotente e ineluttabile vocazione ad abbracciare il mestiere dell’autore di film, e fosse loro negato da rigorose prescrizioni mediche di tentare – pena gravi rischi per la salute – una qualsiasi attività diversa quale, ad esempio, un impiego nella difesa ambientalista, un servizio civile o altro incarico socialmente utile, il nostro Stato, il nostro provvido e paterno Stato, predispose alcuni decenni or sono una legge che rendesse loro possibile soddisfare la prepotente, ineluttabile vocazione.

In base a tale legge, tutti i contribuenti, lo volessero o no, fossero o non fossero disposti ad andare a vedere i film realizzati da quelle povere creature malate di cinema, erano obbligati a pagare una piccola invisibile tassa, o se preferite una sorta di tacito obolo, per rendere possibile quell’opera di caritatevole misericordia.

Mi sia perdonata l’ironia, nella quale, vi prego di credermi, non c’è niente di personale nei confronti di quanti hanno beneficiato di tale obolo; anche i produttori di un paio di progetti firmati da me ne fecero richiesta, e una volta persino con successo. La mia ironia ha come bersaglio il principio amministrativo, il “progetto” politico-culturale – chiamatelo come volete – che stava dietro questa legge.

Intanto va detto subito che non si trattava di un prestito regolato dalle consuete norme bancarie. La legge prevedeva che i beneficiari di quel contributo non fossero tenuti a restituirlo se il loro film non incassava, se cioè nessuno andava a vederlo.
La sostanza della legge, secondo la sintesi che ne forniva nel suo sito Internet il Ministero dei beni culturali, diceva che: “... La caratteristica di tali prestiti, per i film di interesse culturale, consiste nell’essere assistiti da un Fondo di Garanzia.” E precisava che, “… trascorsi due anni dall’erogazione, le somme eventualmente non restituite dal produttore alla Banca, per insufficienza di proventi di mercato, sono coperte da questo Fondo nella misura massima del 70% del prestito concesso. Il restante 30% deve essere restituito, in ogni caso dal produttore alla Banca Nazionale del Lavoro entro 5 anni dal momento della concessione del prestito, pena l’impossibilità di ricevere, per tre anni, qualsiasi altro prestito o beneficio di legge.”

Riuscite a vedere la magagna?... No?... Allora provo a spiegarvela io.
Poniamo che io sia un produttore e proponga un film che viene approvato dalla commissione esaminatrice e ottiene dal fondo di garanzia il prestito di un miliardo di vecchie lire. Vi sono stati casi di film finanziati con molti miliardi (fino a dieci, e in qualche caso, pare, anche oltre), ma noi semplificheremo facendo un calcolo dimostrativo sulla base dell’ipotetico, unico miliardo.
Dunque, io produttore incasso il miliardo, realizzo il film e lo distribuisco, ma (facciamo l’ipotesi peggiore) non incassa un soldo. Devo restituire un miliardo, ma so già che il 70% di questa cifra (settecento milioni) è coperta dal fondo di garanzia. Non sono tenuto a restituirla. Mai. So anche che per restituire il residuo 30% (trecento milioni) ho tempo cinque anni, scaduti i quali, se non ho assolto il mio debito, non potrò più godere per almeno tre anni di altri fondi di garanzia.

Niente paura. Ho già proposto un altro progetto di film alla commissione esaminatrice; mettiamo che anch’esso venga approvato, e io ottenga in prestito un altro miliardo. Mentre realizzo il mio secondo film, “distraggo” da questo secondo miliardo i trecento milioni necessari a saldare il mio debito precedente; con gli altri settecento milioni faccio il film e lo immetto sul mercato. Neanche questo fa una lira d’incasso, ma che importa? Ho sempre solo trecento milioni da restituire e cinque anni di tempo per farlo. E intanto, presento alla commissione esaminatrice il progetto di un terzo film... Divertente, no?

Vi state chiedendo come faccio a realizzare il secondo film con “soli” settecento milioni, avendo dovuto “distrarre” trecento milioni dal secondo finanziamento per pagare il debito del primo?... Beh, non occorre essere il mago Casanova. Qualunque “onesto” produttore potrà facilmente spiegarvi, se vuole, come si possa con settecento milioni produrre un film da un miliardo. Questi piccoli miracoli amministrativi sono il pane quotidiano di certa nostra brillante imprenditorìa cinematografica.
Si narra che qualcuno sia riuscito a ripetere questo giochetto fino a sei, sette... nove volte!...
Si narra anche – ma forse si tratta di leggende metropolitane – che qualcuno sia riuscito a farlo senza produrre effettivamente neanche un solo film!!...
Ma io non ci credo.
Mi rifiuto di crederci.
Sono quasi certamente fantasiose calunnie.
Anzi, lo sono assolutamente.

Estratti da “Sunset Boulevard”, editore Filema, di Ottavio Jemma

Un film, una scena – MEAN STREETS

MEAN STREETSRegia: Martin Scorsese; Interpreti: Harvey Keitel, Robert De Niro, David Proval, Amy Robinson, Richard Romanus; Origine: USA; Anno: 1973; Durata: 110’

Charlie è un trentenne italoamericano diviso tra l’aspirazione a una scalata sociale offerta dallo zio mafioso e l’amicizia e l’attaccamento al suo gruppo di amici, in particolare a Johnny Boy, scapestrato e arrogante. Le situazioni in cui Johnny Boy trascina l’amico sono sempre più pericolose e la vita di Charlie è complicata anche dalla relazione con Teresa, cugina epilettica di Johnny, non ben vista dallo zio.

Schermo nero. Una voce di uomo pronuncia alcune parole: “You don’t make up for your sins in church. You do it in the streets. You do it at home. The rest is bullshit and you know it” (“Non rimedi ai tuoi peccati in chiesa. Li sconti per le strade. Li sconti a casa. Il resto sono stronzate, e lo sai.”). Non appena ha finito di parlare, nell’inquadratura appare un giovane che si sveglia di soprassalto, sollevandosi sugli avambracci. La stanza è semibuia, la luce proviene dalla finestra, filtrando dalle veneziane socchiuse. L’uomo si passa una mano sugli occhi (il sogno sembra averlo turbato), scosta le coperte e si alza dal letto. La mdp lo segue, senza staccare, mantenendolo quasi sempre in primo piano. Fa qualche passo e si guarda in uno specchio appeso al muro di fronte al letto. Sospira, si passa ancora la mano sul viso, sospira di nuovo. Poi, facendo il tragitto inverso, torna a letto. Si sentono rumori di automobili che passano, clacson, una sirena della polizia. Pochi movimenti, molta verosimiglianza e “naturalezza” della scena. Ma ecco che, mentre si sta coricando, tre veloci stacchi avvicinano sempre di più l’inquadratura, passando da un piano americano, a un piano medio, a un primo e un primissimo piano, mantenendo sempre la stessa angolatura e coordinando il primo e il terzo stacco con le battute iniziali di “Be my baby” delle Ronettes. La canzone prosegue, l’uomo si passa ancora le mani sugli occhi, si gira di lato e l’inquadratura (ma non il sonoro) cambia: iniziano i titoli di testa di Mean Streets.

Non succede niente in questa sequenza iniziale, c’è solo un ragazzo che si sveglia di soprassalto e si rimette a dormire. Proseguendo nella visione, capiamo che Scorsese ci dà qui dei suggerimenti su come guardare al protagonista, Charlie (Harvey Keitel, alla sua terza collaborazione con Scorsese), le cui notti sono evidentemente turbate da quello che si rivelerà essere un tormento interiore, un conflitto tra i dettami della religione e la sua vita quotidiana, tra la devozione agli amici del quartiere e la sua ambizione, e tutte le conseguenze che ne derivano. Perché, come Scorsese stesso ricorda nelle battute iniziali (la voce off dell’inizio è quella del regista), i peccati si scontano in strada (le mean streets del titolo) e a casa, non confessandosi in chiesa. Ma sono la naturalezza del risveglio di Charlie e, in contrapposizione, il “virtuosismo” di quei tre stacchi a fine scena montati sulle note della canzone delle Ronettes che proprio non ti aspetti, che mi spiazzano ogni volta e rendono la sequenza iniziale di Mean Streets la mia preferita.

L’uso della musica, una canzone che ha un forte contrasto rispetto all’atmosfera che già si respira nelle prime inquadrature del film, così tesa e quasi cupa, e la contravvenzione alla regola dei 30° del cinema “classico” (secondo cui due inquadrature di uno stesso oggetto devono differenziarsi di almeno 30 gradi l’una dall’altra, altrimenti si avvertirà uno “sbaglio” nel montaggio) catturano l’attenzione, fanno scattare quella curiosità che ti incolla alla sedia e ti costringe a continuare la visione. Niente di eclatante, piccoli particolari che costruiscono una certa atmosfera e sono la firma del regista: insomma, ciò che ti fa innamorare di un film.

di  Alessandra Pirisi  per cinemagazzino.it/

Scorsese e il suo Toro Scatenato

Uscito nel 1980, “Toro scatenato“, è considerato l’ultimo capolavoro della New Hollywood. Il regista ha quindi ancora un forte valore autoriale ed il film mostra un realismo ed una violenza molto cruda che da una grande potenza alle immagini.

Tratto dall’ autobiografia dell’ex campione mondiale dei pesi medi Jake La Motta, Toro scatenato in realtà non è un film sul pugilato.

Scorsese veniva da un periodo difficile, aveva problemi di salute e inoltre aveva perso fiducia in se stesso, più come persona che come regista. Nel personaggio di Jake LaMotta c’è tutta la rabbia personale di Scorsese e c’è la frustrazione e l’ignoranza dell’immigrato italiano che lotta disperatamente per emergere. Jake picchia la gente mentre viene picchiato, è una forma di masochismo, si fa picchiare perché si fa schifo da solo. Infatti ad un certo punto nel camerino Jake dice “In vita mia ho fatto delle cose brutte” buttando fuori il suo enorme senso di colpa.

Scorsese non ha fatto un film di analisi ambientale e sociale. Ma si occupa di entrare nella mente dei personaggi e vedere come essi si muovono in un determinato ambiente, occupandosi cioè dell’aspetto mentale.

Altro aspetto rilevante del film sono le sequenze degli incontri di pugilato. Esse portano le didascalie con il nome degli avversari e le date, privandosi così di ogni elemento  di suspense. Questo aspetto è chiaramente ricercato dal grande Scorsese che con la sua maestria dona un atmosfera sempre più stilizzata agli incontri, cercando di staccarsi dal punto di vista dello spettatore di pugilato ma entrando pienamente nella testa dei personaggi, enfatizzando suoni e immagini e rendendo il tutto più mentale possibile, con un’ atmosfera onirica e dilatata.

Lo spettatore che assiste ai duelli del film sente ciò che accade ai duellanti, percepisce il loro dolore e la loro rabbia, e vede con estremo realismo la forza dei colpi che si abbattono sui pugili. Ogni singolo combattimento si presenta inoltre diverso dagli altri, poiché riflette i vari stati mentali di La Motta durante i combattimenti.

Nell’ incontro finale con Robinson, è chiaro che non si tratta più di un incontro di pugilato. La Motta si lascia massacrare esprimendo così tutto il suo desiderio di autopunizione, di “redenzione”. Mentre il ring è ormai un mondo onirico, Jake è qualcuno che non schiva i colpi, ma che va a cercarseli, sforzandosi di picchiare ancora più forte dell’altro.

Nel finale Jake, ingrassato di 30 kg(De Niro si ingrassò veramente al punto di rischiare per la sua salute), tra i suoi imbarazzanti discorsi cabarettistici recita il famoso discorso di Marlon Brando in “Fronte de porto” : “Io ero un combattente nato, potevo diventare qualcuno”. A quel punto Jake è più capace di accettare se stesso, come succede proprio a Scorsese dopo aver girato questo film.

Per quanto riguarda la struttura temporale le prime scene del film mostrano Jake LaMotta in età avanzata che prepara uno dei suoi consueti spettacolini comici in un piccolo locale; segue un lungo flashback, che si chiude poco prima della fine, sulla sua precedente carriera di pugile.

Scorsese e il direttore della fotografia decisero di girare il film in bianco e nero per ragioni di autenticità temporale, dato che sia i filmati sia le foto degli incontri del periodo in questione (anni quaranta) erano in bianco e nero. In quest’ottica si inseriscono le riprese a colori sbiaditi del matrimonio di Jake e Viki, come ad indicare la novità tecnologica dell’epoca di cui potevano disporre i fotografi di matrimoni.

Capolavoro di Scorsese sull’America e sull’Italia, sulla vittoria e sul compromesso, sulla sconfitta e sull’ accettazione, sulla colpa e sulla redenzione, sono tanti i temi affrontati da questo “gioiello” di Scorsese che anche se l’apparenza può ingannare tutto è tranne che un film sul pugilato. Il maestro Martin può vantare poi di un De Niro in strepitosa forma (con questo film vinse proprio l’oscar), di un Joe Pesci sempre perfetto accanto al suo amico Bob e soprattutto di una montatrice, Thelma Schoonmaker(con questo film vinse l’oscar al montaggio), che probabilmente ha grandi meriti sul successo dei film di Scorsese, una delle migliori montatrici di sempre.

Adoro Scorsese e invito tutti a vederne l’intera filmografia. Non è solo il regista di film gangster, come molti, non conoscendo bene i suoi film, lo definiscono. Scorsese ha sfornato capolavori come Taxi driver, Fuori orario, L’età dell’innocenza, Re per una notte…Tanti sono i film che affrontano temi molto profondi, e gli stessi film gangster nascondono dei profondi significati oltre gli spari e gli schizzi di sangue.

Scorsese ha la forza di entrare nella psicologia dei personaggi e di farci empatizzare con loro come pochi registi sanno fare. Poi se gli attori in questione sono un De Niro prima, e un Di Caprio poi, è chiaro che il livello è altissimo.

 

Quali sono alcuni esempi di ottimi film in cui la trama non è rilevante?

Me ne viene in mente solo uno attualmente:

L’unico, l’immenso capolavoro del genio visionario di Kubrick. Un prodotto talmente particolare da non avere eredi.

“2001 - Odissea nello spazio” una trama ce l’ha anche, eppure sembra non ne abbia bisogno.

La vicenda della ribellione della macchina perfetta HAL rappresenta il frutto del superuomo positivo, e insieme il suo fallimento. Kubrick ci lascia sicuramente riflettere sulla volontà di destinare attitudini tipicamente umane (quindi imperfette) ad un oggetto che per stessa ammissione della pellicola dovrebbe, invece, essere perfetto. C’è la scelta di caratterizzare una macchina, che altro non è se non un insieme di calcoli matematici, con linguaggi, emozioni, umori e strutture cognitive tipicamente umane.

E infatti, ad un certo punto prova rabbia, si infuria con i suoi stessi creatori perché, intercettandone il labiale, capisce di avere vicina la sua fine. Elabora un piano, vuole giocare d’anticipo, sabota tutta l’operazione.

Da quel momento seguiranno poi le fatiche di Bowman, per tentare di fermare la cospirazione, e riprendere il comando dell’astronave.

Questa è sicuramente la parte più strutturata e canonica del film (in soldoni, la più comprensibile) ma è tutto ciò che viene prima e dopo a rendere grande Odissea nello spazio.

La distruzione della linearità del tempo, la scelta di parlare al subconscio e non all’intelletto dello spettatore (quasi portandolo all’esasperazione causa la lentezza e l’assenza di elementi logici tra loro). Il tema della nascita della civiltà che ha per madre la violenza, l’ormai celebre monolito nero, l’applicazione visiva dell’eterno ritorno (Kubrick prese molto in considerazione la filosofia di Nietzsche), senza dimenticare l’uso dei suoni stereofonici e della luce notoriamente psichedelica, tutti elementi che rendono grande quest’opera.

Insomma, questa pellicola pur nella sua antinarratività, nella destrutturazione del concetto di cinema, nella quasi totale assenza di parlato, nel finale enigmatico che porta in grembo il concetto di rinascita è sicuramente uno dei prodotti più memorabili del panorama artistico post-moderno, un prodotto che non ha paura della sua singolarità.

“Bisogna tramontare per poter rinascere”   F. Nietzsche

Breve curiosità:

Sembra strano vederlo in un film che è addirittura antecedente lo sbarco dell’uomo sulla luna, ma il genio visionario di Kubrick pare anticipare di qualche annetto casa Apple.

di  
GiuliaGib
 per quora.com

A Napoli girerò un film a episodi, tratto da una raccolta di racconti di Giuseppe Marotta

sofia loren e Vittorio De Sica"Interessante" diceva Vittorio De Sica, fingendo di seguire le mie parole. In realtà mi osservava con il suo terzo occhio, quello allenato a scovare l'attore dietro l'apparenza, il talento naturale dietro la banalità di un curriculum snocciolato con diligenza. Mentre mi affannava a fare bella figura, lui non si sbilanciava, restava fermo aspettando di capire. E io, per quanto onorata della sua attenzione, mi convinsi che non se ne sarebbe fatto nulla. "Torna cu' 'e piedi pe' terra, Sofi', 'e suonn' nun servono a niente" mi dissi. Eppure, avrei già dovuto sapere che niente accade se non si ha il coraggio di sognare.
Ed ecco, all'improvviso la sorpresa che taglia il mazzo e scopre la carta vincente. Quando ormai mi ero rassegnata, come un prestigiatore Vittorio mi spiazzò passando improvvisamente al tu: "Domani parti per Napoli girerò un film a episodi, tratto da una raccolta di racconti di Giuseppe Marotta, lo scrittore napoletano. Il cast è di eccellenza."
Io stavo lì a guardarlo stupefatta, come un bambino al quale si spalanca all'improvviso la porta di un negozio di giocattoli.
"Uno degli episodi ruota intorno a una ragazza che si chiama Sofia" continuò lui con una misteriosa tranquillità. "È tale e quale a te, non ci vuole un provino per capirlo. Ti faccio preparare il biglietto del treno."
Che dovevo fare? Gli dissi di sì.

Sofia Loren
da Terra mja

Film per scommessa

Ci sono film che nascono per scommessa e incuriosiscono come le sfide di varia specie. Nel cinema se ne sono visti più di uno. Ricordo un cortometraggio italiano degli anni Dieci in cui una storia d’amore e di adulterio era raccontata, filmando solo i piedi e le scarpe dei protagonisti: il primo incontro, la seduzione, la scoperta del marito, il duello con il rivale, la conclusione. Una prova di estrosità, innegabilmente.
In La spia di Russell Rouse, un thriller spionistico del 1952, la colonna sonora è riempita di musiche e rumori, ma non di parole, neanche una. Si sopprime il dialogo e il racconto è comprensibile dall’inizio alla fine con le sue giravolte e complicazioni. Delmer Daves in La fuga (1947) descrive l’evasione di Humphrey Bogart dalla prigione, condividendo il punto di vista del fuggiasco a lungo – almeno una ventina e più di minuti – finché, dopo aver superato svariati ostacoli, il protagonista, si imbatte in un conducente di taxi che lo mette nelle mani di un medico radiato dall’ordine professionale che lo sottopone a un intervento di chirurgia plastica per cambiargli i tratti fisionomici. Tolte le bende che coprono il volto di Bogart, la macchina da presa adotta la visuale oggettiva. Lo stesso procedimento è stato impiegato da Robert Montgomery in Una donna nel lago (1946), desunto dall’omonimo romanzo di Raymond Chandler. In questo caso, il film è interamente coniugato in prima persona, tranne un rapido prologo e un veloce epilogo e due brevissime immagini in cui Philip Marlowe si riflette in un paio di specchi. Come si vede, l’acclamatissimo The artist di Michel Hazanavicius, insignito dell’Oscar 2012, ha più di un precedente e ripropone gli stessi interrogativi che avevano suscitato gli altri film. Ci si domanda se ci sia una necessità espressiva per eliminare l’uso della voce, narrando di un divo al tramonto e di una giovane attrice, astro ascendente, mentre la rivoluzione del sonoro sconvolge Hollywood e il mondo del cinema. Ad essere schietti e immediati, non riesco a scorgerla, avendo il film la sua ragion d’essere in un esercizio mimetico, consistente nel dimostrare come sia possibile allestire un melodramma con l’appendice di un happy end, sfoderando modalità drammaturgiche, convenzioni linguistiche e stilemi di un’epoca lontana, tuttavia capaci ancora di reggere l’impatto con il pubblico odierno. Un’impresa mediata da un gusto cinefilo, consono a un approccio sentimentale e affettivo, adatto a un lavoro di ricalco. Un’esercitazione da eseguire senza contrappunto ironico o parodistico, ma nel compiacimento più assoluto per aderire in pieno all’essenza manieristica di un gioco fine a se stesso, che non per questo non richieda precisione di riferimenti, levità e pertinenza, una certosina cura dei particolari e ricostruzioni ambientali e atmosferiche insindacabili. Sono queste, virtù che The artist vanta, sfrutta e spreca in un intrattenimento che ha per scopo di “rifare il verso” a qualcosa che gli preesista e lo ispira a imitarne ritmi, movenze e contenuti piuttosto elementari. Scartando un’inclinazione critica e concependo il componimento come se fosse un’apparecchiatura tecnicistica, uno scherzo in punta di penna, un artifizio virtuosistico. Assente peraltro una impostazione metalinguistica, poiché per tale si spaccia soltanto l’autoreferenzialità, categorie, l’una e l’altra, diverse tra loro e non assimilabili. Quando eravamo studenti, io e i miei amici ci dilettavamo a scrivere qualche pagina alla maniera di Hemingway e di Caldwell per puro divertimento, ma non ci saremmo mai sognati di essere presi sul serio. Forse nemmeno il regista di The artist avrà avuto in principio pretese ambiziose, ma in parecchi gliene hanno prestate, rimanendo Hazanavicius un giocoliere che ha avuto abbastanza abilità per vincerla la sua scommessa, ma niente altro. Il film sta in piedi e risulta piacevole ai più, siano spettatori o critici, gli uni e gli altri troppo abituati a quel che scodella il convento per non accontentarsi facilmente e per scambiare lucciole per lanterne. Non azzarderei paragoni con Cantando sotto la pioggia di Stanley Donen e Gene Kelly (1952), che inquadrava con esattezza di appigli una fase di transizione e riversava un fresco umorismo sui tic e sui vizi del divismo e della Hollywood leggendaria, oltre ad allineare una fantasiosa parte coreografico-ballettistica tradotta in una forma cinematografica innovativa nel genere del musical. Né reggerebbe il paragone con la commedia teatrale di George Kaufmann e Moss Hart (sono gli autori di Non te li puoi portare appresso da cui nel 1938 Frank Capra ha tratto L’eterna illusione), Una volta nella vita (1930), la più scoppiettante, mordace e indiavolata satira dell’industria cinematografica americana all’indomani della proiezione di Il cantante di jazz nel 1927 (dalla pièce la Warner ha ricavato un film in cui recitava il comico Joe Brown). Nessun parallelismo possibile nemmeno con Hugo Cabret di Martin Scorsese. Non bastano il fascino stregante della fotografia in bianco e nero, l’eleganza dei costumi, i cappellini a cuffia, le vecchie automobili, la verosimiglianza dell’enfasi emanata dalle didascalie e le musiche e le canzoni del sex age e del jazz age e le sovrapposizioni, a spostare su un gradino più alto una operazione gratuita, calligrafica, che riceve legittimazione estetico-culturale in un clima di postmodernismo declinante eppur sempre confusionario. Sarei perciò cauto nel consegnare accrediti eccessivi a un film che nella sua epidermica gradevolezza ed effervescenza cova una crisi dell’inventiva, la pochezza in cui spesso si dibatte il cinema d’oggi, soprattutto quello che ha a cuore la cassetta.

Articolo di Mino Argentieri da cineclubroma.it Diari di Cineclub

 

Il vero significato del film Shutter Island

Shutter IslandShutter Island è il film in cui il regista Martin Scorsese mette Leonardo DiCaprio di fronte a un personaggio che deve affrontare demoni personali all'interno di un manicomio. Shutter Island è spesso considerato uno dei film più deboli della lunga carriera di Martin Scorsese, presentato fuori concorso al Festival di Berlino. Il film, infatti, fu accolto con opinioni discordanti anche dalla critica statunitense: non è un caso se Shutter Island è l'unico film del duo Scorsese-DiCaprio a non aver ricevuto nessuna nomination ai premi Oscar. In realtà, Shutter Island - tratto dal romanzo omonimo Dennis Lehane - è una pellicola affascinante e complesso, che cattura l'attenzione dello spettatore su molteplici livelli, già a partire dalle tematiche affrontate.

Leggi tutto: Il vero significato del film Shutter Island

The New Age (Nuove tendenze) di Michael Tolkin

Che cosa ha fatto il cinema per Michael Tolkin? Chiedetevi piuttosto che cosa può fare Michael Tolkin per il cinema. Ha sceneggiato, per prima cosa. The New Age — Nuove tendenze (The New Age) Regìa: Michael Tolkin Orig.: U.S.A., 1994 Sogg. e Scenegg.: Michael Tolkin. Fotogr.: John H. Campbell. Musica: Mark Mothersbaugh. Mont.: Suzanne Fenn. Scenogr.: Robin Standefer. Costumi: Richard Shissler. Suono: Stephen Halbert. Interpr.:Peter Weller (Peter Witner), Judy Davis (Katherine Witner), Patrick Bauchau (Jean Levy), Corbin Bernsen (Kevin Bulasky), Jonathan Hadary (Paul Hartmann), Patricia Heaton (Anna), Samuel L. Jackson (Dale Deveaux), Audra Lindley (Sandi Rego), Paula Marshall (Alison Gale), Maureen Mueller (Laura), Tanya Pohlkotte (Bettina), Bruce Ramsay (Misha), Rachel Rosenthal (Sarah Friedberg), Sandra Seacat (Mary Netter), Susan Traylor (Ellen Sal-tonstall), Adam West (Jeff Witner). Prod.: Nick Wechsler e Keith Addis, per Regency Enterprises lAlcor Films Ixtlan Addis-Wechsler prod. Distr.: Warner Bros. Durata: 112 min. Due coniugi in crisi nella Los Angeles del jet-set. Lui perde il suo lavoro da mezzo miliardo all'anno per vivere, lei deve abbandonare la sua vita agiata. Per guadagnare e rimanere nell'alta società, aprono un pretenzioso negozio di moda dal nome "Hyppocratie". Dopo i primi successi, l'iniziativa ben presto fallisce e il buco nell'acqua li isola ancora di più nella crudele Beverly Hills. Non rimane altro da fare, allora, che affidarsi a santoni e medium e, forse, suicidarsi. Che cosa ha fatto il cinema per Michael Tolkin? Chiedetevi piuttosto che cosa può fare Michael Tolkin per il cinema. Ha sceneggiato, per prima cosa. Ha scritto un film ( Gleaming the Cube di G. Clifford) già atipico per un pubblico statunitense che non si aspettava quel tipo di film, figuriamoci in Italia dove è stato intitolato California Skate ed è passato quasi solo in Tv, confuso e contestualizzato alle serate dedicate al film giovanilistico (bikini-movies, skate-movies, la filmografia di Sam Firstenberg, etc.). Poi si è diretto il suo film, il cupissimo The Rapture, da noi uscito solo in videocassetta. Il titolo Sacrificio fatal e, dove il suffisso "-ale" serve a guadagnare tre o quattro spettatori stanchi che sperano nel solito innocuo giallo made-for-cable e a dare vaghe suggestioni mistico-omicide. Poi, l'incontro con Altman, per I protagonisti, dove il taglio antropologico/tribale del romanzo di Tolkin si è ben innestato nell'allegoria corale altmaniana. Tutta questa divagazione non dispiacerebbe comunque a Tolkin, visto che The New Age è un film su e per la divagazione, dove non c'è spazio per il centroflessismo, e la dinamica del divertimento e dell'hobby contamina ed "infetta" il mondo del dovere e del lavoro. La tensione dialettica su cui vive il film riguarda il dentro ed il fuori, il dentro per le tendenze neo-irrazionaliste e semi-pagane in cui si tuffano i protagonisti del film, alla ricerca di (fuga dalla) auto-coscienza (a proposito, in Italia il film ha come sottotitolo Nuove tendenze vanificando il senso sottilmente metastorico e ironico di "age"), che però somiglia terribilmente ad un cupio dissolvi (confermata dal finto suicidio finale, in fondo paradossalmente rito iniziatico attraverso l'assunzione di uno yogurt/veleno da società delle merci sofisticate); il fuori perché è in esso che i due coniugi protagonisti devono affermarsi, alla ricerca della monetizzazione del loro (alto) status sociale, da confermare pena l'espulsione di tipo tribale/ totemico dalla confraternita dei ricchi west toast. Il negozio che comprano (chiamato con lo straordinario neologismo di "ippocrazia") è una prigione e da dentro attendono clienti, continuamente spiando fuori, un marciapiede vago, anonimo, qualunque, quasi del tutto attanziale. Tolkin infatti, nel suo mondo polimorfo e mutante, non crede molto, mette in scena archetipi dell'orribile tempo contemporaneo (o futuro?) e chiude claustrofobicamente l'inquadratura attorno ai due coniugi. Nella sua Los Angeles non c'è isteria e foll(i)a, c'è solo una pan-nevrosi contaminante e assolutizzante. Quasi tutte le scene sono auto-sufficienti, viene eluso ogni movimento causa/effetto, come se fosse finita l'umanità e rimasto solo il delirio con due o tre sopravvissuti (anche i party assomigliano a funzioni religiose di tipo misterico, con pochi adepti, più che alle immense "macchine da cocktail" cui siamo abituati nel cinema americano). Lo spazio/libertà giunge solo durante la separazione della coppia (che sancisce peraltro soltanto l'inizio di una serie di esperienze sensoriali malriuscite nell'enorme tempio-Beverly Hills che contiene tutti i riti e tutte le confessioni) e poi si restringe di nuovo fino a minacciarne la vita (ancora il suicidio incombente). Quale impiego/ruolo migliore allora (per P. Weller) del venditore via telefono di falsi viaggi per false lotterie? (A differenza dei venditori incarogniti di Americani, nel new age anche fregare il cliente avviene per telefono o telefonino come ennesimo surplus finzionale). A fianco di attori dagli occhi così glacialmente blu da sembrare volutamente cyborg (che la ritualità delle neo-religioni sia l'unica via possibile alla coscienza per replicanti che Deckard non ha trovato?) riscopriamo l'ingrassato Patrick Bauchau già (e ancora) Fritz Munro/Monroe in Lo stato delle cose e Lisbon Story, nei panni di un santone belga che predica di seguire la propria strada e di "vivere con la domanda", vox clamantis ridicola e grottesca (più o meno il ruolo odierno del censore Wenders). Chiedersi quanto c'è di intenzionalmente grottesco e quanto di realmente malriuscito in questo film non avrebbe senso. E una onirica parabola americanologica, con una tale parade di stravaganze, tra guru mistico-psichedelici, orge tra tatuati, culti misterici da mitologia metropolitana, freaks e feste sulfuree da ricordare l'ultimo, abrasivo e raggelante, Bret Easton Ellis, solo più senile e meno disperatamente mortuario. Il paragone sia perdonato, visto che Tolkin, anche se poli-artista, fa pur sempre parte della scena letteraria nord-americana, innegabilmente però lontano dall'orizzonte di nascita dei neo-minimalisti Un'ultima annotazione: il produttore è Oliver Stone, evidentemente attirato dalla quantità di suggestioni para-buddiste, presenti nel film (c'è pure la solita sequenza da allucinogeni nel deserto, come in The Doors e NBK).
da Segnocinema n.73

GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK di George Clooney

Titolo GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK (Idem - Francia/Giappone/G.B./U.S.A. - 2005) Regia: George Clooney Interpreti: George Clooney, David Strathairn, Alex Borstein, Robert Downey Junior Soggetto George Clooney, Grant Heslov Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov Fotografia: Robert Elswit Costumi: Louise Frogley Scenografia: James D. Bissell Montaggio: Stephen Mirrione Durata 1 h 30min

Il film La storia vera del conflitto tra Edward R. Murrow, un famoso anchor man del giornalismo TV, e il senatore Joseph McCarthy responsabile della "caccia alle streghe" contro i comunisti. Nonostante le intimidazioni e le minacce di morte, Edward riuscirà, anche grazie all'appoggio del produttore della CBS, a liberare l'America dal fanatismo del maccartismo.

Il regista Figlio del giornalista Tv Nick Clooney, George Clooney è più noto come attore che come regista. Nel 1994 viene scelto per interpretare il dottor Doug Ross nella serie "ER". Il telefilm ottiene un grande successo e l'attore diventa molto popolare. Ha fondato con Soderbergh una società di produzione (Section Eight) con la quale ha prodotto nel 2003 il suo primo film da regista (Confessioni di una mente pericolosa).

I commenti dei critici Un film corroborante. secco, quasi un esercizio di stile impeccabile (...) ti fa sedere e ti dice, dai su, guardami, con quel sax, quella notte, quel bianco e nero, quelle facce, quegli anni in America dei primi anni '50, e quel titolo "Good Night, and Good Luck", regia di George Clooney. Un omaggio a un giornalista, Edward R. Murrow, che si è battuto contro la caccia alle streghe del senatore McCarthy, un persecutore che sbandierava il comunismo come scusa. Da conservare nella memoria per l'interpretazione di David Strathairn (Coppa Volpi a Venezia), per la fotografia di Robert Elswit, perché è un buon atto d'accusa contro i modi sventati di fare tv e per questa frase: "la nostra storia sarà quella che vogliamo che sia". (Gianluca Favetto - la Repubblica - settembre 2005)

I commenti dei critici (...) Sulla base di sofferte esperienze familiari, Clooney immerge in un bianco e nero che si fonde perfettamente, e in qualche passaggio miracolosamente, con rari e preziosi inserti d'epoca la strenua campagna giornalistica che l'anchorman televisivo E. R. Murrow conduce contro le crociate del senatore Joseph McCarthy. Siamo tra il 1953 e il 1954. quando il grossolano presidente del famigerato Comitato per le Attività Antiamericane è all'apogeo della sua caccia alquanto paranoica a tutti coloro che potrebbero avere avuto dei contatti con il semiclandestino partito comunista locale. Mirabilmente interpretato dal segaligno David Strathairn (circondato da altri attori da applausi, tra cui lo stesso Clooney), il giornalista della CBS non nutre - come avvenne nella realtà - la minima simpatia per le idee dei sospettati (...) quello che gli sta a cuore e per cui è disposto a rischiare il posto e persino a destabilizzare i meccanismi commerciali nel network è l'inammissibilità delle persecuzioni senza prove, la tutela dei diritti civili e, soprattutto, il principio costituzionale del diritto al dissenso. (Valerio Caprara - Il Mattino - settembre 2005)

Note La virgola del titolo sta ad indicare la pausa che il conduttore del programma TV, Edward Murrow, faceva nel pronunciare le parole di saluto al termine della sua trasmissione.

 

IN HER SHOES - SE FOSSI LEI di Curtis Hanson

Titolo: IN HER SHOES - SE FOSSI LEI (In Her Shoes - U.S.A. - 2004) Regia: Curtis Hanson Interpreti Cameron Diaz, Toni Collette, Shirley MacLaine Soggetto tratto dal Bestseller "A letto con Maggie" di Jennifer Weiner Sceneggiatura Susannah Grant Fotografia Terry Stacey Costumi Sophie De Rakoff Carbone!! Scenografia Dan Davis Musica Mark Isham Montaggio Craig Kitson, Lisa Zeno Churgin Effetti Speciali John C. Hartigan, Kirk Tedeski Durata 2h 10min Il film Rose e Maggie sono sorelle ma non potrebbero essere più diverse tra loro. Rose è un avvocato in carriera, sogna da sempre di incontrare un uomo che le sciolga i capelli, le tolga gli occhiali e le dica che è bellissima. Maggie, è più giovane di Rose, non ha un impiego fisso, ha un corpo perfetto e scarta gli amanti come fossero caramelle. Il regista Ha lavorato per la rivista 'Cinema' prima di dedicarsi alla sceneggiatura e alla regia. Nel 1978 ha scritto la sceneggiatura del film "L'amico sconosciuto". Nel 1982, con lo scomparso Samuel Fuller, ha scritto la sceneggiatura di "Cane bianco", e un anno dopo quella di "Mai gridare al lupo", di Carroll Ballard. Nel 1987 ha diretto "La finestra della camera da letto", di cui aveva scritto la sceneggiatura. Sono seguiti poi due thriller, "Cattive compagnie" (1990) e "La mano sulla culla" (1992). Nel 1994 ha diretto "River Wild - Il fiume della paura". Nel 1997 ha diretto, prodotto e scritto "L.A. Confidential", tratto dal romanzo di James Ellroy, vincitore, fra l'altro. di un Oscar per la miglior sceneggiatura e uno per la miglior attrice non protagonista (Kim Basinger). I commenti dei critici Curtis Hanson è tra i pochi registi che a Hollywood ancora crede nel cinema dei personaggi, delle storie, nel cinema che si costruisce lentamente (non significa praticare un cinema lento e tedioso), con dettagli, dialoghi, scene di paesaggio, raccordi che esplorano il plot. La complicità, l'interdipendenza, il dissidio, l'emulazione, lo scacco emotivo e la lacerazione tra due sorelle sono materie affascinanti e difficili per lo schermo. La fisiologia del rapporto sororale deborda facilmente nella patologia psicanalitica. È un tema che richiede una buona sceneggiatura, personaggi-modello strutturati e conosciuti, un cast credibile, una regia accorta sensibile a tenere sotto controllo la temperatura emotiva, a condensare e diluire gli slittamenti del rapporto. (...) (Enrico Magrelli - Film TV - novembre 2005) I commenti dei criticiConsigli per chi voglia gustare serenamente "Se fossi lei", titolo inglese più carino " In her shoes". Lasciare a casa: a) fidanzato, marito, amico, qualsiasi maschio e andare al cinema tra ragazze; b) ogni sovrastruttura critica, concedendosi una vacanza dai propri cinegusti intellettuali. Dopodiché, buon divertimento. Si parte infatti da una fiaba, diventata un mito molto cara alle donne, quella di Cenerentola: che qui raddoppia, perché le Cenerentole sono due, due sorelle di Philadelphia di buona famiglia ebrea. Una è Maggie. Cameron Diaz, sottile. molto graziosa, molto sexy e vestita succintamente: Cenerentola perché è dislessica, non trova lavoro e gli uomini la prendono e la lasciano come un oggetto. L'altra è Rose, Toni Collette, avvocato, gran lavoratrice, buon guadagno: Cenerentola perché è piena di complessi, è sovrappeso e non riesce ad avere una vita sentimentale. (...) Principi azzurri? ci vorrebbero, ma non contano, sono insignificanti, pretesti per battute. Come in tutti i film per signore, le quali non vogliono più sognare il bel divo ma immedesimarsi nei personaggi femminili. Prima perdenti e poi vincenti. (...) (Natalia Aspesi - la Repubblica delle donne - novembre 2005)

THE INTERPRETER di Sydney Pollack

Titolo: THE INTERPRETER (Idem - G.B./U.S.A. - 2005) Regia: Sydney Pollack Interpreti: Nicole Kidman, Sean Penn, Catherine Keener, Yvan Attal Soggetto: Martin Stellman, Brian Ward Sceneggiatura: Charles Randolph, Scott Frank, Steven Zaillian Fotografia Darius Khondji Costumi Sarah Edwards Scenografia Jon Hutman Musica James Newton Howard Montaggio William Steinkamp Effetti speciali R. Bruce Steinheimer, Jon Farhat Jerry Pooler Durata 2h 8min Il film: Silvia lavora come interprete nella sede delle Nazioni Unite a New York. È una donna colta e raffinata, che ha girato il mondo, anche se nasconde tra le pieghe del suo passato qualcosa che le ha instillato un forte dubbio nei confronti della società. Un giorno, casualmente, ascolta una conversazione segreta e viene a conoscenza del complotto per assassinare il presidente di Matobo. Si trova a dover fare i conti con un poliziotto cinico, reduce da una dolorosa storia d'amore. I due provengono da mondi diversi e le loro idee sembrano essere inconciliabili ... Il regista: Regista. produttore e attore. E' un esponente del cosiddetto "New Hollywood". un filone artistico caratterizzato da una visione pessimistica della realtà. Nei suoi film viene accentuata la rievocazione amara del passato e il disinganno del presente. Viene considerato uno dei registi di successo culturalmente impegnati. I suoi film sono caratterizzati da un'accuratissima fotografia a colori. I commenti dei critici: (...) Così Sydney Pollack, uno dei più grandi registi americani di sempre, quando racconta come è riuscito ad ottenere ciò che anche ad Alfred Hitchcock era stato rifiutato: girare un film dentro il palazzo dell'Onu. E quel palazzo, in una zona periferica di Manhattan, è il terzo protagonista di "The Interpreter" (...) è una bella scommessa quella che il 71 enne Sydney Pollack gioca e vince con questo film: aggiornare le atmosfere inquietanti del "Condor" girando un film moderno, anzi, post-moderno; con tutti tic del cinema d'oggi. con lo stile nervoso e senza respiro imposto anche da una sceneggiatura molto piena, che fatica a stare dentro ai minuti canonici. Ottenendo un thriller che sembra classico e non lo è: quando lo vedrete, fate caso a come cambia continuamente ritmo, distendendosi nelle sequenze in cui Penn e la Kidman sono in scena insieme, e diventando frenetico quando si tratta di costruire la complessa trama che circonda il rapporto fra i due. Spesso il montaggio fa sì che ogni scena contenga un'altra scena (...) (Alberto Crespi - l'Unità - ottobre 2005) I commenti dei critici: (...) Un tentativo di fare del buon vecchio cinema e un perfetto gioiello dark. `The Interpreter" di Sydney Pollack è Nicole Kidman, con accanto Sean Penn; un'interprete, come dal titolo, dell'Onu e un agente dei servizi segreti. Lei traduce, lui indaga, il resto non importa tanto. Il resto serve a fare spettacolo: l'infanzia e l'adolescenza in Africa di lei, nonché la sua malinconia, la moglie di lui morta in un incidente automobilistico e il suo cinismo stanco, una conversazione ascoltata per caso. un crudele dittatore africano che dovrebbe finire al tribunale dell'Aja, un autobus che esplode a New York. Rimane il fatto che Kidman e Penn sono una bella coppia, e possono bastare. (...) (Gianluca Favetto - la Repubblica - novembre 2005) Note: In un centro linguistico inglese e' stata elaborata una nuova lingua tra lo swahili e lo shona, due lingue africane simili. La lingua di Matobo è stata chiamata "ku" e la Kidman ha imparato a parlare correntemente questa lingua che non esiste.

Il Film dal cinema a casa: Differenze d’immagine

A volte capita che, per la versione in video i film vengano modificati: si tagliano scene di sesso, violenza, dialoghi eccessivamente offensivi.

Se pensiamo alla versione TV de “Il silenzio degli Innocenti”, (Jonathan Damme, 1991) contiene ad esempio scene diverse rispetto a quella distribuita al cinema.

Viene utilizzata la Compressione dei Tempi, che accelera impercettibilmente la velocità del film al fine di inserirvi al suo interno spot pubblicitari.

Alcune scene vengono ridoppiate…

Spesso anche film destinati al noleggio di videocassette vengono revisionati; le colonne sonore possono essere sostituite a causa dell’impossibilità di negoziarne i diritti.

Differenze notevoli si notano tuttavia nel formato d’immagine adattata allo schermo televisivo.

Solo in casi rari infatti la versione video rispetta il formato originale disponendo bande nere sopra e sotto l’immagine: si tagliano cioè porzioni dall’immagine originale, spesso sino al 50%.

E’ il tecnico che decide quali porzioni dell’immagine eliminare.

A volte decide di ricavare inquadrature distinte da quella che in origine era una inquadratura unica alterando così la versione originale del film.

Per questa ragione alcuni registi girano già in funzione del formato televisivo, concentrando l’azione importante nell’area che resterà intatta poi per la versione in video.

Ad esempio, James Cameron ha girato il “Titanic” (1997) tenendo conto della distribuzione in videocassetta in modo tale che le scene più intime soffrissero meno delle sequenze più spettacolari.

Da qualche tempo tuttavia, la diffusione dei DVD fornisce allo spettatore sempre più opzioni; e così all’interno dell’inquadratura è possibile vedere o meno le bande nere.

articolo di Diana Rodi

Rassegna: GUERRA ALLA GUERRA, GUERRA ALLA PACE SOCIALE

IlMioNemicoNEMICO MIO Regia di Wolfgang Petersen. Un film con Louis Gossett Jr., Brion James, Dennis Quaid, Richard Marcus, Carolyn McCormick. Cast completo Titolo originale: Enemy Mine. Genere Fantascienza - USA, 1985, durata 108 minuti.
UN FILM ORMAI INTROVABILE, ASSOLUTAMENTE SOTTOVALUTATO, MA UN CULT ED UN INNO AL PACIFISMO
Siamo nella seconda metà degli anni Duemila. Il terrestre Davidge, incurante degli ordini, si scaglia con la sua astronave all'attacco di una navetta entrata nell'orbita della stazione spaziale, ma dopo un furibondo scontro, precipita con il suo nemico sul pianeta Fyrine IV, abitato da mostriciattoli carnivori. Il nemico di Davidge è un Dracon, essere unisex proveniente da una lontana galassia: ben presto i due naufraghi dello spazio capiscono che l'unico modo per sopravvivere è cessare le ostilità e allearsi. Dopo essersi salvati la vita a vicenda, Davidge e il Dracon si rifugiano in una grotta, nella quale il Dracon muore dopo aver partorito un piccolo Drac. Film rarissimo, praticamente disperso banché sia stato girato da Petersen già autore de La Storia Infinita, La Tempesta Perfetta, e Troy tra i tanti blockbuster. Tratto da un toccante racconto breve di Barry Longyear, pubblicato nel 1980 in Italia da Mondadori nella Rivista di Isaac Asimov, il film - girato con pochi mezzi - perde qualcosa rispetto al testo originale. Sottovalutato dalla critica e accolto tiepidamente dal grande pubblico, viene tuttavia tenuto in grande considerazione dagli appassionati del genere. È un vero inno alla pace uno di quei film che ci hanno fatto credere che l'Occidente fosse vaccinato contro la guerra

A HISTORY OF VIOLENCE di David Cronenberg

A HISTORY OF VIOLENCE di David CronenbergTitolo: A HISTORY OF VIOLENCE (Idem - U.S.A. - 2005) Regia: David Cronenberg Interpreti: Viggo Mortensen, Maria Bello, Ed Harris, William Hurt Soggetto: tratto dal fumetto "Una storia violenta" di John Wagner disegnato da Vince Locke (Ed. Magic Press) Sceneggiatura: Josh Olson Fotografia: Peter Suschitzky Costumi: Denise Cronenberg Scenografia: Carol Spier Musica: Howard Shore Montaggio: Ronald Sanders Effetti: Neil Trifunovich, Aaron Weintraub, Mr. X Inc Durata: 1h 35min. Il film:  Tom Stall vive tranquillo e felice con la moglie e i suoi due bambini. Ma la loro idilliaca esistenza va in pezzi quando una notte Tom sventa una rapina nel suo ristorante uccidendo i due criminali. La vita di Tom cambia dopo quella notte, tutti lo considerano un eroe, ed inutilmente Tom cerca di ritornare alla vita normale ... ma non è detto che tutto sia come appare.  Il regista:  Figlio di un giornalista-scrittore e di una pianista, si laurea in letteratura inglese presso l'Università di Toronto dopo aver abbandonato gli studi al Dipartimento Scientifico. Fin da bambino scrive brevi racconti intrisi di mistero. E' considerato il maestro assoluto di un cinema mutante e visionario, è stato anche definito come un "depravato, un sovrano dell'horror venereo, un barone amante del sangue". In realtà è un inventore di visioni cinematografiche nuove nello stile e nella scelta dei soggetti.  I commenti dei critici: Se il plot ricorda i vecchi western dove l'eroe in ritiro si trova faccia a faccia con lo proprio passato, Cronenberg fa subito piazza pulita di ogni giustificazionismo per mettere in scena una parabola sulla natura ontologica, genetica della violenza. Ogni tipo di violenza -legittima, sessuale, scolastica, mentale - è descritta con un approccio minuzioso, quasi clinico; cui corrisponde l'estrema precisione di ogni dettaglio della messa in scena, dalle singole inquadrature ai movimenti di macchina, dall'illuminazione al montaggio. (...) (Roberto Nepoti - la Repubblica - dicembre 2005)  I commenti dei critici: Un film da non perdere. Dal grande Cronenberg ancora un discorso sui difficili traslochi di identità, travestito da western di serie B, ma che sembra scritto da Camus dopo aver visto "La legge del Signore" (...) Harris e Hurt sono una super coppia di vilain, il finale con la famigliola pronta alla felicità è crudele, Mortensen ha una dose perfetta di ambiguità. Da vedere. (Maurizio Porro - il Corriere della Sera - marzo 2006)  I commenti dei critici: (...) " A History of Violente" traduce sullo schermo un romanzo grafico, una sorta di fumetto. elevandolo al rango di letteratura. (...) Cronenberg usa, come mai aveva fatto prima, gli stilemi del cinema di genere, che alcuni ritengono erroneamente incompatibile con i canoni di autorialità. Il genere è quello del noir, che Cronenberg usa in modo piuttosto libero, rinunciando agli effetti neo-espressionisti, importati in America dai cineasti tedeschi, emigrati all'avvento di Hitler. Se un paragone col noir classico vale, riguarda tutt'al più i film che Fritz Lang girò a Hollywood, vicini alla tragedia classica. Sulla vicenda regna un senso quasi matematico di ineluttabilità. che trascende la moralità dei personaggi (...) Un ineluttabilità che imporrebbe, come nelle tragedie e nei film di Lang, l'esito infelice della vicenda. Invece Cronenberg adotta un finale in apparenza lieto, che rifiuta la catarsi. Quindi molto più inquietante. (Callisto Cosulich - Avvenimenti - marzo 2006)  Note: Nella maggior parte dei film di Cronenberg, i costumi sono curati da sua sorella Denise.

da ilclubdelcinema.com

IL CINEMA RITROVATO FUORI SALA Il progetto per “riscoprire” almeno 15 film al mese

Vita da cani web 640x300Contrariamente al luogo comune sulla perenne crisi del cinema, quello di film è, da diverso tempo, il principale consumo culturale e ha superato abbondantemente quelli di musica, libri, teatro, sport, musei e mostre, ecc. In crisi è il sistema delle sale cinematografiche. Secondo una ricerca del 2018, Sala e salotto, patrocinata dall’Anica, la principale associazione delle imprese cinematografiche e audiovisive, in Italia solo il 2% degli atti di visione di un film avviene in una sala cinematografica e rappresenta la piccola punta della piramide stratificata della visione. Di fatto il 98% dei film si vede sulle tv generaliste o su canali digitali gratuiti, sulle tv a sottoscrizione, tramite piattaforme online, in abbonamento o con pubblicità, ricorrendo alla pirateria, mediante dvd o acquistando singoli spettacoli.  Questa è la situazione. La chiusura delle sale dovuta alla pandemia ha quindi accentuato non provocato un fenomeno già esistente da anni per cui, nel 2020, è quasi certo che la percentuale di visioni di film in sala sarà attestata sotto l’1%.

Parlando di cinema ci sono altri due dati di cui in genere non si tiene conto: il 98% dei titoli potenzialmente disponibili in Italia non può essere visto in una sala cinematografica (perché non ha distribuzione) e il 92-95% di tutti i film prodotti dal 1895 a oggi fa parte del patrimonio cinematografico, cioè di tutti film prodotti esclusi quelli degli ultimi 10 anni (definizione utilizzata negli studi e ricerche dell’Ue). Il primo dato è stato ribadito da Gianluca Guzzo, amministratore della piattaforma online Mymovies, in occasione di un recente incontro pubblico per festeggiare i primi vent’anni della piattaforma stessa. L’altro è un calcolo per approssimazione basato sui dati disponibili. Entrambi dimostrano che la maggior parte dei film prodotti sono finora inaccessibili, sia per il consumo commerciale che per quello culturale, e non sono certamente accessibili tramite le sale.

Posto che la pandemia ha accentuato una crisi delle sale già esistente, ha però privato il sistema cinema di un potente veicolo di promozione, in quanto era a principalmente a partire delle proiezioni in sala che il sistema dei media era organizzato per parlare di cinema. La vera rivoluzione prodotta dalla pandemia, oltre al boom delle piattaforme online, che ha modificato la rilevanza dei vari strati della piramide della visione di cui sopra, è stata quella dei festival. Costretti a trasformarsi in manifestazioni online, hanno acquisito una visibilità che prima non avevano, stanno scoprendo nuovi pubblici, da locali diventano fruibili a livello nazionale e, a volte, europeo e mondiale, e incrementano il loro valore come strumenti per la promozione dei film, che ormai passano direttamente dalla presentazione in un festival alla fruizione casalinga, senza il passaggio in sala.

L’effetto però più sorprendente, dovuto al Covid-19, di questa rivoluzione del sistema cinematografico e audiovisivo, alla quale tutti noi assistiamo e partecipiamo, è la nuova vita delle cineteche. Archivi, sconosciuti e ignorati dal grande pubblico, che curano quel 90% di cinema che è il patrimonio cinematografico, frequentati finora da studiosi o da autori in cerca di materiali da inserire in film e documentari, hanno cominciato durante il periodo della clausura a rendere disponibile gratuitamente il loro patrimonio, organizzando vere e proprie rassegne. In pochi mesi hanno acquisito familiarità con l’uso delle tecnologie dello streaming. Sono adesso in grado di trasformarsi e gestire canali tematici alternativi e di qualità che si potrebbero inserire in poco tempo in quella piramide della visione dei film che ha alla base ancora le televisioni generaliste e i canali digitali gratuiti e al vertice le sale.

La Cineteca di Bologna è da anni la più importante cineteca italiana, a parte, forse, la Cineteca Nazionale di Roma. Dispone di uno dei più prestigiosi laboratori a livello mondiale per il restauro dei film, L’immagine ritrovata, che ha ormai persino delle sedi all’estero. Ogni anno organizza uno dei più importanti festival internazionali italiani Il Cinema Ritrovato, giunto nel 2020 alla 34a edizione, dedicato particolarmente ai film del e sul patrimonio cinematografico. Il festival nel 2020 è stato il primo festival importante che si è svolto in presenza dopo la riapertura delle sale, a fine agosto invece che a fine giugno, subito prima della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

........................

Il paradosso, poi, continua perché, dopo l’esperienza online, la Cineteca di Bologna, consapevole che la maggior parte dei film della storia del cinema è introvabile e che anche titoli famosissimi sono misteriosamente non reperibili in rete o visibili solo attraverso copie illegali e di ignobile qualità, ha deciso di rendere, da effimero che era, permanente Il Cinema ritrovato, avviando il progetto Il Cinema ritrovato fuori sala.

Ogni mese Il Cinema ritrovato fuori sala arriverà nelle case degli spettatori grazie alla piattaforma mymovies con un programma di non meno 15 film di lungometraggio. Tutti i film saranno presentati nella migliore versione possibile e introdotti da critici, esperti, registi e testimoni. Il primo programma è disponibile fino al 17 gennaio 2021 e comprende 16 lungometraggi e un totale di 142 titoli tra lungometraggi, corti, documentari e introduzioni ai film.

Si comincia con le versioni restaurate di due film italiani del 1950 ambientati entrambi nel mondo dell’avanspettacolo: il primo film di Federico Fellini, co-diretto con Alberto Lattuada, Luci del varietà, e Vita da cani diretto da Mario Monicelli, con Aldo Fabrizi che praticamente interpreta se stesso.

Saranno disponibili le versioni integrali e non censurate di due film di Marco Ferreri con Ugo Tognazzi, L’ape regina, dove Marina Vlady consuma letteralmente il marito pur di rimanere incinta, e La donna scimmia, nel quale un marito sfrutta la pelosità della moglie per esibirla a pagamento. Di quest’ultimo film si potranno vedere tre finali diversi, quello della versione italiana censurata, quella non censurata e la versione francese.

Per Natale verrà presentata una selezione di materiali d’archivio della Cineteca di Bologna, dalla star del muto Cretinetti, alle immagini del Natale italiano degli anni Sessanta e Settanta.

Dalla Francia provengono due opere con Jean Gabin, un film da riscoprire, Le Plaisir di Max Ophuls e un noir, tratto da un romanzo di Simenon, La verità su Bèbé Donge, firmato da Henri Decoin.

Non potevano mancare, visto il periodo natalizio, due classici con Charlie Chaplin, Gold Rush – La febbre dell’oro e City Lights – Luci della Città.

La biografia del pittore Toulouse-Lautrec ambientata nella mitica Parigi della Belle Époque è raccontata in Moulin Rouge diretto da John Huston, ancora oggi un esempio straordinario di sofisticata utilizzazione del colore al cinema.

.........................

In occasione del compleanno del cinema (28 dicembre) Thierry Fremaux, direttore del Festival di Cannes, illustrerà i primi film dei fratelli Lumière restaurati da L’Immagine ritrovata. Per il pubblico italiano: la voce narrante è quella di Valerio Mastandrea.

Sono anche in programma dieci documentari di Vittorio De Seta, definito da Martin Scorsese “un antropologo che si esprime con la voce di un poeta”, che descrisse con la sua cinepresa un mondo in via di estinzione nel Sud Italia.

Lo stesso Martin Scorsese sarà presente con un documentario del 2014, provocatorio, eccentrico ed incendiario, The New York review of books, nel quale ripercorre la storia letteraria, politica e culturale della celebre rivista.

........................

Oltre alle qualità delle copie dei film, integrali e restaurate, uno dei valori aggiunti del programma sono le presentazioni dei film, curate dallo stesso Gianluca Farinelli, da Thierry Fremaux o da critici ed esperti come Paolo Mereghetti e Goffredo Fofi.

Il Cinema ritrovato fuori sala è un esperimento che durerà sei mesi. Saranno mesi cruciali per scoprire come evolverà ulteriormente il mondo del cinema, quello dei festival, che potrebbero cominciare a distribuire i film, e quello delle cineteche, che non si limiteranno a conservarli.


Articolo di  Ugo Baistrocchi  per  IlSussidiario.net 
Foto: una scena del film "Vita da cani"

ECCO PERCHÉ IL CINEMA ITALIANO NON FUNZIONA di Daniele Luttazzi

E ora, per la serie "La mia abilità indiscussa di fare terra bruciata intorno a me", la posta della settimana.  Caro Daniele, volevo andare al cinema a vedere qualche film italiano e mi sono reso conto che non ce n'era uno che mi attirasse. Come mai? (Luciano F.)  

Leggi tutto: ECCO PERCHÉ IL CINEMA ITALIANO NON FUNZIONA di Daniele Luttazzi

CIAK, MI GIRA – UN’ALTRA GIORNATA DI SALE VUOTE

vicini di casa 1756651 tnUn’altra giornata di “nuddu miscatu cu nnenti” si direbbe in un film siciliano. Cioè di sale vuote e poche sorprese, malgrado le tante uscite di film nuovi in gran parte arrivati da festival importanti. Vabbè: Primo posto con 71 mila euro per “Vicini di casa” di Paolo Costella con Claudio Bisio e Vittoria Puccini. Però… Gli spettatori sono 10.738 chiusi nella bellezza di 414 sale, cioè in tutto un giorno ben 25 spettatori a sala!

Leggi tutto: CIAK, MI GIRA – UN’ALTRA GIORNATA DI SALE VUOTE

FULL METAL JACKET film di Stanley Kubrick

Full Metal Jacket di Stanley KubrickArruolare, mettere in uniforme, ovvero uniformare l'aspetto, la materia fisica e cerebrale di un giovane uomo. Denudandolo, ovvero togliendogli ogni difesa, e mettendolo sull'attenti, allineato all'infinita schiera del reclutamento; quindi mitragliarlo con un turpiloquio "macho" impietoso, assordante come un'esplosione, sibilante come i proiettili (Kubrick ha curato personalmente il doppiaggio per garantire il ritmo e la sonorità esplosiva della recitazione).

Leggi tutto: FULL METAL JACKET film di Stanley Kubrick

Brividi d’autore per Maria Grazia Cucinotta… al cinema!

Uscirà prossimamente nelle sale italiane e poi sulle principali piattaforme digitali Brividi d’autore, che segna il rientro sul grande schermo del regista romano Pierfrancesco Campanella, recentemente riscoperto dai cinefili ed assurto al ruolo di “autore di culto”, dopo che le vecchie pellicole da lui dirette sono state divulgate nuovamente grazie ai moderni sistemi di fruizione.

Brividi d’autore narra le inquietanti vicende di una regista cinematografica “sui generis”, Louiselle Caterini, la cui carriera è in declino, che riesce a sfuggire, dopo giorni di prigionia, alle ripetute violenze di un misterioso maniaco mascherato da Frankenstein che l’aveva sequestrata.

La donna è molto traumatizzata, al punto da essere preda di terrificanti incubi che la inducono a farsi seguire da un ambiguo psichiatra.

Scrive nel contempo nuovi soggetti nella speranza che uno di questi possa trasformarsi in un film in grado di rilanciarla. Ma le sue proposte vengono sistematicamente rifiutate.

Finchè, esasperata, decide di torturare e uccidere il produttore che ritiene maggiormente responsabile delle sue frustrazioni. La “mattanza”, ripresa dalle telecamere, si trasforma nell’opera-verità del ritrovato successo.

Ma la realtà non è mai come appare: una serie incredibile di colpi di scena e di ribaltamenti di situazioni accompagnano lo spettatore fino allo svelamento dell’incredibile verità.

Questo nuovo lavoro del cineasta di Bugie rosse e Cattive inclinazioni è prodotto da Sergio De Angelis per Cinemusa srl e Cinedea srl e si avvale di un avvincente script elaborato da Lorenzo De Luca e dallo stesso Campanella. Oltre alla Cucinotta, recitano Franco Oppini, Emy Bergamo, Nicholas Gallo, Adolfo Margiotta e Chiara Campanella, con la speciale partecipazione di Sebastiano Somma. Da menzionare inoltre il ritorno davanti alla macchina da presa della sensuale e conturbante Gioia Scola, icona del cinema di genere degli anni ottanta. Si segnala infine un simpatico cameo da attore per il noto ingegnere informatico Paolo Reale, spesso opinionista televisivo nei più importanti talk-show di cronaca nera.

La fotografia di Brividi d’autore è di Francesco Ciccone, il montaggio di Francesco Tellico, le musiche di Fabio Massimo Colasanti, le scenografie e i costumi di Laura Camia.

La location principale dell’opera è l’Hotel Ospite Inatteso, di proprietà dell’imprenditore Giuseppe Simonelli, presso Montalto di Castro, un vero e proprio museo della settima arte, dove ha trascorso gli ultimi anni di vita lo storico produttore cinematografico Alfredo Bini, a cui si debbono i maggiori capolavori di Pierpaolo Pasolini ed altri grandi maestri del cinema.

NATALE AL CAMPO 119 di Pietro Francisci

La seconda guerra mondiale è finita. Nel campo 119, un campo di prigionia USA in California, un gruppo di prigionieri di guerra italiani, di ogni zona della penisola italiana, rinchiusi ed in attesa della liberazione attendono giorno dopo giorno il ritorno in patria e si preparano a festeggiare un altro triste Natale lontani dalle loro famiglie. Per dare un po' di sfogo alla loro nostalgia, si raccontano episodi e ricordi del passato prebellico e della nostalgia del Belpaese lontano. 

natale al campo 119 locandina Dopo aver dato un grosso impulso al cinema italiano del dopoguerra, pioniere del genere peplum, Pietro Francisci esordisce con una commedia neorealista dalla struttura a flashback per ricordare il dramma bellico e celebrare la solidarietà e l'unità tra gli italiani. Nonostante i vincoli imposti dagli stereotipi e dalle inflessioni regionali - che per alcuni è il punto debole della sceneggiatura, caratteristico invece per altri - il cast è eccellente in ogni fila: dal marito Fabrizi vessato dalla moglie-padrona Ninchi al finto cattivone sergente americano Celi, dal nobile squattrinato De Sica all'umanissimo cappellano Campanini. Mario Bava è direttore della fotografia, e si vede.

ANNO: 1947
REGIA: Pietro Francisci
CAST: Aldo Fabrizi, Vittorio De Sica, Peppino De Filippo, Massimo Girotti, Carlo Campanini, Alberto Rabagliati, Rocco d'Assunta, Aldo Fiorelli, Ave Ninchi, Giacomo Rondinella, Adolfo Celi, Roberto Sichetti
 
SCENEGGIATURA: Giuseppe Amato, Aldo Fabrizi, Vittorio De Sica, Pietro Francisci
COLONNA SONORA: Angelo Francesco Lavagnino
FOTOGRAFIA: Mario Bava, Ferrer Tiezzi
PRODUTTORE: Giuseppe Amato
PRODUZIONE: Italia
GENERE: Drammatico, Commedia  (bianco e nero)

DURATA: 90 minuti


------------ da wikipedia.org

Trama

Subito dopo l'armistizio, alcuni soldati italiani, provenienti da varie parti del paese, sono reclusi nel campo di prigionia statunitense 119, sotto la custodia di un antipatico sergente e di un maggiore, viceversa, molto umano. Lì trascorrono le loro giornate, svolgendo varie piccole attività, svagandosi con l'ascolto dei dischi o della radio militare, improvvisando dei banchetti di fortuna, e narrandosi dei tempi passati.

Il romano Giuseppe Mancini racconta agli altri di quando un pomeriggio ha portato i suoi cinque figli a passeggiare ai Fori imperiali. Lì ha conosciuto una giovane maestra torinese. Per far colpo su di lei, Giuseppe finge di non essere il padre dei ragazzini che, nel frattempo, si scatenano sotto lo sguardo disperato del custode dei Fori. Solo quando il piccolo Giulio cade da un muro e si mette a piangere, il bluff di Giuseppe viene svelato. L'uomo ritorna a casa e subisce il rimbrotto della moglie.

Don Vincenzino, un nobile rampollo amante del gioco che ha dilapidato tutte le sue fortune, ricorda quando venne salvato da Gennarino, che simulò il suo funerale, usando la sua carrozza bardata a lutto per convincere i creditori che l'uomo si fosse appena suicidato.

Guido invece racconta del suo amore per la bella Fiammetta. I due si erano appena fidanzati a Firenze subito prima che scoppiasse la guerra. Dovettero quindi separarsi, e fu un distacco doloroso. Tempo dopo, Fiammetta scoprì di essere rimasta incinta di Guido. Saputo che il suo amato si trova internato in un campo di prigionieri di guerra, decide comunque di sposarlo per procura.

Nane, gondoliere veneziano di bella presenza, racconta agli altri di quando gli capitò di adocchiare e poi sedurre una bella signora straniera, sposata. La donna si faceva portare da lui per tutti i canali di Venezia fino a quando, dovendo rientrare nei ranghi, fu costretta a ripartire col marito.

Incassi

Incasso accertato nelle sale sino al 31 dicembre 1952 £ 345.000.000 (la produzione del film non costò neanche 100 milioni)

 

 

Questa era l'America di Sergio Leone

sergio leone set cera una volta in americaMaestro indiscusso dello spaghetti-western, Sergio Leone dedicò quasi tutti i suoi film da regista all'immaginario americano. Terminata l'ultima pellicola che poté dirigere, rilasciò questa intervista, dove attraverso il racconto di anni di lavoro, traccia anche un ritratto di sé. Festival di Cannes 1984. Il regista, sceneggiatore e produttore italiano presenta, fuori concorso, 'C'era una volta in America', la pellicola che completa la cosiddetta trilogia del tempo, in sospeso dopo 'C'era una volta il west' (1968) e 'Giù la testa' (1971). Tratto dal romanzo 'Mano armata' di Harry Grey, è la storia di una banda di giovani malviventi -cresciuti nel Lower East Side a New York nel primo dopoguerra, poi gangster all'epoca del proibizionismo- e in particolare di uno di essi, detto 'Noodles', che si immagina ritornare in città oltre quarant'anni dopo.
cera una volta in americaNella primavera del 1984, anno di uscita del film nelle sale, Sergio Leone concede alla Televisione svizzera RSI una lunga intervista, nella quale descrive il suo cinema "fatto di immagine, fantasia, racconto". Il regista parla a Gino Buscaglia della scelta degli attori: una volta scritturato Robert De Niro, gli altri sono stati scelti "in funzione di Bob". Riconosce che la durata del film (3 ore e 49 nelle sale italiane) è importante, ma "ci sono film cortissimi che sembrano interminabili", commenta.
Rievoca anche i luoghi in cui è stato girato (New York, Tampa, Venezia, Parigi, Cinecittà), il rapporto instaurato con gli abitanti di alcuni quartieri "blindati" dal set e di come a Montréal abbia trovato la metà, delle "location" annotate nei primi sopralluoghi. L'intervista a Sergio Leone fu trasmessa originariamente il 5 maggio del 1984 nella trasmissione 'Grande schermo'.

tvsvizzera.it/ri con RSI (Teche)
________________________

Cera una volta in America 1C’era una volta in America (Leone, 1984) Universalmente considerato (e mi sento di condividere appieno il giudizio) uno dei più bei film di tutti i tempi, se non il migliore di sempre in assoluto , è un film epico che si svolge in tre epoche differenti e che proprio di questa trama intrecciata fa il suo punto di forza. Un film che parla dell’infanzia, dell’amicizia, del tempo e dei ricordi, e la storia di gangsters che ne rappresenta il soggetto sembra solo una scusa per trattare tutti questi temi. Negli Stati Uniti la sceneggiatura venne stravolta perché ritenuta troppo complicata, e portata così da 229 a 139 minuti, in ordine cronologico, rendendo il film incomprensibile e realizzando un fiasco. Nella versione originale (recentemente restaurata dalla Cineteca di Bologna con l’aggiunta di scene ulteriori inizialmente tagliate) rimane un capolavoro assoluto, impreziosito dalla recitazione di due mostri sacri come De Niro e Woods, e soprattutto dalla colonna sonora di Morricone (a modesto avviso dello scrivente, il migliore compositore di colonne sonore di sempre e tra i più grandi artisti dell’epoca contemporanea).

di Marco Scognamiglio per it.quora.com

40 Anni dalla Morte di Hitchcock, Il Maestro Del Brivido

40 anni dalla morte di Hitchcock Sono passati 40 anni dalla morte di Hitchcock. Una delle più importanti personalità della storia del cinema, ironico e brillante, maestro della messa in scena e della suspense. Le iconiche scene dei suoi film thriller hanno reso celebre il genio del regista britannico.  La carriera:  Lo spartiacque nella carriera di Hitchcock è rappresentato dal suo trasferimento da Londra a Hollywood, avvenuto nel 1940. In base a questa data, gli studiosi suddividono la sua produzione in due grandi periodi: quello britannico – durante il quale ha diretto ventitré film, di cui nove muti – e il periodo statunitense, nel quale ha diretto trenta film, fra i quali si annoverano i più conosciuti.  Non è un caso se molti dei registi contemporanei come Scorsese, Spielberg e Tarantino hanno reso omaggio alla maestria tecnica di Hitchcock, oltre ad essere stato reale modello per i cineasti del giallo e noir come Dario Argento e Brian De Palma.

Lo stile registico
Hitchcock ha mescolato, spesso, commedia e suspense e le sue sceneggiature sono ricche di battute brillanti. Il suo intento era quello di presentare avvenimenti molto drammatici con un tono leggero. La suspense è stata, però, lo strumento tecnico che il regista ha saputo usare meglio. A detta sua, la suspense è migliore dell’effetto sorpresa, che regala un’emozione in modo troppo breve. Lo spettatore è a conoscenza di qualcosa che è oscuro al personaggio sulla scena e viene, così, messo in uno stato di ansiosa attesa. Temi musicali, ombre e luci particolari e, soprattutto, la dilatazione del tempo e della rapidità delle scene contribuiscono nei suoi film ad intensificare il pathos.

La durata di un film dovrebbe essere direttamente commisurata alla capacità di resistenza della vescica umana. Se vediamo un uomo con una mazza sopraggiungere alle spalle di una persona innocente, sappiamo qualcosa che quella persona non sa. E così si crea la suspense.

40 anni dalla morte di Hitchcock 2Le sue trame, fitte di mistero, mostrano come possa essere precario l’equilibrio quotidiano. Eventi casuali sconvolgono la vita di un uomo ordinario e non è facile distinguere il vero dal falso. Hitchcock ha utilizzato molti modi per comunicare l’ansia e l’angoscia insita nell’animo umano, dando molta espressività ai luoghi, creando effetti di allucinazioni o attribuendo significato agli incubi.

L’uso funzionale e inverosimile di suoni e rumori
All’epoca della loro uscita, molti film di Hitchcock furono criticati per l’inverosimiglianza delle situazioni. Al regista, infatti, non interessava tanto riprodurre realisticamente eventi e personaggi, quanto suscitare emozioni tramite un racconto. Per fare un esempio, ne La finestra sul cortile, il protagonista, Jeff, è costretto su una sedia a rotelle con una frattura alla gamba, a causa di un incidente. Il film è basato su quello che vede e sente Jeff dalla sua stanza e che, in termini di stretto realismo, risulta inverosimile.

Invece di sovrapporsi gli uni sugli altri, i suoni si succedono saggiamente. La cantante canta solo quando tace la radio di un altro appartamento; il compositore si rimette al suo pianoforte solo quando la radio e la cantante hanno smesso di emettere suoni. Utilizzando pienamente l’effetto audiovisivo di estensione, Hitchcock apre e chiude liberamente il rumore del cortile, a seconda se gli serve attirare l’attenzione del protagonista e anche, ovviamente, dello spettatore, verso l’esterno o al contrario, chiudere la scena sul piccolo teatro del soggiorno. Hitchcock fa, dunque, un abile uso dei suoni. Clacson e rumori della strada servono ad allargare il campo percettivo del mondo al di fuori della stanza e che non vedremo mai.

40 anni dalla morte di Hitchcock 3Le sue scelte registiche di strumentalizzare il sonoro sono evidenti anche in Psycho, nella celeberrima scena dell’omicidio nella doccia. La musica copre le urla ma le coltellate non hanno risonanza. La scena, in realtà, non è cruenta. La costruzione audiovisiva, col famoso stridere dei violini, crea l’illusione della violenza, fomenta il senso d’ansia e tensione.

Curiosità
Caratteristica comune a quasi tutti i film di Hitchcock è la sua presenza in almeno una scena. Nato come bisogno di prestarsi come comparsa, le sue apparizioni cammeo divennero una consuetudine scaramantica e, infine, una specie di gioco per gli spettatori, che, a ogni uscita di un nuovo film, dovevano cercare di individuare in quale inquadratura si fosse nascosto.

A 40 anni dalla morte di Hitchcock, sappiamo che il suo film preferito, tra quelli da lui girati è L’ombra del dubbio perché contiene alcuni riferimenti alla vita privata del regista.

Il padre di una ragazza scrisse ad Hitchcock una lettera, lamentandosi che la figlia dopo aver visto I Diabolici rifiutava di fare il bagno, e dopo aver visto Psycho rifiutava di fare la doccia. Hitchcock rispose semplicemente “la mandi al lavasecco”. Anche Janeth Leigh da allora, evita di fare la doccia nei motel.

Sembra che la sequenza in cui Kim Novak si tuffa nel fiume, ne La donna che visse due volte, venne ripetuta più volte da Alfred Hitchcock solo per divertimento.

Articolo di  Martina Bonanni  per UltimaVoce.it 

Pietro Francisci, un regista dimenticato

Steve Reeves e Pietro FrancisciPietro Francisci, nato a Roma il 9 settembre 1906, è stato un regista e sceneggiatore italiano. A cavallo tra gli anni '30 e '40 realizza una serie di documentari e cortometraggi per conto dell'Istituto Luce che gli valgono diversi riconoscimenti in Italia e all'estero. Nel contempo gira anche film ben distanti dalle mode del tempo come NATALE A CAMPO 119 (del 1948 con Aldo Fabrizi, Vittorio De Sica, Peppino De Filippo, Massimo Girotti) che non appartiene alla corrente neorealista e tanto meno allo strascico che i telefoni bianchi hanno lasciato. Negli anni '50 si dedica ai peplum, allora genere molto in voga, anche grazie ai suoi film, con protagonisti personaggi mitologici come Maciste, Ercole, Sansone e Ursus. La consacrazione internazionale avviene con il film LE FATICHE DI ERCOLE diretto nel '58 con Pietro FrancisciEnnio De Concini, che incassa cifre spaventose e che vede protagonista Steve Reeves considerato uno dei più grandi del culturismo statunitense. La pellicola ottiene successo anche grazie ad un'attenta strategia di marketing, attraverso un battage pubblicitario martellante. Inoltre l'uscita in contemporanea di cartoni animati aventi il medesimo titolo del film e il doppiaggio statunitense fatto da Mel Brooks aumentano la pubblicità e la curiosità nel pubblico. Certo non è stato un kolossal come quelli prodotti negli Stati Uniti, ma quel il direttore della fotografia Mario Bava apporta delle trovate incredibili per quanto riguarda gli effetti speciali: è stato utilizzato per la prima volta in Italia il cinemascope. Con la caduta del peplum, Francisci durante gli anni '60 gira ancora qualche pellicola di genere, senza però ottenere un forte riscontro.
Muore nella sua città natale il 1° marzo 1977.

FILMOGRAFIA

1934 - RAPSODIA IN ROMA (regista)
1935 - LA MIA VITA SEI TU (regista e sceneggiatore)
1941 - EDIZIONE STRAORDINARIA (documentario)
1945 - IL CINEMA DELLE MERAVIGLIE (regista)
1946 - IO T'HO INCONTRATA A NAPOLI (regista)
1948 - NATALE AL CAMPO 119 (regista e sceneggiatore)
1949 - ANTONIO DI PADOVA (regista e sceneggiatore)
1950 - IL LEONE DI AMALFI (regista e sceneggiatore)
1951 - LE MERAVIGLIOSE AVVENTURE DI GUERRIN MESCHINO (regista)
1952 - LA REGINA DI SABA (regista e sceneggiatore)
1954 – ATTILA (regista)
1956 - ORLANDO E I PALADINI DI FRANCIA (regista)
1958 - LE FATICHE DI ERCOLE (regista e sceneggiatore)
1959 - ERCOLE E LA REGINA DI LIDIA (regista e sceneggiatore)
1960 - SAFFO, VENERE DI LESBO (regista e sceneggiatore)
1960 - L'ASSEDIO DI SIRACUSA (regista e sceneggiatore)
1963 - ERCOLE SFIDA SANSONE (regista e sceneggiatore)
1966 - 2+5 MISSIONE HYDRA (regista e sceneggiatore)
1973 - SIMBAD E IL CALIFFO DI BAGDAD (regista e sceneggiatore)

da Manifesto0 

 

', '', 1, 8, 0, 41, '2020-01-26 12:32:38', 63, 'Manifesto0 ', '0000-00-00 00:00:00', 0, 0, '0000-00-00 00:00:00', '2020-01-26 12:32:38', '0000-00-00 00:00:00', '', '', 'show_title=\nlink_titles=\nshow_intro=\nshow_section=\nlink_section=\nshow_category=\nlink_category=\nshow_vote=\nshow_author=\nshow_create_date=\nshow_modify_date=\nshow_pdf_icon=\nshow_print_icon=\nshow_email_icon=\nlanguage=\nkeyref=\nreadmore=', 1, 0, 3, '', '', 0, 749, 'robots=\nauthor='),

Il vero significato del film Shutter Island

Shutter Island film Shutter Island è il film in cui il regista Martin Scorsese mette Leonardo DiCaprio di fronte a un personaggio che deve affrontare demoni personali all'interno di un manicomio. Shutter Island è spesso considerato uno dei film più deboli della lunga carriera di Martin Scorsese, presentato fuori concorso al Festival di Berlino. Il film, infatti, fu accolto con opinioni discordanti anche dalla critica statunitense: non è un caso se Shutter Island è l'unico film del duo Scorsese-DiCaprio a non aver ricevuto nessuna nomination ai premi Oscar. In realtà, Shutter Island - tratto dal romanzo omonimo Dennis Lehane - è una pellicola affascinante e complesso, che cattura l'attenzione dello spettatore su molteplici livelli, già a partire dalle tematiche affrontate.

Shutter Island, la trama.
Shutter Island 1Nel 1954 il detective Teddy Daniels (Leonardo DiCaprio) raggiunge le coste frastagliate di Shutter Island, un isolotto che ospita un ospedale psichiatrico. Il motivo che ha spinto il detective a recarsi in questo luogo grigio e colmo di tristezza è l'indagine legata a un paziente scomparso. Rachel Sondo, internata per aver ucciso i propri figli, sembra essere scomparsa nel nulla.
Per Teddy comincia così una vera e propria indagine per cercare di scoprire il destino della donna scomparsa: tuttavia l'uomo ha anche altri motivi per aggirarsi come uno spettro sull'isola. Teddy è alla ricerca di un paziente di nome Andrew Laeddis, che sembrerebbe essere legato ad un capitolo triste della vita del detective.
Man mano che le indagini vanno avanti, Teddy comincia a sospettare che l'isola sia una facciata per nascondere degli esperimenti che vengono fatti sui pazienti con il lasciapassare dei leader dell'istituto psichiatrico. L'ospedale, infatti, rappresentato dal Dottor Cawley (Ben Kingsley), comincia a mettere i bastoni tra le ruote al detective, negandogli l'accesso a determinati documenti.
Tuttavia più Teddy indaga, insieme al suo collega Chuck (Mark Tuffalo), più le cose sembrano prendere una piega quasi surreale, che portano l'uomo a dubitare di tutto quello che vede, di tutto ciò in cui crede, perché Shutter Island non è esattamente quello che sembra.

La malattia mentale secondo Shutter Island.
Shutter Island 2Una delle tematiche principali del film di Martin Scorsese è, naturalmente, la malattia mentale e il suo trattamento. Shutter Island mette in scena un istituto psichiatrico avvolto da tinte cupe, sul quale sembra vigere una costante oscurità. È un luogo sormontato dalle nuvole grige che promettono pioggia, ma anche un'isola che rappresenta un po' l'archetipo della prigione.
Tanto per la fotografia utilizzata, che fa largo uso dei toni freddi, quanto per la colonna sonora inquietante che accompagna le indagini di Teddy, Shutter Island appare quasi come una Alcatraz in miniatura. Un luogo circondato dal mare, da cui nessuno può scappare. Un ospedale chiuso in se stesso, claustrofobico tanto per chi vi arriva dall'esterno, tanto per coloro che lo abitano.
E nella costruzione di questo impianto scenico, Martin Scorsese riesce a raccontare la malattia mentale in un momento di trasformazione. Come viene giustamente spiegato da La Mente Meravigliosa, l'istituto al centro della pellicola risponde ad un modello quasi vittoriano del trattamento della malattia mentale, pur essendo teso verso il nuovo.
Da una parte dunque vengono suggerite pratiche antiche e disumane come l'elettrochoc e la lobotomia, dall'altra c'è il dottor Cawley che sembra voler seguire una nuova corrente medica, che cerca di migliorare la vita dei pazienti di cui si deve prendere cura, ridandogli una loro dimensione umana.

Matricidio, depressione e stress post-traumatico.
Tutto il film prende il via da un matricidio: uno dei crimini che appaiono più inaccettabili agli occhi del mondo, quello di una madre che toglie la vita ai suoi figli. Teddy è chiamato a indagare proprio sulla scomparsa di una donna che si è macchiata di questo peccato. Tuttavia, man mano che il film prosegue, lo spettatore scopre che le cose sono assai più complicate di come sembrano.
Una delle scene più inquietanti e intense del film è quando il personaggio di Leonardo DiCaprio scopre il vero motivo per cui si trova sull'isola: si tratta della sequenza in cui vengono inquadrati i corpi di due bambini che galleggiano in un lago, in una placida giornata alle spalle di una grande casa.
Un omicidio compiuto a causa di un disturbo maniaco-depressivo, di un male che non è stato notato e di cui non si è occupati. Come avviene anche troppo spesso nella realtà, ci sono donne che dopo la maternità sviluppano una depressione: donne abbandonate a se stesse, nel ruolo che tutti pensano debbano affrontare con gioia e facilità.

Ed è quello che lo spettatore vede accadere al personaggio interpretato da Michelle Williams: una donna che viene descritta come giovane e solare, ma che sembra spegnersi dopo la nascita del terzo figlio, fino al terribile epilogo della sua vicenda. E la maestria di Martin Scorsese nella messa in scena si mostra nella sequenza in cui Leonardo DiCaprio abbraccia l'ex attrice di Dawson's Creek, in una figura plastica che richiama il quadro Il Bacio, di Klimt.
E tra il matricidio e la depressione c'è spazio anche per indagare lo stress post-traumatico, quel disturbo che emerge a mo' di difesa individuale dopo l'esplosione di un evento terribile che mina la sanità mentale di un essere umano. Un disturbo che Teddy si trascina dietro senza saperlo e che lo porta ad affrontare un totale scollamento della realtà, ma anche un vero e proprio caso di amnesia.

La spiegazione del finale.
Shutter Island si presenta allo sguardo dello spettatore come un viaggio nei gironi infernali della mente umana, con la malattia mentale, gli omicidi e persino richiami all'orrore dell'olocausto della Seconda Guerra Mondiale.
Senza voler fare spoiler, Shutter Island è soprattutto il percorso di un uomo che deve riappropriarsi della propria vita. E sebbene questo spesso significhi scoprire se stesso e crescere, nel caso di Shutter Island la presa di consapevolezza passa attraverso l'accettazione dei propri errori, del proprio egoismo e di come le proprie mani siano sporche di sangue.
In effetti il senso del film si può riassumere nella battuta finale del film, quando Leonardo DiCaprio dice a Mark Ruffalo: "Cosa sarebbe peggio? Vivere da mostro o morire da uomo per bene?"

Articolo di Erika Pomella per IlGiornale.it

Pietro Germi, una sprezzante voce fuori dal coro.

Genovese di nascita, rimane orfano di padre in tenera età con le tre sorelle e la madre. Pietro Germi registaAbbandonati gli studi all’Istituto nautico San Giorgio, per altro frequentato con ottime votazioni, si trasferisce prima a Milano e successivamente a Roma per seguire i corsi del Centro sperimentale di cinematografia; viene iscritto ufficialmente ai corsi di attore, ma riesce a seguire anche i corsi di regia di Alessandro Blasetti, a cui si affianca nel ‘42 come assistente alla regia. Nel 1939 inizia la sua carriera di attore con il film Retroscena, di cui è anche co-sceneggiatore, e continua con parti nelle pellicole Gli ultimi filibustieri (1941) e in Montecassino nel cerchio di fuoco(1946). Allo scoppio della guerra, Germi è in condizioni di salute precarie e cerca di sfuggire al richiamo alle armi; in questo periodo di malattia produce il suo primo soggetto cinematografico, che viene realizzato nel‘45, con il suo esordio dietro la macchina da presa con il film Il testimone, una pellicola che si discosta dai dettami del neorealismo, approfondendo il lato psicologico grazie all’utilizzo di strutture narrative di genere. La pellicola Gioventù perduta (1947) invece è un poliziesco che risente dell’eco dei generi hollywoodiani, calato nell’analisi profondamente concreta della realtà italiana. Con In nome della legge (1949), sceneggiato da Federico Fellini e Tullio Pinelli, interpretato dal divo Massimo Girotti, riceve i primi grandi riconoscimenti da parte della pubblico e critica, con l’assegnazione di tre Nastri d’Argento, consacrando a tutti gli effetti Germi come autore. La pellicola è una delle prime italiane dedicate mafia e anche in questo caso il regista declina un genere ben codificato come il western alla realtà italiana, calando la storia in una Sicilia assolata e desolata.

Il riconoscimento internazionale arriva con la pellicola successiva, Il cammino della speranza (1950), questa volta un melodramma epico, presentato in concorso al Cannes e vincitore dell’Orso d’argento e l’Orso d’oro al Festival di Berlino.

Anche il film noir dell’anno successivo La città si difende (1951), viene premiato, questa volta miglior film italiano al Festival di Venezia. Il buon rapporto del regista con la critica viene meno nei film successivi, mentre l’approvazione e l’appoggio del pubblico non diminuiscono. La presidentessa (1952) è l’adattamento cinematografico dell’omonima commedia teatrale di Maurice Hennequin e Pierre Veber e risulta essere un titolo avulso dalla filmografia del cineasta; Il brigante di Tacca del Lupo, interpretato da Amedeo Nazzari, è una sorta di western dagli accenti melodrammatici. Seguono Gelosia (1953) e il contributo al film a episodi Amori di mezzo secolo con il capitolo Guerra 1915-1918.

Successivamente Germi rimane inattivo per circa due anni, tornando nel 1955 con Il ferroviere, annoverabile come uno degli ultimi grandi film appartenenti alla corrente neorealistica, molto apprezzato dal pubblico. Del 1958 è L’uomo di paglia, dove accanto a Germi c’è l’esordiente Franca Bettoja, mentre dell’anno successivo è la volta di Un maledetto imbroglio, tratto dal romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, con Claudia Cardinale interprete femminile; la pellicola è una dei primi esempi di poliziesco italiano.

Il cinema di Germi affonda le sue profonde radici nell’attualità italiana, scavando in profondità grazie al suo senso critico e al suo sdegno veicolato da una sprezzante ironia. Il suo cinema si fonda su una dialettica con il reale, che sfocia in pellicole popolari ma molto lontane da un linguaggio conformistico: sono film che pongono al centro della struttura l’individuo, che essendo al centro di una comunità, ne persegue la ricostruzione attraverso il suo senso civico, il suo impegno, la sua solitudine, il tutto accompagnato da una difficoltà esistenziale profonda. A supporto di questa importante scelta, si affianca il metodo recitativo di Germi, che si fonda sul dualismo sorriso ironico/sguardo malinconico. Successivamente il regista genovese, incline ai cambiamenti di rotta, dona un’importante svolta alla sua filmografia iniziando a dedicarsi alla commedia, declinata in una forma pungente e sarcastica, riuscendo così ad amplificare il grottesco e il senso cinico, grazie ad un’ironia dalle profonde radici. E’ la volta dei grandi capolavori come Divorzio all’italiana (1961), interpretato da un perfetto Marcello Mastroianni nei panni barone Cefalù e da un’adolescente Stefania Sandrelli nei panni di della giovane cugina, al centro dell’attenzione del uomo. Fulcro della pellicola è il delitto d’onore e l’omicidio perfetto, raccontate attraverso una poetica priva di retorica e di moralismo, grazie soprattutto alla maestria del regista con cui sovrappone e mescola registri stilistici diversi, dipingendo una realtà amara in cui nessuno è salvo. La pellicola ottiene una candidatura all’Oscar per la miglior regia, un’altra a Mastroianni come miglior attore e infine ottiene quello per il miglior soggetto e sceneggiatura originale.

Pietro Germi, nascosto dal suo proverbiale carattere profondamente umorale, scontroso e intransigente, ha un vero rapporto di amore-odio per il sud Italia, del quale cerca di analizzare i difetti ma anche i pregi in molti dei suoi film, da In nome della legge, passando per Divorzio all’italiana sino a Sedotta e abbandonata (1964). In queste ultime due pellicole, viene ben evidenziata la totale sfiducia del regista verso un profondo e radicale cambiamento nella società e nella cultura meridionale, che viene analizzata e criticata da Germi, che vede impossibili il superamento delle convinzioni secolari che hanno scandito la storia e il costume.

Anche il resto dell’Italia viene analizzato sotto la lente autoriale, nella pellicola Signore & signori (1965), dove questa volta è il Veneto borghese ad essere preso di mira, nell’unica pellicola del regista suddivisa in episodi. Il film interpretato da Virna Lisi e Gastone Moschin, si aggiudica la Palma d’oro al Festival di Cannes ex aequo con Un uomo, una donna di Claude Lelouch.

Del 1967 è L’immorale, con la coppia Ugo Tognazzi e Stefania Sandrelli, narra la storia di un uomo che non sa scegliere fra le tre donne della sua vita e le tre famiglie che si è creato con ciascuna di loro. Il rapporto del regista con la critica, soprattutto quella dell’area comunista, è assai conflittuale: Germi simpatizzante del Partito Socialdemocratico Italiano, mette in discussione gli stereotipi della sinistra comunista, incentrati sull’operaio completamente avulso però dalla trasformazione sociale della stessa classe operaia.

Il grande consenso del pubblico invece continua con Serafino, interpretato da Adriano Celentano, mentre è del 1970 Le castagne sono buone con Gianni Morandi, film che è considerato il meno riuscito del regista. Nel 1972 c’è il ritorno alla commedia grottesca con Alfredo Alfredo, interpretato da Dustin Hoffman e Stefania Sandrelli, preludio alla caustica analisi del reale e del grottesco in quello che sarebbe stato il suo ultimo film Amici miei, portato a compimento dall’amico Mario Monicelli. Il regista muore a Roma il 5 dicembre 1974 e la pellicola di Monicelli, uscita l’anno dopo, è a lui dedicata con l’eloquente e significativo incipit nei titoli di testa e nel materiale pubblicitario «un film di Pietro Germi».

di Chiara Merlo  per museofermoimmagine.it

 

“Brutti, sporchi e cattivi” di Ettore Scola: un racconto di squallore sociale

La camera si muove circolarmente in una stanza buia, mostrando stralci di giacigli occupati da un’infinità di persone. C’è chi dorme e chi fa sesso, ognuno addossato all’altro, in un ammasso indistinto di corpi. Una ragazzina dai capelli lunghi e gli stivali gialli esce a riempire dei secchi d’acqua come ogni mattina, dando inizio a un nuovo giorno. Un giorno identico ai brutti sporchi cattivi 1precedenti e ai successivi, perché in Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola (1976) nulla cambia o si risolve, ma tutto si sussegue ciclicamente allo stesso modo, in un vortice infrangibile di violenza e miseria, volto ad annullare ogni – seppur flebile – tentativo di riscatto. Ci troviamo in una baraccopoli della periferia romana negli anni ’70. Dal Parco di Monte Ciocci, il cupolone svetta in tutta la sua maestosità, quasi a rappresentare il promemoria di una vita migliore. Eppure, è ormai diventato per i personaggi solo una componente scenografica; lo sfondo confuso di una quotidianità meschina, fatta – appunto – di bruttezza, sporcizia e cattiveria.

brutti sporchi cattivi 4Giacinto Mazzatella (Nino Manfredi), pugliese emigrato a Roma, condivide la sua baracca con una ventina di persone, tra figli e nipoti. Alla base di questa condivisione, tuttavia, non c’è affetto o empatia, ma solo necessità e opportunismo. Ognuno si guarda le proprie spalle e approfitta, come può, di ogni occasione. Così una donna, chiunque essa sia, rappresenterà una semplice valvola di sfogo per gli impulsi sessuali dei coinquilini; e la nonna, con la sua pensione, sarà considerata solo in quanto unica fonte sicura di guadagno. A monitorare le squallide esistenze dei componenti della famiglia, l’occhio vigile di Giacinto, alcolizzato e aggressivo, devoto unicamente al milione di lire ottenuto come risarcimento per la perdita di un occhio. I suoi giorni scorrono tra sospetti e paranoie, con il fucile sempre pronto a difendere il tanto amato tesoro a costo dell’incolumità dei suoi figli; proprio uno di loro, interpretato da Ettore Garofolo di Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini (1962), ne subirà le conseguenze. Non c’è alcuna differenza, per lui, tra le vite degli esseri viventi che pullulano sotto il suo tetto, siano essi parenti o topi. Avrà, probabilmente, cancellato anche i loro nomi, avvezzo ormai a distinguerli solo in base alle loro volgari abitudini e a chiamarli, di conseguenza, con i relativi soprannomi.

brutti sporchi cattivi 2Eppure, tra tanto degrado, riusciamo a scorgere un accenno di umanità: Giacinto sembra sentirsi davvero compreso dalla prostituta Iside, e la poesia recitata da uno dei suoi nipotini riesce a toccare una parte che lui stesso, probabilmente, aveva dimenticato di avere. Ma, come detto in precedenza, nel film non c’è spazio per la compassione o per qualsivoglia forma di redenzione. I sentimenti positivi tentano di scappare dalla gabbia della disperazione in cui sono imprigionati, ma vengono prontamente ricatturati e messi sotto chiave; proprio come i bambini, le uniche anime ancora pure, rinchiusi in un recinto invece di andare a scuola, in attesa che perdano la loro innocenza e siano pronti a catapultarsi nel mondo animale degli adulti.

Scola mette su un eccellente cast corale, in grado di strappare al pubblico non poche risate; grazie anche all’uso abbondante del dialetto romanesco e barese e alla stravaganza di alcuni personaggi, primo tra tutti quello della nonna (interpretata da Giovanni Rovini) che, noncurante di ciò che accade alle sue spalle, continua a guardare programmi educativi in inglese sulla Rai. Tuttavia, come accade sempre quando si parla di Commedia all’italiana (di cui il nome di Ettore Scola è senza dubbio uno dei più illustri), la risata lascia presto il posto all’amarezza; l’umorismo è solo un mezzo per analizzare i problemi socio-economici del Paese e far sì che colpiscano in mondo indiretto lo spettatore, sino a insinuarsi saldamente brutti sporchi cattivi 3nella sua coscienza. Eppure il linguaggio eccessivamente grottesco di Scola in Brutti, sporchi e cattivi ha fatto sì che Alberto Moravia individuasse con questa pellicola la creazione di «un nuovo estetismo in accordo coi tempi, che viene ad aggiungersi ai tanti già defunti: quello del “brutto”, dello “sporco” e del “cattivo”». Come osservato dallo scrittore, infatti, pur avendo assorbito l’eredità del Neorealismo, Scola sembra abbandonare qualsiasi tipo di speranza soffermandosi sempre sulla «ricerca di un effetto che colpisca piuttosto che di un tratto che commuova» e insistendo sui particolari disgustosi, sui volti abbrutiti, i dettagli sudici. Esemplificativa, al riguardo, la sequenza in cui Matilde, la moglie di Giacinto (Linda Moretti), recide la carcassa di un animale nello stesso momento in cui pianifica l’assassinio di suo marito: la cinepresa insiste sul sangue e sui brandelli di carne tagliuzzati, in contrapposizione all’indifferenza dei parenti circa l’idea di uccidere il proprio capofamiglia.

brutti sporchi cattivi 0Scola illustra con crudo realismo una situazione-limite, ai margini della società. Il fatto che la baraccopoli si trovi su una collina, lontano dalla metropoli, è significativa di quanto alcune realtà, per quanto nascoste o lontano possano apparire, esistono proprio al di là del proprio sguardo; sono concrete e pronte a dilagarsi in tutta la propria miseria, una volta riconosciute. Il film termina così com’era iniziato. La ragazzina dagli stivali gialli si reca ancora, all’alba, a riempire i secchi d’acqua mentre osserva, quasi come un riflesso automatico, il cupolone in lontananza. Forse almeno lei, un giorno, riuscirà a colmare la distanza tra il suo campo e la cupola. Ma c’è qualcosa di diverso questa volta; ci troviamo di fronte a una condanna ereditaria e imperitura, di genitore in figlio. Una storia della periferia romana degli anni ’70, ricollocabile in ogni luogo e in ogni tempo, a simbolizzare l’universalità e la ciclicità della disperazione umana.

di Nadia Pannone  per https://lacittaimmaginaria.com/

Il pranzo è servito, al cinema.

Lo abbiamo visto negli ultimi anni raccontare i festival del Cinema da Venezia, Cannes e Berlino, commentare la notte degli Oscar ‘live’ dal red carpet e intervistare i miti e le giovani promesse del grande schermo italiano e internazionale. Francesco Castelnuovo, critico cinematografico, esperto di storia del cinema e volto amatissimo di Sky Cinema, da poco terminate le lunghe dirette da Hollywood, parla con Sapori di film dove il cibo occupa un posto privilegiato.
Non aspettatevi Chocolat (“non mi ha dato grandi emozioni”) o Mangia prega ama (“non abbastanza coinvolgente”), nemmeno Il pranzo di Babette (“Bello ma non abbastanza da meritare la mia top ten”) o La cuoca del presidente (“Un po’ scontato”). 
Calstelnuovo, colto e ironico, ha gusti che spaziano dalla cinematografia sofisticata a quella popolare, dalle metafore di Peter Greenaway a quella derivazione comica dello Spaghetti Western che sono i film con Bud Spencer e Terence Hill: “I pasta&fagioli western – dice scherzosamente –  per quelli della mia generazione hanno rappresentato l’imprinting del cibo sul grande schermo. Inarrivabili per comicità e attenzione ai particolari le scene di Continuavano a chiamarlo Trinità dove i due attori al ristorante raffinato scandalizzano camerieri e altri clienti. Ma chi di noi non vorrebbe tuffarsi nelle zuppe di fagioli di Bud Spencer o nelle padellate di uova?”.

LA CLASSIFICA DEI 10 MIGLIORI FILM IN TEMA CIBO 

1. Miseria e Nobiltà, regia Mario Mattoli, 1954. Totò e compari vivono una vita in cui la fame è una costante. Anche se il film non è espressamente dedicato alla gastronomia, il cibo e il desiderio di mangiare aleggiano su tutto. Memorabili le scene di Totò che detta la lista della spesa da fare con il ricavato del cappotto portato al banco dei pegni (“mozzarella, la premi con le dita, se esce la goccia la compri, sennò desisti”), e quella della zuppiera di spaghetti portata in dono dallo spasimante della giovane figlia dell’amico di Totò. Poi, la scena breve ma perfetta nel delineare la psicologia dei personaggi: arruolati da un giovane nobile che li paga per fingersi sui parenti, sono ospitati nella casa di un ricchissimo borghese, si fiondano sui gelati (alimento per l’epoca piuttosto raro e costoso) celando malamente la loro fame.

2. Ratatouille. Il film di animazione della Pixar, diretto da Brad Bird e Jan Pinkava nel 2007. Il giovane Alfredo Linguini viene assunto come ‘sguattero’ in un ristorante parigino. Farà amicizia col topo di campagna –  appena arrivato in città – Remy, che ha un olfatto e un gusto sopraffino. Il sodalizio tra i due, uno il braccio, l’altro la mente, farà di Linguini un abile cuoco. In grado di conquistare il gusto del più temuto critico gastronomico di Francia, Anton Ego, nella scena più bella secondo Castelnuovo: quella in cui Anton assaggia il piatto di ratatouille e torna indietro nella memoria alla rassicurante e calda cucina casalinga della mamma.  Altra scena top, l’allenamento di Linguini, quando Remy tira i capelli al ragazzo da sotto il cappello, come a manovrare una marionetta.

3. In the mood for love, film del 2000 prodotto a Hong Kong e diretto da Wong Kar-wai. I due protagonisti iniziano a frequentarsi quando scoprono che i rispettivi coniugi hanno una relazione. Non diventeranno a loro volta amanti, ma vivranno uno strano sentimento-predisposizione all’amore tra loro, un mood appunto. Il cibo è costante. Spesso i due vanno a comprare cibo, mangiano, insieme o tra loro, frequentano bar e ristoranti, tra sensuali ravioli al vapore e carezzevoli zuppe al sesamo. Scena top secondo Castelnuovo quando lui versa una crema nella ciotola di brodo di lei.

4. L’ala o la coscia, del 1976, regia di Claude Zidi, protagonisti Louis de Funès e Coluche. Un fiscalissimo critico culinario francese, solo e a volte in compagnia del figlio non troppo intelligente e imbranato, visita tutti i ristoranti del paese per valutarli. Divertentissime le sue avventure tra bettole, locali etnici e grandi ristoranti. Esilaranti tutti i travestimenti che mette in scena per presentarsi in forma anonima e i trattamenti che riceve a seconda dell’aspetto che mostra. Inizieranno anche i guai quando, in compagnia del figlio, decide di fare un viaggio per incontrare e smascherare un industriale del cibo che mette in scatola ingredienti decisamente non ortodossi.

5. La grande abbuffata, 1973. Marco Ferreri alla regia del film franco-italiano che racconta la storia di quattro amici, interpretati da Philippe Noiret, Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi e Michel Piccoli, decisi a farla finita per rispettivi problemi personali. Ma sono molto facoltosi e quindi scelgono di suicidarsi mangiando fino a scoppiare i piatti più prelibati in una casa vicino a Parigi. I quattro sono Ugo, titolare e cuoco del ristorante "Le Biscuit a Soup", Michel, produttore tv, Marcello, pilota d’aereo e il magistrato Philippe. Tra grandi vini e ricette sopraffine, presentazioni macabre e atmosfere gotiche, si conoscono le vicende di ciascuno di loro. Tutti assolutamente voraci.

6. Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato. Nonostante il successo del Willy Wonka interpretato da Johnny Depp nel film del 2005 La fabbrica di cioccolato diretto da Tim Burton, va alla pellicola del 1971, con protagonista Gene Wilder, la scelta del critico cinematografico. Ispirato al romanzo di Roald Dahl, il film ci porta in un mondo onirico dove il proprietario della confetteria e cioccolateria è una sorta di cappellaio matto dei dolci, tra fiumi e cascate di cioccolata calda ed erba di zucchero. Il tutto potrebbe essere divertente, ma vista la stranezza del proprietario della fabbrica non mancano momenti di suspance e infatti lui avverte: "Una piccola sorpresa ad ogni ancolo. Ma niente di pericoloso".

7. Big Night, 1996, di Stanley Tucci e Campbell Scott. I fratelli Pileggi, Primo e Secondo, sono arrivati in America da emigranti. Aprono un ristorante ma non si trovano d’accordo nella gestione: Primo, lo chef, non vuole scendere a compromessi e pretende di fare una cucina filologicamente fedele a quella della sua regione. La clientela statunitense, tuttavia, è abituata a ben altro. Secondo, che fa servizi in sala, sarebbe più propenso a contaminare piatti e ricette in modo da accontentare il pubblico. Ovviamente le loro idee gastronomiche sono anche riflesso di come vogliono e riescono a integrarsi nella nuova società. Tra le scene più divertenti quella in cui una cliente chiede spaghetti come contorno del risotto e le devono spiegare che la richiesta è insensata. Inoltre è delusa dal fatto che gli spaghetti siano senza meatball. Perché spaghetti senza polpette? La risposa: “Qualche volta gli spaghetti amano stare soli”.

8. Vatel, film del 2000 diretto da Roland Joffé con Gérard Depardieu nei panni di Vatel, lo chef responsabile delle cucin della tenuta di Chantilly, del principe di Condé. Quando il Re Sole Luigi XIV arriverà in visita sarà lui a dover organizzare i festeggiamenti più sfarzosi e memorabili che si possano immaginare. E' la sfida della vita e lo stato di stress monta via via nel film in un intreccio tra amore per il cibo e bisogno di successo. 

9. Cous cous, del 2007 questo film drammatico di Abdel Kechiche. Racconta il sogno del sessantenne Beiji: ristrutturare una vecchia barca e farne un ristorante dove proporre il suo cous cous al pesce. Il locale galleggiante si fa simbolo di un ritorno alle origini, ma come chiave per affrontare il futuro, che deve essere fusione, come si fondono insieme gli ingredienti del cous cous. 

10. Il cuoco il ladro sua moglie l’amante. Il regista Peter Greenaway, considerato tra i maggiori cineasti britannici, firma questo film del 1989 ambientato in un ristorante frequentato da strani personaggi. In uno stile visionario tra scene a tinte fosche, si incrociano le vicende di un uomo ricco, volgare e violento, di sua moglie-vittima, dei suoi scagnozzi. Tra gli avventori un gentiluomo colto e sensibile che si innamora e cerca di aiutare la donna.  Ma la passione che si accende tra i due sarà punita in modo crudelissimo.

di Eleonora Cozzella  per https://www.repubblica.it/

Perché Brad Pitt mangia sempre nei film?

Brad Pitt Meet Joe BlackLa questione è sul web da anni (almeno dai tempi della trilogia di Ocean’s Eleven), fan di tutto il mondo si interrogano smarriti: ma perché, perché Brad Pitt nei suoi film mangia sempre? Lo hanno notato in tanti, tanto che qualcuno si è preso la briga di elencare tutto ciò che mette in bocca (quando non può mangiare, si morde le unghie) nei vari film e altri hanno fatto anche di meglio, creando un mash-up di tutte le scene in cui Brad Pitt ha a che fare con il cibo.

Leggi tutto: Perché Brad Pitt mangia sempre nei film?

I migliori film con colpo di scena finale

Ciò che spesso conta nel film è la struttura narrativa e la scrittura che – se fatta bene – riesce a coinvolgere lo spettatore come nient’altro. Il massimo coinvolgimento non si ottiene sempre presentando una narrazione lineare e piana.

Molti registi hanno deciso di osare proponendo un gran colpo di scena al finale, un vero e proprio plot-twist a pochi minuti dal termine della pellicola. Ecco quindi alcuni dei migliori film (da recuperare assolutamente, se non li avete visti) con un finale a sorpresa.

Saw – L’enigmista, James Wan (2004)

Primo capitolo di una serie horror che avrà un’immensa fortuna e che ad oggi conta ben otto capitoli. Saw fu girato con un budget bassissimo in una sola location, diventando in seguito un cult horror.

Chi è il miglior regista e perchè proprio Nicolas Winding Refn? NWR Mashup
 Un serial killer spietato dal nome Jigsaw si diverte ad uccidere indirettamente le proprie vittime tramite un sistema di sadiche torture che portano alla morte. Il film si apre in medias res e tocca allo spettatore risalire all’identità di Jigsaw e capire il perchè delle torture.

Shutter Island, Martin Scorsese (2010)

Shutter Island è uno dei film più conosciuti ed apprezzati di Martin Scorsese e una delle migliori interpretazioni di Leonardo di Caprio. Grazie ad un cast spettacolare e ad una regia abbastanza illuminata, si cerca di portar luce su un caso di evasione dalla prigione di massima sicurezza di Shutter Island.

Saranno inviati ad indagare sul caso gli ispettori Edward Daniels e Chuck Aule, ma l’isola sembra essere più ostica del previsto. Il colpo di scena finale è uno dei più conosciuti nel cinema recente.

 

Enemy, Denis Villeneuve (2013)

In Enemy, Jack Gyllenhaal è alle prese con un ruolo molto complesso. Il thriller è tratto dal romanzo L’Uomo Duplicato di Josè Saramago, maestro in storie al limite del surresale. Adam Bell è un professore di Storia che guardando un film in DVD si rende conto che un attore della pellicola è esattamente uguale a lui.

Cercando di capire quale sia il suo doppio e dove risieda la sua vera identità, Adam Bell entrerà in un mondo veramente oscuro.

The Others, Alejandro Amenabar (2001)

The Others, girato nel periodo d’oro di Nicole Kidman, è un film a cavallo tra thriller ed horror. Nel 1945 vive una famiglia sull’Isola di Jersey, i cui figli soffrono di una malattia per cui non possono essere esposti alla luce del sole. La madre interpretata dalla Kidman è iperprotettiva e paranoica, finchè i suoi figli non le riferiscono di avvertire strane presenze in casa.

Se7en, David Fincher (1995)

Uno dei migliori film del regista americano David Fincher. Due poliziotti, uno calmo e riflessivo (Morgan Freeman) ed un altro aggressivo ed impulsivo (Brad Pitt) danno la caccia ad un serial killer invaghito di misticismo che uccide “seguendo” i sette vizi capitali.

La caccia all’uomo continua finchè il killer non si presenta autonomamente in centrale di polizia e propone un ultimo accordo. Il colpo di scena è certamente l’elemento fondante del film, tanto che la produzione decise di non accreditare Kevin Spacey fino alla proiezione del film.

The Game, David Fincher (1997)

Ancora David Fincher in questa rassegna, distinguendosi come uno dei più abili registi nel campo del thriller a cavallo dei due millenni. Con Micheal Douglas e Sean Penn, un uomo razionale e disilluso si iscrive ad un’associazione per giochi di ruolo. Dal momento della sua iscrizione la sua vita diventerà un incubo allucinato.

La Montagna Sacra, Alejandro Jodorowsky (1973)

Uno dei migliori film del maestro Jodorowsky, La Montagna Sacra è un inno al surrealismo in tutte le sue sfaccettature. In un’atmosfera carica di riferimenti mistici, religiosi e favolistici, un ladro cerca l’illuminazione seguendo un percorso espiatorio cui viene messo alla prova.

Il colpo di scena finale è magistrale, in quanto più che essere un plot-twist è semplicemente uno dei migliori esempi di metacinematografia.

Brazil, Terry Gilliam (1985)

Brazil fu acclamato ancora prima di uscire nelle sale perchè diretto da uno dei membri più creativi dei Monty Phyton. In Brazil, Terry Gilliam esaspera volutamente e manieristicamente tutte le sue abilità registiche e da animatore. In un tempo non meglio specificato dove vige un regime dittatoriale, un semplice impiegato al Ministero dell’Informazione si innamora di una donna e fa di tutto pur di averla, anche se la cosa va contro la legge.

Il film è totalmente basato sull’utopia della fantasia e del sogno come unica via di fuga e il finale non è da meno.

Lost Highway, David Lynch (1997)

In Lost Highway ammiriamo il Lynch-pensiero all’ennesima potenza. La scrittura è un raro esempio di come si possa sviluppare una trama realmente complicata in maniera magistrale in poco più di 2 ore di film.

Nel film Lost Highway ci sono quattro personaggi che sono totalmente speculari tra di loro, un omicidio di mezzo e un misterioso uomo malvagio, emblema del creepy nel cinema.

Blow-up, Michelangelo Antonioni (1966)

Ambientato nella Londra modaiola, Blow up che in inglese significa ingrandimento, è la storia di un fotografo “dandy” che scopre un omicidio in un parco pubblico e fa di tutto per denunciarlo. Le sue foto si riveleranno le uniche prove del fatto, e una donna è interessata a farle sparire. La scena finale è una vera e propria lezione di cinema.

 

Di  Matteo Squillante  per https://www.lascimmiapensa.com/

I migliori colpi di scena della storia del cinema

Michael Caine, uno dei grandi saggi del cinema contemporaneo, pronunciò una volta, nel contesto di un film di Christopher Nolan, queste parole che vado a riportarvi:

“Ogni grande numero di magia è costituito da 3 parti. La prima si chiama presentazione: il mago mostra qualcosa di ordinario che naturalmente non lo è. La seconda si chiama colpo di scena: il mago trasforma quello di ordinario in qualcosa di straordinario. Non cercare di scoprire il segreto perché non ci riuscirai. Per questo esiste una terza parte chiamata prestigio dove succede l'inaspettato, dove vedi qualcosa che non hai mai visto prima”

Mi è sempre sembrata una definizione un po’ ballerina e più bella che efficace, ma è indubbiamente d’impatto: il modo più semplice e citazionista (e dunque socialmente accettabile) per spiegare che cosa sia un colpo di scena, o un plot twist se siete in vena di anglicismi, quel meccanismo narrativo per cui una singola rivelazione mette in discussione quanto visto fin lì e invita chi guarda a riconsiderarlo alla luce delle nuove conoscenze e a rimettere quindi in prospettiva tutto quanto visto fin lì.

I colpi di scena esistono fin da quando esistono le storie, e sicuramente da ben prima dei film; che però ci ha messo pochissimo a capire che l’equivalente narrativo del togliere il tappeto da sotto i piedi di chi guarda è potentissimo, e perfetto per un medium visuale come il cinematografò. Esempi di colpi di scena, o finali a sorpresa, o chiamateli come preferite, esistono almeno fin dagli anni Venti (Il gabinetto del dottor Caligari è proprio del 1920 e si conclude con un plot twist clamoroso e riciclatissimo da lì in avanti), e ormai c’è gente che ne ha fatto la propria arma mica tanto segreta da sfoderare alla fine di ogni suo film, puntuale come le tasse.

Scegliere i migliori è sempre un’impresa improba, soprattutto perché è difficilissimo prescindere anche dai gusti personali; peggio: quello che per me è un colpo di scena clamoroso e inaspettatissimo, per te potrebbe essere un banale “ah ma ci arrivi solo adesso? Io l’ho capito mezz’ora fa”. E ora che ho messo le mani avanti possiamo cominciare con la top ten, come sempre in rigoroso ordine alfabetico.

Ah, mi sembra sciocco doverlo specificare ma questo pezzo è pieno di SPOILER!

Chinatown (Roman Polanski, 1974)

IL FILM È un intricatissimo noir che ruota intorno all’acqua in California (le California Water Wars sono una cosa) e che, come da tradizione per il genere, è più facile da guardare che da riassumere in poche righe. Rispetto ai classici del genere, con il loro detective superintelligente che arriva alla soluzione del caso grazie al suo potere deduttivo, qui l’investigatore protagonista (Jack Nicholson) è in balia dei colpi di scena, che si susseguono a un ritmo travolgente.

IL COLPO DI SCENA Tra i tanti, scegliamo la rivelazione che la sorella di Faye Dunaway (nel senso, del suo personaggio, Faye Dunaway è figlia unica) è anche la figlia di Faye Dunaway, nata da una relazione incestuosa forzata con il padre.

get out
 UNIVERSAL

Get Out (Jordan Peele, 2017)

IL FILM Debutto alla regia cinematografica per Jordan Peele e salutato come uno degli horror più originali e interessanti del millennio, e con la promessa di un futuro radioso per il suo autore che il secondo film Us ha confermato, è una variazione sul tema “Indovina chi viene a cena?”, ma virato horror. Di base è la storia di un tizio di colore che deve andare a conoscere la famiglia della sua fidanzata bianca, e scopre delle cose brutte.

IL COLPO DI SCENA La fidanzata in questione, e tutta la sua famiglia, sono i mostri di turno, che catturano persone di colore prestanti e intelligenti per usarle come “contenitore” per la loro coscienza, in una sorta di mix tra immortalità e reincarnazione.

I soliti sospetti (Bryan Singer, 1995)

IL FILM Cinque tizi devono compiere un colpo per conto del misteriosissimo boss criminale Keyser Söze, con il quale tutti e cinque hanno una qualche forma di debito; il colpo prevede l’assalto a una nave piena di droga, appartenente all’organizzazione rivale di Söze.

IL COLPO DI SCENA Keyser Söze non esiste, o meglio è Kevin Spacey, o meglio è il personaggio di Kevin Spacey nel film I soliti sospetti.

Il pianeta delle scimmie (Franklin Shaffner, 1968)

IL FILM Tratto da un romanzo francese, è la storia di un gruppo di astronauti che si ibernano per un viaggio spaziale lungo 700 anni, e quando si risvegliano (2006 anni dopo) si ritrovano su un pianeta popolato da scimmie intelligentissime che li considerano alla stregua di animali. Seguono pazze avventure.

IL COLPO DI SCENA Il pianeta in questione è la Terra!

sixth sense
 COURTESY OF BUENA VISTA PICTURES

 

Il sesto senso (M. Night Shyamalan, 1999)

IL FILM Qualsiasi film di Shyamalan andrebbe bene in questa lista, personalmente il mio preferito in termini di colpi di scena e non solo è The Village, ma è Il sesto senso che l’ha fatto conoscere al mondo come “l’uomo dei plot twist”, e quindi eccovi questo film in cui Bruce Willis psicologo infantile deve aiutare un bambino che è convinto di vedere la gente morta.

IL COLPO DI SCENA Anche Bruce Willis è “gente morta”.

Psyco (Alfred Hitchcock, 1960)

IL FILM Una tizia ruba dei soldi al suo capo e fugge nascondendosi in un motel gestito dalla famiglia Bates (madre e figlio). La storia gira tutta intorno al suddetto motel, che verrà visitato anche dalla sorella della tizia, da un investigatore privato e dal fidanzato della tizia. Moriranno quasi tutti.

IL COLPO DI SCENA La sciura Bates non esiste – o per dirla con un noto libro di qualche anno fa, La mamma di Psycho è lui con la parrucca.

Soylent Green (Richard Fleischer, 1973)

IL FILM Siamo nel 2022, in un mondo sovrappopolato dove lo spazio v itale scarseggia e il monopolio del cibo è in mano alla Soylent Industries, che produce varie pappe artificiali chiamate appunto “soylent red” e “soylent yellow”. Un investigatore deve indagare sulla morte di uno dei membri del consiglio direttivo della Soylent Industries, avvenuta poco dopo il lancio del loro nuovo prodotto, il soylent green.

IL COLPO DI SCENA

This content is imported from Giphy. You may be able to find the same content in another format, or you may be able to find more information, at their web site.

L’impero colpisce ancora (George Lucas, 1980)

IL FILM Secondo capitolo di un’oscura saga cinematografica che ha conosciuto un successo di nicchia e non è stata assolutamente assorbita dal colosso Disney che l’ha presa che era una macchina da soldi e l’ha trasformata in una macchina di macchine da soldi, racconta alcune cose che parlano di guerre, stelle, un tizio piccino verde con le orecchie grandi e la sintassi confusa, e varie altre follie che vi consiglio di scoprire da soli se ancora non conoscete quest’opera immeritatamente ignota.

IL COLPO DI SCENA Il cattivo è il padre del protagonista! NOOOOOOOOOOOOO!!!

The Game (David Fincher, 1997)

IL FILM Un altro di quei casi in cui si fa prima a guardare il film che a raccontarlo. Lo spunto è che c’è un banchiere depresso che decide di partecipare a un gioco che “gli cambierà la vita”, e da lì va tutto a ramengo, tra omicidi, cimiteri messicani e conti in banca che si svuotano.

IL COLPO DI SCENA Era tutto un gioco! Proprio come diceva il titolo del film! Anche quando ha smesso di sembrare un gioco per diventare una cosa chiaramente serissima! Ah ah te l’abbiamo fatta, Michael Douglas!

The Others (Alejandro Amenabar, 2001)

IL FILM Il migliore tra i figli del successo di Il sesto senso, è per farla breve la storia di una famiglia (madre e due figli) che vive in lockdown, non per via del covid ma per via dei traumi postbellici e del fatto che i due bambini sono fotosensibili. I tre vivono in una grande casa vuota, nella quale però potrebbero esserci degli intrusi, o delle presenze, o altre cose brutte di questo genere.

IL COLPO DI SCENA Gli intrusi, le presenze, le cose brutte, sono proprio la madre e i suoi due figli! Che come Bruce Willis sono morti dall’inizio del film, che è quindi un caso più unico che raro di film di case infestate visto dal punto di vista di chi infesta.

 

di Stanlio Kubrick  per https://www.esquire.com/

Brutti, sporchi e cattivi: Ettore Scola premiato a Cannes

Al centro del film ci sono la periferia romana dei primi anni settanta e le sue baraccopoli. Tutto raccontato impietosamente con le loro miserie, morali e materiali. Il film fu vincitore del premio per la miglior regia al 29º Festival di Cannes. La critica è concorde nel riconoscere la grande interpretazione di Nino Manfredi, che ha saputo delineare il personaggio di Giacinto “con straordinaria misura e sottigliezza“.

Il film è girato quasi completamente a Roma, nella zona di Monte Ciocci, dal nome del casale di Ciocci, Torre di guardia, esattamente dopo la Scuola Agraria di via Domizia Lucilla; da qui il panorama che si affaccia sulla Cupola di San Pietro e l’Olimpica. La zona era stata, fino al 1977, veramente occupata da baracche piene di sbandati e di operai che lavoravano presso i cantieri di via Baldo degli Ubaldi e Boccea. Nella scena in cui la nonna va a ritirare la pensione è chiaramente riconoscibile il noto Palazzo delle Poste di Adalberto Libera in Via Marmorata, ambientazione poco credibile trattandosi di una zona di Roma molto distante dal Trionfale.

Con Nino Manfredi, Marcella Michelangeli, Marcella Battisti, Claudio Botosso, Silvia Ferluga, Francesco Annibali, Maria Bosco, Maria Luisa Santella.

La trama

In una baraccopoli romana vive una famiglia di immigrati pugliesi composta dal vecchio e tirannico padre, Giacinto, dalla moglie, dieci figli e uno stuolo di parenti. Scopo principale di questi è impadronirsi del milione che Giacinto ha ottenuto per la perdita di un occhio. Commedia grottesca e dramma sociale si mescolano in questo film di Scola: si ride amaro. Miglior regia al Festival di Cannes.

Alberto Moravia su Brutti, sporchi e cattivi

Scrive Alberto Moravia nella sua recensione del film: “(…) In questo notevole film, l’insistenza sui particolari fisici laidi e ripugnanti potrebbe addirittura far parlare di un nuovo estetismo in accordo coi tempi, che viene ad aggiungersi ai tanti già defunti: quello del «brutto», dello «sporco» e del «cattivo». Comunque siamo in un clima piuttosto di contemplazione apatica che di intervento drammatico”.

Lo spettacolo d’autore di Scola con la poetica civile di Pasolini

Doveva sancire l’incontro dello spettacolo d’autore di Scola con la poetica civile di Pasolini. Dopo aver letto il soggetto, il secondo promise al primo una prefazione al film alla maniera dei romanzi, ma fu ucciso prima di poterla realizzare. Brutti, sporchi e cattivi non soffre la mancanza di una legittimazione proveniente da colui che per primo diede un senso alle borgate. L’idealizzazione pasoliniana della povera gente è negata sin dal titolo del film più spericolato di Scola.

Facilmente accusabile di una stilizzazione a cui forse non fu immune nemmeno il Comencini del più fiabesco Lo scopone scientifico. Il regista riesce ad inventare un mondo che si rifà alla realtà sottoproletaria per diventare altro da sé, in una prospettiva quasi iperrealista (una realtà più reale della realtà) che qua e là si concede una deviazione onirica (è un incubo?).

Se proprio volessimo giocare all’incasellamento, probabilmente non è neppure una commedia all’italiana ufficiale. Piuttosto un’inquietante fantasia grottesca, forse un fellinismo mitigato dall’incidenza pasoliniana, un coro di mostri incapaci di emanciparsi dalla propria atrocità, un gioco al massacro di detonante pessimismo a cui è concessa l’illusione di una speranza nel momento in cui la prostituta Iside dialoga con Giacinto buttato sulle sue enormi tette.

Eccezionale Nino Manfredi  che riesce perfino a temperare il gigionismo congenito al brutale e squallido personaggio (truccato dal grande Franco Freda).

da https://www.taxidrivers.it/

Il Giardino dei Finzi Contini, restaurato uno dei capolavori firmati da Vittorio De Sica

Basterebbe la sequenza in sottofinale dove una mezza dozzina di loschi figuri del partito fascista arrestano l’intera famiglia ebrea dei Finzi-Contini, dalla giovane figlia all’anziana nonna. Pochi movimenti di macchina da presa, una statuina che simbolicamente si rompe infrangendo il cerchio dell’equilibrio storico, innescando l’orrenda violenza dello sterminio degli ebrei in Italia, per uno dei capolavori di Vittorio De Sica datato 1971 che subito diventa infinito tassello cinematografico della storia del mondo. Il Giardino dei Finzi Contini, in versione restaurata da Studio Cine’ di Roma, L’Immagine ritrovata di Bologna e la sponsorizzazione dell’azienda Anthony Morato, potrà essere visto in anteprima mondiale a Roma, alla Casa del Cinema, il 25 marzo 2015 alle 20.30, alla presenza di uno dei protagonisti del film: Lino Capolicchio. “È un mestiere strano e sorprendente quello dell’attore. Quando giri un film non sai mai come andrà a finire il set, il seguito di pubblico in sala, i premi”, spiega Capolicchio al fattoquotidiano.it. Infatti Il Giardino dei Finzi Contini, tratto da un celebre romanzo dello scrittore Giorgio Bassani, vinse nel 1971 l’Orso d’Oro al Festival di Berlino e dopo un anno nel 1972 l’Oscar come miglior film straniero.

Il Giardino dei Finzi Contini De sicaIn quella storia di una famiglia alto borghese di origine ebraica gradualmente coinvolta nelle leggi razziali applicate dal regime mussoliniano e infine nel 1943 deportata nei campi di concentramento si è riconosciuto il pubblico dell’intero pianeta, tanto che il film – onorevolissimo ventesimo posto al box office con oltre un miliardo e mezzo d’incassi nella stagione 1970-71- venne proiettato a Gerusalemme, Mosca e San Francisco. Oltre ai giovani Finzi-Contini con Dominique Sanda che interpreta Micol ed Helmut Berger nei panni del fratello Alberto, c’è il giovane comunista e operaio Gilberto (un Fabio Testi all’apice del glamour) e un giovanissimo Lino Capolicchio, Accademia Silvio d’Amico e il Piccolo di Strehler come palestra, ad interpretare praticamente per tre quarti di film il ventenne Giorgio, anche lui ragazzo di famiglia israelita, innamorato di Micol, e che riuscirà a scampare all’orrore dell’Olocausto. “Sono molto orgoglioso di quel ruolo. De Sica mi chiese una recitazione misurata. Mi diceva: “Si deve sentire il battito dell’anima”, racconta l’attore nato a Merano nel ’43, interprete di decine di film tra gli anni settanta e ottanta. “Vittorio era un grandissimo regista soprattutto nel dirigere gli attori. Urlava spesso sul set, anche se io ero abituato alle urla con Dino Risi. Tra l’altro non in pochi piansero sul set, dalla Sanda a Berger. Invece Testi veniva insultato da mattina a sera”.

Il Giardino dei Finzi Contini De sica 2“De Sica interpretava tutti i ruoli per far capire all’altro attore la scena – continua -. C’è un momento in cui la Sanda è a letto sdraiata e parla con me. Lui si sdraiò sul letto e recitò la parte di lei. Per fortuna non c’era nessun fotografo nei paraggi”. Dodici settimane di set, di cui un mese e mezzo a Ferrara anche se la villa con annesso e celebrato “giardino” non sono mai stati lì: “Fu un abile lavoro di montaggio su diversi set che ha comunque creato il mito di quel luogo. Da questo, come dalla sequenza dell’arresto della famiglia Finzi-Contini capisci il genio di De Sica: due tocchi, quattro inquadrature, il senso della trageda imminente che si scatenerà di lì a poco ma senza mostrare nulla di esplicito. Spielberg molti anni dopo raccontò lo stesso la deportazione ma in modo più spettacolare e convenzionale”.

Il Giardino dei Finzi Contini De sica 3Pur disconosciuto da Bassani, che chiese di non essere citato nei titoli e che diversi anni dopo spiegò su L’Espresso la sua contrarietà all’operazione della Documento Film, articolo in cui esprime con un certo fastidio le troppe presenze di “tecnici” della scrittura dell’ambiente cinematografico romano a mettere mano allo script, Il Giardino dei Finzi Contini venne amato da molti spettatoti anche i più illustri: “Ricordo la prima a Gerusalemme – conclude Capolicchio – a cena mi si sedette vicino Golda Meir, il primo ministro d’Israele di allora, e mi chiese ‘ma lei è ebreo?’; risposi di no, e lei mi lodò per la credibilità del personaggio. Il film comunque non sembra essere stato troppo d’aiuto sul tema trattato. Questo tipo di razzismo continua a proliferare. Bisognerebbe cambiare gli uomini. Brecht nell’Arturo Ui dice: “Fate attenzione, il germe che ha generato il nazismo è sempre fecondo”.

(di Davide Turrini per ilfattoquotidiano.it)

 

Un film di qualità: ma è del 1942

To be or not to be di Ernst LubitschIl caso del momento nelle sale italiane è un film del 1942, To be or not to be, capolavoro di un regista che ne girò parecchi, Ernst Lubitsch. Una satira del nazismo realizzata a Seconda Guerra Mondiale ancora in corso, ricca di intelligenza ed eleganza corrosive dietro l'apparenza soave.

Un film uscito ai tempi con il titolo Vogliamo vivere, che ora è stato ri-distribuito, restaurato, quasi per scommessa. E che in due settimane ha registrato 28.513 spettatori ed è il 14° film più visto in Italia. Ma, questo è clamoroso, è proiettato in soli 14 cinema in Italia. La media è di 2036 spettatori a sala.

Sapete quanti spettatori ha fatto il film più visto l'ultimo fine settimana, Star Trek-Into Darkness? 113.190. Ma è distribuito in 450 sale. La media spettatori fa 250. Dimezziamo pure il dato del film uscito una settimana prima, il rapporto è di circa 5 a 1 a favore di Lubitsch.Risultato che lascia sbalordito in primis Vieri Razzini, della Teodora Film, che ha avuto l'idea di ridistribuire To be or not to be: «Ci pensavamo da anni, ma quasi più come provocazione, come riflessione su un modo diverso di stare al cinema, godendosi un film solo per la sua bellezza senza effetti speciali, divi, e tutto il resto. Già se questi fossero stati i dati definitivi saremmo stati contenti. Così è un sogno».

To be or not to be di Ernst Lubitsch 2A trainare le visioni sono le due metropoli. A Roma finora è stato visto da 9.200 persone in tre cinema (Eden, Nuovo Sacher e Quattro Fontane). A Milano 6.079, grazie all'Anteo in città e al Troisi a San Donato, un risultato che ne ha fatto la scorsa settimana l'ottavo film più visto. Seguono Firenze, Bologna e Torino. «Lo terremo per buona parte dell'estate», dice Lionello Cerri dell'Anteo.

Non sarà il solo. Senza contare che in autunno, dopo questo successo, il film girerà i cineforum. «È la conferma - dice Razzini - che c'è anche il desiderio di qualcosa di diverso, che il discorso che al pubblico si dà quel che il pubblico vuol vedere è falso. Ora pensiamo già al prossimo. La lista dei film è quella dei sogni».

Il pubblico c'è, questo è chiaro. Non solo di quantità ma anche di qualità. Gente capace di vivere sentimenti collettivi. E a fine proiezione di To be or not to be parte spesso un commosso e spontaneo applauso, e poi, con gli occhi ancora pieni di lacrime di gioia e risate, ci si guarda attorno per cogliere una complicità nell'amore per la bellezza e l'intelligenza. «Ed è forse quello che ci ha sorpreso più di tutto» sorride Razzini.

di Luigi Bolognini per "La Repubblica" - Le foto sono tratte dal film To Be Or Not to Be di Lubitsch (2013)

 

"La Banda Grossi" inizia le riprese nelle Marche grazie al Crowdfunding

La Banda Grossi film Crowdfunding“Una storia vera quasi dimenticata, vicende tramandate oralmente per generazioni sullo sfondo di una terra difficile, le Marche, e che hanno tutti i connotati epici e romantici per poter intrattenere il grande pubblico internazionale. Un’emblematica banda di briganti che nel 1860 mise a ferro e fuoco la provincia di Pesaro e Urbino con omicidi, grassazioni, violenze e furti d’ogni tipo, guidata da un capobanda fiero e irriverente, uno che ha alzato la testa in un momento in cui tutti tacevano.”

Leggi tutto: "La Banda Grossi" inizia le riprese nelle Marche grazie al Crowdfunding

Dentro le memorie controverse: UN MINUTO DE SILENCIO

Ferdinando Vicentini OrgnaniOggi, l'America Latina è in rivoluzione: dal Messico, al Brasile alla Bolivia sono migliaia le persone che si mobilitano in nome della libertà, dei diritti, dell'identità, di una nuova politica. Rivoluzioni che spesso in Europa non ci vengono raccontate e se qualcuno ci prova spesso omette o distorce quei fatti fondamentali che andrebbero a formare una corretta opinione pubblica. In questo caos comunicativo dato da un giornalismo superficiale vi è però chi cerca di approfondire i fatti e di documentare la realtà, andando sul luogo dell'accaduto e cercando di comprendere la situazione.', '

E' il caso per esempio di UN MINUTO DE SILENCIO del regista Ferdinando Vicentini Orgnani che partendo da un personaggio come Evo Morales, il primo presidente indigeno della Bolivia, si tenta di scoprire cosa c'è veramente dietro alla sua elezione.

L'entusiasmo iniziale che aveva coinvolto molte persone alla notizia di un presidente boliviano autoctono è stato smontato quando si intuisce che la democrazia che sta al governo da dieci anni nasconde una realtà criminale legata alla coca. Uno Stato che ha come scopo il narcotraffico, situazione simile già vista in Colombia ai tempi di Pablo Escobar. Questo però non impedisce alle persone di avere una specie di resistenza ideologica: “Vi è molta superficialità da parte della stampa europea” commenta il regista “si preferisce credere alle favole, piuttosto che a una realtà documentata. Non c'è la voglia di approfondire, di andare nel posto per comprende cosa realmente sia accaduto”.

UN MINUTO DE SILENCIO del regista Ferdinando Vicentini OrgnaniIl film dopo essere stato presentato a San Paolo, ha avuto una distribuzione negli States e fra poco uscirà anche in Brasile, Paese che attualmente ha grossi problemi con la coca. In Europa, per il momento, è prevista solo una distribuzione in Francia, ma Sean Penn si è detto favorevole a sostenere l'opera del regista avendo vissuto sulla propria pelle la situazione instabile della Bolivia.

Una circostanza controversa che non capita per la prima volta al regista: guardando alla sua filmografia, infatti, Ferdinando Vicentini Orgnani, ha più volte nuotato in acque non troppo pulite dove la memoria storica è stata inquinata. Occasioni che spesso gli sono capitate e che ha approfondito, spinto dalla curiosità di capire perché certe cose non sono state dette, altre si sono invece volute oscurare.

Appena qualche giorno fa così è stato scritto in un articolo di giornale: Ipotizzato falso in atto pubblico, calunnia e favoreggiamento. La Procura di Roma ha aperto un nuovo fascicolo sul caso Ilaria Alpi, la giornalista del Tg3 uccisa a Mogadiscio il 20 marzo 1994 insieme all’operatore triestino Miran Hrovatin. L’indagine riguarda alcune anomalie legate alla gestione di un testimone, Ahmed Ali Rage che per la Corte di Appello di Perugia si sarebbe rivelato falso.

Dopo più di 20 anni ancora si cercano risposte e verità sulla morte della giornalista. Un argomento che Vicentini Orgnani ha trattato in un film (“Ilaria Alpi il più crudele dei giorni” con protagonista Giovanna Mezzogiorno), ricevendo poi diverse querele. Un'opera che si basa sugli atti del processo e sul lavoro svolto da quel giudice che venne sollevato dal caso perché considerato scomodo.

Episodi ambigui che in fondo non sono mai finiti: da Giulio Regeni, agli uomini ammazzati dalla mafia, a Pier Paolo Pasolini. “Non è un caso che quel mio film inizi con il celebre scritto: Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Quella frase è il senso che abbiamo voluto dare al film e oggi su altri fronti la storia sembra ripetersi. Fatti come questi ti fanno capire come certe scelte, legate ai meccanismi della politica estera, siano disastrose”.

Vicende simili sono racchiuse anche in “68 – Utopia della Realtà”, titolo che enuncia la condizione problematica e contraddittoria di quegli anni e di ciò che (in parte) viene ricordato e detto. Un documento audiovisivo che salva, insieme ad altri del suo genere, un tipo di memoria che si sta perdendo, specialmente nelle nuove generazioni che ignorano, a causa dell'istruzione scolastica, l'esistenza di anni così fondamentali della storia del nostro Paese. Il documentario infatti va contro la tradizione ideologica che ha vinto. “Di quegli anni spesso vogliamo dimenticarci che molte persone pur appartenenti a partiti opposti – della sinistra e della destra estrema – andavano tra loro d'accordo” racconta il regista “c'era una convergenza, ma a differenza di altri Stati - come la Francia - noi siamo finiti per spezzare questo equilibrio, abbiamo voluto gli scontri pesanti, il terrorismo...nessuno si è voluto assumere le proprie responsabilità”.

Ferdinando Vicentini Orgnani ha girato anche film fuori da questi schemi, come per esempio VINO DENTRO, opera che è stata definita una black comedy metafisica, ma l'autore è indubbiamente uno di quei registi che si vanno ad annoverare nell'attuale panorama italiano di un cinema impegnato, un genere poco amato rispetto a quell'eredità lasciataci dagli anni '60-'70, ma che di sicuro, nonostante le avversità, assume un valore importante per la memoria e l'identità del nostro Paese.

Eleonora Gasparotto Nascimben per Manifesto 0 

Ultimo tango a Parigi visto da Marco Giusti

“Go, get the butter”. La rivoluzione, vera, sarà quando vedremo non a Rai Movie, ma in uno dei canali generalisti della Rai Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, il film maledetto, addirittura bruciato dalla nostra censura nel 1974, con il suo autore privato dei diritti per cinque anni. Malgrado il suo record di incassi, 6 miliardi di lire nel 1972 (e Bertolucci non è Checco Zalone), 96 milioni di dollari in tutto il mondo.

ultimo tango a parigi burroMalgrado tutto il dibattito culturale che creò. E l’incredibile balletto della nostra magistratura. Assolto il 2 febbraio del 1973 in primo grado, poi condannato alla distruzione in secondo grado il 20 novembre 1974. Nel 1982, nella rassegna nicoliniana “Ladri di cinema”, Marco Melani, Daniele Costantini e Stefano Consiglio mostrarono di fronte al pubblico una vera copia in 35 mm del film.

Era la copia personale di Raimer W. Fassbinder, che l’aveva regalata per questa proiezione pochi mesi prima di morire. Presentando il film Bertolucci disse: “io credo che valga la pena di vedere il fantasma di un film che essendo stato bruciato non esiste più. Qui siamo nel regno dell’impossibile, quindi vedremo che cosa rimane di un film bruciato. Vi ringrazio molto di essere stati qui e vi avviso, forse siete tutti correi di un crimine”.

Infatti questa visione creò non pochi problemi al gruppo di “Ladri di cinema”. Solo nel 1987 arrivò, veramente troppo tardi, la riabilitazione da parte della magistratura. Ma non era più la stessa cosa, né, mi parve, la stessa copia che avevamo visto nel 1972 con gli occhi spalancati. Dove erano finiti quei colori, dove erano i benpensanti da scandalizzare dopo gli anni di piombo e tutto il nudo che avevamo visto negli anni precedenti?

Anche in tv e in video non può ricreare in nessun modo la stessa emozione. Disse bene Bertolucci: “Rivedere il film in televisione per chi non l’ha mai visto al cinema può essere abbastanza emozionante, ma per chi lo ha visto al cinema una ben triste consolazione. O forse è il contrario. Forse chi lo ha già visto al cinema ritrova nella propria memoria tutto quello che manca nell’impatto televisivo”.  

ultimo tango a parigi 2Lasciamo alla filologia del cinema poi la complessa ricostruzione delle copie originali, un director’s cut mai visto da nessuno, presumo, di 250’, una copia di 136’, una di 124’. Una copia americana X-rated nel 1972 e una R-rated nel 1982 più corta di due minuti. Qual è la copia che dovremmo davvero vedere? Perfino un geniale trailer montato da Kim Arcalli, montatore, ma anche co-sceneggiatore del film, nonché ispirazione fondamentale per capire parte del personaggio di Marlon Brando (“non era solo il mio montatore, ma la mia coscienza strutturale”), tutto costruito con scene tagliate e pezzi di backstage del film, non si è mai visto perché il film uscì prima del previsto, senza trailer.

Lasciamoci dietro tutte le polemiche ideologiche riguardanti il film, visto come un tradimento per molti registi rivoluzionari del tempo. E ritorniamo in sala con gli occhi che avevamo nel 1972.

Perché al di là di tutto, della pazzia di Maria Schneider, che venne come marchiata dal film e dalla sodomia col burro di fronte “solo” al pubblico di tutto il mondo, della riabilitazione di Brando, che allora non era proprio al suo massimo, ma lo fu subito dopo, la visione del film, come diceva Bertolucci, fu qualcosa di incredibile per chi aveva allora appena vent’anni e aveva giocato fino al giorno prima con gli spaghetti western di Sergio Leone & co.

Bertolucci, Brando in canottiera, la Schneider con la topona pelosa di fuori e il foulard, Kim Arcalli il montatore-sceneggiatore partigiano, la musica di Gato Barbieri, lo scenografo Ferdinando Scarfiotti, la costumista Gitt Magrini, la PEA di Grimaldi, Jean-Pierre Léaud e l’Atalante di Jean Vigo, Maria Michi. Entravamo in una sala piena, e vedevamo qualcosa che non si era mai visto prima.

Non si trattava solo dei nudi di Maria Schneider e della scena del burro, giustamente parodiata da Franco Franchi in Ultimo tango a Zagarolo (“la parodia è quella che ha fatto Bertolucci”, disse Carmelo Bene), si trattava del sogno di una generazione di cinéphiles. Vedere il nostro sapere cinematografico, tutti i nostri riferimenti da Cahiérs du Cinéma, diventare un grande film popolare che seguitava però a emozionarci.

ultimo tango a parigi 3Se Leone aveva rielaborato il cinema di John Ford, John Sturges, Raoul Walsh in un grande cinema popolare italiano dentro al genere, Bertolucci rielaborava tutto il cinema americano e la rivoluzione della Nouvelle Vague dentro un film italiano moderno. Rispetto a Partner, rispetto anche a Il conformista, era qualcosa di molto più avanzato. Magari un tradimento, come credo pensasse Glauber Rocha, che vide il film a New York, mi raccontò Paulo César Saraceni.

Ma certo un tradimento così in grande da poter far capire a tutto il mondo quello che un’intera generazione di venti-trentenni pensava che fosse cinema. E al tempo stesso apriva la nostra mente a Bataille, non a caso si chiamava “La petite morte” il primo progetto, a Jean Rouch mischiato con Hollywood, come disse anni dopo Bertolucci (“in fondo è un film alla Jean Rouch completamente hollywoodiano, è cinema-verità ricco”).

Se Bertolucci lo avesse girato, come era stato pensato in un primissimo tempo nel soggetto del fratello Giuseppe e Kim Arcalli, a Milano per le produzioni Rai, sarebbe stato solo un piccolo buon film “sperimentale”. Se lo avesse girato a Parigi con Jean-Louis Trintignant e Dominique Sanda sarebbe stato un buon film europeo come Il conformista. Con Alberto Grimaldi e Marlon Brando, reduce dal disastroso Queimada del trombonissimo Gillo Pontecorvo, odiato da Jacques Rivette per la mai scordata “carrellata di Kapo”, col marchio PEA di Il buono, il brutto, il cattivo e Satyricon, con la musica di Gato rimontata da Kim, diventa qualcosa di esplosivo che buca completamente i nostri occhi di ragazzini dei primi anni ’70.

E’ da lì che una intera generazione esplode in mille pezzi sognando un cinema libero alla Oshima, che che si accontenterà anche di limitarsi a Malizia di Samper con la stessa fotografia di Vittorio Storaro, o ai film di Edwige Fenech o precipiterà nel porno più o meno d’autore. Ultimo tango apre le porte a una libertà mai vista prima. Ne uscimmo pieni di forme, di corpi, di colori, di musica, di nuove regole di montaggio, di grandi inquadrature da cinéphiles.

Il conformista si era spinto dove si poteva spingere il nostro cinema d’autore. Ultimo tango va oltre, anticipando il Decameron e Salò di Pasolini, anticipando Portiere di notte, Novecento e C’era una volta in America, tutti scritti da Kim Arcalli, non a caso. Un cinema che finalmente affrontava il grande mercato americano e che porterà solo molti anni dopo agli Oscar a Bertolucci per Ultimo imperatore, ma che nasce lì nella camera del burro di Brando. Perché Brando sfonda la nostra stessa resistenza a voler pensare in grande, a confrontarsi con qualcosa che amavamo, ma che al tempo stesso cercavamo di nasconderci. “Go, get the butter”.

Tutte le immagini sono di MARLON BRANDO e MARIA SCHNEIDER in ULTIMO TANGO A PARIGI

di Marco Giusti per dagospia.com

 

Il film d'autore piange

E intanto in Italia il consumo di cinema, non solo di qualità, continua a calare o, al meglio, ristagna. I dati parlano chiaro. Mentre sui giornali rimbalza la polemica su Natale a Beverly Hills titolo “d’essai”, i film d’autore, quelli veri, sono respinti sempre più ai margini di un mercato immobile. Basta guardare al resto d’Europa o agli Stati Uniti per rendersene conto. 
L’America festeggia una stagione record. La Francia brinda addirittura ai 200 milioni di spettatori annui, un dato che non raggiungeva dal lontano 1982. L’Italia invece resta inchiodata intorno ai 100 milioni, malgrado la rivoluzione dei multiplex, che in Gran Bretagna ha raddoppiato il numero di biglietti venduti in pochi anni. Inoltre mostra segni di disaffezione verso la fascia alta del cinema, che una volta contava su spettatori competenti e appassionati.

Non bastano i successi dei film di Clint Eastwood, Woody Allen o Gus Van Sant, infatti, a salvare il cinema d’autore. Quest’anno sono andati maluccio o malissimo, per fare solo pochi esempi, Motel Woodstock di Ang Lee, Frost/Nixon di Ron Howard, The Informant di Steven Soderbergh, Appaloosa di Ed Harris, e parliamo di bei film firmati da nomi arcinoti. Ma anche titoli che hanno vinto Venezia e Cannes, come Lebanon e Il nastro bianco (certo non facili), devono accontentarsi di risultati molto più modesti di una volta. Perché?

«Inutile fare l’esempio francese», risponde Valerio De Paolis della Bim. «Là fioriscono da sempre iniziative in sostegno del cinema. C’è una borghesia colta ed estesa che frequenta il cinema di qualità. E c’è, anche, una legge che proibisce di pubblicizzare i film con gli spot in tv, come si fa invece in Italia», favorendo di fatto i più forti. «Se vuoi lanciare Avatar basta la parola o il concetto del 3D. Ma per far scoprire Lebanon - il bellissimo film israeliano che ha vinto Venezia - cosa ci metto? La guerra, Israele, il nome del regista o degli attori, tutti sconosciuti?».

Certi film vanno male anche perché chiudono le sale di città. E in decenni di strapotere tv, nessuno ha formato una nuova generazione di spettatori. «Da noi i multiplex hanno semplicemente operato un travaso di pubblico» dice Lorenzo Ventavoli, storico esercente piemontese e presidente del Torino Film Festival. «Ma il problema è anche anagrafico e culturale. La fascia che seguiva un certo cinema è la più colpita dalla crisi. Sono intellettuali, precari, insegnanti. Così, anziché differenziarsi, il grosso del consumo si concentra intorno a pochi titoli, sempre quelli. Ma è colpa nostra che non sappiamo usare i nuovi mezzi. Se porti 500.000 persone in piazza per il “no B day” solo con Internet, senza stampa né tv, vuol dire che c’è un mezzo eccezionale per comunicare con i giovani che il cinema non sa ancora usare».

Web significa anche pirateria, un vero flagello ma anche un facile babau per il nostro cinema. Anche se forse il vento sta girando. «Non diamo tutte le colpe ai pirati», ammonisce il presidente dei produttori, Riccardo Tozzi. «Ci sono intere regioni d’Italia, sguarnite di sale, in cui la pirateria è per così dire obbligatoria. Ma non si può parlare di pirati se non dai un’alternativa al downloading illegale. Per questo sta nascendo una piattaforma digitale che fra pochi mesi offrirà musica e cinema a prezzi e in tempi competitivi, del tutto legalmente».

Rincara Andrea Occhipinti, Lucky Red: «Il futuro è il Video On Demand, il film dove vuoi quando vuoi. La sala sarà essere sempre meno centrale. In questo senso la pirateria, che ha quasi ucciso il cinema, diffondendo certe abitudini potrebbe farlo rinascere, se metteremo a punto gli strumenti giusti. E poi mi secca ammetterlo ma ci sono intere generazioni di registi, che so, in Cina, che si sono formate piratando il grande cinema europeo sul web...». E Fabio Fefé di Circuito Cinema, rete di sale d’essai, ricorda il ruolo dell’istruzione. «Se anziché chiedere tanti piccoli aiuti allo Stato ci fosse un’ora di storia del cinema nelle scuole, cambierebbe tutto». Difficile dargli torto.

di Fabio Ferzetti

da   ilmessaggero.it  

 

Rassegna "Le città visibili: Vienna. La capitale austriaca in oltre 30 film"

Dal 15 al 20 dicembre al cinema Trevi la rassegna "Le città visibili: Vienna. La capitale austriaca in oltre 30 film". In programma incontri con Liliana Cavani e Peter Kubelka.

cinema Trevi – Vicolo del Puttarello 25, Roma.

Dopo le tre edizioni precedenti dedicate a Parigi, Berlino e Madrid, la rassegna "Le Città Visibili" continua la sua ricognizione cinematografica con Vienna, con film di Lubitsch, Duvivier, Ophüls, von Sternberg, Reed, Forman, Linklater, Kubelka, Haneke e molto altro. Il 16 e il 17 dicembre incontri con L. Cavani e P. Kubelka

Promossa da Regione Lazio, Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale e Associazione Culturale La Farfalla sul Mirino, in collaborazione con Österreich Institut, Goethe Institut Roma ed Ente Nazionale Austriaco per il Turismo, la rassegna da una parte ripropone l’opera di cineasti come Ernst Lubitsch (Matrimonio in quattro, 1924), Julien Duvivier (Il grande valzer, 1938), Max Ophüls (Lettera da una sconosciuta, 1948, e La ronde – Il piacere e l’amore, 1950), Josef von Sterberg (Disonorata, 1931), o il Carol Reed del celeberrimo Il terzo uomo (1949), dall’altra offre la possibilità di scoprire autori meno conosciuti come Willi Forst, Wolfgang Glück, Maximilian Shell. In programma le grandi coproduzioni che hanno rafforzato il mito della capitale austriaca, con titoli come Amadeus di Milos Forman o Prima dell’alba di Richard Linklater, ma anche opere di autori d’avanguardia come Peter Kubelka (il regista incontrerà il pubblico del cinema Trevi il 17 dicembre alle 21.15), Valie Export e Kurt Kren, fino alla Vienna sofferta dei capolavori di Haneke, del quale, grazie alla collaborazione dellaBIM Distribuzione, si propone il capolavoro La pianista (2001).

Tra gli eventi previsti, oltre le anteprime di una serie di restauri preziosi (Il volo su Vienna – sulla celebre impresa ideata e capeggiata da D’Annunzio il 9 agosto 1918 – restaurato dalla Cineteca Nazionale, il classico del muto Die Pratermizzi, il frammento del capolavoro perduto di Sternberg The Case of Lena Smith), e l’anteprima italiana di Amateuraufnahmen Wien, Frühjahr 1938 (Film amatoriale viennese, primavera del 1938), proveniente dalle collezioni dell’Österreichisches Filmmuseum, si segnala l’incontro con Liliana Cavani moderato dal Conservatore della Cineteca Nazionale Enrico Magrelli (16 dicembre, ore 21.00). La regista presenterà al pubblico il suo Il portiere di notte, uno degli esiti controversi e insieme amati del cinema italiano degli anni ‘70. 

 

PROGRAMMA


• martedì 15 dicembre
ore 17.00
Merry-Go-Round (Donne viennesi, 1923)
Regia: Rupert Julian [e Erich Von Stroheim]; soggetto e sceneggiatura: Harvey Gates, Finis Fox; fotografia: William H. Daniels, Charles E. Kaufman, Ben F. Reynolds; scenografia: Elmer Sheeley; costumi: Richard Day; montaggio: James C. McKay; interpreti: Norman Kerry, Mary Philbin, Dale Fuller, Maude George, Cesare Gravina, George Hackathorne; origine: Usa; produzione: Universal Pictures; durata: 110′
Appena prima dello scoppio della Grande Guerra, il Conte Franz Maximilian Von Hohenegg si innamora della figlia di un giostraio del Prater, pur essendo promesso a un’aristocratica del suo rango. Scambiato dalla ragazza per un venditore di cravatte, l’uomo vede improvvisamente ricambiato il proprio amore, ma gli ostacoli tra i due crescono ogni giorno di più. Già reduce dai contrasti produttivi di Femmine Folli, Stroheim fu cacciato dal set di Donne viennesi da un allora giovanissimo Irving Thalberg, con l’accusa di aver sperperato troppi soldi inutilmente. La firma finale di Rupert Julian a detta di molti è quasi simbolica, poiché il film venne di fatto finito dal produttore, ma non si può non riconoscere che l’impronta generale, nell’ideazione e nella messinscena di molte sequenze, appartenga al genio debordante di Stroheim.
Copia proveniente dalle Collezioni dell’Österreichisches Filmmuseum – Versione originale con i sottotitoli in italiano

ore 19.15
Letter from an Unknown Woman (Lettera da una sconosciuta, 1948)
Regia: Max Ophüls; soggetto: tratto dal racconto Brief einer Unbekannten di Stefan Zweig; sceneggiatura: Howard Koch, M. Ophüls; fotografia: Franz Planer; scenografia: Alexander Golitzen; costumi: Travis Banton; musica: Daniele Amfitheatrof; montaggio: Ted J. Kent; interpreti: Joan Fontaine, Louis Jourdan, Mady Christians, Marcel Journet, Art Smith, Carol Yorke; origine: Usa; produzione: Rampart Productions; durata: 86′
Costretto a lasciare in fretta la città per evitare un duello, il pianista Stefan Brand riceve una lettera da una donna di cui non conosce l’identità. Da quel momento parte uno dei flashback più famosi della storia del cinema, quello che racconta l’amore sommesso e romantico di Lisa Berndle per Stefan, nonché il pudore di un sentimento sublimato fino alla rinuncia. «Uno dei più squisiti "film di donna" mai girati, immerso in un clima magico e, insieme, ossessivo. In mano d’altri poteva uscirne una storia sentimentale strappalacrime. Max Ophüls ne fa un capolavoro romantico» (Morandini).
Copia proveniente dalla Cineteca Italiana – Versione originale con i sottotitoli in italiano

ore 21.00
La Pianiste (La pianista, 2001)
Regia: Michael Haneke; soggetto: dal romanzo di Elfriede Jelinek; sceneggiatura: M. Haneke; fotografia: Christian Berger; scenografia: Christoph Kanter; costumi: Annette Beaufays; montaggio: Nadine Muse, Monika Willi; interpreti: Isabelle Huppert, Benoît Magimel, Annie Girardot, Susanne Lothar, Udo Samel, Anna Sigalevitch; origine: Germania/Polonia/Francia/Austria; produzione: Veit Heiduschka per Arte; durata: 131′
Erika è una professoressa di pianoforte solitaria e frustrata, che dà sfogo alla propria sessualità repressa attraverso varie forme di rituali voyeuristici. Quando un suo allievo ventenne tenta di sedurla, inizia tra i due una relazione tormentata che porterà Erika sull’orlo della follia. «Film unico, che trasmette il male di vivere, da prendere o lasciare senza bon ton, infernale e straordinario, inquietante ed efficace dal punto di vista emotivo, che può disturbare assai ma è fatto di pura pasta di gran cinema, entra sottopelle e di lato, ancora una volta, dà una bastonata all’ipocrisia borghese. Dopo averla ammirata qui, è difficile non pensare che Isabelle Huppert sia la migliore e la più coraggiosa attrice in circolazione, che Annie Girardot sia di meravigliosa, edipica ambiguità, che questa Vienna sia la culla di antichi e floridi complessi» (Porro). Considerato il capolavoro di Michael Haneke, La pianista ha ottenuto a Cannes il Gran Premio della Giuria e due Palme d’Oro agli attori protagonisti.
Copia proveniente da BIM distribuzione – Vietato ai minori di anni 14

• mercoledì 16 dicembre
ore 17.00
The Great Waltz (Il grande valzer, 1938)
Regia: Julien Duvivier; soggetto e sceneggiatura: Gottfried Reinhardt, Samuel Hoffenstein, Walter Reisch; fotografia: Joseph Ruttenberg; scenografia: Cedric Gibbons; costumi: Adrian; montaggio: Tom Held; interpreti: Luise Rainer, Fernand Gravey, Miliza Korjus, Hugh Herbert, Lionel Atwill, Curt Bois; origine: Usa; produzione: Loew’s; durata: 104′
Invece di rassegnarsi a una semplice vita di impiegato in banca, Johann Strauss decide di lanciarsi nel suo amore totale per la musica, iniziando a comporre valzer. Dopo aver messo in piedi una piccola orchestra, viene notato dalla grande cantante d’opera Carla Donner, con cui nasce un idillio che scatena la folle gelosia della moglie del musicista. Biografia romanzata del grande compositore austriaco, il film è un veicolo perfetto per una star del periodo come Louise Rainer, nonché il primo firmato da Duvivier a Hollywood, nello sfarzoso stile della MGM. Più che meritato il premio Oscar per la fotografia a Joseph Ruttenberg.
Versione originale con i sottotitoli in italiano

ore 19.00
1. April 2000 (1 aprile 2000, 1952)
Regia: Wolfgang Liebeneiner; soggetto e sceneggiatura: Rudolf Brunngraber, Ernst Marboe; fotografia: Sepp Ketterer, Karl Löb, Fritz Arno Wagner; scenografia: Otto Niedermoser; costumi: Leo Bei; musica: Josef Fiedler, Alois Melichar, Robert Stolz; montaggio: Henny Brünsch-Tauschinsky; interpreti: Hilde Krahl, Josef Meinrad, Waltraut Haas, Judith Holzmeister, Elisabeth Stemberger, Hans Moser; origine: Austria; produzione: Wien-Film; durata: 105′
In un futuristico 2000, Vienna e l’Austria intera sono ancora divise in quattro zone occupate da Usa, Urss, Francia e Gran Bretagna, come nel dopoguerra. Quando il primo ministro invoca finalmente l’indipendenza invitando i cittadini a strappare i loro documenti in 4 lingue, tutti si chiedono se, come avvenuto in passato, non sia proprio dall’Austria che stia per partire una nuova guerra. Ecco allora atterrare davanti al Castello di Schönbrunn un’astronave che trasporta i membri di un’accigliata corte mondiale, pronti a chiedere spiegazioni sull’accaduto: starà agli austriaci dimostrare le bellezze e la storia del loro paese per riguadagnarsi la libertà. Esempio unico di fantascienza austriaca degli anni Cinquanta, questo film ingenuo e a tratti esilarante è divenuto negli anni un vero oggetto di culto, pur muovendo i passi da una situazione storica reale e controversa come quella dell’occupazione alleata. Nei panni futuribili e incredibilmente kitsch dei protagonisti c’è una parata dei più famosi attori austriaci dell’epoca, compresa un’icona viennese come Hans Moser.
Copia proveniente dalle Collezioni dell’Österreichisches Filmmuseum – Versione originale con i sottotitoli in italiano

ore 21.00
Incontro moderato da Enrico Magrelli con Liliana Cavani

a seguire
Il portiere di notte (1974)
Regia: Liliana Cavani; soggetto e sceneggiatura: Barbara Alberti, L. Cavani, Italo Moscati, Amedeo Pagani; fotografia: Alfio Contini; scenografia: Nedo Azzini, Jean Marie Simon; costumi: Piero Tosi; musica: Daniele Paris; montaggio: Franco Arcalli; interpreti: Dirk Bogarde, Charlotte Rampling, Philippe Leroy, Gabriele Ferzetti, Giuseppe Addobbati, Isa Miranda; origine: Italia; produzione: Ital-Noleggio Cinematografico; durata: 118′
In un albergo di Vienna, nel 1957, una sopravvissuta alla tragedia dei campi di concentramento, Lucia Atherton, ritrova il suo aguzzino, con cui riallaccia un rapporto schiavo-padrone. Trasferitasi a casa dell’uomo, mentre un gruppo di sicari nazisti le sta dando la caccia, Lucia spinge la relazione fino all’annientamento reciproco. Uno dei lungometraggi più discussi degli anni Settanta, diretto da una regista in stato di grazia e causa di un dibattito che all’epoca fece il giro del mondo. Raramente nella storia del cinema il rapporto vittima-carnefice è stato esplorato con tanta lucidità, e i due protagonisti, la Rampling e Bogarde, sono indimenticabili. «Sequestrato, assolto, risequestrato e bloccato per un anno, rimane un film straziante, atroce testimonianza del nazismo. Con questo film, impensabile senza l’analisi materiale e psicologica del nazismo vagliata durante gli anni dell’apprendistato documentaristico, la Cavani sposa sul piano artistico la complicità delle immagini con una pulsione voyeuristica. Lo spazio dell’esperienza si identifica ora con il dominio dello sguardo, metafora di violazione e di potere» (Gaetana Marrone).
Copia proveniente da Cinecittà Luce – Ingresso gratuito – Vietato ai minori di anni 14

• giovedì 17 dicembre
ore 17.00
Der Engel mit der Posaune (La casa dell’angelo, 1948)
Regia: Karl Hartl; soggetto: dal romanzo di Ernst Lothar; sceneggiatura: K. Hartl, Franz Tassié; fotografia: Günther Anders; scenografia: Otto Niedermoser; costumi: Hill Reihs-Gromes; musica: José Padilla, Willy Schmidt-Gentner; montaggio: Josefine Ramerstorfer; interpreti: Paula Wessely, Maria Schell, Oskar Werner, Helen Thimig, Hedwig Bleibtreu, Adrienne Gessner; origine: Austria; produzione: Neue Wiener Filmproduktion; durata: 138′
Dagli anni di Rodolfo d’Asburgo alla tragedia di Mayerling, dal dramma della prima guerra mondiale allo scoppio della seconda: la saga della famiglia Alt, costruttori di pianoforti, spazia lungo un secolo di storia austriaca intrecciando piccoli e grandi destini, primo tra tutti quello della bella e indomita Henrietta. Cineasta di lungo corso, già assistente negli anni del muto di registi come Alexander Korda o Gustav Ucicky, Hartl firma con La casa dell’angelo uno dei suoi più grandi successi, riuscendo nell’impresa non facile di tenere insieme una riflessione storica di ampio respiro e una schiera di personaggi memorabili, che affascina e coinvolge. Tra i protagonisti spiccano due delle future stelle del cinema austriaco e internazionale, qui al debutto: Maria Shell (Le notti bianche) e Oskar Werner (Jules e Jim).

ore 19.30
Wienerinnen (Ragazze viennesi, 1952)
Regia: Kurt Steinwendner; soggetto: K. Steinwendner; sceneggiatura: Erika Helldorf; fotografia: Elio Carniel, Walter Partsch; musica: Gerhard Bronner, Paul Kont; montaggio: Renate Knitschke; interpreti: Maria Eis, Elfe Gerhart, Heinz Moog, Hans Putz, Rolf Wanka, Elisabeth Stemberger; origine: Austria; produzione: Schönbrunn-Film; durata: 96′
Quattro storie d’amore, quattro storie di gelosia e violenza ambientate in una Vienna periferica e inusuale, tra le classi più povere. Negli anni del trionfo commerciale del cosiddetto Kaiserfilm (vedi la saga di Sissi), un cineasta eccentrico e indipendente come Steinwendner sovverte il panorama austriaco con un film di sconvolgente modernità: unendo la lezione del neorealismo (attori presi dalla strada a fianco di professionisti, rifiuto di qualsiasi visione morale conciliante) a un tipo di linguaggio e sperimentazione formale che arriva dal muto, Wienerinnen è un capolavoro addirittura in anticipo sulle nuove onde del cinema europeo, assolutamente da riscoprire.
Copia proveniente da Filmarchiv Austria – Versione originale con i sottotitoli in italiano

ore 21.15
Incontro con Peter Kubelka

Nel corso dell’incontro saranno mostrati i film:
Adebar (1957)
Regia, ideazione e produzione: Peter Kubelka; origine: Austria; durata: 1′30"
Schwechater (1958)
Regia, ideazione e produzione: Peter Kubelka; origine: Austria; durata: 60"
Arnulf Rainer (1960)
Regia, ideazione e produzione: Peter Kubelka; origine: Austria; durata: 6′30"
Unsere Afrikareise (1966)
Regia, ideazione e produzione: Peter Kubelka; origine: Austria; durata: 13′
Con una filmografia complessiva che supera di poco un’ora di girato (sette cortometraggi in tutto), Peter Kubelka è considerato uno dei più importanti e influenti cineasti sperimentali del mondo. Nato a Vienna nel 1934, ha studiato cinema al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e il suo primo film, Mosaik Im Vertrauen, risale al 1954. Assistant Film Librarian presso l’archivio dell’ONU, co-fondatore dell’Österreichisches Filmmuseum e membro della New York Filmmakers Cooperative con Jonas Mekas e Stan Brakhage, dal 1978 è professore all’Accademia delle Belle Arti di Francoforte. Teorico e storico del cinema (epocali la sua rassegna di 300 film "Une histoire du cinéma" al Centre Pompidou di Parigi nel 1976 e il suo restauro di Entuziazm di Dziga Vertov) Kubelka è esperto delle più svariate discipline, dalla cucina all’architettura, e tuttora gira il mondo con le sue conferenze. Nella serata proposta al Cinema Trevi, introdurrà un’antologia della sua opera (divisa tradizionalmente tra film metrici e metaforici), all’interno di quello che si annuncia come un vero e proprio happening cinematografico, tanto più prezioso e imperdibile dal momento in cui le opere di Kubelka per sua volontà non sono mai stati editate in video o Dvd, essendo pienamente apprezzabili solo se viste, ascoltate e "vissute" in una sala cinematografica con una proiezione in pellicola.
«Io non faccio cinema sperimentale, sono gli altri che fanno cinema commerciale. Io faccio solo cinema» (Peter Kubelka).
Copie provenienti dalle Collezioni dell’Österreichisches Filmmuseum – Ingresso gratuito

• venerdì 18 dicembre
ore 16.30
Wiener Blut (Sangue viennese, 1942)
Regia: Willi Frost; soggetto e sceneggiatura: Axel Eggebrecht, Willi Forst, Ernst Marischka, Hubert Marischka; fotografia: Jan Stallich; scenografia: Werner Schlichting; costumi: Alfred Kunz, Toni Mautner; musica: Johann Strauss; montaggio: Arnfried Heyne, Hans Wolff; interpreti: Willy Fritsch, Maria Holst, Hans Moser, Theo Lingen, Dorit Kreysler, Fred Liewehr; origine: Germania; produzione: per Deutsche Forst-Filmproduktion GmbH; durata: 106′
Durante il Congresso di Vienna, il diplomatico di un piccolo paese pensa bene di approfittare dell’occasione per tradire la moglie: quando quest’ultima scopre l’accaduto, non si perde d’animo e tenta di riconquistarlo facendolo ingelosire a sua volta. Vagamente ispirato all’operetta omonima di Johann Strauss, il film è tra i più celebri girati da Willi Forst, maestro del cosiddetto Wiener Film, genere tradizionale che, con le sue tinte folcloristiche e la sua spensieratezza, ha conosciuto il suo apice proprio durante gli anni tragici della guerra, rappresentando a lungo l’immagine del cinema austriaco all’estero. Un film godibile ancora oggi, solo apparentemente ingenuo e dotato invece di un’ironia molto affilata, unita a un ritmo impeccabile.

ore 18.30
The Marriage Circle (Matrimonio in quattro, 1924)
Regia: Ernst Lubitsch; soggetto: da una commedia di Lothar Schmidt; sceneggiatura: Paul Bern; fotografia: Charles Van Enger; scenografia: Svend Gade; musica: Edgar Istel; interpreti: Adolphe Menjou, Marie Prevost, Monte Blue, Florence Vidor, Harry Myers, Creighton Hale; origine: Usa; produzione: Warner Brothers; durata: 100′ (20fps); didasc. ingl. e ital.
Emigrato negli Stati Uniti, Lubitsch perfeziona il suo tocco nel periodo d’oro del muto hollywoodiano, di cui The Marriage Circle rappresenta uno dei risultati più effervescenti, anche grazie a quel tema del "gioco delle coppie" che sarà sempre congeniale al regista. «Basato su una situazione estremamente semplice e banale (la coppia Franz-Charlotte Braun è felice, quella di Josef e Mizzi Stock non lo è; Mizzi vuole rubare il marito all’amica, a sua volta corteggiata dal giovane Gustav) il film è un vero e proprio manuale di regia cinematografica: gli oggetti, il gioco delle entrate e delle uscite, gli equivoci e gli stessi movimenti di macchina scandiscono in modo perfetto situazioni che proprio in virtù di questa scansione e questi contrappunti divengono al tempo stesso eccitanti ed esilaranti» (Fink).

ore 20.30
The Case of Lena Smith (Romanzo d’amore, 1929 – frammento)
Regia: Josef von Sternberg; soggetto: Samuel Ornitz; sceneggiatura: Jules Furthman; fotografia: Harold Rosson; scenografia: Hans Dreier; montaggio: Helen Lewis; interpreti: Esther Ralston, James Hall, Gustav von Seyffertitz, Emily Fitzroy, Fred Kohler, Betty Aho; origine: Usa; produzione: Paramount Pictures; durata: 4′ (22fps)
The Case of Lena Smith è uno dei grandi film perduti della storia del cinema. Sternberg, già emigrato a Hollywood, aveva voluto rendere omaggio alla sua infanzia viennese, con la storia di una povera ragazza di campagna e del suo amore impossibile per un ufficiale di cavalleria incontrato nella grande città. Ciò che sopravvive è solo un frammento di circa 4 minuti, interamente ambientato al Prater, il cui restauro recente può fare bene intuire la grandezza complessiva di un’opera che all’epoca venne accolta come un capolavoro.
Copia proveniente dalle Collezioni dell’Österreichisches Filmmuseum – Preserved by the Theatre Museum of Waseda University, Tokyo

a seguire
Dishonored (Disonorata, 1931)
Regia: Josef von Sternberg; soggetto: J. von Sternberg; sceneggiatura: Daniel Nathan Rubini, J. von Sternberg; fotografia: Lee Garmes; scenografia: Hans Dreier; costumi: Travis Banton; musica: Karl Hajos, Herman Hand; montaggio: J. von Sternberg; interpreti: Marlene Dietrich, Victor McLaglen, Gustav von Seyffertitz, Warner Oland, Lew Cody, Barry Norton; origine: Usa; produzione: Paramount Pictures; durata: 91′
Durante la Prima Guerra Mondiale, i servizi segreti austriaci decidono di reclutare una prostituta come agente da infiltrare tra i russi. Ma cosa succede quando una spia deve denunciare e mandare a morire l’uomo di cui si è innamorata? «Il terzo dei sette film di Sternberg con Marlene Dietrich è il più bello dopo Marocco. Il mito di Marlene si arricchisce di caratteristiche definitive: l’orgoglio assoluto nella passione e nella sconfitta, il dono della dissimulazione usato con grande sobrietà, una presenza fisica che unisce fascino e morbosità. Lo stile di Sternberg gioca sul contrasto tra la barocca follia delle idee e delle invenzioni e il glaciale classicismo delle scenografie e del montaggio» (Jacques Lourcelles). La sequenza finale è una di quelle che hanno trasformato Marlene in leggenda, nonché una delle più famose di tutta la storia del cinema.
Versione originale con i sottotitoli in italiano

ore 22.15
La Ronde (La ronde – Il piacere e l’amore, 1950)
Regia: Max Ophüls; soggetto: tratto da Reigen di Arthur Schnitzler; sceneggiatura: Jacques Natanson, M. Ophüls; fotografia: Christian Matras; scenografia: Jean d’Eaubonne; costumi: Georges Annenkov; musica: Oscar Straus; montaggio: Léonide Azar; interpreti: Anton Walbrook, Simone Signoret, Serge Reggiani, Simone Simon, Daniel Gélin, Danielle Darrieux; origine: Francia; produzione: Films Sacha Gordine; durata: 97′
Un affascinante narratore e "meneur de jeu" ci accompagna nella Vienna di inizio secolo per seguire un girotondo di storie amorose concatenate l’un l’altra: dalla prostituta al conte, dalla gentildonna al soldato, il gioco delle coppie attraversa tutta la scala sociale ripetendo il suo eterno meccanismo. Ritornato in Francia dopo la parentesi hollywoodiana, Ophüls gira il suo capolavoro, un compendio di stile in cui alla sfavillante ricchezza formale fa da contraltare una visione ironica e disincantata dell’esistenza, nonché una riflessione più ampia sul tempo, la morte e il cinema che ancora lascia sbalorditi. Grande successo all’epoca, anche grazie alla scabrosità dei temi affrontati, La Ronde può contare anche su un cast sensazionale, che include tra gli altri Simone Signoret, Serge Reggiani, Simone Simon e Danielle Darrieux.

• sabato 19 dicembre
ore 16.30
Mayerling (1936)
Regia: Anatole Litvak; soggetto: dal romanzo di Claude Anet; sceneggiatura: Marcel Achard, Joseph Kessel, Irma von Cube; fotografia: Armand Thirard; scenografia: Andrej Andrejew; costumi: Georges Annenkov; montaggio: Henri Rust; musica: Arthur Honegger, Hans May; interpreti: Charles Boyer, Danielle Darrieux, Marthe Régnier, Yolande Laffon, Suzy Prim, Gina Manès; origine: Francia; produzione: Nero-Film AG; durata: 96′
Alla fine del XIX secolo l’Arciduca Rodolfo, principe d’Austria designato al trono, è un liberale che preferisce stare in mezzo al popolo piuttosto che a corte con i suoi pari. Suo padre, l’Imperatore Francesco Giuseppe, vorrebbe costringerlo a sposarsi per poterlo tenere meglio sotto controllo, se non fosse che il principe ha già trovato l’amore in una ragazza di umili origini. Presentato all’epoca alla Mostra di Venezia, Mayerling è un melodramma impeccabile, ambientato in una Vienna da favola e interpretato da due attori formidabili come Charles Boyer e una giovanissima Danielle Darrieux. Dopo il grande successo di questo film, Litvak lascerà l’Europa per Hollywood.

ore 18.15
Amateuraufnahmen Wien, Frühjahr 1938 (Film amatoriale viennese, primavera del 1938)
Regia: anonimo; formato originale: 9,5 mm; durata: 4′ (18 fps)
«Il materiale originale del film, consistente in riprese amatoriali realizzate a Vienna da un anonimo, è stato riversato su pellicola 16mm nel corso del 2008. Le immagini mostrano l’inaugurazione del Reichsbrücke avvenuta il 10 ottobre 1937 e continuano descrivendo i vari momenti dell’Anschluss, l’annessione al Terzo Reich, compreso l’arrivo di Hitler durante la campagna elettorale per il referendum. Proprio in questo punto c’è un taglio improvviso, alcuni secondi e poi la scena cambia: davanti a una tabaccheria si è radunata una piccola folla, in cui si intravedono degli ebrei ortodossi. Per terra, sul selciato, un giovane ebreo è costretto dalla folla a pulire con una spazzola l’asfalto. Lentamente, con fare dolente, il poveretto si volta e guarda in macchina. Il nuovo ordine è già cominciato. Raramente in un film amatoriale così breve si assiste ad un simile concentrato di grande storia, piccoli fatti e immagini tragiche. Il valore di questo documento è enorme. Esso infatti contiene le uniche immagini filmate note (foto e resoconti letterari sono invece numerosi) che mostrano come gli ebrei siano stati costretti a pulire in ginocchio i marciapiedi. Questo film è stato fino ad ora mostrato solo al Filmmuseum di Vienna, a New York ed ora in prima assoluta in Italia» (Paolo Caneppele, Österreichisches Filmmuseum).
Copia proveniente dalle Collezioni dell’Österreichisches Filmmuseum – Anteprima italiana

a seguire
38 – Auch das war Wien (1938 – Anche questa era Vienna, 1986)
Regia: Wolfgang Glück; soggetto: dal romanzo di Friedrich Torberg; sceneggiatura: W. Glück; fotografia: Gérard Vandenberg; scenografia: Herwig Libowitzky; costumi: Birgit Hutter; musica: Bert Grund; montaggio: Heidi Handorf; interpreti: Tobias Engel, Sunnyi Melles, Heinz Trixner, Romuald Pekny, Ingrid Burkhard, Josef Fröhlich; origine: Austria, Germania Ovest; produzione: Satel Film; durata: 97′
Vienna, 1938. Carola Hell è un’attrice acclamata in tutto il paese, Martin Hofmann uno scrittore ebreo di successo. Niente sembrerebbe ostacolare il loro amore e la loro carriera, fino a quando, con il plebiscito a favore dell’Anschluss (l’annessione al Terzo Reich), l’Austria precipita nell’incubo del nazismo e la Storia finisce per travolgere i loro destini. Film di grande importanza, sia perché, con una candidatura all’Oscar, fu tra i protagonisti della rinascita del cinema austriaco negli anni Ottanta, sia per la capacità di affrontare in modo diretto e non retorico dei temi che fino allora avevano rappresentato un tabù. Come già per il celebre Der Schüler Gerber (1981), il regista Glück ha tratto 38 – Auch das war Wien da un romanzo di Friedrich Torberg, scritto durante la guerra ma pubblicato solo postumo proprio per la sua visione fortemente critica delle responsabilità storiche dell’Austria.
Per gentile concessione di Satel Film (Vienna) – Versione originale con i sottotitoli in italiano

ore 20.10
The Third Man (Il terzo uomo, 1949)
Regia: Carol Reed; soggetto e sceneggiatura: Graham Greene, Alexander Korda; fotografia: Robert Krasker; scenografia: Dario Simoni; montaggio: Oswald Hafenrichter; musica: Anton Karas; interpreti: Joseph Cotten, Alida Valli, Orson Welles, Trevor Howard, Bernard Lee, Paul Hörbiger; origine: Regno Unito; produzione: Carol Reed per London Film Productions; durata: 104′
Nella Vienna occupata dagli alleati, lo scrittore Holly Martins deve scoprire la verità sulla morte del suo amico Harry Lime, misteriosamente scomparso in un incidente automobilistico. In realtà, niente è come sembra, soprattutto in una città mai così piena di insidie e di segreti. Palma d’Oro a Cannes e Oscar per la meravigliosa fotografia in bianco e nero di Robert Krasker, Il terzo uomo è semplicemente uno dei più grandi noir della storia del cinema: Joseph Cotten e Orson Welles, che già avevano collaborato in Quarto potere, lavorano con maestria alla definizione di personaggi indimenticabili, la sceneggiatura di Greene è un gioiello, il celeberrimo tema musicale di Anton Karas lascia il segno al primo ascolto. Imperdibile.
Copia proveniente da BIM distribuzione – Versione originale con i sottotitoli in italiano

ore 22.00
Unsichtbare Gegner (Avversari invisibili, 1977)
Regia: Valie Export; soggetto e sceneggiatura: V. Export, Peter Weibel; fotografia: Wolfgang Simon; montaggio: Herbert Baumgartner, V. Export; interpreti: Susanne Widl, Peter Weibel, Peter Josef Plavec, Monica Helfer-Friedrich, Helke Sander, Dominick Dusek; origine: Austria; produzione: Valie Export Filmproduktion; durata: 105′
Anna, artista e fotografa viennese, è ossessionata dall’idea di un’invasione aliena nella sua città, con cui si trova in profondo conflitto sociale e politico. Nel frattempo, la sua storia d’amore con Peter attraversa alti e bassi amplificando l’isolamento della donna, ma anche la sua intensa creatività. Tra le fondatrici nel 1968 dell’Austrian Film-Makers Cooperative, nonché di Film Women International (con Susan Sontag e Agnes Varda), femminista e militante politica, fotografa e artista visuale, Valie Export è uno dei punti di riferimento del cinema sperimentale europeo e Unsichtbare Gegner il suo capolavoro, un fuoco di fila di invenzioni formali e drammaturgiche che ancora lascia a bocca aperta per la sua audacia.
Copia proveniente da Sixpack Film – Versione originale con i sottotitoli in italiano e in inglese

a seguire
6/64: Mama und Papa (Materialaktion Otto Mühl) (Mamma e Papà – Azione materiale di Otto Mühl, 1964)
Regia: Kurt Kren; azione: Otto Mühl; origine: Austria; produzione: Austria Filmmakers Cooperative; durata: 4′
Primo film di Kren basato sulle "azioni materiali" dell’Azionismo Viennese, il movimento che portò l’arte verso confini fisici estremi e allora del tutto inesplorati, Mama und Papa è «uno dei risultati più alti raggiunti dal cinema underground austriaco. La provocazione a livello formale (montaggio a fotogramma singolo, successione rapida delle immagini) si lega a quella dei contenuti, come l’uso straniante del corpo umano e di altri materiali» (Ernst Schmidt jr). Tuttora scioccante per la sua capacità di sovvertire qualsiasi ordine visivo e morale.
Copia proveniente da Sixpack Film

a seguire
Einszweidrei (Unoduetre, 1965-1968)
Regia: Ernst Schmidt jr; azioni: Otto Mühl, Günter Brus, Valie Export, Peter Weibel; origine: Austria; produzione: Austria Filmmakers Cooperative; durata: 10′
Una sorta di breve ed elettrizzante antologia di "azioni materiali" di maestri come Otto Muehl, Günter Brus, Peter Weibel e Valie Export, mescolati ad altri materiali amatoriali. Idealmente diviso in tre parti, con tanto di curioso omaggio ai maestri italiani del cinema di genere: 1. Der Lauf der Zeit (Il passaggio del tempo, dedicato a Duccio Tessari); 2. Geheimnisse einer Seele (I segreti di un’anima, dedicato a Giulio Questi); 3. Die Geburt Frankensteins (La nascita di Frankenstein, dedicato a Sergio Corbucci).
Copia proveniente da Sixpack Film

a seguire
Fenstergucker, Abfall, etc. (Gente alla finestra, immondizia, ecc., 1962)
Regia: Kurt Kren; origine: Austria; produzione: Austria Filmmakers Cooperative; durata: 5′
Considerato il primo cineasta underground austriaco, Kren in questo film giustappone blocchi di immagini prese per la strada rifiutando ogni sistema narrativo o suggestione poetica, ma affidandosi al ritmo puro e serrato del montaggio, a volte anche di singoli fotogrammi. Il risultato è un’esperienza visiva di grande fascino e sorprendente modernità.
Copia proveniente da Sixpack Film

a seguire
P.R.A.T.E.R. (1963-1966)
Regia, soggetto e sceneggiatura: Ernst Schmidt jr.; fotografia: Walter Funda; musica: Jazztrio Wirckliches; interpreti: Peter Weibel; origine: Austria; produzione: Austria Filmmakers Cooperative; durata: 21′
Critico e regista, Ernst Schmidt jr è una delle figure centrali del panorama austriaco degli anni Sessanta. P.R.A.T.E.R., tra le sue prime opere,nasce come progetto commissionato (ma poi rifiutato) dalla Hochschule für Film, con l’ambizione di riportare il cinema alle sue origini più lontane (i parchi di divertimento) e gestirne una "nuova nascita" in un frenetico e trascinante caleidoscopio di immagini.
Copia proveniente da Sixpack Film

• domenica 20 dicembre
ore 16.30
Amadeus (1984)
Regia: Milos Forman; soggetto e sceneggiatura: Peter Shaffer dalla sua opera teatrale; fotografia: Miroslav Ondrícek; scenografia: Patrizia von Brandenstein; costumi: Theodor Pistek; montaggio: Michael Chandler, Nena Danevic; interpreti: F. Murray Abraham, Tom Hulce, Elizabeth Berridge, Roy Dotrice, Simon Callow, Christine Ebersole; origine: Usa; produzione: The Saul Zaentz Company; durata: 160′
Vincitore di otto premi Oscar nel 1984, tra cui miglior film, regia e attore protagonista (F. Murray Abraham), l’adattamento della grande pièce teatrale di Peter Shaffer è uno dei film in costume più sontuosi degli anni Ottanta, perfetto nella ricostruzione quanto livido nella rappresentazione del rapporto contrastato tra Mozart e Salieri. Milos Forman è al suo meglio nel raccontare la parabola del genio, esaltante e dolorosa al tempo stesso, ma la forza del film sta soprattutto nell’unire alla raffinatezza visiva e drammaturgica uno spirito di intrattenimento popolare che ne ha di fatto decretato l’enorme successo. Da rivedere (e riascoltare) sul grande schermo.

ore 19.20
Volo su Vienna (192?)
Origine: Italia; produzione: First National Film Italiana; durata: 5′
Il film è costituito da un montaggio di riprese dal vero, di ritratti e di fotografie fisse e illustra la celebre impresa ideata e capeggiata da D’Annunzio il 9 agosto 1918, quando undici aerei della Squadriglia La Serenissima volarono su Vienna lanciando volantini che invitavano gli austriaci a smettere la divisa prussiana e terminare la guerra. L’impresa ebbe una vasta eco in tutto il mondo e questo breve documentario celebrativo deve ritenersi realizzato intorno alla metà degli anni Venti, dopo la costituzione della filiale italiana della First National. Il restauro del film, realizzato dalla Cineteca Nazionale, viene qui presentato in anteprima assoluta.
Anteprima assoluta del restauro a cura della Cineteca Nazionale

a seguire
Tramway en Vienne (1906)
Realizzazione e produzione: Pathé Frères; origine: Francia; durata: 3′ (16fps)
Copia proveniente dalle Collezioni dell’Österreichisches Filmmuseum
Typen und Szenen aus dem Wiener Volksleben (Personaggi e scene di vita viennese, 1911)
Regia: Anton Kolm; origine: Austria; produzione: Wiener Kunstfilm; durata: 6′ (16fps)
Copia proveniente da Filmarchiv Austria
Antologia di cinema delle origini, con un breve documentario Pathé e un piccolo classico della Wiener Kunstfilm, la prima casa di produzione austriaca, fondata a Vienna nel 1910 dal fotografo Anton Kolm.

a seguire
Die Pratermizzi (Mizzi del Prater, 1927)
Regia: Gustav Ucicky; soggetto e sceneggiatura: Walter Reisch; fotografia: Gustav Ucicky, Eduard von Borsody; direzione artistica: Artur Berger, Emil Stepanek; assistente alla regia: Karl Hartl; interpreti: Igo Sym, Anny Ondra, Nita Naldi, Hedy Pfundmayr, Karl Götz, Ferdinand Leopoldi; origine: Austria; produzione: Alexander Kolowrat per Sascha-Filmindustrie; durata: 55′ (20fps)
Marie è la cassiera di una giostra del Prater, lo "Zum Walfisch", ed è innamorata del Barone Christian von B.: a mettersi fra di loro è la danzatrice Valette, che l’uomo segue a Parigi. Valette indossa sempre una maschera, ma quando finalmente Christian riesce a vedere il suo volto scopre che è sfigurato da una terribile malattia. Tornato a Vienna, sta per compiere un gesto estremo, ma sarà proprio Marie a salvargli la vita. Melodramma di grando impatto emotivo, ricco di reminiscenze espressioniste, Die Pratermizzi è un gioiello del muto austriaco tornato alla luce solo nel 2005, quando una copia in nitrato è stata rinvenuta in Francia presso il Centre National de la Cinématographie. Il valore del film sta anche nella presenza di due attrici di culto come Anny Ondra, futura musa di Hitchcock, e l’americana Nita Naldi, qui al suo ultimo film. Restaurato e reintegrato delle parti mancanti dal Filmarchiv Austria (e malgrado questo ancora incompleto), viene presentato in Italia per la prima volta.
Copia proveniente da Filmarchiv Austria – Anteprima italiana del restauro – Versione originale con i sottotitoli in italiano

ore 20.40
Before Sunrise (Prima dell’alba, 1995)
Regia: Richard Linklater; soggetto e sceneggiatura: R. Linklater, Kim Krizan; fotografia: Lee Daniel; scenografia: Florian Reichmann; costumi: Florentina Welley; musica: Fred Frith; montaggio: Sandra Adair; interpreti: Ethan Hawke, Julie Delpy, Andrea Eckert, Hanno Pöschl, Karl Bruckschwaiger, Tex Rubinowitz; origine: Usa/Austria/Svizzera; produzione: Castle Rock Entertainment; durata: 105′
Lui è americano, lei è parigina. Si incontrano casualmente sul treno e Vienna diventa lo scenario per un "breve incontro" che cambierà le loro vite. Cineasta atipico, Linklater firma con Prima dell’alba uno dei suoi film più affascinanti, rivisitazione sorprendentemente riuscita del cinema europeo della Nouvelle Vague, di cui sa riprodurre la freschezza e il romanticismo mai banale. A fare il resto è il talento e la sensibilità di due attori come Ethan Hawke e Julie Delpy, straordinari nel sostenere da soli una pellicola il cui unico altro personaggio è la stessa Vienna, esplorata e omaggiata nei suoi angoli più nascosti. Orso d’Argento a Berlino.

ore 22.30
Geschichten aus dem Wienerwald (Storia del bosco viennese, 1979)
Regia: Maximilian Schell; soggetto: dalla pièce di Ödön von Horvath; sceneggiatura: Christopher Hampton, M. Schell; fotografia: Klaus König; scenografia: Ernst Wurzer; costumi: Erika Thomasberger; musica: Toni Stricker; montaggio: Dagmar Hirtz; interpreti: Birgit Doll, Hanno Pöschl, Helmut Qualtinger, Jane Tilden, Adrienne Gessner, Götz Kauffmann; origine: Austria, Germania Ovest; produzione: Franz Seitz Filmproduktion; durata: 90′
Nella Vienna degli anni Trenta, la giovane Marianne sta per sposare il macellaio Oskar, pur non essendone innamorata. Durante la festa per l’annuncio del fidanzamento, però, la ragazza conosce l’elegante e disinvolto Alfred, per cui finisce per perdere la testa: una cocente delusione l’aspetta, ma nel frattempo i tragici eventi della Storia stanno prendendo il sopravvento. Maximilian Shell è probabilmente il più famoso attore austriaco nel mondo, complice una lunga carriera hollywoodiana e un premio Oscar (per Vincitori e vinti del 1962), ma ha anche diretto diversi film di grande interesse, tra cui questo Storia del bosco viennese. Girato con un’impostazione teatrale di raffinata drammaturgia e interpretato da attori formidabili, l’opera ha anche il merito di valorizzare il celeberrimo bosco viennese, quella cintura di verde che circonda la capitale austriaca e la cui estensione non ha uguali nelle altre metropoli europee.
Copia proveniente da Filmarchiv Austria – Versione originale con i sottotitoli in inglese

 

  1. Memoria Cinema: IL CINEMA DI FRANCESCO ROSI
  2. BASTA CHE FUNZIONI di Woody Allen
  3. Qualcosa di nuovo su “Il buono, il brutto, il cattivo” di Sergio Leone. E non solo
  4. I 100 film italiani da salvare
  5. 10 canzoni italiane nelle soundtrack di film stranieri

Pagina 4 di 6

  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
  • 6

Concorso ILCORTO - ROMA 2025

CONCORSO 2025 Vers03 05 1200

Menu principale

  • ILCORTO.EU
  • ♥ Cortometraggi
    • • per Principianti
    • • Minicorso: Regista di cortometraggi
    • • Come nasce un Cortometraggio
    • • Come nasce un Cortometraggio n.2
    • • La scuola e il linguaggio filmico
    • • Cortometraggio vs videosocial
    • • Effettuare riprese in una stanza
  • ♥ dalle Idee alle Sceneggiature
    • • Le Sceneggiature
    • • Generi
    • • I Documentari
    • • Le lezioni di Gianfranco Manfredi
    • • Basi di Sceneggiature
    • • Idee dalla realtà
    • • Consigli e Suggerimenti
    • • Il Viaggio dell'Eroe
    • • Anatomia di una Scena
    • • Sceneggiature originali (inglese)
    • • Lezioni di Sceneggiatura da:
    • • Errori comuni
  • ♥ Cast e Troupe
    • • Casting
    • • Attori
  • ♥ Tutto sulla Tecnica
    • • Fotografia
    • • Videocamere
    • • Software
    • • Montaggio
    • • Audio e Musica
    • • Usare lo Smartphone
    • • Droni
    • • Doppiaggio/Sottotitoli
  • ♥ Location
  • ♥ Crowdfunding
  • ♥ Distributori di Cortometraggi
  • ♥ da Filmmakers a Filmmakers
  • ♥ Concorsi consigliati
    • • Premiazioni & Proiezioni
    • • Altri concorsi
    • • Scaduti
  • ♥ Video Interviste di Fulvio
  • ♥ Eventi & Proiezioni
  • ♥ I Video
    • • Storyboard
    • • Trailer
    • • Video Backstage
    • • Locandine e poster
    • • Foto di Scena
    • • Foto Backstage
    • • Press kit
  • ♥ Commenti sui Corti
  • ♥ Lezioni in Video
  • ♥ Film e dintorni
    • • Imparare dai Film
    • • Come nasce un Lungometraggio
    • • Come nasce un Lungometraggio 2
  • ♥ Serie TV
  • ♥ Libri
  • ♥ Tesi e tesine
  • ♥ Scuole, Corsi, Workshop
  • ♥ Incontri ed Interviste
  • ♥ Tutto il Resto
  • ♥ Intelligenza Artificiale
  • ♥ Chi siamo
  • ♥ Nel corso degli anni...
  • ♣ Le origini del Cinema
  • ♣ Museo Cortometraggio & Cineprese

Ultimi Articoli inseriti

  • Presentazione del corto: IL TUO NOME BRUCIA SULLE MIE LABBRA di Alessandro Sena
  • Come fare un buon Cortometraggio con un corredo Nikon
  • Ultima fase: la Produzione effettiva di un cortometraggio
  • Archetipi narrativi: guida per sceneggiatori principianti
  • Cosa imparare dal film "A Beautiful Mind" (2001)
  • Uso del carrello nel cinema: tecnica, intenzioni e risultati
  • Location originali in località montane
  • Diventare un buon Direttore della Fotografia: formazione sul campo
  • Cosa imparare dal film commedia: "Lo smemorato di Collegno" con Totò
  • Scelta di un corredo (economico) per fare un buon Cortometraggio
  • Come realizzare un cortometraggio di genere Road Movie
  • Cosa possiamo imparare dal film: “Smetto quando voglio” (2014)
  • Cosa imparare dal film commedia: Mr. Smith va a Washington (1939)
  • Guida tecnica ed artistica all’uso degli obiettivi
  • Videocamere Cinema EOS
  • Basi di sceneggiature di Fantascienza
  • Riprese al tramonto: come sfruttare l'ora magica
  • Realizzare un cortometraggio commedia low budget: guida pratica e creativa
  • Imparare dai film del regista Frank Capra
  • Guida tecnica ed espressiva all'uso degli f/stop

Diventare FilmMaker - PCTO 2025 per il Liceo RIPETTA Roma

Corso Liceo Artistico RIPETTA Roma v54

16° Premiazione ILCORTO 1/2/25

INVITO PREMIAZIONE ILCORTO 2024 sito

Utenti Redattori / Numero Articoli

  • Utenti 7
  • Articoli 4948

I vostri Corti a Siracusa

SIRACUSA_15_marzo_ILCORTO.EU_1000.jpg

Immagini d'Archivio

Sulle Sceneggiature

  • Archetipi narrativi: guida per sceneggiatori principianti
  • Sceneggiatura di un Cortometraggio: bella od inconcludente?
  • Riflessioni sulla "strutture in 3 atti"
  • La Piramide di Freytag, fondamentale per una sceneggiatura efficace
  • Come trovare l'idea giusta per creare una storia originale, profonda e coinvolgente
  • Come trovare i "buchi" nella sceneggiatura
  • L'AntiEroe nei Cortometraggi
  • L'importanza dello Spoglio di una Sceneggiatura

Sui Cortometraggi

  • Realizzare un cortometraggio commedia low budget: guida pratica e creativa
  • Realizzare un corto horror a low budget: guida tecnica, economica e creativa
  • Il 29-4 anteprima: AMANDA "Shades of Ghoster Love" di Barbara Patarini
  • Importanza dei particolari in un cortometraggio
  • “4 marzo 1943” di Lucio Dalla: una sceneggiatura od una canzone?
  • Come coinvolgere le PMI locali in un Cortometraggio
  • Parlare di Cinema a scuola?
  • Il Cinema Oggi e Domani

Ultimi Concorsi

  • Concorso di Cortometraggi “ilCORTO - FESTA INTERNAZIONALE di ROMA 2025“ - il Bando
  • Concorso Vincenzoni per Soggetti e Musiche per Film scade 30 giugno 2025
  • Short Film School Fest – Premio Elvira Coda Notari 2025
  • “ilCORTO.it FESTA INTERNAZIONALE di ROMA 2024“ secondo parziale elenco dei Corti inviati
  • VITERBO short FESTIVAL scade 30/11/2024

Le lezioni di Manfredi

  • ELENCO delle LEZIONI di Gianfranco MANFREDI
  • La Forma della Sceneggiatura (II)
  • Nascita e fondamenti del Copione teatrale
  • Cinema COMICO (Parte Seconda)
  • IL GIALLO E IL NERO (Seconda parte)
  • IL GIALLO E IL NERO (parte Prima)
  • CINEMA D’AUTORE
  • CONCLUSIONE: CHI E' LO SCENEGGIATORE CINEMATOGRAFICO?

IlCorto WORKSHOP Latina v6

Consigli e suggerimenti

  • 101 spunti creativi per l'arco narrativo del personaggio
  • 5 strategie chiave per scrivere film Sportivi migliori
  • I 45 archetipi narrativi che gli sceneggiatori dovrebbero padroneggiare
  • 10 regole per scrivere una sceneggiatura con un micro-budget
  • 25 anni dopo: perché la sceneggiatura di CAST AWAY funziona ancora
  • 3 giochi per trovare idee migliori per la tua sceneggiatura
  • La tua guida per sviluppare grandi idee per film (e cortometraggi)
  • 7 motivi per cui il "blocco dello scrittore" è una stronz@ta

Scrivere Sceneggiature

SCENEGG FORMA LoGnomo pag.2 07 9 22 v1 800

I Generi nel cinema

  • Come realizzare un cortometraggio di genere Road Movie
  • Cosa si intende per Commedia Nera?
  • Le prime scene di un Corto: approcci diversi per generi diversi
  • Come realizzare un Cortometraggio Sperimentale
  • Perché è difficile scrivere una Sceneggiatura Comica
  • Caratteristiche del genere Satirico
  • Cosa è un biopic

Immagini d'Archivio 2

Vuoi Collaborare?

Collaborazione_v3.jpg

Le Videocamere

  • Come fare un buon Cortometraggio con un corredo Nikon
  • Scelta di un corredo (economico) per fare un buon Cortometraggio
  • Videocamere Cinema EOS
  • Sensori cinematografici a confronto
  • Fattore di crop nei sensori

Informazioni di Tecnica

  • Ultima fase: la Produzione effettiva di un cortometraggio
  • Uso del carrello nel cinema: tecnica, intenzioni e risultati
  • Percorso di crescita tecnica come Video Editor
  • La Profondità di Campo nel cinema
  • Capire il Sottocampionamento della Crominanza
  • Come diventare un buon Regista: La pratica rende perfetti

Gli Utenti Unici dal 15/1/2023 ad oggi

Italy 62,45699% Italy
United States of America 17,20209% United States of America
Unknown 16,06061% Unknown
Germany 0,91166% Germany
Spain 0,48004% Spain
Russian Federation 0,43629% Russian Federation
France 0,38860% France
Switzerland 0,37042% Switzerland
United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland 0,17599% United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland
India 0,09881% India
Albania 0,07964% Albania
Belgium 0,07743% Belgium
China 0,07644% China
Netherlands 0,07595% Netherlands
Singapore 0,07571% Singapore
Japan 0,07104% Japan
Brazil 0,07054% Brazil
Canada 0,05039% Canada
Ireland 0,04965% Ireland
Sweden 0,04793% Sweden
Austria 0,04498% Austria
Argentina 0,04375% Argentina
Poland 0,03908% Poland
Greece 0,03761% Greece
Portugal 0,03417% Portugal
San Marino 0,02925% San Marino
Australia 0,02851% Australia
Algeria 0,02310% Algeria
Turkey 0,02261% Turkey
Finland 0,02114% Finland
Romania 0,01991% Romania
Croatia 0,01942% Croatia
Mexico 0,01819% Mexico
Colombia 0,01647% Colombia
Egypt 0,01499% Egypt
Hungary 0,01499% Hungary
Malta 0,01426% Malta
Luxembourg 0,01327% Luxembourg
Czechia 0,01303% Czechia
Bulgaria 0,01278% Bulgaria
Slovenia 0,01229% Slovenia
Republic of Korea 0,01204% Republic of Korea
Denmark 0,01106% Denmark
Chile 0,01008% Chile
Peru 0,00909% Peru
Morocco 0,00909% Morocco
Thailand 0,00885% Thailand
Norway 0,00860% Norway
XZ Ignoto 0,00762% XZ Ignoto
Hong Kong 0,00737% Hong Kong
Ukraine 0,00737% Ukraine
Tunisia 0,00713% Tunisia
Kazakhstan 0,00688% Kazakhstan
United Arab Emirates 0,00688% United Arab Emirates
Philippines 0,00639% Philippines
Serbia 0,00541% Serbia
Iran 0,00516% Iran
Indonesia 0,00492% Indonesia
Bosnia and Herzegovina 0,00467% Bosnia and Herzegovina
New Zealand 0,00442% New Zealand
Pakistan 0,00418% Pakistan
Dominican Republic 0,00418% Dominican Republic
Georgia 0,00393% Georgia
Viet Nam 0,00393% Viet Nam
XE 0,00369% XE
Monaco 0,00369% Monaco
Israel 0,00369% Israel
Lithuania 0,00344% Lithuania
Slovakia 0,00344% Slovakia
Estonia 0,00295% Estonia
Taiwan, Province of China 0,00270% Taiwan, Province of China
Venezuela 0,00246% Venezuela
Saudi Arabia 0,00246% Saudi Arabia
Costa Rica 0,00221% Costa Rica
Bangladesh 0,00221% Bangladesh
Malaysia 0,00221% Malaysia
Montenegro 0,00221% Montenegro
Latvia 0,00221% Latvia
Bolivia 0,00221% Bolivia
Moldova 0,00197% Moldova
North Macedonia 0,00197% North Macedonia
Iraq 0,00197% Iraq
Iceland 0,00197% Iceland
Belarus 0,00197% Belarus
Lebanon 0,00172% Lebanon
Nigeria 0,00147% Nigeria
Ecuador 0,00147% Ecuador
Uruguay 0,00147% Uruguay
Senegal 0,00147% Senegal
Cuba 0,00123% Cuba
Maldives 0,00123% Maldives
Jordan 0,00123% Jordan
South Africa 0,00123% South Africa
Cyprus 0,00123% Cyprus
Kuwait 0,00123% Kuwait
Uganda 0,00098% Uganda
Cambodia 0,00098% Cambodia
Oman 0,00098% Oman
Azerbaijan 0,00074% Azerbaijan
Isle of Man 0,00074% Isle of Man
Paraguay 0,00074% Paraguay
Bahrain 0,00074% Bahrain
Guatemala 0,00074% Guatemala
Cabo Verde 0,00074% Cabo Verde
Puerto Rico 0,00074% Puerto Rico
Guadeloupe 0,00074% Guadeloupe
Lao People's Democratic Republic 0,00074% Lao People's Democratic Republic
Panama 0,00074% Panama
Cameroon 0,00074% Cameroon
Mongolia 0,00049% Mongolia
Armenia 0,00049% Armenia
Burkina Faso 0,00049% Burkina Faso
Kenya 0,00049% Kenya
Qatar 0,00049% Qatar
Jamaica 0,00049% Jamaica
Turkmenistan 0,00049% Turkmenistan
Mauritius 0,00049% Mauritius
Uzbekistan 0,00049% Uzbekistan
Madagascar 0,00049% Madagascar
XK 0,00049% XK
Liechtenstein 0,00049% Liechtenstein
Tanzania 0,00049% Tanzania
Libya 0,00049% Libya
Nicaragua 0,00049% Nicaragua
Namibia 0,00049% Namibia
Côte d'Ivoire 0,00049% Côte d'Ivoire
Mozambique 0,00049% Mozambique
Afghanistan 0,00025% Afghanistan
Aruba 0,00025% Aruba
State of Palestine 0,00025% State of Palestine
Syrian Arab Republic 0,00025% Syrian Arab Republic
Ghana 0,00025% Ghana
Congo 0,00025% Congo
Gabon 0,00025% Gabon
Honduras 0,00025% Honduras
Andorra 0,00025% Andorra
Democratic Republic of the Congo 0,00025% Democratic Republic of the Congo
El Salvador 0,00025% El Salvador
Ethiopia 0,00025% Ethiopia
Holy See 0,00025% Holy See
Kyrgyzstan 0,00025% Kyrgyzstan
Nepal 0,00025% Nepal
Niger 0,00025% Niger
Seychelles 0,00025% Seychelles

Total:

144

Countries
425308
Today: 618
Yesterday: 839
This Week: 618
Last Week: 6.180
This Month: 10.270
Last Month: 27.273
This Year: 125.504
Last Year: 234.019
Total: 425.308

Parliamo anche di Film

  • Temi di film maggiormente utilizzati
  • Realtà ed immaginazione al cinema
  • Quando i Silenzi valgono di più delle Parole
  • Perchè vedere oggi il film "GLI INDIFFERENTI" del regista Francesco Maselli
  • DAVID LYNCH: una visione che sfocia nell'INCONSCIO
  • Armand: premio per la migliore opera prima a Cannes 2024
  • Perché un film è giudicato in modo diverso dalla Critica e dal Pubblico
  • Come e perchè l'importanza dei dettagli e dei particolari è determinante in un film

Idee prese dalla realtà

  • Cortometraggi e sostenibilità: storie che ispirano un futuro più verde
  • Ti mancano le idee per girare un Cortometraggio?
  • Corti e malattie mentali: demistificare lo stigma attraverso la narrazione
  • Corti e identità di genere: sfidare gli stereotipi attraverso la narrazione
  • I Cortometraggi: strumenti per combattere il Cambiamento Climatico. Esempi
  • Dai fatti reali a basi per sceneggiature (pag. 2)
  • Dai fatti reali a basi per sceneggiature (pag. 1)
  • Credeva di aver fatto 6 al SuperEnalotto...

Info da Scuole & Workshop

  • I 5 migliori Corsi di Cinema negli USA
  • Diventare FilmMaker: PCTO 2025 per il Liceo Artistico Via RIPETTA di Roma
  • Cinema a Scuola, un’opportunità da cogliere?
  • Novità alla Accademia Griffith: corsi brevi per lavorare nel cinema
  • Approfondimenti Didattici sul Cinema e Cortometraggi, per il Liceo Artistico RIPETTA di Roma

Visto il successo...

FFF Locandina WORKSHOP 27maggio 3giugno 1000

Info sui Cortometraggi

  • Cortometraggio "Fár" finalista al Festival di Cannes 2023
  • Cortometraggio "Aunque es de Noche" finalista al Festival di Cannes 2023
  • Cortometraggio "La Perra" finalista al Festival di Cannes
  • Cortometraggio "Wild Summon" finalista al Festival di Cannes 2023
  • Cortometraggio "Tits" finalista al Festival di Cannes 2023

Libri da conoscere

  • “Gli occhi addosso” di Laura Capaccioli, edito da Europa Edizioni
  • L’ABC del linguaggio cinematografico di Arcangelo Mazzoleni
  • Manuale di storia del cinema di Gianni Rondolino, Dario Tomasi
  • Idee di cinema. L'arte del film nel racconto di teorici e cineasti
  • Il viaggio dell'eroe. La struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa e di cinema, di Chris Vogler

Login Form

  • Password dimenticata?
  • Hai dimenticato il tuo nome utente?

Incontri con...

  • Come scrivere un dramma erotico complesso come "Babygirl"
  • 5 caratteristiche dei film di John Carpenter
  • Intervista al regista JOHN CAMERON MITCHELL
  • Zoe Vitale: Come ho imparato ad amare i film Horror
  • Le Fotografie di Leo Fuchs

... qui Tutto il Resto

  • “Arzo 1943” di Ruben Rossello, una proiezione di Storie
  • Viaggia, esplora e scatta con Leica
  • Costi Sopra e Sotto la linea: panoramica
  • Chi vuole dalla autobiografia “Gli occhi addosso” produrre un film?
  • Se ne stanno andando i più grandi del Cinema, Teatro, Televisione

Rimozione e Loghi

Rimossi v.2

L'INFINITO F.F. 2024

Manifesto LINFINITO v13 RPDM1300

Associazione Culturale no-profit  ILCORTO.IT   -  Sito: ILCORTO.EU   -  L'ENCICLOPEDIA DEI CORTOMETRAGGI   -  Email: info@ilcorto.eu   -  Cell.: 378 083 4501  -   ©2010-2025